Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 novembre 2012

Firenze si è scordata di Moustapha Dieng
l'Unità, 29-11-2012
Italia-razzismo
Quasi un anno fa, il 13 dicembre 2011, cinque uomini provenienti dal Senegal vennero raggiunti da colpi di pistola esplosi da Gianluca Casseri, 50enne pistoiese frequentatore dell’associazione di estrema destra Casa Pound. Casseri, che aveva come bersaglio i venditori ambulanti senegalese, iniziò a sparare nel mercato di piazza Dalmazia, poi prese la macchina e si spostò nella zona di San Lorenzo, dove fece altre vittime. Due di questi uomini, Samb Modou e Diop Mor rimasero uccisi in quello che fu un vero e proprio agguato razzista. Le sorti dei sopravvissuti sono state diverse e ce le racconta Corriere Immigrazione, attraverso un’intervista a Mercedes Frias, da anni attiva per i diritti dei migranti. Due dei senegalesi colpiti sono in via di guarigione, mentre il terzo, Moustapha Dieng è ancora ricoverato in gravi condizioni al Cto di Careggi. La pallottola che lo ha colpito è entrata nella gola ed è andata giù, fino al midollo spinale. Dieng non potrà più camminare, ha esofago e trachea gravemente lesionate e da quasi un anno viene alimentato e idratato solo attraverso le flebo. Ha ricominciato, da poco, a emettere qualche flebile suono. Il comune di Firenze ha organizzato per il 13 dicembre una giornata di iniziative per commemorare quella strage, ma sul piano pratico, per aiutare Dieng rimasto quasi completamente solo, l’amministrazione non ha fatto granché. Della cittadinanza che gli era stata promessa, neanche l’ombra, così come il sussidio a cui avrebbe diritto (per via del decreto legislativo del 2007 che recepisce la direttiva sull’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti). Dieng in Italia ha solo un fratello, che vive in provincia di Pisa, fa l’ambulante e riesce ad andare a trovarlo una volta alla settimana. E poi c’è un suo connazionale, il ventiquattrenne Madiagne Ba, che da quando è cominciata questa storia lo ha preso a cuore e va da lui quasi ogni giorno. Ma questa, è la sola rete di solidarietà rimasta intorno all’uomo.
È stato chiesto all’amministrazione di trovare i fondi per pagare il viaggio ai familiari di Dieng, cosicché l’uomo possa avere vicino a sé i parenti in quello che sarà un lunghissimo percorso di cure e convalescenza. Anche su questo fronte, però, nessuna risposta. Mercedes Frias nota come non si sappia praticamente nulla della sorte dei sopravvissuti e che, a parte pochi privati cittadini che hanno fornito un sostegno economico, associazioni e gruppi fiorentini si sono concentrati nel ricordare le vittime, a volte in maniera strumentale, dimenticando gli altri. E di come si stia facendo troppo poco, a tutti i livelli, per intervenire sulla deriva culturale e politica che ha portato a confrontarci con l’immigrazione nel nostro paese in modo ottuso e sbagliato. Ottusità ed errori che a volte sfociano in tragedie come quella di Firenze. È lodevole che il comune di Firenze abbia voluto dedicare una giornata intera al ricordo di quelle vittime, ma c’è bisogno di molto altro. E organizzare un concerto di Youssou N’Dour non sembra proprio sufficiente.



Save the Children: condizioni proibitive al Centro di accoglienza di Lampedusa. La denuncia: gli enti locali non accolgono senza la certezza dei fondi del Ministero.
330 materassi per 879 immigrati. I minori non accompagnati sono 123, 17 i bambini con i genitori di cui 4 neonati.
Immigrazioneoggi, 29-11-2012
Sono “inaccettabili” le condizioni delle donne, dei neonati e dei minori presenti a Lampedusa dopo gli sbarchi degli ultimi giorni. A denunciarlo è Save the Children, che parla di donne e bambini “stipati” nel Centro di prima accoglienza e soccorso e in particolare di 123 presunti minori soli arrivati dalla Libia e di 17 bambini piccoli accompagnati, tra cui 4 neonati.
