Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 aprile 2011

A Tunisi missione incompiuta La Ue: sì all'asilo temporaneo
Avvenire, 05-04-2011
Rimpatriare i mille già identificati subito e programmare le partenze di altrettanti entro la fine della settimana: dopo l'incontro tra Berlusconi e il premier tunisino Beji Kaid Essebsi, i tecnici del Viminale sono rimasti a Tunisi con quest'unico obiettivo. Perché la via d'uscita dall'emergenza immigrazione, continua a ripetere il ministro dell'Interno Roberto Maroni, è quella di bloccare gli sbarchi e rimpatriare chi arriva.
La partita dei rimpatri è la più difficile, come conferma anche l'agenzia ufficiale tunisina Tap sottolineando che "nessun accordo è stato annunciato" tra Tunisi e Roma. Su questo sta lavorando il direttore del Dipartimento dell'immigrazione e delle frontiere della polizia, il prefetto Rodolfo Ronconi, che è rimasto a Tunisi per trattare con le autorità locali. E l'obiettivo è proprio quello di portare a casa un consistente numero di rimpatri tanto che l'ultima ipotesi su cui si starebbe lavorando ne prevederebbe 400 al giorno, a partire da mercoledì. In cambio, l'Italia ha messo sul piatto addestramento e mezzi per le forze di polizia (una decina di motovedette, una cinquantina di jeep, apparecchi radar) per un valore di 75 milioni, oltre a linee di credito supplementari per circa 150 milioni che consentano di rilanciare le attività economiche.
L'incontro della cabina di regia tra governo, Regioni ed Enti Locali è stato rinviato a mercoledì. E sarà in quella sede che il ministro presenterà alle Regioni la lista dei siti dove dovranno essere allestiti i campi. Che dovrebbero essere a Torino (Arena Rock), Montichiari (brescia), Padova, Fermo, Vipiteno e Viterbo, oltre a quelli già in funzione a Manduria, Trapani, Caltanissetta, Potenza e Santa Maria Capua Vetere. La linea delle regioni, comunque, è chiara e l'ha ribadita ieri il presidente della Conferenza Vasco Errani. I migranti vanno distribuiti in tutta Italia. Inoltre sarebbe bene realizzare "piccoli insediamenti" perche le tendopoli "non sono gestibili" e procedere al rilascio di permesso di soggiorno temporaneo, definito tra l'altro "legittimo" dall'Unione Europea.
Per il momento resta però tutto congelato in attesa dell'ennesima missione a Tunisi. Ed è per questo che la nave Clodia, che avrebbe dovuto attraccare a Taranto con 1.040 migranti destinati alla tendopoli di Manduria, sta facendo rotta per Napoli. Ufficialmente gli extracomunitari dovrebbero andare nel campo allestito a Santa Maria Capua Vetere (dove però ce ne sono già 800) perché è più sicuro, ma la speranza e l'obiettivo è che una volta a Napoli possano essere rimpatriati con gli aerei.
LA LEGA E IL PERMESSO DI SOGGIORNO TEMPORANEO
Silvio Berlusconi ha ottenuto ieri sera il semaforo verde da parte della Lega sulla linea che il governo sta seguendo sul problema immigrazione. Al vertice con il premier, che si è svolto a Palazzo Grazioli, erano presenti Umberto Bossi, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, il ministro della Semplificazione normativa Roberto Calderoli, il vice ministro alle Infrastrutture Roberto Castelli, i capigruppo di Camera e Senato del Carroccio Marco Reguzzoni e Federico Bricolo, la vice presidente del Senato Rosi Mauro. Accordo con la Lega soprattutto sull'ipotesi di concessione di un permesso di soggiorno temporaneo agli immigrati.
Quest'ultimo dovrebbe consentire ai migranti la libera circolazione nei paesi europei dell'area Schengen (non ne fanno parte Gran Bretagna e Irlanda) e quindi di conseguenza allentare la pressione migratoria sull'Italia che rimarrebbe tuttavia uno dei luoghi d'arrivo prescelti per via della vicinanza delle isole siciliane alla costa nordafricana. L'idea di un permesso di soggiorno temporaneo della probabile durata di un anno era stata avanzata nei giorni scorsi da Cecilia Malmstrom, commissaria europea agli Affari regionali, con l'obiettivo coinvolgere tutti i paesi dell'Unione nell'emergenza migratoria.
È stata intanto rinviata ad altra data l'informativa sui temi migratori che il ministro Maroni avrebbe dovuto tenere questa mattina alla Camera. Il responsabile del Viminale tornerà infatti a Tunisi, dove ieri si era recato con Berlusconi per avviare una trattativa con il locale governo.
ARRIVI E PARTENZE
Proseguono intanto a ritmo costante gli sbarchi a Lampedusa (oltre 200 nella sola serata), dove si sono completate le operazioni di evacuazione dell'isola dei migranti che vi stazionavano da molti giorni (sull'isola ne restano 600). Sbarchi si sono verificati anche in Sardegna. In mattinata era arrivata nel porto di Catania la nave Excelsior, salpata da Lampedusa con a bordo 1.731 migranti, 500 dei quali destinati al centro di accoglienza di Caltanissetta, mentre gli altri sono destinati a Trapani e Napoli. La nave da sbarco San Marco della Marina militare è invece attraccata nel porto di Napoli con a bordo oltre 470 profughi destinati alla tendopoli allestita a Santa Maria Capua Vetere.
La nave Clodia arriva questa mattina a Taranto. A bordo ci sono 1.040 immigrati tunisini. La tendopoli di destinazione dovrebbe essere quella di Manduria, dove un centinaio di migranti ha deciso di dormire all'aperto in segno di protesta per i ritardi nell'ottenimento di un permesso d'asilo. La protesta è iniziata domenica sera.



Lampedusa, nuova ondata di sbarchi Maroni: "Oggi l'accordo con Tunisi"
Arrivati oltre 900 immigrati, sale a 1500 il numero complessivo. Il ministro dell'Interno: «Intesa vicina, ieri nessuno strappo»
La Stampa, 05-04-2011
AGRIGENTO  -Riprende l’ondata di sbarchi a Lampedusa (Agrigento) dove dalle 20 di ieri sera e fino a stamani sono 917 i migranti approdati e ospitati nel Cspa e nella ex base militare Loran. Il numero complessivo degli extracomunitari presenti nell’isola è di circa 1.500. Sette gli sbarchi che si sono susseguiti in 12 ore: ieri sera sul primo barcone ne sono arrivati 99; 67 e 52 nei due episodi successivi.
Stamane alle 5, nel primo arrivo della giornata, sono giunti 400 profughi (tra cui 37 donne e 8 bambini) provenienti dalla Libia. Stessa provenienza per un’altra barca, che ha portato a Lampedusa 34 persone, tra le quali 2 donne. Infine, due «carrette» sono arrivate dalla Tunisia, con 77 e 188 extracomunitari.
Intanto sono arrivati ieri sera, intorno alle 22,30, i primi 300 migranti portati in Toscana da Lampedusa, a bordo della nave "La Superba". La loro gioia quando, del porto di Livorno, sono stati prelevati in pullman, e' stata incontenibile. Tra canti e cori, bandiere tunisine e gesti di esultanza dai finestrini, i 300 hanno posto fine ad un viaggio estenuante.
Maroni: oggi accordo con Tunisi
Il ministro dell'Interno Maroni, in Tunisia per l’incontro con il suo omologo Habib Essid, per il piano anti-sbarchi ha illustrato i progressi sull'intesa: «Siamo qui per lavorare e chiudere l’accordo. Speriamo di fare una buona cosa. Ieri non c’è stato uno stop - rimarca il titolare del Viminale - abbiamo continuato a lavorare nel pomeriggio di ieri e continuiamo a farlo oggi».



