Morire nel Mediterraneo

 

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                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

31 luglio 2014

Affonda un altro barcone: venti vittime 
Il naufragio è avvenuto al largo della Libia. I sopravvissuti: con noi c`era un centinaio di immigrati 
La Stampa, 31-07-14
FABIO ALBANESE 
AGRIGENTO- Stavolta la conferma è arrivata direttamente dalle autorità libiche: nel mare Mediterraneo si è consumata un`altra tragedia della disperazione, con decine di morti, forse un centinaio. Nonostante le notizie siano molto incerte e frammentate anche per via della grave situazione di tensione nel Paese africano, si è saputo che un altro barcone di migranti ha fatto naufragio e dei 150 che erano a bordo solo in pochi si sono salvati. 
Secondo il portavoce della Marina libica, il colonnello Kassem Ayoub, citato da alcune agenzie di stampa, «una pattuglia della Marina ha messo in salvo 22 immigrati clandestini che erano aggrappati ai resti del loro barca. Oltre venti corpi sono stati recuperati - ha aggiunto - ma, secondo i sopravvissuti, erano circa 150 i migranti provenienti dall`Africa sub-sahariana, a bordo dell`imbarcazione diretta verso le coste italiane». Il barcone sarebbe affondata al largo di A1-Khums, città a un centinaio di chilometri a est di Tripoli, non si se perchè era sovraccarica e uno spostamento improvviso l`ha fatta ribaltare o se perchè ha imbarcato acqua ed è affondata. Sarebbero anche scattati i soccorsi, alla ricerca dei dispersi, ma dopo un giorno intero di ricerche il risultato era pari a zero e difficilmente per questa ennesima strage in mare si riuscirà ad avere un epilogo diverso. 
È andata molto meglio ad altri migranti che, tra martedì e ieri, sono stati recuperati dalle navi italiane dell`operazione «Mare nostrum»: sono circa novecento che le navi della Marina, le motovedette delle Capitanerie e alcuni mercantili hanno preso a bordo e trasportato verso i porti di Sicilia, Calabria e Puglia. 
A Taranto nave Zeffiro ieri a tarda sera ha sbarcato 404 migranti, 101 sono minorenni. Nel pomeriggio a Brindisi era arrivata una nave mercantile con bandiera delle Bahamas che ha portato 114 persone salvate al largo della Libia; due donne durante la navigazione si sono sentite male e sono state assistite da medici partiti con una motovedetta da Otranto. In 66, siriani e egiziani, uno è neonato, provenienti dalla Turchia, sono sbarcati nel porto calabrese di Roccella Jonica. 
In Sicilia, il primo arrivo di migranti, ieri, è avvenuto a Porto Empedocle, nell`Agrigentino, dove un mercantile liberiano ha portato 112 persone, tutte di Paesi sub-sahariani. Nel pomeriggio nave Vega ha sbarcato a Pozzallo 192 migranti, tre sono donne in gravidanza, soccorsi il giorno prima mentre, su due gommoni, erano al largo delle coste libiche. Nelle stesse ore, 156 migranti che erano nel centro accoglienza della cittadina del Ragusano sono stati trasferiti in strutture del centro-nord Italia, con un volo speciale partito da Comiso e diretto prima a Cagliari e poi a Pisa. E non è finita perchè nave Espero nella notte ha soccorso 187 persone. 
La polemica del giorno la innesca il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, che ha dato disposizione perchè vengano svolti controlli igienico sanitari molto attenti sulle strutture di accoglienza dei migranti: «La salute pubblica dei veneti - ha spiegato- è un bene prezioso e rappresenta per me una priorità assoluta». 
 
 
 