Il Centro ospita più del doppio della capienza massima, i servizi igienici non funzionano, ci sono solo 330 materassi per 879 persone. Particolarmente grave – denuncia Save the Children che è presente sull’isola – la situazione per i minori non accompagnati e per le donne che hanno anche bambini piccoli e neonati, che sono stipati in 281 in uno spazio atto ad ospitarne 50, con solo 3 bagni a disposizione e dormono in due per letto o a terra.
Dal loro arrivo i neonati hanno dormito su cuscini, mentre alcuni minori hanno cercato di allestire dei giacigli di fortuna con cartoni stesi sul pavimento, dopo che l’acqua aveva invaso la camera e rimasti senza vestiti asciutti, dovendosi coprire con le sole coperte anche di giorno.
“La situazione di sovraffollamento e confusione al Cpsa è tale che non ci consente neppure di fare in modo adeguato il nostro lavoro di informazione e sostegno ai minori non accompagnati – ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice Programmi Europa dell’organizzazione – abbiamo fatto pressioni su tutte le autorità coinvolte nel coordinamento e nella gestione, il Ministero dell’interno, quello del lavoro e delle politiche sociali e la Protezione civile, ma ci è stato risposto che il problema è l’assenza di risorse finanziarie certe per la copertura dei costi, che determina il rifiuto da parte dei Comuni e delle singole comunità ad accogliere i minori”.
Secondo quanto riferito dai migranti a Save the Children e agli altri operatori umanitari presenti sull’isola, la situazione in Libia, dalla quale provengono la maggior parte dei migranti sbarcati a Lampedusa, sta peggiorando, con pesanti situazioni di ingiustizia o violenza nei confronti degli immigrati dall’Africa sub-sahariana – alcuni dei quali vivono nascosti per paura – come il lavoro non pagato o la carcerazione con la richiesta di un riscatto per poter uscire. Sempre secondo il loro racconto, sarebbero moltissimi gli immigrati presenti in Libia, anche arrivati negli ultimi mesi e molti quelli che aspettano di imbarcarsi per raggiungere l’Italia.
“Facciamo appello al Governo perché sia disposto immediatamente il trasferimento dei migranti presenti al Cpsa e in particolare delle madri con i bambini e dei minori non accompagnati, che sono i più vulnerabili. Occorre inoltre individuare prontamente i posti disponibili in comunità di accoglienza sull’intero territorio nazionale e assicurare la relativa copertura finanziaria, oltre a riaprire almeno una Struttura di accoglienza temporanea in cui accogliere i minori per il tempo strettamente necessario all’individuazione dei posti”.
“Questa ennesima emergenza – conclude la nota – dimostra come sia indispensabile stabilizzare nel 2013 un fondo nazionale garantito dedicato al sistema di accoglienza e integrazione dei minori migranti che ne hanno diritto per legge”.



Figli di immigrati diventano "italiani"
Corriere della sera.it, 28-11-2012
(ANSA) - SASSARI - Da oggi i bambini stranieri nati nel Belpaese possono sentirsi un po' piu' italiani. Almeno a Sennori. Il Consiglio comunale rispondendo all'invito dell' Unicef ha conferito la cittadinanza onoraria a 16 bimbi (10 marocchini, 5 cinesi e un polacco) i quali, pur essendo nati in Italia da genitori immigrati, per la legge non possono essere considerati italiani. Un vuoto normativo che si e' voluto colmare, se non altro in maniera onoraria. "Difendiamo un diritto", ha chiarito il sindaco.



Il tribunale ordina il ritorno in Italia del richiedente asilo Sahrawi
Cirdi, 29-11-2012
Milano – La Questura di Milano rimpatria in Marocco un richiedente asilo Sahrawi. Il giudice ordina di riportarlo in Italia. Grazie all’Unhcr e Asgi, il 22 novembre la prima sezione civile di Milano ha giudicato illegittima l’espulsione e ha ordinato alla questura di adottare “ogni provvedimento idoneo” per farlo ritornare.
“È la prima volta che di fronte a un errore nell’espulsione si cerca di riparare il danno -afferma Livio Neri, l’avvocato che sta seguendo la causa per l’Asgi-. La Questura finora si era rifiutata di rilasciare il nulla osta al suo rimpatrio nonostante l’errore commesso. Ora il giudice glielo ordina. L’ambasciata italiana in Marocco a sua volta rilascerà un visto di reingresso”.



