GLI IMMIGRATI SENZA VOCE

L'assenza di rappresentanza




PAP KHOUMA

Non c'è solo via Padova. Zone simili si trovano anche nel resto della Lombardia. In alcune la convivenza non pone delle difficoltà, in altre ritroviamo dei ghetti degradati e intenzionalmente trascurati dalle amministrazioni locali, dove sono concentrate le classi più povere della società. Ci scandalizziamo soltanto quando succede il peggio.

Non sembrano invece interessare quelle trasformazioni del Paese che vedono gli immigrati essere protagonisti silenziosi di soluzioni di spontanea integrazione.

A Milano, alla fine degli anni Novanta tanti negozi di quartieri periferici stavano chiudendo. La giunta comunale guidata dal Sindaco Albertini prometteva un incentivo ai negozianti che tornavano a investire in quei quartieri.

L'iniziativa del sindaco era reclamizzata dai mezzi di comunicazione e da molti manifesti. All'epoca, la città di Milano stava cambiando e viveva una delle sue tante metamorfosi. Questa era collegata all'aumento di famiglie di residenti stranieri, che andavano ad abitare in periferia. Ebbene: gli immigrati, senza pretendere gli incentivi comunali, hanno progressivamente riaperto o ripreso dei punti vendita abbandonati o in difficoltà. Nella maggior parte dei casi li hanno convertiti in negozi di prodotti etnici. Nello stesso periodo tante scuole rischiavano di essere soppressea causa del calo demografico.I ricongiungimenti famigliari e di conseguenza le nascite di figli d'immigrati hanno risolto parzialmente il problema. Ma la forte presenza di stranieri in alcuni quartieri e nelle scuole ha spinto tante famiglie di italiani a cambiare zona di residenza.

Tutte le grandi città del mondo, dove si sono verificati dei flussi migratori, hanno dovuto vivere e anche cercare di risolvere con equilibrio dei problemi ancora più difficili, dando voce - e in parecchi casi anche il diritto di voto - agli immigrati. In Italia sono presenti milioni di immigrati: sono residenti legalmente e regolarmente pagano le tasse. Ma non hanno voce. Le loro strutture organizzative sono emarginate persino quando sono in ballo le tematiche legate al futuro delle loro famiglie. Gli immigrati devono almeno aver il diritto di decidere nei quartieri dove vivono e dove producono benessere e cultura.

Il 21 e 22 settembre 2007, il ministero dell'interno del governo di Romano Prodi e l'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia avevano organizzato a Firenze la prima conferenza sull'integrazione degli stranieri.

Erano intervenuti rappresentanti delle amministratori locali e regionali, ministri, sindacalisti, datori di lavoro, esponenti di organizzazioni nazionali e internazionali impegnate nel settore dell'immigrazione. C'erano tanti esperti stranieri arrivati da Francia, Germania, Olanda, Inghilterra. C'erano circa cinquanta relatori. Ma neanche un immigrato residente in Italia era stato invitato.

Questo si chiama "noncuranza" o "disprezzo". Ed è indice di una sfiducia assoluta e ben radicata nella possibilità di riconoscere l'immigrato come referente e non solo come eterno ospite. Le soluzioni non si trovano nella contrapposizione di posizioni politichea livello nazionalee locale. L'immigrazione non solo è una realtà innegabile ma è una realtà che evolve e va innanzitutto conosciuta.

Il 1 marzo 2010 (per informazioni c'è il sito www. primomarzo2010. it) vari comitati di immigrati hanno organizzato a livello nazionale una giornata di protesta pacifica, per far sentire la propria voce, chiedere un po' di rispetto.

Sperando di essere ascoltati.

La Repubblica 18.02.2010
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