Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 ottobre 2010

Intesa Libia-Ue su collaborazione contro clandestini
L'Arena.it, 06-10-2010
Tripoli, 6 ott. (Apcom) - L'Ue e la Libia hanno raggiunto una intesa per un piano comune di lotta all'immigrazione clandestina: lo ha reso noto una delegazione Ue al termine di una visita di due giorni in Libia. "Abbiamo firmato un progetto di cooperazione che copre diverse questioni, dalle cause dell'immigrazione, alla sorveglianza delle frontiere fino alla lotta al traffico di esseri umani", ha dichiarato Cecilia Malmstroem, commissario Ue responsabile dell'Immigrazione. Malmstroem ha tuttavia ammesso la persistenza delle divergenze sulla Convenzione di Ginevra sui rifugiati che la Libia rifiuta sempre di firmare. "Ma siamo d'accordo a lavorare insieme per garantire i diritti dei più vulnerabili e la protezione dei rifugiati", ha detto in una conferenza stampa congiunta con il collega alla Cooperazione, Stefan Fuele. Quanto ai 5 miliardi di euro all'anno reclamati da Tripoli per "fermare" l'immigrazione clandestina, Malmstroem ha affermato di averne discusso con i ministri libici degli Esteri, Moussa Koussa, e dell'Interno, Abdelfatteh El Obeidi. "I due ministri hanno assicurato che questa somma non è destinata alla sola Libia ma a tutta l'Africa", ha detto. (con fonte Afp



ISLAMICHE VITTIME DI UOMINI PADRONI E LE FEMMINISTE?

IL. GIORNO  il Resto del Carlino  LA NAZIONE  QN, 06-10-2010
ALDO FORBICE
COME accade sempre, quando viene uccisa una donna, soprattutto se immigrata e pachistana musulmana, si alza il coro sull' «intollerabile barbarie». Così è avvenuto anche stavolta a Modena per l'uccisione a colpi di mattone di Shahnaz Begun da parte del marito, e del tentato omicidio della figlia «ribelle» Nosheen da parte del fratello, a sprangate. Uomini contro donne, musulmani contro musulmane che non rispettano le «regole schiavistiche» del Corano. Ma siamo sicuri che l'Islam prevede queste orribili punizioni per le donne che non rispettano le imposizioni degli uomini ? Non credo e non c'è bisogno di trovare conferma nelle frasi dell'ambasciatrice del Pakistan («E' inaccettabile non solo che un uomo uccida una donna, ma anche che alzi le mani su di lei») o dell'Ucoi («Nessuna costrizione matrimoniale potrà mai essere giustificata come derivante dall'Islam»). Ma il problema non è se la violenza possa derivare da un credo religioso. La violenza sulle donne è una realtà trasversale, in Oriente e in Occidente.
OGNI GIORNO 7 donne su 10 subiscono maltrattamenti e un milione ogni anno sono vittime di violenze fisiche e sessuali. Il problema centrale dunque è la mancata integrazione degli immigrati che, soprattutto nelle grandi città, continuano a vivere in ghetti separati. Questo avviene ovunque a eccezione di alcune aree del sud (in Sicilia particolarmente), dove la cultura dell'accoglienza è stata ereditata dalla storia. In passato la demagogia di tante amministrazioni, soprattutto di sinistra.mascherata da «rispetto delle diverse culture», ha impedito spesso il rispetto dei diritti umaniche non possono essere barattati in nome di pregiudizi e pratiche derivate da culture etniche (mutilazioni genitali femminili, riduzione in schiavitù, matrimoni forzati con bambine, ecc.). Purtroppo le militanti femministe sono pronte a
denunciare,quando si verificano fatti delittuosi come quelli delle due donne pachistane, ma raramente il «partito» delle donne si muove con iniziative concrete per non lasciare nell'isolamento le immigrate nel nostro paese,per favorirne l'integrazione culturale.