Bercerò (Parma): volantino del sindaco in albanese e romeno per invitare i giovani a “non bighellonare” e aiutare la comunità con il volontariato.
Per il primo cittadino “nessun intento razzista ma solo un messaggio che, ci auguriamo, possa prevenire ogni episodio di illegalità”.
Immigrazioneoggi, 29-11-2012
Ha scelto di pubblicare un volantino in tre lingue contro l’ozio per gli immigrati che bighellonano in piazza e nei bar con l’invito a fare volontariato. È l’iniziativa del sindaco di Berceto (Parma), Luigi Lucchi, che ha distribuito nel paese della montagna parmense un piccolo depliant dove il sindaco nota “con preoccupazione che ci sono gruppi di persone, anche molto giovani, che sono a bighellonare, da diverso tempo, nei bar, in piazza e in altri luoghi pubblici tutti i giorni e in tutte le ore”. A loro il primo cittadino lancia un appello affinché si mettano “in contatto con il Sindaco o con il consigliere comunale Ciriaco Consigli” per “svolgere qualche attività di volontariato in favore della comunità in attesa di trovare un lavoro remunerato”. L’appello è redatto in italiano, in albanese e rumeno. Una scelta non razzista ma mirata, ha spiegato primo cittadino. “In paese ci conosciamo tutti e abbiamo scritto il volantino in queste due lingue perché i gruppi a cui intendiamo rivolgerci sono immigrati di questi paesi”, spiega Luigi Lucchi. Quindi “nessun intento razzista ma solo un messaggio che, ci auguriamo, possa prevenire ogni episodio di illegalità visto che almeno da quattro mesi li vediamo in giro per il paese senza far nulla e non si sa come “sbarcano il lunario’”.



Dalle piazze ai parlamenti la crisi accende l’odio per i diversi
Il fenomeno sempre più spesso prescinde dal vincolo etnico, anche se usa biecamente l’armamentario ideologico del ’900
“Alba Dorata” pur esibendo simboli di evidente matrice hitleriana, giunge a noi dalla Grecia anziché dalla culla del nazismo
la Repubblica, 29-11-2012
Gad Lerner
Viene la tentazione di minimizzare: in fondo saranno degli antisemiti per finta quei tifosi che si scagliano contro altri tifosi ebrei per finta? Non sarà, il loro razzismo, solo un pretesto per scandalizzarci, ovvero la più trasgressiva delle ragazzate possibili?
Com’è ovvio ci sono ebrei tifosi della squadra di calcio Lazio. Magari anche perché, come ricordava uno di loro, Danco Singer, in una lettera a questo giornale, la Lazio indossa in campo gli stessi colori della bandiera israeliana. Quanto agli ultràs laziali (e romanisti), non risulta che prendano abitualmente di mira persone o sedi della Comunità ebraica della capitale. Invece, guarda un po’, si sono coalizzati per aggredire i tifosi del Tottenham in trasferta; cioè dei cittadini inglesi per lo più non ebrei ma che a loro volta trovano suggestivo identificarsi nello stereotipo yids – giudei – allo scopo di rovesciarne la carica dispregiativa.
Per colmo di confusione nazionalistica, allo stadio Olimpico, dove si fronteggiavano una squadra italiana e una squadra inglese, altri sciagurati hanno pensato di insultare il Tottenham inneggiando al tedesco Hitler e esibendo lo striscione antisraeliano “Free Palestine”. Al che, quattro giorni dopo, in uno stadio di Londra, per tifare West Ham, una ventina di imitatori imbecilli ha pensato bene di mimare contro il Tottenham il sibilo delle camere a gas e di gridare “Viva Lazio”.
C’entra qualcosa tutto questo con il razzismo o stiamo facendo i conti con la follia centrifuga delle identità posticce, artificiali, ormai disgiunte dall’appartenenza etnica e religiosa? Prima di derubricare il tutto a mero teppismo giovanile, sarà bene ricordare che perfino l’ultimo conflitto che ha insanguinato il suolo europeo – la guerra dei Balcani – ha visto contrapporsi milizie reclutate all’interno di popolazioni non solo da secoli dedite ai matrimoni misti, ma per giunta appartenenti alla medesima etnia slava (e divise “solo” da fedi religiose sempre più tenui).
