Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 marzo 2014

Dall’Africa all’Italia Le rotte dell’inferno
Avvenire, 07-03-2014
Paolo Lambruschi
A Sud di Lampedusa si addensano nubi. Ogni mese continuano a fuggire dall’Eritrea tremila giovani disperati per evitare dittatura e servizio militare a vita. Ma per farlo devono mettersi nelle mani di spietati trafficanti spesso in divisa. Chi varca il confine in Sudan – il traffico è controllato dagli eserciti dell’Asmara e di Khartoum, come l’Onu ha ribadito – puntando verso la Libia spesso viene rapito nei deserti del Sahara e del Sinai ed entra in un inferno dove la vita umana ha un prezzo alto.
Le rotte della nuova schiavitù e la tragedia degli eritrei sono state presentate ieri a Roma alla Radio Vaticana in una conferenza moderata da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, con testimoni quali don Mosè Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia e punto di riferimento di chi finisce nei viaggi della disperazione; Alganesh Fessaha, coraggiosa presidente dell’Ong Gandhi; da suor Azezet Fidane, la missionaria comboniana che aiuta le donne eritree a Tel Aviv; e José Angel Oropeza, direttore dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni per il Mediterraneo.
Il Sinai, con 30 mila sequestri dal 2009 ad oggi che hanno fruttato 600 milioni di dollari – vicenda seguita da Avvenire fin dagli inizi e che ora, dopo i bombardamenti delle forze di sicurezza cairote ospita pochi prigionieri –  non è l’unica tragedia di questo popolo. C’è il Mediterraneo. Per Oropeza siamo in un picco del flusso dall’Africa.
«Nel 2013 sono sbarcate 45 mila persone tra Italia e Malta grazie al racket di trafficanti. Il barcone affondato a Lampedusa lo scorso 3 ottobre ha fruttato un milione di euro».
Intanto le salme delle 361 vittime di Lampedusa, perlopiù eritrei, cinque mesi dopo non sono state restituite ai familiari.
«Ne abbiamo chiesto più volte il rimpatrio – sottolinea don Zerai – sappiamo che Roma ha deciso di restituirle a chi fa richiesta dopo la prova del Dna. Ma per farla serve la collaborazione dell’Asmara e per ora è tutto fermo».
Il traffico dall’Eritrea passa il Sudan e si dirige verso la Libia, dove i centri di detenzione, pagati dall’Ue, sono pieni di eritrei detenuti.
«Non conosciamo i contenuti dell’accordo tra Italia e Libia – accusa il prete dei rifugiati – ma nulla è cambiato dai tempi di Gheddafi. Vengono chiusi in celle sovraffollate dalle quali si esce corrompendo i carcerieri con 1.000 dollari. C’è una novità, i profughi vengono rapiti e tenuti in ostaggio nel triangolo tra Libia, Sudan e Ciad». Chi non paga 10 mila dollari viene venduto ai predoni nel Sinai.
«Dove le donne vengono stuprate, dove gli ostaggi vengono torurati, percossi, bruciati per estorcere riscatti fino a 40 mila dollari alle famiglie». Lo ha testimoniato Alganesh Fessaha, che ha rischiato più volte la vita per salvare 550 persone, senza pagare riscatti dalle grinfie dei predoni, grazie all’aiuto di uno sceicco salafita di Rafah e ne ha portate 2.200 in Etiopia prelevandole dalle carceri egiziane. La vincitrice dell’Ambrogino d’oro ha proiettato le foto scattate ai prigionieri liberati. Corpi straziati e scheletriti come quelli delle vittime dei lager nazisti.
Infine suor Azezet Kidane, comboniana di origine eritrea, impegnata a Tel Aviv ad aiutare chi arriva in Israele. È lei che per prima ha confermato traducendo i racconti ascoltati nella clinica di Phr a Jaffa gli orrori vissuti dagli eritrei nel Sinai. «Non credevo a quello che sentivo, né a quello che vedevo con i miei occhi», dice riferendosi a chi sopravvive ai viaggi della disperazione e che oggi teme di venire imprigionato e rimpatriato per la stretta sull’immigrazione del governo.