Paura, insicurezza, fatica: la guerra di chi sopravvive

La Stampa, 06-10-2010
FRANCESCA PACI
ROMA -E  il giorno dopo? Che cosa sarà della giovane pachistana Nosheen Butt se per miracolo dovesse svegliarsi dal coma? Perché, garantiscono le donne che l'hanno preceduta sulla strada dell'emancipazione, sfidare frontalmente l'autorità paterna è come varcare il Rubicone: se sopravvivi, la guerra vera comincia il giorno dopo.
«Ogni volta che mio marito mi mandava all'ospedale sfigurata dalle botte andavo in questura pensando che fratture e lesioni sarebbero state sufficienti a spedirlo in prigione, invece ho impiegato otto anni per avere giustizia», racconta la quarantunenne Bouchra ora che la legge italiana le ha dato ragione ed è riuscita a riportare a Udine i figli rapiti dal consorte e reclusi per sette anni in Marocco dove, su di lui denuncia, era stata accusata di abbandono del tetto coniugale. Sebbene alla fine l'uomo sia stato arrestato in Spagna per una storiaccia di droga, è uscito dalla sua vi-
ta. Non tutte sono così fortunate. Il padre di Hina Saleem deve scontare trent'anni, quello di Sanaa Dafani è stato condannato all'ergastolo ed è probabile che Hamhad Kan Butt riceverà lo stesso trattamento: gli assassini pagano, ma lasciano fuori famiglie e comunità omertose che spesso s'incaricano di vendicarli il giorno dopo il verdetto. E le vittime?
«Seguivo il processo di Hina, il fidanzato veniva a parlare con la madre per offrirle denaro ma lei lo allontanava perché non la vedesse l'imam che l'aveva presa in consegna» ricorda l'avvocato di parte civile Loredana Gemelli. La paura mangia l'anima: la maggior parte delle cinquemila donne che nell'ultimo anno hanno chiesto aiuto al centralino dell'associazione Acmid non hanno avuto il coraggio del passo successivo, la fuga.
«Avevo letto su internet che potevo rivolgermi a un centro di accoglienza e ho fatto le valigie» spiega la diciannovenne algerina Assia. In Italia ci sono un centinaio d'istituti, laici o religiosi, specializzati nel soccorso di ragazze «interrotte» come lei. Ma Amal è nata a Milano, seconda generazione proiettata nel futuro. Scaduti i sei mesi di protezione previsti ha cambiato nome, ha cambiato città e' ora lavora come grafica in uno studio che la conosce come Sara. Sorte assai
diversa dalla ventisettenne Amal che era arrivata dalla Tunisia con il ricongiungimento familiare, aveva un bambino piccolo e non parlava altro che l'arabo. Quando ha lasciato il marito che la obbligava a dividere il letto con la seconda moglie nuova di zecca si è rifugiata in un centro di protezione, ma dopo un anno non aveva ancora un impiego e si esprimeva a fatica. Oggi che per il nostro paese è una specie di clandestina vive in un condominio occupato alla periferia di Roma insieme ad altre decine di donne nelle stessa condizione, si tiene stretto il bimbo che teme le venga tolto dagli assistenti sociali, confida negli avvocati per i documenti e, insciallah, la casa popolare. Scapperebbe di nuovo? Chissà.
Tre anni fa l'ex sottosegretario agli interni Marcella Lucidi aveva proposto un permesso di soggiorno sociale per immigrati vittime di violenze in ambito famigliare, un po' tipo l'articolo 18 con cui le prostitute che denunciano gli sfruttatori guadagnano la regolarizzazione. Il progetto, a differenza dei delitti d'onore, si è fermato. Se la mamma di Nosheen Butt non fosse stata uccisa avrebbe fatto fatica a ricominciare da sola e forse perché troppo insicura per dare l'esempio alla figlia le ha dato la vita. Nosheen ce la può fare. E chissà che, se recupera, i legali non riescano a farle affidare i fratellini minori, al momento nelle mani degli assistenti sociali.



L'ipocrisia degli islamici Integrati in fabbrica, talebani a casa

Libero, 06-10-2010
GIANLUIGI PARAGONE
La vicenda è nota e la lasciamo sullo sfondo. Nel modenese un signore pachistano ammazza la moglie perché ella si oppone alla decisione di far sposare la figlia con un signore di una certa età, decisione presa dagli uomini di casa. Visto che si trovano il figlio dà una mano di botte alla sorella così impara a montarsi la testa con idee troppo libere. (...)
(...) Che ingenua: avrebbe voluto sposare la persona che amava...
Ora cerchiamo di ragionare sul contesto culturale in cui la tragedia si impianta. Chi ha avuto modo di osservare la crescita delle comunita straniere in Italia, soprattutto nel nord del Paese (e io l'ho fatto), avrà notato il doppio binario di integrazione. Il primo è un binario lavorativo, economico. Il secondo   è   invece   identitario. Sull'integrazione       economica spesso non vi sono grandi problemi. ( Gli immigrati - mi riferisco alle aree produttive del Paese, sia chiaro; nel mezzogiorno le questioni aperte sono di ben altra natura - sono parte del processo produttivo; senza di loro mol¬te aziende non potrebbero avviare le macchine, molti cantieri starebbero senza manodopera e molte attività artigianali segnerebbero il passo. Non sono più nemmeno pochi i casi di lavoratori stranieri che attraversano la sponda pas¬sando da dipendenti a piccoli imprenditori. Insomma, gli stranieri sono una risorsa; per se stessi e per il prodotto   interno   lordo. Più volte abbiamo scritto che laddove si registra un alto tasso di occupazione, l'integrazione avviene con maggiori probabilità di successo. Se lo ricordino coloro che pensano di slegare la permanenza in Italia con un contratto di lavoro. Lavoro significa sicurezza, significa un minimo di reddito, significa una casa e significa quindi una fa -miglia.
Ecco, famiglia. Entriamo così nella seconda dimensione del fenomeno. Non sono rari i casi in cui, al contrario di quanto accade nelle aziende dove le relazioni si basano su regole accettate dalle parti, le regole familiari si svincolano dalla condivisione o dalla trattativa, e diventano obblighi, sopraffazioni. Peggio appartengono a un codice tribale o di clan. La moglie uccisa dal marito e la figlia pestata dal fratello ci riportano ad altre storie simili capitate in questo Paese e delle quali, è vero, si è discusso a lungo. Ma ve ne sono tante altre di cui non si discute perché non si sa nulla.
La tendenza a minimizzare ciò che non si vuole vedere purtroppo c'è eccome. Non si può ritenere che la morte di alcune donne sia questione su cui è inutile ricamarci sopra dibattiti perché come dicono alcuni «si tratta di casi isolati»: così si sbaglia l'approccio. Le credenze o le tradizioni di parecchie comunità islamiche sono di netto rifiuto rispetto a norme vigenti o ai costumi prevalentemente in voga in occidente, perché accettati. Dal tema del corpo della donna (penso alle mutilazioni genetiche) a quello della di lei libertà di essere femmina, moglie e figlia, sono parecchie le incompatibilità. Vogliamo dire della poligamia (intesa non come infedeltà di coppia: esiste il divorzio a tutela del coniuge tradito) che di fatto è consentita in Italia grazie alla pratica dei riavvicinamenti familiari concessi a maglie larghe? Vogliamo dire della segregazione cui sono costrette parecchie donne musulmane?
E vogliamo dire anche che questo benedetto velo è spesso la prima barriera? Nosheen Butt, quella figlia che sognava di essere una ragazza come tante della sua età, indossava il velo a scuola e fuori: col senno di poi possiamo affermare che fosse davvero libera di portarlo? No, tant'è che è stata presa a bastonate quando ha rivendicato una fame di libertà troppo forte da restare soffocata nel cuore e nella testa.
Quante altre ragazze possono rivendicare la libertà di poter dismettere il velo? Pochissime e sapete perché ne sono certo? Perché se nelle questure non arrivano segnalazioni o denunce di violenze private, allora significa che la paura del clan è forte.Ancor prima degli omicidi ci sono le violenze; e prima delle violenze c'è la paura di violare il senso dell'onore.
Non basta prendere le distanza da quel padre che uccide la figlia o la madre (vorrei ben vedere se qualche responsabile di comunità islamiche lo facesse), sarebbe più importante che dentro le comunità gli uomini (ah se ci fosse uno Sciascia che ne appellasse taluni come quaquaraquà) denunciassero le violenze che si consumano dentro ambienti privati. O quantomeno appoggiassero la rivolta delle donne. La mamma di Nosheen è morta perché ha rotto la complicità dentro la famiglia; lei che le ha donato la vita è morta per difendere la libertà della figlia. Un gesto bellissimo. E rivoluzionario. Nei casi di Hina e di Sanaa non accadde: lì ci fu silente soccombenza.
Nelle violenze e nelle tragedie tipo quella di Novi non c'è ombra di povertà o di squallore. Tutt'altro. Il vero dramma è che laddove l'integrazione si è compiuta nelle fabbriche o nel nome del reddito, lo stesso non è avvenuto nei rapporti uomo-donna. Su questo aspetto è bene che l'opinione pubblica apra gli occhi e che la politica eviti di pettinare il politicamente corretto. Se in Europa il vento soffia a favore del centrodestra è perché sull'immigrazione si stanno commettendo tanti, troppi, errori.