Immigrati, nessuna intesa con la Tunisia  La Lega: sì ai permessi temporanei
il Giornale, 05-04-2011
ROMA - Rimpatriare i mille già identificati subito e programmare le partenze di altrettanti entro la fine della settimana: dopo l'incontro tra il premier Silvio Berlusconi e il premier tunisino Beji Kaid Essebsi, in cui non si è trovata alcuna intesa, i tecnici del Viminale sono rimasti a Tunisi con quest'unico obiettivo. Perché la via d'uscita dall'emergenza immigrazione, continua a ripetere il ministro dell'Interno Roberto Maroni, è solo una: bloccare gli sbarchi e rimpatriare chi arriva.
Sì della Lega al permesso temporaneo. Intanto, ieri sera a Palazzo Grazioli si è tenuto un vertice tra Berlusconi e la Lega, nel quale è stato dato il via libera da parte del Carroccio alla concessione del permesso di soggiorno temporaneo per i migranti.
A Lampedusa intanto continuano ad arrivare i barconi di migranti, mentre i primi profughi cominciano ad arrivare anche in Toscana, accolti da applausi ma anche da qualche polemica. Altri 62 migranti sono giunti a Lampedusa ieri sera, mentre un'imbarcazione in avaria è tenuta sotto controllo a circa 60 miglia dalle coste. Tende a rientrare la protesta a Manduria, dopo le «fughe» dei giorni scorsi.
Un accordo sull'emergenza «si troverà». Ma «se non rilanciamo la nostra economia, possiamo mettere tutte le navi che vogliamo a guardia delle nostre coste, ma in tre mesi saremo daccapo», ha affermato, in una intervista al Corriere della Sera, il ministro del turismo tunisino Mehdi Havas, secondo il quale serve «un piano da 5 miliardi di investimenti e prestiti a tasso ridotto su scala europea». «Negli ultimi tre mesi - spiega - la nostra economia è andata a picco» e «il risultato è che ci troviamo con 500 mila disoccupati. Se andiamo avanti con questo ritmo produttivo, ci vorranno cinque anni per riassorbirli».
Nel turismo, considerando «anche l'indotto, arriviamo a circa 800 mila occupati» su una popolazione attiva in Tunisia paria a «due milioni di lavoratori». Ma «oggi registriamo una flessione di questo comparto pari al 60%. Se non invertiremo questa tendenza, alla fine della stagione turistica ci ritroveremo con almeno altri 100-200 mila disoccupati» che cercheranno di emigrare. La questione, per Havas, va affrontata «su scala europea, se non mondiale. Serve un piano di aiuti massiccio per i Paesi del Nord Africa». E «l'Europa non può che essere in prima fila».



Francia, ultimo schiaffo all'Italia
"Nessuna redistribuzione di migranti tra Paesi Ue" Poi ricuce sulla Libia:"Roma non è di serie B"
La Stampa, 05-04-2011
ALBERTO MATTIOLI
PARIGI  -La vera solidarietà sull’immigrazione? Appoggiare l’Italia a Bruxelles per farle ottenere i fondi che servono a gestire l’ondata umana in arrivo dalla Tunisia. Ma i respingimenti alla frontiera continueranno e la strada della ridistribuzione degli immigrati nei vari Paesi della Comunità, Roma non si faccia illusioni, è «senza uscita»: troppo complicata, troppo macchinosa e soprattutto troppo lunga.
È il succo del messaggio che la diplomazia francese manda ai media italiani. Probabilmente da questa parte delle Alpi non piacerà, ma almeno è chiaro: la gestione dell’emergenza non è un problema fra Italia e Francia, ma un problema fra l’Italia e la Ue e fra la Ue e i Paesi da cui gli immigrati partono: in primis, la Tunisia. Anzi, dalle solenni stanze del Quai d’Orsay fanno sapere che sull’argomento Silvio e Sarkò hanno lavorato e lavoreranno insieme, che le linee sono convergenti e che, bontà loro, i francesi sono consapevoli che l’Italia è il Paese più esposto. Però l’idea giusta, per Parigi, è lavorare sui tunisini, per ottenere che siano loro a bloccare i migranti alla partenza, invece di dover litigare all’arrivo per stabilire chi li deve ospitare.
Quanto ai respingimenti, la base giuridica è l’accordo bilaterale firmato a Chambéry del ‘97 (e da Prodi, quindi non se ne può dare la colpa a Berlusconi), che consente di rispedire in Italia i clandestini di cui si possa provare, attraverso un «elemento oggettivo», tipo un biglietto del treno, che sono arrivati in Francia appunto da lì (e viceversa: ma, si sa, purtroppo l’Italia è più vicina all’Africa della Francia). Oltre agli immigrati, Parigi rispedisce al mittente anche le osservazioni della commissaria europea Cecilia Wikström, che aveva criticato i metodi spicci della sua polizia: tutto regolare, dicono in sostanza al ministero degli Esteri, i trattati ci autorizzano a fare quel che facciamo, quindi continueremo a farlo.
Mistero anche sull’incontro fra Berlusconi e Sarkozy, annunciato da Palazzo Chigi. Che si faccia è certo, ma la data ancora non c’è. Dovrebbe svolgersi entro la primavera, probabilmente in Italia, e altro non è dato sapere. Il governo francese, però, non gli attribuisce lo stesso peso di quello italiano: in pratica si tratterà di uno dei consueti, periodici vertici italo-francesi, solo reso più urgente dai molti dossier che i due Paesi non vedono allo stesso modo.
In effetti, sulla crisi libica i continui «strappi» della diplomazia francese hanno irritato quella italiana. Ma adesso, con Frattini che riconosce il Comitato provvisorio di Bengasi, al Quai d’Orsay si nota con soddisfazione che l’Italia dice quello che la Francia ripete da settimane: l’interlocutore, in Libia, non è più Gheddafi ma chi se ne vuole sbarazzare. Resta l’intenzione di spargere unguenti sulle piaghe italiane: i rapporti, per carità, sono ottimi, i contatti diplomatici frequenti, e se Berlusconi non ha partecipato alla famosa videoconferenza a quattro fra Obama, Cameron, Merkel e Sarkozy la colpa non è di quest’ultimo, dato che si è trattato di un’iniziativa americana. Quindi l’Italia si lamenti semmai a Washington oppure non si lamenti affatto, dato che a Parigi non la si considera affatto di «serie B» né si vuole trattarla come tale. Però affiora un po’ d’ironia quando si fa sapere che si aspetta ancora l’iniziativa italo-tedesca annunciata da Frattini e poi sparita nei meandri diplomatici europei.
Insomma, a Parigi vorrebbero farla finita con la polemica con Roma. Che i giornali più critici con Sarkozy e il suo interventismo arabo siano quelli più vicini a Berlusconi, ci può stare. Del resto, l’Italia l’ha avuta vinta sul ruolo di coordinamento militare della Nato, che i francesi volevano assolutamente tenere fuori dalla Libia per non irritare gli arabi e che invece hanno dovuto accettare. Adesso, propone Parigi, seppelliamo l’ascia di guerra. La palla passa a Roma.



