Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 novembre 2011

IMMIGRATI: MORTI DURANTE TRAVERSATA NEL CANALE DI SICILIA, 5 FERMI
(AGI) - Agrigento, 30 nov. - La Squadra mobile di Agrigento, in collaborazione con gli uffici di Cosenza, Enna e Salerno, ha arrestato cinque immigrati indiziati del reato di omicidio plurimo doloso, pluriaggravato dai" motivi abietti e futili e dalle circostanze di tempo e di luogo", ai danni di altri migranti di diverse nazionalita'. Il provvedimento restrittivo e' stato emesso dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Andrea Bianchi. I fatti si riferiscono alla drammatica traversata di un natante partito dalla Libia e giunto a Lampedusa il 4 agosto. Le indagini, che si sono avvalse anche della collaborazione delle questure di Taranto, Napoli, Caserta, Avellino e Reggio Calabria, hanno consentito di accertare che gli indagati, in concorso fra loro, durante il viaggio verso la Sicilia, si erano resi responsabili di gravi atti di violenza culminati anche nell'omicidio di diversi migranti gettati vivi in mare, provocandone l'annegamento.
  Gesti gravissimi che scaturirono, secondo quanto accertato, dall'avaria del motore della barca e dalla conseguente contrapposizioni di diverse etnie presenti sul natante. Durante il viaggio, peraltro, alcuni stranieri erano morti per asfissia essendo stati stipati all'interno della stiva. Il corpo esanime di uno dei migranti era ancora presente sull'imbarcazione ed era stato recuperato durante i soccorsi prestati a Lampedusa.
  Nell'immediatezza dei fatti era stato gia' tratto in arresto il conducente dell'imbarcazione, ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e di omicidio quale conseguenza di altro delitto. In manette sono finiti Emeka Ohalete, 38 anni, nigeriano, Faisal Igala, 37 ani, ghanese, Duglass Ounchukwu, 35 anni, nigeriano, Adama Mohamed, 28 anni, ghanese, e Kujo Ahmokugo, 44 anni, ghanese. Allo stato risultano irreperibili tre stranieri destinatari del medesimo provvedimento di fermo. Le indagini di polizia, particolarmente complesse, compiute su direttive del dipartimento Immigrazione della procura di Agrigento guidata dal procuratore Renato Di Natale, sono state condotte, e tuttora proseguono, ad opera della Squadra mobile agrigentina, diretta da Alfonso Iadevaia, con il coordinamento del questore Giuseppe Bisogno.



"Sacrificio agli dei" e gettano i profughi a mare presi cinque scafisti in Italia per motivi umanitari
Fecero annegare in mare aperto almeno dieci connazionali nordafricani durante la traversata tra la Libia e Lampedusa. Presi dalla squadra mobile di Agrigento. Avevano un permesso di soggiorno per motivi umanitari
la Repubblica, 30-11-2011
AGRIGENTO - Gettarono in mare almeno 10 profughi durante la traversata tra la Libia e Lampedusa facendoli annegare, adesso la squadra mobile di Agrigento ha arrestato i cinque presunti responsabili degli omicidi, mentre altri tre sono tuttora ricercati. I cinque arrestati, con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, sono due nigeriani e tre ghanesi e sono tutti accusati di omicidio plurimo doloso, pluriaggravato dai motivi abietti e futili.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori i profughi sarebbero stati gettati in mare dagli scafisti come riti propiziatori per ingraziarsi gli dei. Non solo. Sembra che ci siano state anche delle contrapposizioni tra diverse etnie, da un lato nigeriani e ghanesi e dall'altro nordafricani. L'imbarcazione sbarcò a Lampedusa lo scorso 4 agosto con un morto a bordo, mentre altri profughi erano morti per asfissia perchè stipati all'interno della stiva. Appena tre giorni prima altre 25 persone erano morte per asfissia durante la traversata tra la Libia e Lampedusa perchè chiusi nella stiva.
Le indagini, coordinate dal procuratore Renato Di Natale, dall'aggiunto Ignazio Fonzo e dal pm Andrea Bianchi sono state particolarmente complesse e articolate. I cinque uomini arrestati si trovavano nei centri di accoglienza di Salerno, Cosenza ed Enna. Mentre la squadra mobile diretta da Alfonso Iadevaia è ancora alla ricerca dei tre che risultano irreperibili.



