Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 ottobre 2014

Tre naufragi in pochi giorni in Libia, oltre duecento morti
Un barcone si è capovolto a Zuawrah, altri due Garabuli e Tajura. Il Cir: "I profughi usano imbarcazioni di fortuna inadatte  navigare per poche miglia"
stranieriinitalia.it, 07-10-14
Roma – 7 ottobre 2014 - Sarebbero circa 100 le vittime del sono dispersi dopo il naufragio di un barcone al largo della costa libica.
Lo si apprende da autorità locali, secondo le quali il naufragio sarebbe avvenuto nel weekend a circa 10 miglia dalla città di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 migranti, per lo più siriani e subsahariani, sono stati salvati, trenta corpi sono stati recuperati, molti dei quali trascinati a riva dalle onde. “Il barcone è affondato due giorni fa - afferma un funzionario della cittadina - i superstiti riferiscono che a bordo c’erano 250 persone”
È il terzo naufragio davanti alle coste libiche in pochi giorni. Altri due barconi, riferisce infatti il Consiglio Italiano per i rifugiati, si sono capovolti il 2 ottobre a tre miglia di distanza dalla costa tra Garabuli e Tajura. Sembra che il totale dei passeggeri delle due imbarcazioni fosse di 250 persone, solo 120 sono state salvate dalla guardia costiera libica
“Dobbiamo purtroppo constatare - dichiara il direttore del CIR Christopher Hein - che la situazione nella tripolitana libica è tale che i profughi sono più che mai costretti a prendere il mare su imbarcazioni di fortuna che non sono adatte neppure per navigare qualche miglia. Dobbiamo temere che in assenza di urgenti misure anche in territorio libico, il numero di vite perse nel Mar Mediterraneo non andrà a diminuire”,
 
 
 
Libia, affonda barcone: dispersi oltre 100 migranti
L'ennesino naufragio al largo di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 persone tratte in salvo, 30 cadaveri recuperati
la Repubblica, 06-10-14
BENGASI - Più di 100 migranti sono dispersi dopo che il barcone su cui speravano di raggiungere l'Europa è affondato al largo della costa libica. Lo hanno reso noto autorità locali, secondo le quali il naufragio sarebbe avvenuto nel weekend vicino alla città di Zuawrah, a ovest di Tripoli. Circa 70 migranti, per lo più siriani e subsahariani, sono stati salvati, 30 corpi sono stati recuperati, molti dei quali trascinati a riva dalle onde. "Il barcone è affondato due giorni fa - ha affermato un funzionario dell'amministrazione di Zuawrah - i superstiti riferiscono che a bordo c'erano 250 persone, in maggioranza provenienti da Siria e Africa sub-sahariana".
La Libia è ormai un Paese in preda al caos. Il governo ha perso il controllo di grandi aree, teatro di scontro tra varie fazioni armate. In questa situazione le coste libiche sono una base ideale per il traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo. E sono diventate punto di partenza per i barconi carichi di disperati che cercano in un futuro migliore e sempre più spesso incontrano la morte. Quello dello scorso fine settimana è l'ennesimo naufragio. Pochi giorni fa, in occasione del primo anniversario della strage di Lampedusa in cui persero la vita più di 360 persone, sono state rese note cifre agghiaccianti: in un anno i morti in mare durante la traversata della speranza sono stati oltre 3.000.
 
 
 