Altri migranti annegati ma non fa più notizia Tunisi: frontiere chiuse 
Decine di morti al largo della Libia, ma a Roma nessuno parla più 
E potrebbe andare anche peggio: la Tunisia verso un giro di vite 
il Giornale, 31-07-14
Tiziana Paolocci 
Milano Fantasmi mossi dalle correnti e dalle onde. Sono centinaiai corpi senzavita degli immigrati che vagano nelMar Mediterraneo, diventato la loro tomba, a un passo dal raggiungere il loro sogno. 
La questione degli sbarchi è un`infinita conta di morte. Solo ieri l`ennesima tragedia al largo di Al Khumus, cento chilometri ad est di Tripoli. La marina locale parla di almeno venti morti, ma secondo i sopravvissuti sarebbero molti di più. I clandestini salvati hanno raccontato, infatti, che abordo dell`imbarcazione partita dall`Africa sub-sahariana e diretta verso le coste italiane, erano partiti in 150. Ma tanti, troppi, non ce l`hanno fatta. Gli uomini del colonnello KassemAyoub ne hanno recuperati e tratti in salvo solo ventidue. Erano stremati, ma ancora vivi, perché da ore fronteggiavano la morte aggrappati ai resti della loro barca. Attorno a loro galleggiavano venti corpi senza vita di conoscenti e amici che nelnostro paese non arriveranno mai. Nonostante le ricerche immediate, infatti, è inverosimile che il mare regali altri superstiti. Nei prossimi giorni la situazione sbarchi sulle nostre coste potrebbe aggravarsi ulteriormente, perché il ministro degli Esteri tunisino Mongi Hamdi ha dichiarato che il suo paese non è più in grado di gesti re il massiccio afflusso di rifugiati dalla Libia ed è pronto a chiudere le frontiere. 
L`Italia, invece, volente o nolente fa la sua parte. Ieri pomeriggio nel porto di Brindisi la nave mercantile Oil Chemical Tanker, battente bandiera delle Isole Bahamas, ha soccorso, sempre davanti alla Libia, 118 migranti somali e la Nave Espero, del dispositivo Mare Nostrum, è intervenuta su un barcone che si trovava a sud di Capo Passero, dove c`erano 150 persone. L` arrivo è stato ritardato di due ore per uno stop improvviso dovuto al malore di due profughe a bordo. 
In rada a Porto Empedocle, invece, in mattinata aveva attraccato il mercantile liberiano Perge, con dentro 112 stranieri di origine subsahariana, soccorsi nel Canale di Sicilia. Le autorità sono state costrette a spostarli lì perché il centro d`accoglienza di Siculiana è saturo: ospita già 260 anime. Sbarco massiccio, di 200 immigrati, anche aPozzallo e a Roccella Ionica, in Calabria, dove invece sono giunti in 65, di nazionalità siriana, tra cui nove donne e sei bambini, recuperati a 120 miglia dallo Jonio reggino. Erano partiti dalla Turchia il 21 luglio su una vecchia imbarcazione col motore in avaria e senza la guardia costiera non sarebbero giunti a destinazione. In serata, invece, il porto di Taranto ha accolto altri 404 profughi: 241 uomini, 62 donne e 101 minori e quattro neonati. 
E mentre al Sud si fronteggia l`emergenza sbarchi, il Veneto alza gli scudi. «La salute dei nostri cittadini è una priorità assoluta di fronte a una situazione nella quale il Governo questi problemi non se li pone» da tuonato il governatore Luca Zaia, che due giorni fa aveva espresso contrarietà per l`arrivo di altri 170 immigrati. «Attiveremo controlli igienico-sanitari sulle strutture che ospitano i migranti e verificheremo con scrupolo il loro stato di salute - ha spiegato - perché su questa vicenda l`organizzazione dello Stato continua ad essere confusionaria e borbonica. Così mi sono attivato io e come Regione ho preso in mano la situazione formalizzando un decreto con il quale vengono disposti i controlli». 
 
 
 