I figli di Sakineh temono l'arresto e chiedono asilo all'Italia

l'Unità, 06-10-2010
Sajjad Ghaderzadeh e la sorella, figli di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana contro la cui condanna a morte sono mobilitati governi e organizzazioni umanitarie in Occidente, fanno sapere attraverso i media di temere l'arresto e perciò chiedono asilo politico in Italia. La richiesta, risponde il portavoce della Farnesina Maurizio Massari, sarà valutata anche «attraverso i contatti con i diversi partner europei a Teheran». Sajjad aggiunge di avere «chiesto ufficialmente al Papa di intervenire» per salvare la madre. Già un mese fa il portavoce della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, aveva detto che su questioni come questa, se poste «in modo appropriato», la Santa Sede è solita intervenire «non in forma pubblica, ma attraverso i propri canali diplomatici».
Sakineh Mohammadi-Ashtiani, 43 anni, di Tabriz, è stata condannata alla lapidazione per adulterio con sentenza poi sospesa. Il 28 settembre il procuratore generale Ghomahossein Mohseni-Ejei, citato dalla stampa di Teheran, ha detto che la donna era stata riconosciuta colpevole anche di complicità nell'omicidio del marito e quindi rischiava l'impiccagione.
Il figlio di Sakineh denuncia di aver subito intimidazioni per la sua attività in favore della madre. «Abbiamo ricevuto telefonate - ha detto Sajjad - da persone che si presentavano come agenti dell'Intelligence, che ci hanno minacciato. C'è la possibilità che ci arrestino in ogni momento». Lo stesso rischio, secondo il figlio di Sakineh, corre l'avvocato della donna, Javid Hutan Kian. «È stato convocato dalla magistratura per sabato, e lì potrebbero arrestarlo», ha affermato Sajjad. Secondo il figlio di Sakineh, la casa del legale è stata perquisita due volte in un mese.
Alcuni giorni fa il presidente iraniano Ahmadinejad ha rimproverato ai governi e ai media occidentali di non essersi mobilitati in ugual misura per salvare Teresa Lewis, una donna con disabilità mentali giustiziata il 23 settembre negli Usa come mandante dell'uccisione del marito e del figliastro.