Accogliere si può
Stefano Galieni
Accogliere si può. Invece di incendiare gli animi con allarmismi inutili, invece di a ammassare in immense tendopoli chi è fuggito da un Paese ancora in condizioni di tensione e crisi – la Tunisia che ha accolto senza batter ciglio 200 mila profughi che hanno attraversato la frontiera con la Libia – se una Regione compie i propri dovere può azzardare un tentativo. Al termine di un lungo colloquio che giovedì ha visto come protagonisti il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi e il ministro dell’interno Maroni è sfumata l’ipotesi di costruire un ghetto per 500 persone, provenienti da Lampedusa, a Coltano, nei pressi di Pisa, nell’ex stazione radar e a realizzare invece piccoli centri sparsi nella regione, gestititi dai Comuni e dal volontariato. Saranno centri di prima accoglienza, ospiteranno persone che usufruiranno dell’art 20 del testo unico sull’immigrazione, che si è già utilizzato durante l’emergenza Kosovo. In pratica chi arriverà in Toscana usufruirà di un permesso di protezione temporanea, non sarà privato della libertà personale – avrà l’obbligo del rientro notturno nei posti assegnati – e nel frattempo potrà cercare di attuare pratiche di ricongiungimento familiare in altri paesi europei, soprattutto in Francia. Domani potrebbe essere stilato un protocollo di intesa fra Regione e ministero, intanto è già definita una decina di siti, concentrati in 4 province, dove potrebbero trovare alloggio decente  persone che per giorni hanno dormito all’addiaccio su quella che a Lampedusa è stata ormai ribattezzata “la collina della vergogna”. Allo stato attuale i centri di accoglienza saranno istituiti presso l’ex ospedale ortopedico di Calambrone, Pisa, 120  persone a Villa Morazzana, nell’ostello della gioventù (Livorno),30 a Montenero –sempre Livorno – in 2 aree a Piombino per 120 posti, presso la Fondazione S.anna,45 (Massa Marittima, provincia di Grosseto)94, nella colonia estiva di Gerfalco, stessa provincia. Nell’interno verrà utilizzata una sede della Comunità Emmaus, ad Empoli,30 posti a Firenze nell’ex convento di Vicomano 35 e poi altri in alcune altre sistemazioni in città per altre 30 persone. Salvatore Allocca, assessore regionale toscano Prc- Fds, è forse la figura istituzionale che ha più lavorato per giungere a questa soluzione: <>. Venerdì c’è stato un primo incontro fra alcune associazioni e l’assessore, ce ne saranno altri in tempi brevissimi e si farà un lavoro di stretto contatto con i sindaci interessati e con tutte le amministrazioni locali coinvolte. L’ipotesi è quella di creare un circuito virtuoso che veda tanti attori compartecipi, da chi materialmente provvederà a garantire i pasti e i servizi essenziali ai profughi a chi ne seguirà le vicende legali. Ci sono le condizioni perché si verifichi una rottura del meccanismo xenofobo e connesso ad una guerra fra poveri fomentata tanto dalla crisi quanto dalle modalità con cui il governo non riesce a gestirla. Nei Comuni interessati, il timore si mescola alle difficoltà a comprendere come quella ottenuta in Toscana sia una grande vittoria politica. Saranno cruciali i primi giorni, quando le persone più attive e sensibili su queste tematiche dovranno svolgere un forte lavoro di mediazione in due sensi, far comprendere ai ragazzi che arriveranno in Toscana come la sistemazione trovata può rivelarsi una occasione da sfruttare e contemporaneamente interagire con la popolazione locale per impedire che si realizzino mura di diffidenza e di ostilità. E mentre già si comincia a delineare una proposta di linee guida per la gestione degli spazi e il loro funzionamento che preveda la possibilità di accesso e di comunicazione garantita con l’esterno, la presenza anche di associazioni che operino in condizioni di totale volontariato e di tutela dei diritti degli ospiti, la libertà di movimento diurno, assistenza sanitaria soprattutto per le persone più vulnerabili e possibilità di inserimento lavorativo, si lavora alacremente per rendere immediatamente disponibili i posti. Non sarà rose e fiori e bisognerà occuparsi in maniera puntuale di ogni locazione ma ci sono ottime premesse. Ottimistico il giudizio di Monica Sgherri, consigliere regionale Prc-Fds, coinvolta anche lei nel costruire relazioni con i territori. Secondo Roberta Fantozzi, della segreteria nazionale del Prc:<>.
05-04-2011