Andare oltre Mare Nostrum 
il manifesto, 31-07-14
Christopher Hein - Luigi Manconi 
I dati più recenti relativi ai movimenti di migranti e profughi nel Mediterraneo ci parlano di una situazione davvero tragica. Le partenze dalle coste dell`Africa sono ormai quotidiane con un costante aumento del numero degli incidenti, anche mortali. Le vittime negli ultimi venticinque anni sono state oltre ventimila, molte delle quali nel Canale di Sicilia. Basti pensare che solo nel 2011, l`anno più nero da questo punto di vista, i morti sono stati 2160. 
E occorre considerare che non si tratta di dati certi e di numeri definitivi, difficili da ottenere dcausa delle condizioni di totale illegalità e insicurezza in cui si svolgono quei viaggi. Tutto ciò è il risultato del sovrapporsi di quattro forme di irregolarità: quella delle imbarcazioni, di chi le guida, delle condizioni di navigazione e dell`alto, spesso abnorme, numero delle persone a bordo. Ecco perché i dispersi - quelli che al momento dell`approdo mancano all`appello - possono raggiungere la quota di 5-6 ogni giorno. 
L`operazione Mare Nostrum, iniziata lo scorso ottobre, finora ha salvato la vita a decine di migliaia di possibili vittime ed è uno strumento necessario finché perdura l`attuale condizione di elevatissimo rischio di naufragi. Ma è anche per molti aspetti troppo dispendioso (e non principalmente sul piano economico), per riuscire a far fronte a una situazione di tale portata e destinata, probabilmente, a deteriorarsi ancora. Questo richiede di adottare ulteriori strategie, i cui effetti potrebbero essere visibili già nel breve termine e le risorse di cui necessitano sarebbero sostenibìli nel lungo periodo. Una di tali strategie è quella dell`Ammissione 
umanitaria elaborata nei giorni successivi al naufragio del 3 ottobre scorso a Lampedusa. Essa, riprendendo proposte avanzate già durante la crisi nel Kosovo (1999), consiste nel garantire a chi fugge traversate legali e sicure del Mediterraneo, ponendo fine o almeno limitando la lunga sequenza di morti. In ogni caso, è la sola opportunità rimasta. Quell`obiettivo è raggiungibile se inserito all`interno di una politica comune europea per l`immigrazione e l`asilo, che resta evidentemente tutta da costruire e da tradurre immediatamente in azioni condivise dai paesi membri. Una, per esempio, consiste nell`equa e razionale ripartizione dell`afflusso di migranti in fuga sull`intero territorio europeo. 
Nei fatti, questo piano, permette di anticipare o per lo meno avvicinare geograficamente e giuridicamente, la richiesta di protezione internazionale, prima dell`arrivo dei profughi ai confini del territorio europeo, E ciò potrebbe avvenire nei paesi (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco) dove transitano e si addensano i movimenti dei fuggiaschi. Il sistema di sostegno sarebbe quello dei presidi internazionali, garantito dalla rete diplomatica del Servizio europeo per l`azione esterna, dalla rete diplomatico consolare dei paesi dell`Unione, dall`Unhcr e dalle organizzazioni umanitarie. Una struttura che avrebbe come primo fine quello di garantire un viaggio sicuro e legale verso i paesi europei, dove completare e formalizzare la richiesta di asilo. Si tratta di partenze programmate, a cui accedono le persone in possesso dei requisiti e di un apposito visto, che evitano così di mettere a repentaglio la propria vita nella trappola mortale del Mediterraneo. 
Quello qui illustrato non è, certo, l`unico piano da prendere in considerazione. Alcuni sono già in atto, come il programma di re-insediamento su base di quote prestabilite, e altri sono in discussione sia nel nostro Paese che nell`Unitine europea. Tra questi i progetti di un corridoio protetto, del rilascio di un visto umanitario, dell`ampliamento di ricongiungimento familiare. L`elemento più importante, e per ora del tutto assente, al fine della loro attuazione, è rappresentato dall`accordo tra gli stati europei. Raggiungere questo accordo è la posta in gioco di un cruciale conflitto che l`Italia, attuale titolare della presidenza del semestre europeo, deve saper affrontare con la necessaria determinazione, pena l`insignificanza politica. Per il resto, i dispositivi di legge necessari e le strutture e le risorse sono già disponibili o previsti dalle direttive europee e dal regolamento di Schengen. 
Ma occorre far presto: l`emergenza di questa estate non è certo destinata a esaurirsi. Mentre la nuova Europa che in tanti reclamano come spazio dei diritti e della dignità della persona, non può continuare a volgere altrove il proprio sguardo. 
 
 
 