Immigrati, dietro le nozze forzate il business dei ricongiungimenti

il Giornale, 06-10-2010
Fausto Biloslavo
Molti matrimoni sono combinati per aggirare la legge sull’immigrazione. O per rimpatriare le ragazze ribelli: le ragazze troppo occidentali spedite dai nonni
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia.
La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro.
Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte. «Il matrimonio combinato può essere uno strumento per aggirare i limiti posti dalle quote ed entrare in Italia grazie al ricongiungimento familiare» spiega Mara Tognetti, sociologa dell’Università Bicocca di Milano, che sta dando alle stampe una ricerca sulle adolescenti della migrazione. In pratica si organizza un matrimonio per procura fra un uomo nel paese d’origine che vuole venire in Italia e una ragazza immigrata che vive da noi, o viceversa. Oppure si fa tutto in famiglia come nel caso del padre assassino di Novi, in provincia di Modena. Una volta convolato a nozze, il consorte che sta in patria può chiedere il ricongiungimento familiare e il permesso di soggiorno. Non solo: è capitato che dall’Italia si prende moglie anche per telefono. Lo ha fatto un pachistano con l’anima gemella rimasta in patria dall’altra parte della cornetta. L’ambasciata italiana a Islamabad aveva osato rifiutare il ricongiungimento familiare, ma secondo una giudice di Milano l’unione era valida.
«Quando il matrimonio è combinato solitamente si include nel patto la separazione - rivela la professoressa Tognetti -. In alcuni casi, però, si tratta di unioni in cui la differenza di età fra la ragazza, molto giovane, è alta rispetto al marito ben più anziano. E non c’è alcuna separazione. Pure l’imam di Bologna ha denunciato questo fenomeno».
Sempre nella zona di Modena la Gazzetta locale ha intervistato ieri una marocchina, che si è rifiutata di sposare un cugino di quarant’anni più vecchio. L’obiettivo era farlo venire in Italia. E col Pakistan l’andazzo dei matrimoni combinati oppure obbligati va per la maggiore, grazie a una comunità di 55.371 persone.
Un altro aspetto inquietante è la «sparizione» delle ragazzine islamiche nell’età della pubertà registrato a Bergamo, Brescia, Milano, ma pure in Veneto ed Emilia-Romagna. «Dagli operatori sociali sul territorio e in particolare dagli insegnanti - osserva Tognetti - abbiamo ricevuto segnalazioni che dai 12 anni in su le bambine vengono rimandate al paese di origine per sposarsi o per crescere secondo determinate regole». Il timore è la «contaminazione» con gli stili di vita e i valori occidentali. «Esistono anche casi di rimpatri con il tranello, o comunque forzati. Una volta arrivate a destinazione le adolescenti si trovano di fronte al matrimonio già pronto», denuncia la sociologa. Le scuse per far cadere in trappola le promesse spose sono la malattia dell’anziana nonna oppure una vacanza. Lo scorso anno una studentessa pachistana e una egiziana, bravissime a scuola, non sono tornate sui banchi del liceo. Erano partite per un viaggio estivo nei paesi d’origine, dove hanno trovato tutto organizzato per le nozze.
Negli Stati Uniti ci sono stati genitori che hanno costretto le figlie a tornare in Pakistan per sposarsi con la pistola alla schiena. «Mio padre me l’ha detto chiaro: se scappi ti ammazzo - racconta Sarah una giovane pachistana scampata all’ingrato destino -. Avevo solo 15 anni e voleva farmi sposare un uomo in Pakistan». Tante ragazze come lei che vivevano in grandi città come New York o nella moderna Inghilterra sono state picchiate, drogate e portate a forza nella patria d’origine per sposarsi. Lo scorso sono state 300 le richieste all’ambasciata inglese di rimpatrio dal Pakistan per le spose obbligate con passaporto britannico.
Ora però molte ragazze musulmane che si sono ambientate nel nostro paese cominciano a ribellarsi. «Prima devo lavorare, ma di sicuro sposerò un pachistano e lo porterò in Italia. Però lo sceglierò io», dice un’immigrata di 16 anni intervistata per la ricerca dell’Università Bicocca. Un’altra ragazzina pachistana ha accettato di maritarsi con un connazionale, che però sta in Inghilterra e non nella patria d’origine. Un ragazzo moderno e «poi tutti e due verremo a vivere in Italia», spiega la giovane.
Il matrimonio combinato o forzato è spesso un affare gestito dalle donne della famiglia. Oltre alle tradizioni e al Corano, le madri delle spose imposte stanno molto attente alla dote. Si stabilisce prima e si quantifica spesso con regali in oro.
Discorso diverso per la comunità rom, dove la mercificazione delle spose bambine è la norma. Lo scorso anno un gruppo di bulgari è finito in manette perché portava in Italia ragazze minorenni per venderle ai clan nomadi. Non solo come spose, ma anche come ladre abili nei borseggi e nei furti nelle case. I «mediatori» acquistavano le minori dalle famiglie di origine per circa 1.000 euro e la promessa di un matrimonio obbligato. E poi rivendute ai loro sposi dei clan nomadi per un cifra dieci volte superiore.
www.faustobiloslavo.eu