«Lavorano come schiavi – denuncia Azezet – per comprare i documenti dei Falasha, gli ebrei etiopi». Oppure. pagano 7.000 dollari ai trafficanti per raggiungere Australia e Europa dall’Asia. E poi vengono abbandonati in Vietnam, Indonesia, Thailandia
Chi sopravvive all’odissea nel deserto o in mare e ha ottenuto asilo non ha finito di soffrire. Ci pensa la burocrazia al resto.
«Nelle ambasciate italiane in Etiopia e Sudan – conclude don Zerai –, giacciono centinaia di domande di ricongiungimento famigliare di profughi eritrei che vivono nel nostro Paese e hanno ottenuto il nulla osta del Viminale. Ma è difficile ottenere i documenti. Grazie all’Acnur siamo riusciti a sbloccare molti casi, ma non in Etiopia dove quasi 700 richieste sono inevase e in scadenza».
Don Mosè chiede che l’Europa apra il suo cuore e le sue porte al popolo in fuga dall’Eritrea. Ma è  tempo che soprattutto l’Italia si assuma le sue responsabilità storiche e morali.



Ponte Galeria - Trattenuto illegalmente un richiedente asilo minorenne
Senza Confine, ASGI e Laboratorio 53 avvieranno azioni legali.
melting Pot Europa, 07-03-2014
Senza Confine, ASGI e Laboratorio 53: il trattenimento di un minore è sempre illegittimo, avvieremo azioni legali.
Ha 17 anni ed è stato ritrovato in mare il 15 febbraio scorso nel corso dei pattugliamenti nel contesto dell’operazione Mare Nostrum, mentre tentava la traversata del Mediterraneo diretto dalla Libia verso le coste italiane. Ora si trova in un CIE a Roma.
“Siamo venuti a conoscenza di una gravissima violazione del diritto d’asilo grazie ad una segnalazione arrivata al Centro Operativo per il Diritto all’Asilo”, dichiara l’associazione SenzaConfine, coordinatrice del Centro attivato a fine 2013 con il supporto di ASGI e di Laboratorio 53.
Insieme agli altri passeggeri dell’imbarcazione sulla quale viaggiava, S.O. è stato trasferito a bordo di una nave militare che li aveva avvistati e lì direttamente sottoposto a fotosegnalamento; i suoi dati sono stati in quel momento trascritti erroneamente dalle autorità di polizia e, nonostante lui si fosse dichiarato più volte minore, è stato emesso nei suoi confronti un decreto di respingimento differito a cui è seguito il suo diretto trasferimento presso il CIE di Ponte Galeria, dove risulta trattenuto, insieme ai connazionali con i quali stava viaggiando, dal 19 febbraio.
“Si tratta di violazione di fondamentali principi del diritto internazionale ed interno quali quelli del favor minoris e di non refoulement, operata da diversi attori istituzionali ed in primo luogo dalle autorità di polizia attive nel contesto dell’operazione “umanitaria-militare” Mare Nostrum” afferma l’avv. Salvatore Fachile dell’ ASGI .
Risulta grave che le autorità coinvolte - la Questura di Ragusa, che ha emesso il provvedimento, la Questura di Roma, competente per il suo trattenimento e la competente autorità giudiziaria - non abbiano spontaneamente provveduto a riconoscere l’ età dichiarata di S.O., il quale si trova in evidente stato di shock anche a causa dei gravissimi episodi di violenza di cui è stato vittima in Libia poco prima della sua fuga.
Alla sollecitazione dei legali in tal senso – segnalano le associazioni - S.O. e’ stato costretto a sottoporsi all’esame radiologico del polso, di cui è risaputa l’inesattezza del risultato di accertamento dell’età. Eppure al richiedente asilo è stata attribuita la maggiore età senza l’indicazione di alcun margine di errore.
Grave anche l’ipotesi che l’audizione per il riconoscimento della protezione internazionale, venga svolta direttamente all’interno del CIE.