Voglia di vita (e di figli) da ritrovare
Quei giovani, i nostri vuoti
Avvenire, 05-04-2011
Marina Corradi
Li vediamo sbarcare fradici e sfiniti, o caricati in massa su navi che li trasportano verso campi da cui cercheranno di scappare. Ma c’è un elemento che salta agli occhi del più distratto spettatore di tg: come sono giovani, quei ragazzi sui gommoni. Vent’anni, venticinque, anche di meno. Forti abbastanza da superare notti in alto mare, o all’addiaccio; e baldanzosi nel toccare la terra italiana. Scritta in faccia, negli occhi, una determinazione assoluta: ce la faremo; comunque, non torneremo indietro. E certo, ci spiegano, quest’onda è generata dalla rivoluzione in Libia, che ha ributtato in Tunisia 150 mila immigrati: è insomma un’emergenza che si cerca di far rientrare. Ma noi continuiamo a vedere, oltre ogni parola, quell’evidenza: quanto sono giovani. Un esercito di ragazzi che si aggrappa ai bordi dell’Europa, si arrampica a violarne i bastioni. Perché ci prende allora, inconfessata, una sottile ansia, che va al di là dei problemi immediati di accoglienza e ordine pubblico?
È che noi siamo vecchi, lo è l’Europa e anche l’Italia lo è sempre di più.  L’età media delle popolazioni nordafricane è attorno ai 27 anni: giovani, mentre in Italia solo il 10 % della popolazione è nell’età fra i 15 e i 24 anni, quella dei ragazzi dei gommoni. Un’inquietudine ci prende davanti alle immagini da Lampedusa: come se questi ventenni, e gli altri dall’Africa e dall’Est, venissero a prendere il posto dei figli che l’Occidente non ha avuto, a colmare il vuoto generazionale aperto nell’Europa della fecondità avara. Come se, in un equilibrio di vasi comunicanti, gli uomini inesorabilmente tendessero a ridistribuirsi. Non sanno, i ragazzi del Maghreb, niente della crisi demografica dell’Europa, ma è come se istintivamente percepissero che uno spazio per loro, anche se noi diciamo di no, qui c’è.
Basterebbe del resto guardare una qualsiasi tv occidentale con gli occhi loro, per capire che questa Europa appare, appena al di là dei suoi confini, una terra prospera: dove si mangia abbastanza perché altri possano vivere di ciò che resta sulla tavola. Non è vero forse? Negli ultimi anni gli italiani hanno perduto molte migliaia di posti di lavoro, mentre gli immigrati ne hanno guadagnato quasi altrettanti, prendendo i lavori che i nostri figli giudicano inaccettabili. Intuiscono un varco: poche centinaia di euro al mese, un letto in una camera affollata. Basta, per cominciare. E nella sostanza non è una storia molto diversa da quella di tanti italiani che negli anni Cinquanta partivano per la Ruhr.
Ma la sfacciata giovinezza dei giovani tunisini, oggi, confrontata con i nostri invecchiati orizzonti, ci fa pensare a qualcosa di più che una contingenza della cronaca; ci fa pensare che quello a cui assistiamo sia storia. Che i barconi gremiti siano parte di un movimento inarrestabile. Ci spaventa la massa che preme, altra da noi; ci spaventa tanto che l’Europa non vuol saperne niente, e la Francia chiude ermeticamente i suoi confini. Abbiamo addosso un oscuro timore: là dove si è creato un vuoto, arriveranno altri, a riempirlo. È ciò che è sempre accaduto, del resto. Ma, l’Occidente, la sua cultura, la sua fede, che ne sarà fra cinquant’anni, se i figli saranno, in tanti, figli degli altri? Seria domanda, che già indica come sia illusorio pensare solo e  semplicemente di blindare il Mediterraneo (prima o poi nel punto di minore resistenza il flusso riprenderebbe, come per legge di natura).
Non può bastare. Naturalmente dobbiamo aiutare lo sviluppo delle economie di quei Paesi. Ma, da questa parte del mare, abbiamo bisogno di voglia di continuare, e di coraggio, e di figli. Ci preoccupiamo tanto oggi, da noi, di garantirci una "degna" morte. Chissà quelli dei gommoni, che ne pensano. Alzerebbero le spalle: la morte? Per noi, direbbero, viene quando vuole,  anche a vent’anni, in una notte in mezzo al mare. Non abbiamo tempo per pensare alla morte, noi, ragazzi del Maghreb: noi che partiamo sfidando il destino, noi che vogliamo, con tutte le nostre forze, vivere.



Immigrazione/ Min. Turismo Tunisia: serve piano Ue da 5 miliardi
Affaritaliani.it, Martedi, 5 Aprile 2011
Un accordo sull'emergenza 'si trovera''. Ma 'se non rilanciamo la nostra economia, possiamo mettere tutte le navi che vogliamo a guardia delle nostre coste, ma in tre mesi saremo daccapo'. Lo afferma, in una intervista al Corriere della Sera, il ministro del turismo tunisino Mehdi Havas, secondo il quale serve 'un piano da 5 miliardi di investimenti e prestiti a tasso ridotto su scala europea'. 'Negli ultimi tre mesi - spiega - la nostra economia e' andata a picco' e 'il risultato e' che ci troviamo con 500 mila disoccupati. Se andiamo avanti con questo ritmo produttivo, ci vorranno cinque anni per riassorbirli'. Nel turismo, considerando 'anche l'indotto, arriviamo a circa 800 mila occupati' su una popolazione attiva in Tunisia paria a 'due milioni di lavoratori'. Ma 'oggi registriamo una flessione di questo comparto pari al 60%. Se non invertiremo questa tendenza, alla fine della stagione turistica ci ritroveremo con almeno altri 100-200 mila disoccupati' che cercheranno di emigrare. La questione, per Havas, va affrontata 'su scala europea, se non mondiale. Serve un piano di aiuti massiccio per i Paesi del Nord Africa'. E 'l'Europa non puo' che essere in prima fila'.



Lampedusa conta i danni in attesa di nuovi sbarchi
Terra, 05-024-2011
Susan Dabbous da Lampedusa
CRONACA L’isola sembra svuotata dopo il trasferimento di quasi 4mila migranti. Restano però pesanti sul territorio le tracce della loro permanenza. I cittadini si preoccupano del futuro
Arrampicato sulla “collina della vergogna”, un uomo sulla cinquantina riprende il suo telone per coprire la barca che aveva prestato nei giorni scorsi ai tunisini accampati sul piccolo promontorio vicino al molo. «Non ci sono più - dice - sono andati via tutti, mi riprendo il mio telo, anche se me lo hanno rotto». Il pescatore lampedusano è l’unica persona sulla cima della collina, intorno a sé solo sporcizia e tende di fortuna ormai vuote. L’esercito pulisce. I 4mila migranti che attendevano lì da giorni, dormendo all’aperto, sono stati imbarcati quasi tutti domenica scorsa. Di loro ne restano un centinaio. Domenica, però, il bel tempo ha favorito nuovi sbarchi: 800 persone in tutto, tra cui anche due donne e un fotografo italiano, Giulio Piscitelli.