Altro che xenofobia e deportazioni: il sindaco Alemanno ha bonificato al meglio il "Casilino 900"
Nomadi, la via romana all'integrazione
Avanti, 06-10-2010
Giuseppe Ferone
Il tema della sicurezza è un tema molto caldo in ogni ambito delle amministrazioni e della politica in generale.
È un punto fondamentale per la convivenza pacifica tra i cittadini, affinché questi ultimi possano vivere la loro vita quotidiana senza alcun turbamento esterno che implichi forme di violenza, criminalità e altre forme di impedimenti. Il timore è il problema maggiore e dovrebbe essere purtroppo un problema inesistente per il cittadino. Il cittadino non dovrebbe avere alcun tipo di timore nel fare una comunissima passeggiata all'interno del proprio quartiere, della propria città, del proprio Stato. Ma oggi purtroppo non è cosi.
E molti esponenti politici dovrebbero provvedere e saper prendere delle decisioni coraggiose al riguardo, nella più grande trasparenza concettuale. Trasparenza che purtroppo la sinistra populista cerca oggi di nascondere, di mascherare. La sinistra, come sempre, cerca di negare l'evidenza e i numeri. Se, infatti, il governo di centrodestra parla di sicurezza nelle strade e di tutela del cittadino, ecco che la sinistra spunta fuori con il razzismo e con la dittatura. No, tutto questo è completamente sbagliato. Non si tratta di alcuna forma di razzismo, di xenofobia né, tantomeno, di dittatura o di Stato di polizia. Si tratta semplicemente di riformismo civico, ovvero di prendere decisioni e provvedimenti che mirano alla libertà e alla tutela del cittadino, motivo fondamentale di ogni proposta politica. Queste misure non sono prese per andare contro gli stranieri, ma contro i criminali, i delinquenti, di qualsiasi colore essi siano, italiani o di altre nazionalità. E ciò dovrebbe essere chiaro alla sinistra italiana di oggi, al suo populismo e alla sua demagogia.
Ma questo dialogo che non c'è, questa mancanza di confronto è ciò che succede in grande in Italia e in piccolo nelle varie regioni e capo-luoghi. Parliamo di Roma, la capitale. Per anni il malgoverno della sinistra veltroniana ha contribuito a creare un clima di disagi sociali e tensioni critiche fra i cittadini che hanno messo in forte discussione il tema della sicurezza. Dichiarandosi per definizione favorevoli a una politica di accoglienza delle minoranze etniche e a delle misure per favorirne l'integrazione nella società, hanno invece messo a rischio non solo la sicurezza dei cittadini, ma la sicurezza degli stessi stranieri, e un tipico esempio è quello di non aver saputo gestire la crescita per tutta Roma (soprattutto nell'VIII Municipio) di campi nomadi abusivi, al cui interno vivevano comunità di rom in condizioni penose: senza acqua, né luce, sommersi dall'immondizia e costretti perciò a vivere nella delinquenza. E questa sarebbe dovuta essere la benamata politica di accoglienza, il "volemose bene" universale di Walter Veltroni.
Iti questo ultimo periodo di governo riformista di centrodestra, invece, grazie al presidente dell'VIII Municipio, Massimiliano Lorenzotti, le cose sembrano migliorare. Molti campi nomadi abusivi sono stati chiusi e - pensate - con la collaborazione degli stessi nomadi che vivevano all'interno dei campi! È l'esempio del famoso campo "Casilino 900", famoso come il campo rom abusivo più grande d'Europa. Situato infatti nella zona di Torre Spaccata, questo grande campo abusivo che nel governo della sinistra di Scorzoni e Veltroni è stato malgestito, è stato definitivamente abbattuto grazie al sindaco Gianni Alemanno. E il fattore che ci permette di capire il totale malgoverno della sinistra e il totale cambiamento di pensiero e di approccio del governo di centrodestra è proprio questa collaborazione diretta dei rom. Sono stati gli stessi nomadi, infatti, a coordinare il processo di sgombero. E Alemanno, in occasione della chiusura del campo "Casilino 900", ha dichiarato: "Quando siamo andati al 'Casilino 900' abbiamo visto con chiarezza cosa c'era dietro questa retorica: l'abbandono, l'indifferenza, l'ipocrisia assoluta. Io sono molto meno buono di Walter Veltroni, ma sono il primo sindaco di questa città che ha messo piede al 'Casilino 900' e ha risolto questo problema".
E in questo è da ricordare il grande ruolo dell'VIII Municipio che dall'ex campo abusivo 'Casilino 900' ha fatto trasferire 98 bambini nel campo nomadi di Salone, di competenza appunto del Municipio di Lorenzotti e di questi 98 bimbi tutti sono stati iscritti a scuola» L'amministrazione romana e dell'VIII Municipio non stanno agendo affatto xenofobicamente, ma a favore dei propri cittadini e a favore degli stessi nomadi trasferendoli in campi a norma di legge adeguati e puliti, in ordine alle direttive di Alemanno e del suo cosiddetto "Piano Nomadi": una serie di provvedimenti amministrativi che prevedono la chiusura di tutti i campi abusivi e il trasferimento in campi regolari perfettamente controllati. Questo non è razzismo, ma legalità, svecchiamento, benessere dei cittadini. È governo, non menefreghismo. E la sinistra cosa fa? Accusa il governo di centrodestra romano di deportazione. Purtroppo, però, la demagogia è arrivata al punto tale da dimenticare la storia. Hitler deportava e trucidava gli ebrei prendendoli con la forza, buttandoli su treni logori contro la loro volontà, costringendoli a morire, fuori e dentro. Il governo della Capitale, invece, aiuta gli stessi nomadi in un perfetto clima di collaborazione e dialogo, come abbiamo visto con il campo "Casilino 900".