Intervento della Santa Sede a Ginevra 
Più solidarietà verso  i rifugiati africani 
l'Osservatore Romano, 07-10-14
Pubblichiamo la traduzione italiana  dell`intervento pronunciato il 30 settembre  dall`arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della  Santa Sede presso l`Ufficio delle Nazioni  Unite ed Istituzioni specializzate  a Ginevra, durante il Segmento di alto  livello della 65a Sessione del Comitato  esecutivo dell`Unhcr, sul tema «Accrescere  la cooperazione internazionale, la solidarietà, le capacità locali e l`azione  umanitaria per i rifu` giati in Africa». 
Signor Presidente,  La Delegazione della Santa Sede  appoggia la Dichiarazione del Comitato  esecutivo dell`Unhcr sull`accrescimento  della cooperazione internazionale,  della solidarietà, delle  capacità locali e dell`azione umanitaria  a favore dei rifugiati in Africa.  La Dichiarazione è un puntuale  promemoria sul flusso persistente di  popoli forzatamente sradicati e un  invito a vincere la globalizzazione  dell`indifferenza alla loro sofferenza. 
All`interno del continente africano,  come anche dall`Africa verso  l`Europa e il mondo, la ricerca di un  porto sicuro e di una vita dignitosa  spinge molte persone ad abbandonare  le proprie case e a varcare confini  per sfuggire al pericolo e a condizioni oppressive. Esse rischiano  consapevolmente persino la morte  su barche inconsistenti e spesso la  crudeltà dei trafficanti. Troppe vittime  hanno trasformato le acque del  Mediterraneo in un cimitero silenzioso.  Politiche di regolamentazione  delle frontiere eccessivamente restrittive,  che si prestano alla pericolosa  pratica di trafficare esseri umani come  "merce", hanno spinto migliaia  di richiedenti asilo a compiere una  traversata fatale, nella quale sono  andati distrutti i loro sogni e le loro  vite. 
L`ospitalità dei Paesi africani si è  dimostrata un importante salvavita  nelle molte crisi che hanno tormentato  il continente negli ultimi decenni.  I rifugiati sono stati accolti e  hanno avuto l`opportunità di sopravvivere  Fino a quando è diventato possibile il loro rimpatrio. In  molti casi è stata loro generosamente  offerta l`opportunità di stabilirsi  sul posto. La solidarietà internazionale  è stata spesso pari alla generosità  africana, ma né l`una né l`altra  sono risorse inesauribili. E ormai urgente  un rinnovato impegno per  una politica di prevenzione. Da parte  della comunità internazionale sono  necessari sforzi per prevenire i  conflitti e il cattivo governo che soffocano  lo sviluppo, al fine di ridurre  il numero di persone forzatamente  dislocate. In sostanza, ciò esige una  cultura di pace, che è possibile solo  quando la persona umana viene posta al centro delle preoccupazioni,  dei programmi nazionali e degli  obiettivi sociali, riconoscendo in tal  modo la sua dignità inerente e il rispetto  che meritano i suoi diritti  umani fondamentali.  Occorre un cambiamento di mentalità,  che respinga la violenza come  mezzo per affrontare le differenze  personali e comunitarie e che trascenda  gli interessi tribali, etnici e nazionali nel servizio al bene comune. 
Le nazioni africane hanno investito  un capitale politico ed economico  per coordinare la loro azione continentale  al fine di dare una risposta  più efficace al loro bisogno di sviluppo e di risoluzione pacifica delle  differenze. Gli strumenti giuridici prodotti per proteggere le popolazioni  forzatamente dislocate offrono  mezzi utili per affrontare le cause  del dislocamento forzato, di modo  che oggi i richiedenti asilo e le persone  sradicate possano ricevere una  protezione adeguata. 
Nella Dichiarazione del Comitato  esecutivo sono indicate altre misure  pratiche. Oneste possono dare un  sollievo efficace alla piaga dei richiedenti  asilo e delle persone internamente  dislocate. Papa Francesco  ribadisce: «Invito soprattutto i governanti e i legislatori e l`intera Comunità  Internazionale a considerare  la realtà delle persone forzatamente  sradicate con iniziative efficaci e  nuovi approcci per tutelare la loro  dignità, migliorare la loro qualità di  vita e far fronte alle sfide che emergono  da forme moderne di persecuzione,  di oppressione e di schiavitù» 
(Discorso ai partecipanti alla Plenaria  del Pontificio Consiglio della pastorale  per i migranti e gli itineranti, 24 maggio 
2013). 
Signor Presidente,  Purtroppo il dislocamento forzato  nel continente africano continua come  conseguenza delle violenze commesse nella ricerca di potere egoistico  e cli imposizioni ideologiche. Sviluppare  nuove strategie incorporando  i metodi migliori, provati dall`esperienza,  è l`unico modo per far  fronte alle sfide attuali. La determinazione  politica a prevenire conflitti attraverso il dialogo e l`inclusione, e  una solidarietà efficace che colmi il  divario tra le regioni in via di sviluppo e quelle sviluppate del mondo,  apriranno un cammino verso un  futuro pacifico. 
Grazie, Signor Presidente. 
 
 
 