Gli immigrati rimasti nella tendopoli di Manduria «Il nostro futuro è qui»
la Gazzetta del Mezzogiorno, 30-11-2011
Fulvio Colucci
MANDURIA - Le tende sono ancora lì. Vuote. Ora somigliano alle fila di un esercito arruolato dal ricordo. Dissolto il passato di urla e silenzi, lingue sconosciute, facce, mani, bocche serrate e panni stesi, poliziotti e bambini e interminabili partite di calcio, nell’attesa senza fine e senza requie del permesso di soggiorno.
La memoria si fa strada battendo in breccia i pensieri di Badreddin e Anis. I due giovani tunisini guardano quel mare azzurro e sembrano ricordare le onde di giorni lontani, ora arrestatesi in una quiete da lago. Rimangono aggrappati alla rete di recinzione quasi volessero resistere a una forza misteriosa, magnetica, capace ancora di spingerli lì, dove tutto è cominciato. Lì alla tendopoli, al campo che fu aeroporto militare, al Centro di accoglienza e identificazione sulla strada per Oria. Lì dove ad aprile, circa otto mesi fa, furono ospitati 3mila 500 tunisini fuggiti dopo la Rivoluzione dei Gelsomini. A pochi passi da Contrada Tripoli, dove la Storia, quando si fa profezia, avrebbe scritto capitoli che, ignari, impareremo ancora a leggere.
«Il futuro si chiama lavoro» sospira Badreddin con gli occhi di eterno bambino sempre a caccia di aquiloni. «In quei giorni avevo paura. Le notizie erano contraddittorie: fuggire? Restare? Temevo il rimpatrio. Non sapevo dove fossimo. Le notizie erano frammentarie. Il primo aprile, appena arrivato, scappai alla stazione di Oria. Fui fermato dalla polizia e riportato al campo. Cosa mi ha dato la forza per resistere? L’Horria, la libertà. Il desiderio di libertà».
I ricordi di Anis pungono come il suo sguardo. Tornare alla tendopoli non è facile. Sembra arduo contenere l’assalto delle emozioni, deviarne il corso facendole fluire lì dove non possano corrodere l’anima o travolgerla. «Sono stati giorni difficili» spiega lanciando occhiate taglienti come lame a ciò che lo circonda e che il vuoto rende ancor più distante. «L’attesa del permesso di soggiorno, l’ansia di poter raggiungere famigliari e amici ci consumava. Si piangeva. La gente di Manduria, Oria, Sava ci ha sostenuto; la loro vicinanza - dicono insieme i due giovani tunisini - ci ha dato forza e coraggio».
Siamo tornati, come reduci, al Centro di accoglienza e identificazione. Chiusi i cancelli a settembre, sovrano regna il silenzio che pizzica le reti di confine facendo vibrare al vento la «strana armonia» del nulla. Una camionetta dell’esercito pattuglia la recinzione. Un paio di cani scodinzolano affettuosi e si accucciano davanti alla cancellata d’ingresso. Si fermano ad annusare l’aria in cui avverti il galleggiare di fantasmi, la loro danza tra i muri diroccati di Masseria Schiavone dove partivano o si fermavano le corse folli d’aprile, quel cercare nella fuga un’eterna dimensione del cammino, dimensione di libertà, che avevamo perso, che avevamo dimenticato.
Badreddin e Anis sono tornati al campo perché hanno scelto di restare a Manduria. Altri connazionali, sbarcati in aprile, hanno scelto anche loro queste terre così somiglianti alla madrepatria lontana, mai dimenticata. L’associazione «Naturalmente a Sud» ha lavorato alla tendopoli di Manduria e il presidente Sebastiano Polimeno ricorda «tanta cattiva informazione» sulla crisi umanitaria d’aprile. «E noi abbiamo dato un aiuto concreto al consorzio Nuvola (che gestiva la tendopoli, ndr), portando generi di prima necessità all’interno della struttura e non lasciandoli all’esterno. Abbiamo lavorato anche dopo la fine dell’esperienza di aprile, offrendo assistenza con il nostro sportello migranti proprio ai tunisini che sono rimasti nella nostra terra». Polimeno rivendica l’attività dei volontari e non risparmia una battuta polemica: «Vorrei ricordare tutto quello che abbiamo fatto e facciamo all’Amministrazione comunale di Manduria». Un promemoria importante anche perché l’associazione si è occupata dell’integrazione in solitudine.
Perchè è bene ricordare che Badreddin ha il permesso umanitario di soggiorno per sei mesi. E cerca lavoro. E la solidarietà può essere più grande proprio nei giorni difficili. Mentre Ramzi il lavoro lo ha trovato in albergo a Campomarino e Maher è saldatore. Anche Jihed e Ridha cercano lavoro col permesso per motivi umanitari così come Muad ospitato a Oria. Mentre Anis, Nisar e Mouhamed hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, dodici mesi anziché i sei del permesso umanitario. Perché «il futuro è il lavoro» come ricorda ancora Bareddin levando l’indice a rievocare le corse tra le tende, i campi, la masseria, l’accoglienza e l’intolleranza. E quell’azzurro profondissimo.
Perché fa sempre male rievocare quell’azzurro delle tende che rimandava, quasi come un’ossessione, all’altro azzurro, quello del Mediterraneo, del Canale di Sicilia, la traversata e lo sbarco a Lampedusa, le notti di vento con la morte compagna a pelo d’acqua, le albe di fuoco indescrivibili fermate dalle fotocamere dei cellulari come le foto dei compagni rimasti lì in fondo al bahar, al mare.
Lorella Pagliarulo, mediatrice di «Naturalmente a sud», rievoca: «Rimane la grande sensibilità di queste persone» e «la tenacia, la voglia di farcela ad ogni costro. La sofferenza sopportata con dignità. Cose che abbiamo dimenticato». Cose da ricordare in questo giorno di aquiloni immaginari, in fuga. Scalzi come allora. Scalzi come la libertà.