Undicimila "nuovi italiani" e 28 mila comunitari potenziali elettori alle prossime amministrative
Quarantamila voti immigrati nella corsa per Palazzo Marino
la Repubblica, 06-10-2010
ZITA DAZZI
Le comunità tra voglia di rappresentanza e astensione
UN PARTITO degli immigrati ancora non c'è, ma il presidente dell'Istituto islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, annuncia per le amministrative del 2011 la creazione di «Milano nuova», lista civica laica, per presentare candidati in rappresentanza delle comunità straniere. In passato ci sono stati invece diversi immigrati candidati dai partiti e nel 1997 venne anche eletta al consiglio comunale con l'Ulivo una cittadina italiana di origine straniera, l'eritrea Ainom Maricos. Ma quanti sono gli immigrati che hanno diritto di voto a Milano? «A oggi possono votare gli 11mila residenti di origine straniera che hanno ottenuto la cittadinanza e i circa 2800 cittadini di Paesi Ue che hanno già fatto domanda di voto alle amministrative», spiega l'assessore ai Servizi civici Stefano Pillitteri. «I residenti di paesi Ue sono oltre 28mila e tutti potrebbero fare domanda per partecipare al voto: bastano 40 giorni di anticipo rispetto alla consultazione. I potenziali votanti sfiorano quindi quota 40mila».
Gli stranieri iscritti all'anagrafe di Milano sono più di cinque volte tanto, 208mila, ma il diritto di voto amministrativo non è concesso agli extracomunitari. Da tempi giacciono in Parlamento proposte di legge—una firmata dal presidente della Camera Gianfranco Fini—per estendere il voto agli immigrati residenti da 5 anni. Il diritto spetta già ovviamente agli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza per matrimonio (dopo due anni di permanenza in Italia) o per presenza continuativa in Italia da almeno dieci anni — quattro se cittadini Ue — con regolare permesso o carta di soggiorno. Possono chiedere la cittadinanza italiana anche i figli degli immigrati nati qui, al 18mo anno d'età. Di diritto diventano italiani i figli di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza, i figli adottivi nati all'estero e i nipoti di cittadini italiani residenti da almeno tre anni. Inoltre chi presta servizio militare  per l'esercito italiano (anche all'estero) può avviare la pratica. Tutte le domande vengono valutate a Roma, mentre il giuramento avviene in Comune.
«Credo che sia tempo di avere una lista civica che rappresenti le istanze delle tante comunità immigrate, da tutti i paesi», dice Abdel Hamid Shaari, che assicura di aver già preso contatti con altri leader di comunità straniere. In passato i rom del campo di via Idro avevano annunciato la nascita di una loro lista, ma poi non se ne è fatto più nulla. Da tempo attivi per promuovere la rappresentanza politica degli immigrati è la rete «Cittadini dal mondo», coordinamento di associazioni che organizza incontri e seminari sui temi politici dell'agenda cittadina. Ainom Maricos, eritrea, una delle fondatrici, non si sbilancia sulla proposta di Shaari: «Gli faccio i miei migliori auguri — dice — Ma io preferirei che gli immigrati facessero politica entrando nei partiti che già esistono . Un partito o una lista civica su base etnica, rischierebbe di diventare un ghetto. Ci vorrebbe invece uno sforzo dei partiti per candidare e appoggiare realmente gli immigrati nelle loro liste».



Milano, proposta degli islamici: una lista civica di immigrati

l'Unità, 06-10-2010
«Dobbiamo partecipare attivamente alla politica italiana, ma costituire una lista di immigrati è un grave errore: gli immigrati devono venire a contatto con gli italiani e non ghettizzarsi e ricadere sempre negli stessi circoli viziosi». Così Gamal Bouchaib, presidente del Movimento dei Musulmani Moderati e membro del Comitato per l'Islam presso il Ministero del-l'Interno, in relazione alla notizia della presentazione della lista civica di immigrati alle prossime amministrative di Milano. L'idea di una formazione «non islamica, laica e aperta anche agli italiani» ma presentata dagli immigrati è di Abdel Hamid Shaari, presidente della comunità islamica di viale Jenner a Milano. «Non importa se non eleggeremo nessuno - ha esordito Shaari - Quello che conta è dare la possibilità a tutti gli stranieri di sentirsi parte della città». Ma per Moustapha Mansouri, Segretario della Confederazione dei Marocchini in Italia, «si tratta di un ricatto politico di certi fondamentalisti che non vogliono la democrazia e si scagliano contro la costruzione di una grande moschea a Milano, perché gli estremisti - dice Mansouri - preferiscono una tante piccole moschee, meno gestibili e quindi incontrollabili». In città è polemica aperta: Lega e Pdl bocciano seccamente l'idea del presidente della comunità islamica di viale Jenner. Così anche il governatore Formigoni. Più cauto il Pd. Roberto Caputo, vice capogruppo dei Democratici alla Provincia, è convinto che una lista con connotazioni religiose sia pericolosa. L'idea piace invece a Giuliano Pisapia, uno dei candidati alle primarie cittadine per il Pd.«