Il razzismo contemporaneo sempre più spesso prescinde dal vincolo etnico, anche se utilizza biecamente l’armamentario ideologico del razzismo novecentesco. Mi ha molto colpito la giovane età, 24 anni, di Daniele Scarpino, definito ideologo del sito antisemita “Stormfront” e arrestato per istigazione all’odio razziale. Ma colpisce anche che Scarpino e gli altri suoi compari (quasi tutti coetanei) facciano riferimento a una casa madre statunitense, non ai neonazisti tedeschi. Del resto anche il più recente fenomeno d’importazione xenofobo, “Alba Dorata”, pur esibendo simboli di evidente matrice hitleriana, giunge a noi dalla Grecia anziché dalla culla del nazismo.
Quest’ultimo fenomeno, specialmente pericoloso per la violenza praticata e per la capacità di contagio che rivela dentro a società avvelenate dalla pauperizzazione e dal rancore sociale, evidenzia con più chiarezza di altri la natura ambivalente del nuovo razzismo contemporaneo. L’ostilità allo straniero vi si manifesta additando i nemici del popolo come stranieri sia verso l’alto che verso il basso: in alto la plutocrazia affamatrice della finanza internazionale che viene tuttora comodo identificare nell’ebraismo cosm opolita; in basso gli immigrati chesottraggono risorse ai danni del popolo e lo “inquinano” pretendendo di mescolarsi ad esso.
Il ventennio di egemonia politica e culturale del forzaleghismo ha reso l’Italia – un paese che aveva già sperimentato la declinazione fascista dell’etno-nazionalismo – particolarmente esposta a questa retorica del popolo inteso come nazione proletaria contrapposta all’élite e allo straniero. Come dimenticare, in proposito, le dotte elucubrazioni di un Tremonti o di un Baget Bozzo, condite di richiami clericali? Più grossolano, come sempre, era il Berlusconi che in campagna elettorale si scatenava contro il pericolo che le nostre città divenissero “africane” o, addirittura, “zingaropoli”. Ma è ancora oggi la Lega Nord, titolare di un’“etnogenesi realizzata in laboratorio” (devo la definizione all’antropologo Pietro Scarduelli, dal volume L’immaginario leghista, a cura di Mario Barenghi e Matteo Bonazzi, Quodlibet Studio editore) la propagatrice più accanita del razzismo contemporaneo.
Solo una settimana fa Radio Padania Libera, che trasmette dalla sede leghista di via Bellerio, ha rivendicato la validità dei Protocolli dei savi di Sion.
Non importa se ne è stata comprovata la falsità, ha sostenuto tale Pierluigi Pellegrin dai suoi microfoni. Resta il fatto che i “semiti” detengono tuttora le leve di comando della finanza, dei mass media e del cinema, lasciando ai “non semiti” solo lo spazio della politica. Dunque i Protocolli vanno presi sul serio. C’è da stupirsi se poi tanti ragazzi da stadio insultano gli avversari al grido “ebrei”?
È giusto allarmarsi quando un esponente del terzo partito ungherese, Jobbik, chiede al suo governo di istituire un registro degli ebrei con doppia cittadinanza residenti sul territorio magiaro, come forma di “difesa nazionale”. Ma senza dimenticare che un’ideologia razzista analoga alligna in forze politiche che governano ancora tre grandi regioni italiane. Del resto un deputato europeo della Lega, Mario Borghezio, ha definito “patriota” il criminale di guerra serbo-bosniaco Mladic e ha manifestato pubblica condivisione per il manifesto dell’autore della strage di Utoya, il norvegese Breivik.
Ecco perché non possiamo minimizzare come “razzismo per finta” la caccia al diverso che sta trovando negli stadi la sua cassa di risonanza: perché la diffusione di un tale senso comune, ancorché non collimi con le tradizionali linee di demarcazione etnica o religiosa, è violenza verbale che sta già traducendosi in violenza fisica.
Non è ancora passato un anno da quando un “pacifico” intellettuale di destra, Gianluca Casseri, frequentatore di Casa Pound, ha sparato all’impazzata in un mercato di Firenze assassinando Samb Modou e Diop Mor colpevoli solo di avere la pelle scura, e riducendo all’invalidità il loro connazionale senegalese Moustapha Dieng, rimasto privo di ogni sostegno pubblico. Sul sito Facebook di Casseri si contarono 6205 “mi piace”. La caccia al diverso è già in pieno corso anche nel nostro paese. Verso l’alto e verso il basso, nel nome della purezza etnica inesistente di un popolo i cui connotati si allargano e restringono a piacimento, magari seguendo solo i colori di una squadra di calcio piena zeppa di giocatori con un altro passaporto.