"Un premio a Mare nostrum". Oltre la tragedia pure la beffa
Mentre i migranti muoiono e l'economia del Sud è in ginocchio la melassa retorica va in onda anche in tv con la comandante Catia
il Giornale, 07-10-14
Gian Micalessin
di Tremila donne, uomini e bambini in fondo al mare. Centocinquantamila disperati in un'Italia che non può, né sa, come accoglierli.
Il tutto al costo complessivo, secondo le stime del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, di poco meno di un miliardo di euro. Il bilancio di Mare Nostrum, anche se trasformato in opportunità politica o in «docu-fiction televisiva», difficilmente perde i suoi connotati di tragedia umana, sociale ed economica. Rischia però di diventare rappresentazione stantia e insopportabile. Soprattutto se qualcuno cerca di lucrarci aggiungendoci la melassa della retorica condita con l'interesse personale.
Il ministro per gli affari regionali Maria Carmela Lanzetta ci sta provando. La sua proposta di candidare al Nobel per la Pace l'operazione Mare Nostrum assieme alle regioni Sicilia, Puglia e Calabria - unite in sinergica disgrazia con il Comune di Lampedusa - ha il sapore del peggior opportunismo politico. Da un ex sindaco come Maria Lanzetta si pretenderebbe la capacità di cogliere i sentimenti dei cittadini. E di capirne il disorientamento di fronte ad un'operazione che ha scaricato su di loro costo e peso di una missione sbagliata nei presupposti e devastante nelle conseguenze. Un'operazione di soccorso diventata calamita per i disgraziati convinti che le nostre navi rappresentassero un ponte sicuro tra gli inferni africani e le illusioni del Paradiso Europa. Ma quel ponte spesso non era lungo abbastanza. E l'illusione diventava salto negli abissi. Assegnare un Nobel per la Pace ad una missione indirettamente responsabile dell'annegamento di tremila persone che, senza la fata Morgana di Mare Nostrum, sarebbero rimaste altrove appare macabro e grottesco. Ma ancor più di cattivo gusto è l'idea di garantirsi quarti d'ora di notorietà immaginando di sanare con la lucciola di un Nobel i danni al turismo e all'economia subiti da regioni e comuni vittime dell'invasione migratoria. Sul versante dell'indigesta retorica spicca invece il tentativo di trasformare in mielosa telenovela l'impegno professionale del comandante Catia Pellegrino e degli 80 fra marinai e ufficiali della nave Libra impegnati nelle operazioni di soccorso di Mare Nostrum.
«La scelta di Katia, 80 miglia a sud di Lampedusa» propinataci da Corriere della Sera e Rai Fiction è una via di mezzo tra una telenovela e un filmato da Istituto luce montato con specifiche del Minculpop.
L'uso di musiche hollywodiane alternate ed un editing spregiudicato ed accattivante punta a privilegiare i sentimenti sulla ragione. Trasformando Catia e i suoi marinai in protagonisti di un prodotto che non è né da grande quotidiano, né da servizio pubblico. Un prodotto in cui la spettacolarizzazione della tragedia e le emozioni da libro Cuore servono a coprire errori e scelte sbagliate di chi ha deciso e mantenuto in vita quell'operazione. E a non farci capire perché prima di lanciare quell'immane e costosa missione non si sia raggiunto un accordo con Bruxelles per la suddivisione dei costi e degli immigrati. Questa melassa indigeribile, dove una puntata dedicata al salvataggio di bambini, donne e uomini in balia dei flutti si alterna al compleanno tutto palloncini e candeline di capitan Catia, qualche verità indesiderata però la regala. E quella dell'infermiere che veste mascherina, camice e guanti prima di esaminare gli immigrati provenienti da una Nigeria dove ci spiega infuriano «malattie endemiche». Dicasi Ebola. Alla faccia di chi per mesi raccontava di rischi inesistenti. O quella dell'ufficiale che sorridendo ripete «Ce la faremo a svuotare un continente... serve solo un po' di tempo ma lo svuotiamo».
Piccole scomode verità che neanche la retorica sdolcinata e stucchevole di musica, montaggio e frasi ritagliate ad effetto riescono a seppellire.
 
 
 
"No a bimbi in classe". Genitori spostano i figli in un'altra scuola
Il caso in un'elementare di Trani. La vicepreside: “Hanno detto che puzzano e portano malattie”
stranieriinitalia.it, 07-10-14
Bari – 6 ottobre 2014 - “Mi hanno chiesto che io cacciassi i bambini rom perchè, secondo questi genitori  che mi hanno detto parole irripetibili, questi bambini portano malattie puzzano e sono sporchi. Al mio rifiuto, hanno deciso di traferire i propri figli, augurandomi di rimanere da sola con i rom”.
É il racconto di Maria Mingrone, vicepreside e docente della scuola elementare Beltrani di Trani, “colpevole” di non fare distinzioni tra i suoi piccoli alunni.
Tutto è iniziato con l'arrivo a scuola di due fratellini  di sei e sette anni che vivono in un campo nomadi tra Trani e Bisceglie. Sono seguiti dai servizi sociali, che hanno convinto le famiglie a mandarli tra i banchi. La vicepreside ha deciso di “non farli stare nella stessa classe per evitare che potessero isolarsi”.
I fratellini sono diventati un esempio nel campo, così poco dopo si è iscritto a scuola anche un loro cuginetto, che Mingrone ha accolto nella sua classe insieme a uno degli altri due. A quel punto è scoppiata l'ira dei genitori di quattro loro compagni: “Nonostante vessi tutte le certificazioni sanitarie sono venuti da me come belve inferocite: il primo l'abbiamo accettato, hanno detto, il secondo proprio no”.
La vicepresidente ha cercato di farli ragionare, ma è stato inutile. I genitori hanno ritirato i figli dalla Beltrani e li hanno iscritti in un altro istituto.
“Episodi spiacevoli, che non dovrebbero mai accadere” commenta l'assessore regionale all'Istruzione Alba Sasso. “La scuola deve essere in grado di conciliare esigenze diverse e di far capire ai genitori che la convivenza è necessaria  e che , prima di ogni altra cosa, la scuola non si può negare a nessuno”.
 
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