Il Mare nostrum di Regina: "Io, la mia nave e i droni per salvare i migranti" 
L`iniziativa di un`imprenditrice: spero che qualcuno faccia come me 
La Stampa, 31-07-14
MAURO PIANTA 
TORINO- Regina Catrambone, fascino mediterraneo impreziosito da una cadenza appena "sporcata" dall`uso dell`inglese, ha diversi motivi per essere invidiata dalle coetanee. L`avvenenza, appunto. O la carriera. A Malta, dove si è trasferita sette anni fa da Reggio Calabria, guida un`impresa di assicurazioni. Il che significa una certa disponibilità economica. E che dire del matrimonio felice con lo statunitense Christopher (assicuratore pure lui), e di Maria Luisa, la figlia adolescente? Da qualche mese, però, Regina ha qualcosa che nessuno possiede. Almeno per l`uso che intende farne lei: Regina ha appena acquistato in Virginia, nella città di Norfolk, un`imbarcazione di 43 metri insieme con due droni, due velivoli che viaggiano senza pilota grazie a un computer di bordo. 
La nave, riallestita con un ponte di volo e ribattezzata Phoenix 1, è pronta a salpare per una missione davvero speciale: soccorrere i barconi dei migranti nel Mediterraneo, assistendo le autorità nella ricerca e nel salvataggio di vite umane. È la prima nave "privata" varata per salvare í disperati che cercano fortuna affidandosi alle carrette del mare. 
«La nave del Moas (Migrant Offshore Aid Station, l`acronimo con cui è stata chiamata l`operazione spiega l`imprenditrice - si apposterà nelle acque internazionali e grazie ai droni Schiebel S-100 Camcopter, che possono volare a 240 km orari e rimanere in volo fino a sei ore, ci verranno segnalate le barche in avaria o in potenziale difficoltà: se i migranti hanno bisogno di coperte, cibo o acqua potremo intervenire tempestivamente. Ma sempre in stretto contatto con le autorità». 
Ecco, appunto, le autorità. Non è che il Moas farà "concorrenza" all`operazione Mare Nostrum? «Moas è una Ong, a bordo ci saranno volontari, medici, paramedici, personale specializzato, guidati da Martin Xuereb, ex-capo di stato maggiore delle forze armate di Malta. Il nostro sarà un piccolo contributo, ma speriamo che molti ci seguano. Non vogliamo competere con Italia e Malta: offriremo assistenza alle persone in difficoltà sino all`arrivo delle autorità competenti, salvo emergenze». 
Regina ricorda come è nata l`idea. Due, gli episodi decisivi. «Un anno fa, con mio marito, ci stavamo godendo una crociera. Una mattina, vicino alle coste della Tunisia, vidi galleggiare qualcosa: il comandante mi spiegò che si trattava del giubbotto invernale di qualche migrante che aveva provato a raggiungere le coste italiane. Fu un pugno nello stomaco». Il secondo episodio è legato a papa Francesco. «Rammento un appello del Pontefice dopo l`ennesima strage di migranti a Lampedusa. Lui disse che tutti noi dobbiamo contribuire in prima persona ad aiutare gli altri, con i mezzi, le risorse, le capacità che abbiamo. Noi abbiamo provato a muoverci: le parole del Santo Padre sono state il motore e il cuore della nostra iniziativa. Non potevamo rimanere spettatori di questa carneficina». 
A proposito di spettatori: che ci farà una regista a bordo del Phoenix 1? «Vogliamo documentare le operazioni, per il successo del progetto e per raccogliere contributi: non solo soldi, ma anche giubbotti di salvataggio, coperte, acqua». Quanto al costo complessivo dell`operazione, Regina preferisce non sbilanciarsi: «Non è stata una passeggiata: ricerca e acquisito dell`imbarcazione, modifiche della stessa, costi operativi. Ci è costato tempo e denaro. La speranza è che anche altri imprenditori possano contribuire. Abbiamo fatto il primo passo, senza perdere tempo, perché in gioco ci sono vite umane». 
La missione prenderà il via a metà agosto, chissà se il Mediterraneo è pronto per la sua Regina. 
 
 
 
L`INTERVISTA / L`EPIDEMOLOGO SAVERIO BELLIZZI DI MEDICI SENZA FRONTIERE 
"Il pericolo è remoto, la malattia si trasmette solo per contatto diretto" 
"Non si propaga per via aerea, l`incubazione va dai due ai ventuno giorni" "Per la Sua dinamica è difficile che possa arrivare fin qui" 
la Repubblica, 31-07-14
PAOLO G. BRERA 
ROMA. Saverio Bellizzi, infettivologo di Medici Senza Frontiere, fino a poche settimane fa era in Africa a combattere contro l`epidemia 
di Ebola. 
Come avviene il contagio? 
«Per contatto diretto con una persona ammalata, che ha sintomi molto evidenti. Il virus non si trasmette per via aerea». 
Può sbarcare in Italia? 
«Il rischio che arrivi dalle coste a Sud è abbastanza remoto, non siamo in una situazione di allarme». 
Perché? 
«Per la dinamica dellamalattia, che ha un andamento tempestoso. In una settimana o dieci giorni si sviluppano sintomi che, senza 
trattamenti adeguati, portano rapidamente alla morte. I migranti hanno almeno un anno di viaggio alle spalle per attraversare il Sahara 
e trovare il modo di salpare». 
E i voli dall`Africa? 
«È una questione di cui si occupa l`autorità aeroportuale inglese, ma tutti gli aeroporti nelle aree a rischio prendono la temperatura dei viaggiatori con sistemi efficaci, e si compilano moduli per verificare i sintomi. È molto improbabile vedere un malato di Ebola girare in un aeroporto: ho chiesto a un paziente guarito, mi ha detto che la fatica che ha provato era la somma complessiva di tutte le fatiche di tutte le malattie che aveva avuto, compresa la malaria. I pazienti hanno una febbre devastante, sono stanchissimi, è difficile anche solo metterli in piedi. Come puoi entrare in contatto con persone così, toccandole o armeggiando coi loro liquidi biologici o con il loro sangue?». 
E chi è rientrato da una zona rischio? 
«Non basta esserci stati per sospettare di aver contratto la malattia. Bisogna aver avuto un contatto stretto, lavato o toccato una persona visibilmente ammalata ed essersi poi portati le mani al naso o alla bocca». 
Quali sono i sintomi? 
«La febbre a 38o 38,5, di solito accompagnata da mal di gola. Poi arrivano fatica intensa, diarrea, vomito, dolori articolari e addominali, cefalea... E la febbre diventa molto alta». 
Chi ha un dubbio cosa deve fare? 
«Il medico valuterà se e dove fare accertamenti. Nella maggior parte dei Paesi africani ora è stagione delle piogge, è probabile semmai che abbia contratto la malaria. L`incubazione di Ebola va da 2 a 21 giorni: se sviluppa la febbre dopo 4 settimane dal ritorno dall`Africa è sicuro che ha altro». 
Cosa succede a chi si ammala? 
«Viene isolato per monitoraggio e trattamento: idratazione, nutrizione, farmaci per patologie associate. Si mira a tenere il corpo in buona condizione per permettergli di combattere il virus, che si replica giorno dopo giorno indebolendolosempre più». 
 