Le spose siriane in vendita per i ricchi arabi
Corriere della sera, 28-11-2012
Lorenzo Cremonesi
Le chiamano «spose a basso prezzo». Mogli bambine, facili da trovare, facili da portare via, con le famiglie disposte a tanto pur di veder migliorate anche solo di poco le loro disastrose situazioni economiche nei campi profughi sempre più gremiti e disperati lungo il confine. Il mercato è fiorente e in crescita. Tanti tassisti di Amman ormai si sono industriati. Attendono i ricchi sauditi e dei Paesi del Golfo all'aeroporto o di fronte agli hotel a cinque stelle. Basta poco per capire cosa vogliono. «Le donne siriane piacciono nel mondo arabo. Sono chiare di pelle in un parte del globo dove il sole abbronza e invecchia troppo in fretta, alte, gli occhi grandi», raccontano gli attivisti locali per la difesa dei diritti umani a Cassandra Clifford, nota militante americana per le garanzie dei più deboli e fondatrice dell'organizzazione umanitaria «Bridge to Freedom Foundation». Costano poco, bambine di 15 o 16 anni cedute dalle famiglie appena sfuggite agli orrori della guerra civile per cifre che possono restare nei limiti dei 1.000 o 2.000 euro. Una quisquilia, noccioline per gli uomini d'affari del Golfo. Sono abituati a spendere ben di più. Una notte in compagnia di prostitute ucraine in un albergo a Dubai può costare anche il doppio.
Non stupisce che il fenomeno sia in crescita. E' una costante che perseguita le vittime di tante tragedie umanitarie. Avveniva con i profughi afghani fuggiti in Pakistan, con gli iracheni che nel pieno dei massacri del 2005-2007 cercavano rifugio tra Damasco e Amman. Ma per le donne siriane il calvario delle spose bambine colpisce ancora di più perché i massacri tra Damasco, Aleppo, Homs e i villaggi di confine sono tutt'ora in atto, e anzi continuano a crescere. All'interno del Paese gli sfollati potrebbero sfiorare i cinque milioni. L'Onu segnala quasi 500.000 espatriati soprattutto in Turchia, Iraq, Libano e Giordania. Ma sembra che proprio in quest'ultimo Paese le ragazzine siano date in sposa con maggior facilità. Il Washington Post segnalava in un recente reportage dal campo profughi di Zaatari che sarebbero le stesse organizzazioni umanitarie locali a favorirlo. «Questo non è sfruttamento. Questa è generosità», dichiara Ziyad Hamad, la cui associazione caritativa, Kitab al-Sunna, si prodiga in aiuti tra tende e baracche di fortuna. Pare che alle famiglie che oppongono resistenza alla prospettiva di cedere le figlie a perfetti sconosciuti, vengano offerti sino a 4.500 euro, una fortuna per chi non ha più neppure gli spiccioli per il pane. «Ovvio che preferirei un marito siriano per mia figlia. Ma cosa possiamo fare?», spiega Abu Yousef. La figlia è vedova, ha 27 anni, tre bambini. Il marito è stato ucciso dai lealisti del presidente Bashar Assad. Così alla fine hanno accettato che se ne vada con un ingegnere saudita in pensione di 55 anni. Le Nazioni Unite denunciano che il mercato delle spose siriane si sta allargando sulla rete. I siti specializzati arabi sono prodighi di offerte e dettagli. Ma c'è anche chi si oppone. «Solo perché abbiamo perso le nostre case questi pensano che possano prendersi le nostre donne. Ma si sbagliano di grosso», dice combattivo Ibrahim Naimi, 42 anni, proprietario di un piccolo caffè nella città di tende. Ancora più decisi a contrastare il fenomeno sono i profughi in Turchia. «Qui non siamo come in Giordania. I campi profughi sono sorvegliati dalla polizia turca e da nostre sentinelle locali. I papponi non possono entrare. Guai a loro!», dice al Corriere, Nahel Gadri, attivista rivoluzionario di Eriha sfollato nella città turca di Latakia.

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