Focene -   ignoti hanno appiccato le fiamme ai locali che ospitano riunioni e corsi destinati alla comunità straniera
Incendio al Centro culturale romeno
Cinque giorni, 06-10-2010
Valeria Costantini
A dare l'allarme alcuni residenti e il custode, uscito illeso dalla struttura. A far propendere per l'ipotesi dell'attentato di stampo razzista sono poi, secondo i frequentatori del circolo, alcune scritte lasciate nei giorni precedenti il rogo, sui marciapiedi adiacenti inneggianti ad atti di violenza contro i romeni
Incendio sospetto al Centro culturale romeno di Focene. L'altra notte ignoti hanno appiccato le fiamme ai locali situati sulla strada principale della località di Fiumicino, che da un paio di anni ospitava il circolo di aggregazione della numerosa comunità straniera del litorale romano. Il rogo ha distrutto il fabbricato che serviva da presidio per riunioni e corsi e dove erano custoditi libri, foto e documenti. A dare l'allarme alcuni residenti e il custode, uscito illeso dalla struttura. Una denuncia ufficiale è stata sporta al locale commissariato di Polizia: secondo i primi rilievi effettuati non si può escludere la matrice dolosa, ma gli accertamenti sono ancora all'inizio. Paura e amarezza tra i responsabili del Centro e la comunità romena che, proprio grazie al presidio, punto di riferimento di integrazione, poteva usufruire di corsi di lingua italiana. A far propendere per l'ipotesi dell'attentato di stampo razzista sono poi, secondo i frequentatori del circolo, alcune scritte lasciate nei giorni precedenti il rogo, sui marciapiedi adiacenti inneggianti ad atti di violenza contro i romeni. Pochi mesi fa il Pd di Fiumicino aveva avanzato la proposta di creare una consulta sull'immigrazione e di nominare un rappresentante tra la comunità straniera come consigliere aggiunto. La sola comunità rumena su tutto il territorio comunale, secondo i dati dell'annuario statistico di Fiumicino risalente al 2005, conta oltre 2000 residenti sul totale di circa 70mila abitanti.



L'INIZIATIVA
Riunire i rifugiati alle loro famiglie un progetto per battere la burocrazia
la Repubblica, 05-10-2010
Valeria Pini
Il Cir lancia in undici città italiane "Ritrovarsi per ricostruire". Il sostegno nelle procedure per il ricongiungimento passa attraverso il supporto legale e il contributo finanziario alle persone costrette a fuggire dal proprio Paese e rimaste divise dai familiari
ROMA - Uomini e donne costretti a fuggire dal proprio paese, spesso per salvare la vita. Alle spalle hanno lasciato tutto: la casa, il lavoro, la propria identità, ma soprattutto la famiglia e i figli. Bambini e ragazzini rimasti soli, spesso in condizioni precarie. Sono i racconti di vita di migliaia di rifugiati che per colpa della burocrazia devono aspettare anni prima di poter riabbracciare i propri familiari. Per aiutarli ad affrontare queste difficoltà il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha appena avviato il progetto: "Ritrovarsi per ricostruire".
L'obiettivo è quello di favorire il progetto di ricongiungimento per 300 famiglie di rifugiati o di persone che si trovano in Italia con altre forme di protezione internazionale. "Con questo progetto li sosteniamo nella ricerca del lavoro e della casa  -  spiega Christopher Hein, direttore del Cir - , requisiti richiesti a coloro che vogliono far arrivare in Italia mogli, mariti o figli. Le loro condizioni di vita sono difficili. Non hanno né conoscenze né una rete familiare e, a volte, sono vittime di xenofobia. Non è facile per loro trovare un'occupazione e un alloggio".
Sono migliaia le persone che ogni anno scappano dall'Africa o dall'Asia, da tutti quei paesi dove la parola democrazia non è ancora realtà. A fine 2009 i rifugiati in Italia erano 54.965, mentre in Europa 1.641.877. Nell'ultimo anno il numero di persone che è arrivato in Europa e ha chiesto asilo politico è salito dell'8 per cento (le richieste sono diventate 236.936 rispetto alle 219.557 del 2008).
A fare richiesta di ricongiungimento familiare non sono solo i rifugiati, in fuga perché vittime di persecuzioni religiose, per la propria razza, per le opinioni politiche o perché appartenenti a un determinato gruppo sociale. Spesso lascia la patria anche chi si trova ad affrontare una guerra, chi teme per la propria vita o rischia di essere torturato e per questo, una volta arrivato in Italia, ottiene la cosiddetta 'protezione sussidiaria'.
Nel 2009 le domande di ricongiungimento familiare fatte da immigrati, persone con protezione sussidiaria e rifugiati sono state complessivamente 70.585. Ma non è facile far arrivare i figli in Italia. Le storie che raccontano questa realtà spesso poco conosciuta sono fatte di lunghe trafile burocratiche, di attesa e angoscia. E' quello che ha dovuto affrontare E. S.. In Camerun era insegnante di scuola materna, ma il marito era un oppositore del governo. Così anche lei se n'è dovuta andare. E' successo tutto in modo inaspettato: una sera ha visto la polizia davanti a casa ed è fuggita senza salutare i due figli, di otto e di 15 anni. Dopo la fuga, per la giovane donna l'unico pensiero è stato quello di farsi raggiungere dai familiari in Italia. Ma dal momento della richiesta di ricongiungimento l'attesa è durata quasi cinque anni. Solo nel 2009 la donna è riuscita a superare gli ostacoli burocratici e a riabbracciare i suoi figli.
"Lo scopo del progetto è affrontare situazioni come questa. Serve supporto legale nella procedura per ottenere i documenti necessari. Anche per le pratiche è necessario avere denaro e per questo è previsto un fondo destinato alle spese. Fra l'altro lavoriamo a stretto contatto con la Croce rossa per contattare i parenti in patria", dice Hein.
Il progetto, finanziato dalla presidenza del Consiglio dei ministri con il fondo dell'otto per mille dell'Irpef, verrà avviato in 11 città italiane: Milano, Gorizia, Udine, Varese, Bergamo, Verona, Roma, Cosenza, Crotone, Catanzaro e  Catania. "Ritrovare chi si è lasciato indietro è fondamentale per ricostruire la propria identità. Passare dall'impossibilità di rivedersi, dalle distanze e dalle separazioni forzate, alla vicinanza è importante per ricostruire il futuro  -  conclude Hein  -  Con questo progetto abbiamo come obiettivo quello di creare un modello da applicare anche in altre aree del paese".