Questo accade da tempo in caso di gruppi nutriti di richiedenti asilo trattenuti presso il CIE di Ponte Galeria.
“Se questo succedesse – concludono le associazioni promotrici del Centro operativo per il Diritto d’asilo- si determinerebbe una grave violazione del diritto d’asilo, venendo totalmente a mancare il carattere di imparzialità che deve caratterizzare l’operato delle Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale”.
Senza Confine, ASGI e Laboratorio 53 stanno intraprendendo azioni legali con l’obiettivo di porre immediatamente fine all’illegittimo trattenimento di S.O., protagonista di una vicenda che getta una cattiva luce sul carattere “umanitario” dell’operazione “Mare Nostrum”, anche per evitare il ripetersi di situazioni analoghe.



Dal 10 marzo al via le verifiche: si rischia l’espulsione
Permesso a punti - Discriminazione nel nome dell’integrazione
Melting Pot Europa, 07-03-2014
Paolo Cuttitta, Vrije Universiteit di Amsterdam
L’Italia, appena rimasta orfana del ministero per l’integrazione, sta vivendo, proprio in questo campo, un momento particolare. Scadono in questi giorni, infatti, i due anni dall’entrata in vigore dell’accordo di integrazione (10 marzo 2012), e hanno perciò luogo adesso le prime verifiche sull’integrazione di chi ha ottenuto un permesso di soggiorno dopo quella data.
L’accordo di integrazione è forse il più sconcertante e oltraggioso strumento di discriminazione giuridica e simbolica mai messo a punto in Italia nei confronti degli immigrati regolari (in particolare dei poveri, dei meno qualificati, dei nomadi e dei musulmani). Introdotto dalla legge 94 del 2009 (il ‘pacchetto sicurezza’ di Maroni), l’accordo deve essere sottoscritto, all’atto della richiesta di permesso di soggiorno, da chiunque voglia stabilirsi in Italia. Firmandolo ci si impegna a raggiungere un certo livello di conoscenza di lingua e cultura civica italiane, a garantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione dei figli minorenni e ad assolvere gli obblighi fiscali e contributivi, riconoscendo inoltre i principi sui quali si fondano l’ordinamento e la società italiani. Chi non risulta abbastanza integrato viene espulso.
Innanzitutto va evidenziato che l’accordo di integrazione appare incostituzionale perché la legge si limita a indicarne sommariamente gli obiettivi, delegando all’esecutivo la disciplina, tramite regolamento, dei modi con i quali raggiungerli. Ciò sembra contrastare con l’articolo 10 della Costituzione, secondo cui la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge: solo il legislatore può definire e modificare lo status dei cittadini stranieri. Tanto più auspicabile appare una pronuncia della Corte costituzionale ove si consideri la gravità delle conseguenze (l’espulsione) che il mancato adempimento dell’accordo comporta.
Detto ciò, analizziamo ora i due pilastri dell’accordo: il “permesso di soggiorno a punti” e la Carta dei valori.
Il permesso di soggiorno a punti
Al momento del rilascio del permesso lo straniero riceve in dote sedici crediti. Potrà poi acquisirne o perderne ancora, a seconda di come si comporterà, e sulla base dei crediti sarà poi “promosso”, “rimandato” o “bocciato”. La verifica del grado di integrazione, prevista dopo due anni, può infatti concludersi con l’adempimento dell’accordo (se i crediti finali sono almeno trenta) con la proroga di un anno dell’accordo e ulteriore verifica (se i crediti sono da uno a ventinove), o con l’espulsione (se i crediti sono pari o inferiori a zero).
Benché sia in ogni caso necessario raggiungere un livello minimo di conoscenza sia di lingua italiana, sia di “cultura civica e vita civile”, anche altri criteri determinano l’acquisizione e la decurtazione dei crediti.
Fino a venticinque crediti, per esempio, possono essere decurtati per una condanna anche non definitiva per vari tipi di reato. Ciò appare anticostituzionale perché viola il principio della presunzione di innocenza e il diritto a un ricorso effettivo.