Cittadinanza. Famiglia Cristiana: "Autolesionista non darla ai figli degli immigrati"
Il settimanale cattolico: "Sono una risorsa, e di fatto sono già italiani". "Basta con la politica di bassissima lega"
Stranieri in Italia, 30-11-2011
Roma – 30 novembre 2011 - “Una follia non riconoscerli italiani”. È parafrasando le parole di Napolitano che oggi Famiglia Cristiana mette in primo piano la necessità di una riforma della cittadinanza aperta alle seconde generazioni.
"Come non condividere l’auspicio del presidente?" si chiede il settimanale cattolico,"eppure, c’è chi resiste e obietta. Anche in modo rozzo. Per lucrare residui consensi elettorali. A spese dei bambini, figli di stranieri, che di fatto sono già italiani". "Sono, soprattutto, una 'risorsa demografica'. Per un Paese vecchio, senza più bambini. E un futuro incerto, con poche speranze".
Secondo Famiglia Cristiana, "negare un diritto, solo perché la cittadinanza ai bambini stranieri non è nelle priorità del nuovo Governo, è assurdo. Un vergognoso alibi. Rimasuglio di una politica miope. E autolesionista. Senza ideali e un progetto per il Paese. La ripresa dell’Italia è da programmare non a prescindere, ma a partire da questi ‘nuovi italiani’".
"Il Paese – conclude l’editoriale - è chiamato a un salto di qualità. A una scelta di civiltà. Forse, tardiva, ma non più rinviabile. E alla “moratoria” di una politica di “bassissima lega”. Che non fa onore al Paese, nella stragrande maggioranza accogliente e solidale".



“Figli di tante patrie” domani al Bibliocaffè Letterario di Roma si presenta il concorso letterario per le seconde generazioni.
Iniziativa delle Biblioteche di Roma - Roma multietnica e dei consiglieri aggiunti di RomaCapitale.
Immigrazione Oggi, 30-11-2011
Verrà presentato domani, presso il Bibliocaffè letterario, il concorso Figli di tante patrie promosso dalle Biblioteche di Roma - Roma multietnica e i consiglieri aggiunti di Roma Capitale (Africa, Asia, America, Europa dell’Est).
Un appuntamento per promuovere il concorso, rivolto ai giovani di seconda generazione dai 14 ai 36 anni, in cui “le seconde generazioni presentano le prime”. Dopo i saluti di Francesco Antonelli, presidente delle Biblioteche di Roma Capitale, interverranno i consiglieri aggiunti Tetyana Kuzyk (Europa), Victor Emeka Okeadu (Africa), Romulo Salvador Sabio (Asia), Madisson Godoy (America Latina). In programma, tra l’altro, la proiezione di estratti dal documentario 18 ius soli del regista Fred Kuwornu, le performance dei giovani attori capoverdiani, eritrei e italiani e del rapper Re Salvador, dello spettacolo Outsiders e gli interventi dei giovani italo-capoverdiani del progetto Mundo Kriol e dello scrittore Jorge Canifa Alvez.