 
 
Immigrati, una famiglia su tre vive in povertà
Avvenire, 31-07-14
Paolo Lambruschi
Oltre un terzo delle famiglie straniere in Italia vive in condizioni di povertà anche se il capofamiglia lavora. In media, il reddito dei nuclei degli immigrati è pari alla metà circa di quello degli italiani. Lo sostiene uno studio della Fondazione veneziana 'Leone Moressa', tra primi a fotografare la condizione di marginalità economica e sociale dei nuclei stabili e regolari per residenze e occupazione. Famiglie integrate, ma povere, dunque. 
«In Italia – sostiene lo studio – il 34% delle famiglie straniere vive sotto la soglia di povertà. Possono contare su un reddito medio annuo di 16.629 euro, derivante nell’84% dei casi da lavoro dipendente. Il consumo annuo, che ammonta a 17.593 euro (964 euro di differenza, ndr) non consente alle famiglie di risparmiare, ma le porta invece a intaccare i risparmi o ad indebitarsi. Sono inoltre poche quelle che posseggono una carta di credito, solo il 7,8% rispetto al 30% delle famiglie italiane».
La Fondazione rileva che «oltre il 70% delle famiglie straniere vive con meno di 20mila euro all’anno, contro il 34% di quelle italiane». Il basso reddito per i magri salari è la principale causa della povertà di molte famiglie straniere. Da rilevare la disuguaglianza tra redditi medi stranieri e italiani. I primi ammontano infatti mediamente a 16.629 euro, quasi la metà di quello di una famiglia italiana che è di 31mila euro. La quota di individui stranieri definiti «poveri» risulta pari al 33,9%. Per i componenti di famiglie italiane i poveri sono il 12,4%. La recessione, secondo la Moressa «sta mostrando come gli stranieri siano l’anello debole del mercato del lavoro e rischia di privare gli immigrati dell’unica fonte di reddito su cui le famiglie possono fare affidamento: il lavoro dipendente». Senza lavoro, tra l’altro, gli stranieri rischiano di perdere la regolarità del permesso di soggiorno. 
La povertà tra i migranti deriva dalla composizione stessa delle famiglie, in prevalenza monogenitoriali (37,8%) e giovani (quasi il 27% ha meno di 34 anni) e dalla peggiore condizione professionale. Mentre gli stranieri sono in prevalenza dipendenti (86%) e occupano i ruoli più bassi – solo il 2% ha la qualifica di operaio; impiegati o dirigenti sono appena il 3,6% – il 43% dei capifamiglia italiani è dipendente (appena il 20% ricopre ruoli da operaio) e l’11% è un lavoratore autonomo. Quasi quattro soggetti su dieci sono pensionati. Infine, il 70% degli stranieri del campione si concentra nelle aree settentrionali del Paese dove il costo della vita è più elevato, il 20% al Centro e appena il 6,4% al Sud. 
Si comprende come molte famiglie immigrate non riescano quindi a risparmiare, anzi. La loro propensione media al consumo, ovvero il rapporto tra consumo e reddito, è pari al 105,8%. Resistono grazie alla rete solidale della comunità. Per contro, una famiglia di origine italiana spende all’anno 25.283 euro risparmiandone mediamente 6.000 con una propensione al consumo di 25 punti percentuali inferiore, l’80,5%.
La crisi ha fatto perdere alle famiglie oltre 4.000 euro: quelle straniere ne hanno persi 2.000, le italiane il doppio. Ma si registra per entrambe, secondo la Fondazione specializzata nell’immigrazione, una perdita di circa il 13% del reddito.
 
 
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