Più numerosi e sorprendenti sono i criteri per l’acquisizione di crediti. È possibile guadagnarne da quattro a cinquanta frequentando corsi scolastici, universitari e di formazione professionale, da trentacinque a sessantaquattro conseguendo titoli di studio. Non tutti, però, hanno i requisiti (titoli precedentemente conseguiti, risorse economiche, disponibilità di tempo, capacità) necessari per frequentare corsi e conseguire titoli di studio. Queste disposizioni appaiono perciò poco conciliabili con l’articolo 3 della Costituzione, poiché attribuiscono valore diverso a diverse condizioni personali.
Ancora più discutibile appare l’attribuzione di quattro crediti per lo “svolgimento di attività economico-imprenditoriali” e addirittura cinquantaquattro per attività di docenza universitaria, mentre i lavoratori subordinati non sono premiati con alcun credito aggiuntivo (evidentemente sono meno integrati “a prescindere”).
Infine, si premia con sei crediti chi acquista o prende in affitto un immobile a uso abitativo, discriminando chi – per scelta o per necessità, ma comunque nel rispetto della legge – è nomade o senza fissa dimora.
Così i ricchi, gli istruiti e i sedentari, gli imprenditori e i docenti universitari non solo raggiungono più facilmente il traguardo dei trenta crediti, ma possono anche permettersi di evadere il fisco (pagando non più di otto crediti) o commettere reati di varia natura (perdendo solo qualche credito in più): se scoperti, eviteranno l’espulsione compensando con i crediti guadagnati grazie alla loro condizione privilegiata. Per i meno abbienti e qualificati, i nomadi e gli operai, invece, già una condanna in primo grado per un reato non commesso può costare l’espulsione.
La Carta dei valori
Firmando l’accordo di integrazione lo straniero dichiara anche “di aderire alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’immigrazione (…) e si impegna a rispettarne i principi”. La Carta dei valori nasce nel 2007 per volere dell’allora ministro dell’interno Giuliano Amato. Essa non riproduce la Costituzione o parte di essa, ma offre un’interpretazione soggettiva (fatta non dal Parlamento ma da cinque esperti nominati dal ministro) di alcuni principi costituzionali e di alcune norme di diritto ordinario, frutto di accurata quanto arbitraria selezione.
Originariamente concepita per coloro i quali aspiravano ad acquisire la cittadinanza italiana, la Carta non è mai stata utilizzata in tal senso. La matrice profondamente discriminatoria che la permea colpisce adesso, invece, tutti gli immigrati regolarmente soggiornanti. Soprattutto, però, la Carta dei valori spicca per il suo carattere “islamofobico”.
Diceva infatti Amato che, in materia di valori, vi sono “problemi specifici per gli islamici”. In effetti la Carta guarda i musulmani attraverso gli stereotipi stigmatizzanti che associano l’Islam all’idea di oppressione nei confronti della donna e al concetto di arretratezza. Diceva ancora Amato: “il tema della donna è quello che emerge di più quando si tratta dell’ingresso nel nostro paese di comunità provenienti da paesi arretrati”.
E così nella Carta dei valori leggiamo che l’Italia proibisce la poligamia in quanto contraria ai diritti della donna. Gli estensori del testo forse non conoscono il significato della parola poligamia (comprendente tanto la poliginia quanto la poliandria), ma sicuramente fanno finta di non sapere che il divieto di poligamia – sempre esistito nell’Italia unitaria, anche in ordinamenti pesantemente discriminatori nei confronti delle donne – non è mai stato motivato con l’esigenza di tutelare i diritti della donna.
La preoccupazione nei confronti di costumi ritenuti musulmani, che traspare dal riferimento alla poligamia (notoriamente consentita dall’islam), riemerge quando si afferma che in Italia “non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri”. L’ambiguità della formula scelta (“non sono accettabili”) lascia credere che possa essere vietato dalla legge vestirsi, sempre e comunque, in modo tale da coprire il volto, mentre la normativa vigente, pur vietandolo in luoghi aperti al pubblico, lo permette comunque ove vi sia un giustificato motivo. Inoltre, per giustificare un divieto inesistente, si adduce un motivo inventato (“entrare in rapporto con gli altri”).