Assunzione di lavoratori non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia: non occorre più compilare il modello “Q” - contratto di soggiorno.
Il Ministero del lavoro chiarisce che la comunicazione obbligatoria effettuata tramite il modello “Unificato Lav” sostituisce a tutti gli effetti la comunicazione allo sportello unico con il modello “Q”.
Immigrazione Oggi, 30-11-2011
A partire dal 15 novembre 2011, tutti i datori di lavoro che assumono un lavoratore non comunitario regolarmente soggiornante in Italia non devono più compilare il “modello Q”, ma assolveranno gli obblighi previsti dall’art. 36 bis del Regolamento di attuazione del Testo Unico sull’Immigrazione inviando il modello “Unificato Lav” nei tempi previsti dalla legge n. 296 del 27 dicembre 2006, ovvero entro le ore 24 del giorno antecedente all’assunzione.
È quanto chiarisce la nota ministeriale del 28 novembre 2011, prot. n. 4773, che identifica anche gli ambiti di applicazione più specifici di tale semplificazione, quali i rapporti di lavoro domestico e tutti quei rapporti “speciali” per il quali il legislatore ha previsto periodi diversi per la comunicazione di assunzione.
Per approfondimenti e per la modulistica vai al servizio delle Comunicazioni obbligatorie su Clic lavoro.



Immigrati/ Padova, un cinese eletto rappresentante degli stranieri
Affaritaliani.it, 29-11-2011
Si chiama Xiajing Wen ed è il più votato, con 396 voti, nell'elezione dei rappresentanti della Commissione per la rappresentanza dei cittadini stranieri residenti a Padova. Il cinese ha superato un bangladese (289 voti) e una filippina (238 voti).  "La comunità cinese è molto chiusa - ha dichiarato - fatica a integrarsi innanzitutto per il problema della lingua. Ci vuole tempo, magari dei corsi, anche a scuola. Darò il mio contributo".
In 3mila 843 su un totale di 17.850 aventi diritto, hanno votato domenica 27 novembre per l'elezione dell'organo consultivo il cui presidente potrà prendere parte al Consiglio comunale di Padova, senza diritto di voto ma con diritto di intervento. Il quorum del 15% è stato raggiunto già nel pomeriggio, con una votazione che è andata al di là delle più rosee previsioni.
I candidati ammessi alle elezioni erano 46, 29 maschi e 17 femmine: 6 nigeriani, 5 moldavi, 5 filippini, 4 ucraini, 4 marocchini, 4 srilankesi, 3 camerunesi, 3 bangiadesi, 2 albanesi, 2 congolesi, 2 senegalesi, 1 cinese, 1 ivoriano, 1 peruviano, 1 afgano, 1 tunisino, 1 pachistano.
Soddisfatto il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, (Pd), che ha sottolineato: "C'è stato un grande esercizio di democrazia. La Commissione servirà a rappresentare i loro interessi, le loro esigenze e i loro problemi e darà la possibilità di consentire a noi di dire loro quali sono i problemi dei padovani, come chiediamo loro di comportarsi L'esistenza di questa consulta degli immigrati avrà un vantaggio reciproco per gli stranieri e per la città. Per loro è stata una festa perchè hanno, per la prima volta, la possibilità di eleggere un loro candidato in una consulta che ci aiuterà a migliorare ancora Padova".



Immigrazione: falsi matrimoni con maghrebine, scoperto giro 'Marito' del Ragusano non ricordava il nome della moglie
(ANSA) - MODICA (RAGUSA), 29 NOV - Non ricordava il nome della moglie l'uomo di Giarratana (RG) che aveva sposato una maghrebina. Interrogato dai carabinieri, che hanno scoperto il giro di matrimoni falsi a Modica arrestando una marocchina e denunciando 25 persone, il 'marito' ha detto di aver conosciuto la moglie su Facebbook, di averla sposata durante un viaggio in Marocco, ma di non ricordare la data del matrimonio le generalita' della donna, ne' il suo numero di telefono. Le finte unioni servivano per fare ottenere alle extracomunitarie il permesso di soggiorno e costavano dai 5 ai 10 mila euro. (ANSA).