Calvario finito: Lampedusa liberata in 96 ore
Strade praticabili, negozi riaperti e pulizie in corso. Dopo mesi di emergenza la gente festeggia: "L’isola è di nuovo nostra".  Tanti ringraziano Berlusconi che ha mantenuto la promessa. Ma agli anti-Cav non basta: "Ora vediamo con gli sbarchi..."
il Giornale, 05-04-2011
di Mariateresa Conti
C’è il bar che chiude, per una bella pulizia straordinaria dopo l’ondata. C’è il negozio di souvenir che riapre, dopo settimane di barricate e l’esercizio commerciale aperto sì, ma con l’ingresso chiuso a chiave. E ci sono i più anziani, che si riappropriano della loro piazza, della loro panchina: «Era settimane - dicono - che non potevamo stare qui. Ora siamo tornati, e speriamo di restarci. Questa è roba nostra, non degli immigrati».
È il giorno della «riconquista» di Lampedusa per gli isolani. Un lunedì di festa e di ringraziamento, con tanto di veglia di preghiera davanti alla chiesa, perché rivedere le strade dell’isola libere, senza neanche uno dei disperati che per settimane l’hanno martoriata, sporcata, ferita, in giro per la città, ha davvero il sapore del miracolo. Un miracolo che i lampedusani, unanimi, attribuiscono in larga parte al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Gli anti Cav al massimo dicono «vediamo che farà adesso con gli sbarchi». Ma la promessa numero uno, l’isola liberata, è stata mantenuta. In quattro giorni contro i due e mezzo previsti. Il premier, mercoledì scorso, aveva parlato infatti di 48-60 ore per, parole sue, una Lampedusa abitata solo dai lampedusani. Ne sono trascorse un po’ di più, circa 96, colpa del mare che per due giorni ha impedito i trasferimenti. Ma già domenica pomeriggio via Roma e la zona del porto si sono svuotate. E gli isolani non sono fiscali, Lampedusa isolata per maltempo è la norma della loro vita quotidiana. E riconoscono: «La nostra isola è tornata libera».
Si respira rinascita a passeggiare per il centro di questa Lampedusa di nuovo bellissima, con spiagge che tolgono il fiato e un clima che già adesso permette di andare al mare. È la stessa gente del posto a pulire le strade, a riaprire i negozi, a riprendere le attività quotidiane paralizzate da due mesi di assedio, perché l’emergenza vera, ricordano tutti, è cominciata ben prima che giornali e tv se ne accorgessero, ai primi di febbraio. Certo, le ferite in alcune zone ci sono ancora. Guardare il mare di Cala delle palme diventato un tappeto di bottiglie di plastica stringe il cuore, vedere le tende improvvisate che costellano la collina sopra il porto trasformata in collina della vergogna, è il segno dello tsunami di clandestini appena passato. Ma è andata, i danni si riparano, si va avanti.
«La vita è adesso», canta il lampedusano onorario Claudio Baglioni diffuso a tutto volume in una delle strade del centro riconquistate. E «adesso» è la stagione turistica alle porte da rilanciare, al centro ieri di un vertice con l’assessore siciliano al turismo Daniele Tranchida, che ha promesso attività promozionali e spettacoli. Lampedusa vive di vacanze. E gli imprenditori hanno fiducia nel governo. Loro vogliono «fare», come ama dire il premier. E non vogliono sovvenzioni, solo sostegno per superare le difficoltà provocate dall’assedio, come accordi con le banche per superare il gap tra investimenti fatti prima dell’assedio e le caparre delle vacanze che non ci sono ancora.
Lampedusa è tornata Lampedusa. E quasi fa impressione passeggiare per l’isola a chi è arrivato qui nei giorni clou dell’emergenza. Fa impressione Cala delle palme, poche centinaia di metri dalla banchina del porto vecchio, il quartier generale dei clandestini: al mattino è ancora zeppa di tende improvvisate sulla spiaggia, il mare ridotto a un immondezzaio, nel primo pomeriggio la piccola spiaggia è già tornata spiaggia, le bottiglie in mare ci sono ancora ma con piccole escavatrici che le raccolgono anche quelle vanno via, a poco a poco. Gli uomini in tuta bianca e mascherina che modificano la zona hanno fatto il miracolo. Ha cambiato volto anche il porto, la stazione marittima. Sembra quasi incredibile vedere il normale traffico di camion e non migliaia di immigrati in assetto di polveriera pronta a esplodere. La collina della vergogna no, quella sino a sera mantiene il suo volto di accampamento improvvisato. Ma è un accampamento abbandonato, se ne accorgono anche i gabbiani che senza nuovi rifiuti non si affollano più a stormi sull’area.
Non è che per magia gli immigrati siano spariti. Nel locale centro di accoglienza - ieri al centro di una polemica perché un deputato del Pdl, Enzo Fontana, è riuscito a visitarlo al contrario dei Pd Furio Colombo e Andrea Sarubbi - ci sono ancora circa 800 migranti. E alla base Loran, con i minori ancora non identificati, ci sono stati ancora ieri momenti di tensione, per la protesta di quelli rimasti a terra.
L’attracco di Cala pisana è il cuore dell’operazione svuotamento che si sta concludendo: ieri sera hanno lasciato l’isola altri 450 immigrati, a bordo della «Catania», rimane un altro traghetto, il «Flaminia», pronto a portar via gli 800 rimasti. E i migranti che continueranno ad arrivare. Perché adesso il vero nodo sono i nuovi sbarchi. Domenica notte, intorno alle 2 e mezza, è arrivato l’ennesimo carico, 210 tunisini, tra cui quattro donne e due bambini. E il flusso, col il mare calmo, non si ferma, cinque barconi per un totale di circa 800 persone avvistati nel pomeriggio. Ma con le navi che li portano via subito la situazione è tornata quella di sempre, non c’è più un solo immigrato che bivacca in strada. Insomma, Lampedusa è incantevole e bellissima come sempre. Prenotare un aereo e fare una vacanza nell’isola per credere.



Immigrati/ Primi trasferimenti in Toscana
Affaritaliani, Martedi, 5 Aprile 2011 - 07:51
Continuano i trasferimenti da Lampedusa, e continuano gli arrivi dal Nord Africa. Dopo che ieri l'isola e' stata pressoche' svuotata, nella notte sono giunti circa 300 immigrati, su diverse imbarcazioni. Nel frattempo, si sono registrati i primi arrivi in Toscana. La "Superba" ha attraccato a Livorno ieri sera. Da qui i circa 300 clandestini che erano a bordo saranno distribuiti in diverse strutture in tutta la regione. La Toscana, infatti, ha rifiutato le tendopoli, mettendo invece a disposizione una dozzina di strutture. Altri 200 nordafricani sono attesi entro domani (la "quota assegnata alla regione e' infatti di 500). Non sono mancate alcune polemiche. I cittadini hanno protestato a Calambrone (Pisa), bloccando di fatto i lavori di sistemazione dell'ex ospedale che dovra' accogliere gli immigrati, mentre a Montopoli Valdarno ai clandestini - che vengono alloggiati in una struttura della diocesi di appartenenza (San Miniato) - sono stati riservati alcuni cori di contestazione



