I libri dei migranti
l'Unità, 30-06-2010
Igiaba Scego SCRITTRICE
I 29 mattina la lettura dei giornali mi ha regalato una sorpresa. Sul Messaggero Walter Pedullà ha dedicato un bell'articolo alla letteratura italiana che ha radici altrove. Dovete sapere che la letteratura scritta dai migranti e dai figli di migranti in Italia è stata sempre poco considerata, se non addirittura snobbata proprio da quella accademia che doveva darle manforte. Gli unici ad occuparsene sono stati dipartimenti di confine come la letteratura comparata, la pedagogia interculturale e gli studi di genere con una forte propensione ai post-colonial studies. I dipartimenti di italianistica invece hanno sempre tenuto una certa distanza. I testi dei migranti e dei figli dei migranti venivano considerati fenomeni circensi, un po' come l'elefante che si tiene in equilibrio con una zampa sola. Ho sentito accademici dire "ma questa non è vera letteratura e poi non è italiana". Questo mi ha sempre lasciato perplessa. In che lingua è scritta, di grazia? In ostrogoto? Ormai testi di migranti e di figli di migranti circolano, vengono letti, fanno mercato, fanno tendenza. Siamo passati dal bel Io venditore dì elefanti di Pap Khouma, uscito 20 anni fa, agli exploit di Amara Lakhous, Anilda Brahimi, Randha Ghazi e Nicolai Lilin. Walter Pedullà è in buona compagnia in questa riscoperta, per fortuna. A Palermo Domenica Perrone, Natale Tedesco e l'intera equipe di Specchio di carta, laboratorio del romanzo contemporaneo (http://lospecchiodicarta.unipa.it/) hanno dedicato l'anno al mio romanzo. Era la prima volta di un libro scritto da una figlia di migrante. «Era per dare un segno», ha detto Perrone, «questi testi sono in tutto e per tutto letteratura italiana». Sostenere questo è segno di aver preso coscienza che l'Italia è di fatto plurale. Almeno ora si potrà dire in letteratura che l'Italia non respinge più. Per il resto purtroppo non si può dire altrettanto.
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