Doina, un racconto per chiedere perdono E il no di una madre che ha perso sua figlia
Uccise Vanessa Russo nella metro, infilandole un ombrello nell'occhio. Per lei un premio a Sollicciano
Corriere della sera, 29-11-2011
FIRENZE - «Quando tornerò nel mondo il mio primo appuntamento sarà nuovamente con la morte: la prima cosa che farò sarà andare al cimitero di Prima Porta sulla tomba di Vanessa. Lo devo, lo voglio, voglio stare vicina al mio angelo custode, a cui un destino tragico mi ha unita per sempre». È pentita Doina Matei, la rumena di 22 anni che, al culmine di una lite, uccise Vanessa Russo nella metropolitana di Roma infilandole un ombrello nell’occhio, il 26 aprile 2007. Per quell’insensato gesto, è rinchiusa nel carcere di Perugia, dove sta scontando una pena a 16 anni di carcere per omicidio preterintenzionale.
La sua storia, il suo ravvedimento, le sue speranze sono racchiuse nelle pagine di un racconto che ha vinto il secondo premio Racconti dal carcere Emanuele Casalini. «Doina ci ha tolto tutto, non possiamo perdonarla». È la furiosa reazione di Rita Pozzati, la madre di Vanessa. «Non vogliamo che preghi sulla tomba di mia figlia. Lei - incalza con rabbia - ha ricevuto un premio, noi, invece, non siamo riusciti a ottenere un’ombra di risarcimento». Non è una vita facile quella di Rita Pozzati. Lei lavora all’Atac, l’azienda di trasporti di Roma, mentre il marito non ha un lavoro fisso. «Ormai siamo soli e abbandonati».
Era attesa a Sollicciano ieri, Doina Matei. Ma non si è presentata nel penitenziario fiorentino dove si è svolta la cerimonia del premio letterario itinerante, sostenuto dalla provincia di Livorno e dal Salone del libro, che è intitolato a Emanuele Casalini. Ha preferito rimanere nella sua cella a Perugia. È stato letto il suo racconto che inizia come la preghiera di ogni detenuto. «Quando tornerò nel mio mondo…. Ma ancora senso fare dei progetti? Prima del 26 aprile 2007 ne facevo molti ero immersa nella realtà. Due figli da crescere la scelta del marciapiede in Italia per rimediare il necessario per garantirgli un’infanzia più decorosa della mia, tante umiliazioni che hanno svuotato la mia vita dalle illusioni ma che servivano a costruire il mio progetto: comprare una piccola casa per riunire i miei bimbi».



la 34enne Emma West è finita in manette
Londra, insulti razziali sul bus: arrestata
Giovane madre britannica attacca immigrati di colore e non, la scena filmata e mandata su You Tube
Corriere della sera, 29-11-2011
Elmar Burchia
MILANO - «Cosa è successo a questo Paese? Pieno di persone di colore e pieno di m..... polacchi». «Tu non sei inglese, sei nero. No, nemmeno tu sembri inglese. Lei non è inglese. Nessuno di voi è inglese. (...) Tornate da dove siete venuti». Queste frasi, condite da epiteti volgarmente dispregiativi, escono dalla bocca di una giovane madre inglese seduta col suo bambino su un tram londinese affollato di passeggeri ai suoi occhi «non inglesi». Lo scioccante video di due minuti e mezzo è diventato un caso; la donna è stata nel frattempo arrestata.
ESTERNAZIONI RAZZIALI - Cronache di ordinario razzismo: la scena è stata catturata col cellulare da un passeggero sulla linea di superficie Croydon-Wimbledon, a sud di Londra. Pubblicato domenica sera su YouTube col titolo «My Tram Experience» il video è stato già cliccato oltre 2 milioni di volte. Protagonista della sequenza è la 34enne Emma West di New Addington, seduta sul mezzo pubblico con suo figlio in grembo. Visibilmente infastidita dai tanti lavoratori stranieri a bordo inizia ad insultare tutti ad alta voce. «Tornate nei vostri Paesi», brontola la giovane madre sotto gli occhi inorriditi dei pendolari. In un primo momento nessuno sembra prestarle attenzione, poi qualcuno reagisce alle esternazioni xenofobe e razziste.
L'ARRESTO - La tensione sale quando la 34enne si scaglia contro una passeggera di colore dicendole di «tornarsene in Nicaragua». Questa replica: «Se non fossimo venuti qui, voi non avreste gente per lavorare, noi dobbiamo fare il vostro lavoro». Il filmato ha fatto subito il giro della Rete, rilanciato da Twitter e poi ripreso dagli organi d'informazione. Prontamente è intervenuta la polizia ferroviaria britannica (BTP) che ha avviato un’indagine. Nel frattempo ha fatto sapere di «aver identificato e fermato la donna sospettata di reato contro l'ordine pubblico aggravato da discriminazione razziale».