Clodia, la nave dei disperati la meta finale è Civitavecchia
Il traghetto della Tirrenia dopo la partenza da Lampedusa, ha cambiato città di arrivo diverse volte: sarebbe dovuta andare a Taranto, poi il cambio con Napoli. Ora il viaggio sembra finito. Seicento ottanta migranti, quasi tutti tunisini, sono destinati alla caserma "De Carolis"
la Repubblica, 05-04-2011
GIOVANNI GAGLIARDI
Dovrebbero arrivare in nottata a Civitavecchia i circa mille immigrati provenienti da Lampedusa. Gli extracomunitari, sono per la quasi totalità di nazionalità tunisina e si trovano a bordo della nave "Clodia". Il traghetto della Tirrenia dopo la partenza da Lampedusa, ha cambiato città di arrivo diverse volte: sarebbe dovuta andare a Taranto, poi era stato deciso un cambio con Napoli. Adesso, infine, il viaggio sembra finito. Seicento ottanta dei 1.040 migranti sono destinati alla caserma "De Carolis".
La notizia è stata ufficialmente notificata al sindaco Gianni Moscherini nella serata di ieri dal prefetto di Roma Pecoraro, che gli ha comunicato anche la organizzazione logistica del campo. Il primo cittadino ne ha poi questa mattina dato notizia durante la seduta del Consiglio Comunale, che sta dibattendo il bilancio di previsione.
"Il prefetto - ha dichiarato il Sindaco - mi ha esplicitamente detto che la situazione è transitoria, ma non sono in grado di dire per quanti giorni i profughi resteranno a Civitavecchia". La caserma "De Carolis" è già approntata a ricevere le centinaia di immigrati in arrivo, mentre è stato approntato un piano per il trasferimento che sarà coordinato, su indicazione del ministero degli Interni, dal dottor Fabrizio Calzoni della Polizia di Stato.
Sul posto sono stati inviati 160 agenti che originariamente erano destinati ad essere impiegati nei prossimi giorni per la vigilanza presso il centro di Manduria. Nella struttura pugliese, quindi, l'attuale contingente complessivo di polizia è rimasto invariato sotto il profilo numerico.
La presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha convocato, a quanto si è appreso, un vertice nella sede della Giunta regionale per affrontare, tra l'altro, il previsto arrivo della nave Clodia con un migliaio di migranti al porto di Civitavecchia. Alla riunione è presente anche l'assessore alla sicurezza Giuseppe Cangemi.



MMIGRATI: NELLA NOTTE A LIVORNO ARRIVATI 304, ACCOLTI IN 12 STRUTTURE
(ASCA) - Firenze, 5 apr - E' arrivata al porto di Livorno alle 22.30 di ieri la nave 'Superba' che trasportava i primi 304 migranti tunisini accolti in Toscana.
Quarantacinque minuti piu' tardi sono usciti dalla stiva i pullman che hanno portato i migranti in 12 in piccole strutture sparse in sette province: Siena, Pistoia, Grosseto, Livorno, Firenze, Pisa e Arezzo.
Stamani i migranti saranno accompagnati in questura per la verifica dell'identita' e le pratiche di rito e nei centri arriveranno anche gli assistenti legali e gli interpreti.
I luoghi d'accoglienza sono presidiati dalle forze dell'ordine, in attesa almeno che venga deciso se sara' applicato o meno l'articolo 20 del testo unico sull'immigrazione, invocato anche dal presidente Enrico Rossi: ovvero il permesso di soggiorno tempora neo per sei mesi, per motivi umanitari.
Le strutture toscane sono organizzate dalla Protezione civile regionale, in accordo con le prefetture, gli enti locali interessati, l'episcopato toscano e con le associazioni del volontariato. Il primo compito sara' quello di censire gli immigrati assegnati ai diversi centri e per far questo sara' usato lo stesso programma di registrazione utilizzato nella gestione dei campi realizzati in occasioni di emergenze.
Ogni struttura di accoglienza e' gia' dotata di un presidio sanitario, organizzato dalle Asl competenti per territorio.
Infine la logistica ha previsto, laddove non siano gia' presenti centri di cottura (come risulta in molte strutture), l'utilizzo di servizi esterni per la regolare fornitura dei pasti, nel rispetto delle prescrizioni religiose degli ospiti.
Per domani e' atteso l'arrivo di altri 200 migranti.



I sindaci del Carroccio: via sui B52
il sole, 05-04-2011
Paolo Bricco

MILANO  -Gli amministratori locali e i vertici nazionali della Lega Nord si ricompattano sul l'emergenza immigrati e sul rifiuto di accoglierli. Tutti dietro a Bossi e a Maroni.
In pochi giorni si è ridotta a zero la distanza fra il "partito" dei sindaci del Carroccio e i dirigenti "romani" del movimento che si era creata negli ultimi mesi su alcuni temi cruciali, come la capacità di spesa degli enti locali e il rapporto con Berlusconi.
«Altro che ospitarli nelle strutture del nord, bisogna rimandarli in Tunisia sui B52 e basta», dice Sandy Cane, americana del Massachusetts e primo esponente di colore della Lega a diventare sindaco. Cane è sindaco di Viggiù, 5mila abitanti vicino a Varese. «I miei Stati Uniti hanno fondato la loro storia sulla capacità di integrare masse enormi di immigrati? Sì, ma era un altro periodo storico. Provi adesso a entrare illegalmente dal Messico in Arizona e poi vede cosa le succede. È un problema di spazi vitali. L'Italia non li ha. Se mi mandano mille tunisini a Viggiù, io mi sparo». E Lampedusa? «Lampedusa è una vergogna. Nemmeno il mio cane, che sta sul divano del salotto, viene trattato così. Bisogna soccorrerli e rifocillarli». E poi? «Beh, dopo vanno rimessi sui B52 e rispediti a casa».
I sindaci della Lega Nord non vanno molto per il sottile: la distinzione fra profughi e clandestini non incontra un grande favore. Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella in provincia di Padova, emise nel 2007 l'ordinanza "anti-sbandati" con cui chiedeva, per rilasciare la residenza, dei documenti (per esempio la busta paga) che dimostrassero la capacità dello straniero di mantenersi da solo. Allora gli valse un avviso di garanzia, poi archiviato. Due anni dopo, le stesse richieste vennero incluse del decreto Maroni. «Sono tutti clandestini – sostiene Bitonci – ed è sbagliata la linea dei sindaci radunati nell'Anci di porre dei distinguo. Il presidente dell'Anci Chiamparino, di Torino, e il vicepresidente con delega all'immigrazione Zanonato, di Padova, sono entrambi del Pd. E la fanno troppo lunga sui rifugiati. Ma dove sono? Come fai a capire chi è un profugo politico e chi è un clandestino? Noi siamo contrari anche a Berlusconi che invita i comuni a prendersi una quota di questi qua». La paura di doversi prendere "questi qua" è molto forte fra gli amministratori leghisti. La giunta di Ghedi, in provincia di Brescia, ha deciso in passato di non concedere le case comunali agli stranieri. «La gente mi ferma per strada – sostiene il vicesindaco Gianluigi Boselli – hanno il terrore che gli immigrati possano essere radunati in una caserma vicino alla vecchia base missilistica di Montichiari, che è a cento metri dal nostro municipio. La linea Bossi-Maroni, per me, è ancora poco. A parte l'ordine pubblico, quanti lavori porterebbero via ai nostri compaesani? C'è una crisi tale che ormai le bresciane fanno i corsi per diventare badanti. Altro che usare gli immigrati per i lavori più umili...».
L'accelerazione impressa dal dossier immigrati cancella le sfumature fra le anime del mondo leghista. Diego Locatelli, sindaco di Brembate di Sopra, è insieme un uomo del Carroccio e un cattolico delle valli bergamasche. «Prima di questo esodo biblico – dice - non abbiamo mai lesinato gli aiuti alle famiglie, indipendentemente dalla religione e dalla nazionalità. L'importante è che fossero regolari. Ora, esiste senz'altro una differenza fra rifugiati e clandestini, ma ci vuole un bello sforzo per capirlo caso per caso».
Così, si ritorna al vecchio slogan leghista degli anni Ottanta: "aiutiamoli a casa loro". «Non c'è dubbio – conclude Locatelli – che occorra pressare il governo tunisino perché mantenga i patti sottoscritti. Le proporzioni sono diverse, lo so, ma è sempre una questione di regole. Noi, nel nostro piccolo comune, abbiamo deciso di non fare alcuna differenza sugli aiuti per le rette scolastiche e per i buoni mensa. Ora, se c'è un patto, che i tunisini lo rispettino. Sennò, se li riprendano tutti».