Lo stereotipo dell’islam, poi, è disegnato in contrapposizione alla religione cristiana – certamente dominante, negli ultimi due millenni di storia italiana – ma anche a quella ebraica. La Carta dei valori, infatti, afferma che l’Italia “si è evoluta nell’orizzonte del cristianesimo che (…), insieme con l’ebraismo, ha preparato l’apertura verso la modernità e i principi di libertà e di giustizia”. Gli estensori aggiungono poi che “la posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e democratiche che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso altre popolazioni”.
Va così a farsi benedire non solo il principio costituzionale della laicità dello stato, ma anche ogni scrupolo storico. Ora, misurare esattamente l’incidenza di diverse tradizioni religiose sul patrimonio culturale e sui valori di un paese è impossibile. Sarebbe comunque facile obiettare, per esempio, sull’atteggiamento di accoglienza dei cristiani nei confronti delle popolazioni ebraiche, almeno dal 1492 al Ventennio. Rimane poi poco chiaro perché l’ebraismo avrebbe avuto un ruolo più rilevante nell’affermazione dei principi di libertà e giustizia, e nel consolidare un atteggiamento di accoglienza verso altre popolazioni, rispetto all’islam, che, almeno in Sicilia, cioè in quasi un decimo del territorio nazionale, è stato dominante per secoli.
Chi chiede il permesso di soggiorno, insomma, è costretto ad aderire a un’interpretazione soggettiva e arbitraria non solo dei valori costituzionali e delle leggi italiane, ma anche della storia d’Italia.
Due ministri dell’integrazione (Riccardi prima, Kyenge dopo), nel pur breve tempo che hanno avuto a disposizione, non si sono mai pronunciati su questo obbrobrio. Del resto, nessun partito politico, di governo o di opposizione, li ha mai stimolati in tal senso. Mentre è verosimile che continui l’indifferenza dei partiti, si auspica che possa finalmente emergere qualche segnale almeno dal mondo dei sindacati, dell’associazionismo e dell’attivismo.
Per un’analisi più approfondita si rimanda al capitolo intitolato L’accordo di integrazione come caso di discriminazione istituzionale in Italia, alle pagine 257-273 del volume Razzismi, discriminazioni e confinamenti, a cura di Mario Grasso, edizioni Ediesse, Roma 2013.



Porto San Giorgio. Apre domani lo sportello immigrati, prima attività della Consulta degli Stranieri della città
Nata il 17 maggio dello scorso anno e presentatasi il successivo 24 novembre, la Consulta degli Stranieri inaugura domani la prima attività: lo sportello immigrati, per aiutare coloro che vengono da un paese straniero a diventare “i nuovi cittadini” sangiorgesi.
Informazione.Tv, 07-03-2014
L’integrazione tra le diverse culture è infatti lo scopo primario della Consulta che, attraverso lo sportello, fornirà consigli e suggerimenti a tutti coloro che vivono a Porto San Giorgio ma che sono nati fuori dall’Italia. Aperto il primo e il terzo sabato di ogni mese presso il comune di Porto San Giorgio, lo sportello immigrati fornirà informazioni su tutto ciò che c’è da fare per ottenere il permesso di soggiorno, richieste di cittadinanza, patenti di guida, servizi comunali; non solo si forniranno consigli sull’avviamento al lavoro e sulla formazione professionale, e si aiuteranno i nuovi cittadini sangiorgesi nell’apprendimento della lingua italiana. Il tutto gestito dai membri della Consulta.