OGGI NASCE EQUALITY: LA LOBBY CON I DIRITTI (PER TUTTI) NEL CUORE

Secolo, 06-10-2010
Francesco Alessandri.
Nasce con l'obiettivo di creare una rete sociale per discutere senza isterismi di diritti civili e per lanciare una piattaforma comune che avvicini l'Italia ai risultati che si raggiungono in Europa. È questa la ragione di Equality, la prima lobby trasversale che verrà presentata oggi alla Camera e che vede impegnati esponenti politici e intellettuali bipartisan (tra gli altri vi saranno Paola Concia, Flavia Perina, Miriam Mafai, Benedetto Della Vedova e Matteo Orimi). Il motivo della nascita di questa struttura aperta è dato dal fatto, spiegano i promotori, che nel nostro paese non si riesce ancora a trovare un terreno comune tra le forze politiche da cui partire: «Esiste uno spazio aperto nel nostro paese che non vuole parlare i linguaggi estremistici di alcuni settori clericali o iperlaici - ci spiega l'animatore di Equality Aurelio Mancuso che è anche storico esponente della comunità omosessuale - ed è a questa fetta maggioritaria e matura che noi ci rivolgiamo». Affrontare i temi che riguardano i diritti degli omosessuali così come quelli deimigranti  e delle sfide delle biotecnologie «senza nessun retaggio ideologico» anche perché «gli elettori di centrodestra e di centrosinistra sono praticamente quasi tutti d'accordo sull'ampliamento dei diritti per queste categorie, mentre gli ostacoli maggiori e francamente incomprensibili si trovano ancora dentro i partiti».



METROPOLI
Da "vu cumprà" a cittadini storie d'integrazione

la Republica, 06-10-2010
Chiara Righetti
Si apre con un omaggio a Jerry Masslo la rassegna dell'Archivio Immigrazione e della facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza. Un ciclo di film e dibattiti ricostruisce come è nata la società multietnica
Un viaggio per immagini attraverso venti (più uno) anni di storia dell'immigrazione italiana. A ritroso, dal 2010 degli "sbarchi zero" a quella mattina del 25 agosto 1989 quando, dopo l'omicidio di Jerry Masslo a Villa Literno, l'Italia si svegliò razzista. E scoprì specchiandosi nella pelle, nera, di quella prima vittima della violenza xenofoba di esser diventata, da terra di emigrazione, meta a sua volta dei "viaggi della speranza". È proprio il percorso, accidentato e non senza deviazioni, che ha portato gli stranieri - oggi oltre 4 milioni - a diventare una costola irrinunciabile della società italiana il filo rosso della rassegna "Da vu cumprà a cittadini - vent'anni di immigrazione", curata dall'Archivio Immigrazione con la facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza, che si apre domani al centro Congressi di via Salaria.
In programma, tutti i giovedì fino a fine novembre, un ciclo di dibattiti con filmati e immagini d'epoca per ricostruire come, dagli anni 90 ad oggi, siano cambiate l'immigrazione - e l'Italia. Domani ad aprire la rassegna sarà proprio un video di omaggio a Jerry Masslo: fu l'indignazione per il suo brutale assassinio ad opera di una banda di criminali a originare la prima grande ondata d'indignazione anti-razzista. E fu la vicenda personale e burocratica di Masslo, non riconosciuto rifugiato perché non era cittadino dell'Est europeo, ad accendere i riflettori sul vuoto normativo e portare all'approvazione, in tempi rapidi, della legge Martelli, la prima sull'immigrazione in Italia.
Al termine di una giornata di lavoro nei campi, Jerry era nel capannone in cui dormiva con altri 28 stranieri quando quattro uomini a volto coperto fecero irruzione con armi e spranghe per farsi consegnare il guadagno di oltre due mesi di lavoro. Qualcuno cedette subito, altri rifiutarono; nel parapiglia che ne seguì il giovane sudafricano fu colpito all'addome da tre colpi calibro 7,65. Morì prima dell'arrivo dei medici. La Cgil per lui ottenne i funerali di Stato, mentre il Tg2 trasmise per intero, nella consueta rubrica "Nonsolonero", l'intervista che Masslo aveva rilasciato tempo prima: "Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e coltivare il sogno di un domani senza barriere. Invece avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: fatto di prepotenze, soprusi, violenze quotidiane con chi non chiede che rispetto (...). Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo".
Il percorso immaginato dalla Sapienza e dall'Archivio immigrazione riparte da qui, per chiudersi il 25 novembre con un incontro significativamente dedicato a "Seconde generazioni: i nuovi italiani". In mezzo vent'anni di storia, drammi, scontri parlamentari e politici, ricostruiti osservando con la lente d'ingrandimento le diverse sfaccettature del fenomeno migratorio: dalla questione femminile alle comunità nazionali, dai luoghi comuni da sfatare alle radici della xenofobia. Da segnalare l'incontro dell'8 novembre in cui sarà presentata l'edizione 2011 dell'agenda Nonsolonero, quest'anno dedicata alle donne. Centro congressi di via Salaria 113, tutti i giovedì alle 19. Info: www.archivioimmigrazione.org
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