«Profughi, Maroni non ha cavato un ragno dal buco»
il Giornale, 05-04-2011
È arrivato il giorno della verità. Oggi il governo dovrebbe comunicare alle regioni i numeri, i luoghi e i tempi dell’accoglienza dei profughi. E si saprà qualcosa di più preciso anche sull’ipotesi di una tendopoli in lombardia. Per ora si rincorrono solo voci, tante delle quali gonfiate ma poi smentite dalle fonti ufficiali. Al momento tra le più quotate, per un possibile accampamento, c’è un’area vicino all’aeroporto di Montichiari, nel Bresciano. Esclusa invece l’ipotesi di Lonate Pozzolo, vicino allo scalo di Malpensa («la nuova Lampedusa»).
In attesa delle decisioni, montano le polemiche sul rischio di infiltrazioni dei clandestini tra i libici in fuga dalla guerra. A lanciare il sasso è il vicesindaco Riccardo De Corato: «Se Milano non sarà invasa da clandestini, lo si dovrà all’intervento diretto, a Tunisi, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e alle sue straordinarie capacità. Maroni a Tunisi ci era andato più di una settimana fa, ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco. E di fronte all’emergenza sbarchi manco era riuscito a trattenere i migranti dietro a una rete. Bucata o saltata all’occorrenza». L’accusa viene immediatamente rimbalzata dalla Lega, che va oltre la questione profughi e porta il discorso sulle elezioni comunali. «Dopo le dichiarazioni del vicesindaco De Corato - sbotta Davide Boni, presidente del Consiglio regionale lombardo - sull’operato del ministro Maroni, sono sempre più convinto che a Milano il prossimo vicesindaco debba essere un leghista». E la risposta ha tutt’altro che l’aria di una butade ma suona più come la rivendicazione della poltrona su cui il Carroccio ha messo gli occhi da tempo.
Sulla questione clandestini, Boni, sprona a stare tranquilli: «I clandestini saranno rimpatriati e gli sbarchi dalla Tunisia saranno bloccati: oggi Maroni sarà nuovamente a Tunisi per concludere l’accordo a dimostrazione che la Lega Nord tiene fede alle promesse garantendo la tolleranza zero nei confronti dell’immigrazione clandestina e maggiore sicurezza a tutti i cittadini».
Cauto ma ottimista il presidente lombardo Roberto Formigoni: «Confidiamo che le autorità tunisine rispettino i patti e aiutino l’Italia a liberare le proprie città da questa invasione di immigrati che sono del tutto irregolari».
«Gli immigrati - aggiunge il presidente Formigoni - vanno stabiliti annualmente attraverso quote, lo fanno tutti i Paesi europei, se poi arriva un afflusso straordinario di 20mila, persone come sta accadendo, è chiaro che questo crea notevole disagio».
Oggi al tavolo al Viminale sarà presente l’assessore lombardo alla Protezione civile Romano la Russa che, si spera, tornerà a Milano con in mano l’elenco dei siti in cui verranno ospitati i profughi. Si prevede che sarà accesa la discussione sui criteri di distribuzione degli immigrati, regione per regione.