Lia: L'Italia è pronta a superare le divisioni sull'immigrazione
Vita.it, 07-03-2014
Daniele Biella
"L'importante è capire che una migliore condizione di vita di chi viene da altri paesi giova anche a chi è già qui". Da anni Luigi Lia 'traduce' la giurisdizione in materia per gli enti non profit: la sua visione a 360 gradi è riportata in un libro per la Rete progetto diritti, che presenta venerdì 7 marzo a Milano
Senza la consulenza dell''avvocato Luigi Lia svariate associazioni che si occupano di migranti non potrebbero portare avanti il loro lavoro: è lui che facilita loro la comprensione di ogni singolo atto, decreto o indirizzo legislativo in tema di immigrazione, 'traducendolo' dal linguaggio formale della legge a quello fruibile da tutti. "Mi sono reso conto che senza questo lavoro di filtro delle informazioni si perderebbero molti passaggi fondamentali in materia", spiega Lia, che collabora soprattutto con associazioni milanesi, in primo luogo quelle aderenti alla Rete progetto diritti, con la quale ha appena pubblicato un libro (Immigrati: diritti della persone a doveri della solidarietà, edizioni Junior) che presenta la sera di venerdì 7 marzo alla Casa per la pace di Milano. In anni di lavoro, Lia è diventato oggi un punto di riferimento per capire le dinamiche legate all'immigrazione in particolare in temi di diritti civili.
A oggi come valuta il sistema di accoglienza italiano?
Siamo in una situazione delicata, perché la crisi economica ha messo ancora più in difficoltà l'efficacia di ogni risorsa a tutela dei diritti dei migranti, essendosi aggravata anche la situazione economica generale. Nella Costituzione italiana, così come nelle Direttive europee, i diritti ci sono, ma il problema è che spesso rimangono sulla carta, avendo a che fare, nel caso specifico dell'Italia, con una legislazione che va in senso contrario, come per esempio la Bossi-Fini, incompatibile con i principi espressi a livello più alto. Non nascondo che alcune situazioni sono in miglioramento, come per esempio l'accesso alle cure sanitarie e al pediatra per quanto riguardi i minori figli di persone senza un permesso di soggiorno regolare in Lombardia: da poco tempo la legislazione regionale si è adeguata, ma l'ha fatto a causa di pressioni giuridiche poste in atto da associazioni come Naga onlus che hanno messo in risalto la disattenzione istituzionale verso le direttive in vigore.
Quale dovrebbe essere la road map dei diritti delle persone immigrate?
Mi rifaccio agli esaustivi dieci punti presentati dall'Asgi, Associazione studi giuridici sull'immigrazione, in particolare per quanto riguarda la semplificazione burocratica e l'introduzione di un meccanisco di regolarizzazione ordinaria. A cominciare dalla questione sullo ius soli, bisogna partire dal fatto che il promuovere quanto prima una legge giova non solo a chi da anni la aspetta, basti pensare alle migliaia di  minori stranieri che hanno vissuto più in Italia che nel proprioo paese d'origine e che per cavilli legali a 18 anni rischiano di essere allontanati dal paese se non trovano subito un lavoro: in questo caso il ricorso al giudice dà spesso loro ragione, ma una legge organica non genererebbe più questi problemi, con sollievo di tutti, dei diritti di tutti.
In che senso?
Nel senso che l'aspetto fondamentale da tenere a mente quando si parla di diritti dei migranti è l'universalità di tali diritti, così come dei doveri: in Italia valgono per i non italiani, all'estero possono valere per noi stessi qualora decidessimo di espatriare. Il punto è proprio questo: siamo tutti coinvolti, perché riguarda la nostra quotidianità e le risorse in campo, che sono esigue ma che possono essere gestite con criterio. L'accoglienza è un tema delicato, difficile da trattare e che spesso divide, ma è fondamentale andare al di là delle prese di posizione, superando il conflitto verso una soluzione che accontenti il più possibile tutti.
E' pronta la società italiana a un passo del genere?
Direi di sì. Viviamo la difficoltà attuale anche a causa di una contraddizione delle politiche neoliberiste: c'è una grande libertà nella circolazione di merci e denaro ma non altrettanta per quanto riguarda le persone. Bisognerebbe, per migliorare la situaziona attuale, facilitare i criteri di cittadinanza essendo però chiari non solo sui diritti ma anche sui doveri di ogni persona, così da evitare conflittualità fuorvianti che recano danno a tutti.

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