 

La denuncia: «Dal Comune di Roma, intimidazioni ai rom»
Un professore di Roma Tre: il Campidoglio fa firmare ai nomadi un modulo che li obbliga ad accettare l'alloggio del Comune altrimenti rischiano di vedersi tolti i figli
ROMA - Accetto l’offerta di alloggio del Comune di Roma. Non accetto? Allora confermo di essere stato informato che se non posso garantire ai miei figli un luogo salubre e sicuro e non ho mezzo sufficienti per soddisfare i loro bisogni le autorità possono intervenire per collocarli in un posto sicuro. «La rom che ci ha fatto vedere questo modulo del Comune di Roma aveva appena incontrato agenti della Polizia Municipale durante lo sgombero al Canneto. Lei ha barrato la casella non accetto con quanto ne consegue, qualche altro invece ha invece accettato l’offerta proprio per evitare la terza casella…».
LA RICERCA - Roma Tre, Aula Volpi del Dipartimento di Scienza della Comunicazione, l’ «Osservatorio sul razzismo» del terzo ateneo romano espone i risultati di una ricerca tra i campi rom della Capitale in corso dall’estate ad oggi. Il monitoraggio è stato guidato dalla cattedra di antropologia, professore Francesco Pompeo. «Quando il nostro ricercatore Daniele Ulderico ha raccolto questo modulo abbiamo sgranato gli occhi – spiega il docente dell’Università Roma Tre -. Davanti avevamo una evidente intimidazione. Sotto forma di pressione psicologica molto forte, veicolata da valori come la famiglia e i figli, alla madre rom in questione l’autorità ha deciso di mandare un messaggio intimidatorio. Tra l’altro usando l’articolo 403 del codice civile che è teso alla tutela dei minori. Ma che qui viene trasformato in uno spauracchio agitato con un’altra finalità, lo sgombero». Il professor Pompeo cerca di misurare le parole, ma la scoperta di questi moduli usati per gestire gli sgomberi dei rom dalla Polizia Municipale del Comune di Roma lo indigna e costituisce uno degli argomenti chiave della ricerca.

LA REALTA' - «L’amministrazione comunale ha voluto in questi mesi fornire una immagine di efficienza e di controllo della situazione dei rom a Roma a fini di consenso – viene spiegato dai ricercatori dell’Osservatorio durante la presentazione della ricerca -. Le informazioni raccolte da osservatori indipendenti testimoniano una realtà molto diversa, con enormi risorse a disposizione del Commissario straordinario – 30 milioni di euro tra i 18 stanziati dal Viminale, i 5 della Regione Lazio e i 7,5 del Comune – e pochi risultati verificabili. Nessuno dei nuovi insediamenti previsti dal piano nomadi è stato messo in funzione. Anzi, si sono sperperati 10 milioni di euro per la Barbuta, un posto a rischio inquinamento e non adatto all’insediamento umano. Infine che dire? Lo stesso piano nomadi è stato invalidato dal Consiglio di stato». Resta il modulo che il professor Pompeo mostra: «In questo contesto, dopo la morte dei cinque minori e dopo le vicende della basilica di San Paolo, le modalità di intervento si sono ulteriormente irrigidite – spiega -. Questo modulo mostra allora il carattere punitivo che hanno assunto gli interventi anche a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza».

Paolo Brogi

29 novembre 2011 Corriere.it

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