Naufragi e morte, ma si parte ancora «Abbiamo paura»
Avvenire, 05-04-2011
Marco Benedettelli
Non si hanno più notizie di quei quattro ragazzi da una ventina di giorni. Scomparsi nel nulla. Senza più chiamare, o lasciare un messaggio. Kasserine non ha ancora smesso di piangere i martiri della rivoluzione contro Ben Alì, che già si torna a piangere altre vittime. Quelle scomparse nel viaggio verso l’orizzonte, destinazione Lampedusa. Si chiamano Omri Nabil, Thiya Rabhi, Riath Janhawi, Akrem Nasri. «Scrivete i loro nomi, informatevi di loro, in Italia, e se venite a sapere qualcosa fatecelo sapere», chiede implorante un ragazzo con la schiena attraversata da una cicatrice profonda, la ferita lasciata dai proiettili della Guardia Nazionale di Ben Ali nei giorni di gennaio, in pieno tumulto rivoluzionario, quando, in questa città arretrata e depressa nel cuore della Tunisia, persero la vita settanta persone.
I quattro ragazzi sono salpati da Sfax, intorno al 15 marzo, negli stessi giorni in cui quaranta tunisini sono finiti inghiottiti dal mare a pochi chilometri dalla partenza, dopo il rovesciamento del loro barcone. Erano tutti disoccupati, come la maggior parte dei giovani di Kasserine e dei manifestanti per la libertà che hanno perso la vita negli scontri. All’indomani della tragedia del 15 marzo, per alcuni giorni drappelli di familiari hanno protestato a Tunisi davanti al Palazzo del governo, nella Kasbah,e innanzi all’Ambasciata d’Italia in Rue de Russie.
«Aiutateci a ritrovare i nostri ragazzi», hanno gridato per giorni, scavati dal dolore, vestiti a lutto, con in mano la foto dei loro cari di cui non si sa più nulla. Volti di giovani e giovanissimi, tutti uomini, saliti a bordo di una nave salpata dall’arcipelago di Kerkennah, a pochi chilometri da Sfax, e scomparsa fra le due sponde così vicine del Mediterraneo. L’Ambasciata d’Italia ha ricevuto la delegazione dei familiari, ha registrato i nomi dei dispersi e li ha comunicati alle autorità Italiane. Ma ancora si attende che i flutti restituiscano quei corpi.
Timore, ansia, angoscia per la sorte di chi parte montano come un’onda su tutte le spiagge del Paese. La paura che il sogno europeo si trasformi nell’incubo del naufragio proietta la sua ombra sul popolo degli harraga, che si accalca sulla costa. A Sfax un pescatore ci parla con gli occhi rossi di pianto: «Due giorni fa da questo porticciolo sono partite tre barche. Sappiamo che ne è arrivata solo una. Delle altre due, non abbiamo avuto più notizia», e indica una banchina di legno che si allunga sul mare, da dove, fra qualche ora, è in programma un’altra serie di partenze per le Pleiadi. Per molti tunisini è impossibile mettersi in contatto con i familiari arrivati a Lampedusa. C’è chi si ritrova con la batteria del cellulare scarico, e chi non riesce a trovare un telefono nel caos dell’isola. E, ora, con i trasferimenti negli altri campi italiani le comunicazioni possono diventare ancora più difficili.
I quotidiani, sia quelli in lingua araba sia quelli in francese, dedicano articoli su articoli ai pericoli del viaggio. Prima i 40 dispersi del 15 marzo. Poi la notizia dei tre migranti affogati mentre tentavano di raggiungere a nuoto Lampedusa, dopo aver abbandonato il loro natante perché spaventati da un’avaria al motore, quando erano ormai a pochi chilometri dall’arrivo. Degli stessi giorni è la cronaca di un’altra sventata tragedia: un barcone si è ribaltato lasciando in mare i suoi 90 passeggeri, salvati solo per miracolo dalla Marina Nazionale. Ed ora è la volta delle 27 salme, recuperate a largo di Sfax, e dei 68 morti ripescati davanti a Tripoli.
Ma la dissuasione non basta, quando la partenza sembra a portata di mano. «Gli stessi militari, qui, per 30 dirham ti danno un passaggio a Sfax, dove c’è gente che organizza i viaggi per l’Europa», spiega Mohamed, fratello di Walid Saadawi, uno dei martiri di Kasserine. Dopo la morte di Walid, anche il terzo dei fratelli Saadawi aveva deciso di partire per Lampedusa. «Ma gliel’ho impedito – spiega Mohamed, rimasto a fare il capofamiglia – mia madre ha già perso un figlio nella rivoluzione. Non voglio che un altro rischi di finire inghiottito nel mare». Poi si alza, e mostra il buco nel suo giubbotto all’altezza del fianco. «Questa che indosso è la giacca di mio fratello. E questo è il foro lasciato dal proiettile dei cecchini, che gli è costato la vita. Ora di morte non voglio più sentir parlare».
Radwane ha 18 anni, siede sotto un caffè di Zarzis, a due passi dalla spiaggia lungo cui, durante questi mesi, sono salpati migliaia di migranti. «Mi blocca solo la paura del mare», ci spiega. Insieme ad altri ragazzi tiene compagnia a Zidie, un suo amico di infanzia che è in procinto di imbarcarsi per Lampedusa e aspetta solo la telefonata del passeur. Tutti lo prendono in giro: «Zidie, sei il nostro eroe!», ridono per sdrammatizzare. Zidie è agitato, si tormenta le mani, dondola le gambe. Dalla tasca tira fuori un pugno di hashish, ne stacca un pezzo e se lo mette in bocca. «Mi serve per calmarmi», spiega. Poi arriva la telefonata del passeur. Zidie parte per la spiaggia dove lo attende la barca. È notte, il mare è più nero del cielo. Qualcuno è morto sfidando quell’orizzonte. Zidie lo sa, cerca di non darlo a vedere, ma ha paura.



I 500 fantasmi sulle rotte disgraziate "Quel mare è diventato un cimitero"
Negli ultimi venti giorni una strage senza fine. Lanciano l'Sos appena iniziano a imbarcare acqua e poi scompaiono nel nulla. A volte i loro corpi vengono ritrovati dopo giorni, ma i più finiscono inghiottiti nel nulla
la Repubblica, 04-04-2011
ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO
LAMPEDUSA - Lanciano l'Sos appena iniziano a imbarcare acqua e poi scompaiono nel nulla. A volte i loro corpi vengono ritrovati dopo giorni, ma i più finiscono inghiottiti nel nulla. Su un registro, un diario. Sono fantasmi del mare. Quanti ce ne sono in fondo al Canale che divide l'Africa dall'Europa? Quanti uomini e quante donne e quanti bambini sono finiti in questi ultimi giorni di grandi sbarchi in quella tomba che è il Mediterraneo? Nessuno lo sa e forse nessuno neanche lo vuole sapere. È una strage che non finisce mai. A volte conosciamo solo quando comincia, come per quelli salpati dalla Cirenaica la notte del 23 marzo e scomparsi in un imprecisato punto fra la Libia e Lampedusa. Erano 335. Etiopi. Somali. Eritrei. Tutti ammucchiati su un legno fradicio stavano fuggendo dalla guerra civile, erano riusciti a salire a bordo dopo tredici giorni di attesa, il mare era un olio, uno di loro con il telefono satellitare aveva chiamato Roma per avvertire che finalmente ce l'avevano fatta. Il loro amico, Mosè Zerai, sacerdote nero e presidente dell'agenzia umanitaria Habesha che da quindici anni vive per aiutare i profughi, è stato l'ultimo a sentire quelli del barcone.
Ricorda don Mosè: "Mi hanno detto che fra quei 335 c'erano venti donne e venti bambini, stavano bene anche se l'imbarcazione aveva poco carburante, poi il collegamento si è interrotto e non sono riuscito più a mettermi in contatto con loro". Dov'è il barcone con i profughi partiti il 23 marzo da Misurata? A quante miglia da Tripoli o dalla Sicilia è affondato? Padre Zerai ha lanciato l'allarme ma nessuno l'ha mai avvistato e forse nessuno l'ha mai cercato. E racconta Zaid Hagos Salomon, una donna eritrea che abita a Genova e che su quel barcone aveva un figlio: "Teke mi ha chiamato disperato. Mi diceva: "Aiutami mamma, puoi aiutarmi solo tu". La linea cade. La madre chiama la Questura di Genova che gira l'Sos alla Capitaneria di Porto di Agrigento. Ma Teke è svanito in mare. È uno di quei fantasmi. Zaid prega prega per lui da dieci giorni e dieci notti.
Dalla metà di marzo ad oggi sono almeno 519 i dispersi nel Mediterraneo, quelli di cui abbiamo in qualche modo avuto notizia della loro partenza. Più di venticinque al giorno. Affogati. Ma sono solo quelli "ufficiali", quelli che hanno chiamato con il satellitare mentre facevano rotta verso l'altro mondo. Il numero vero potrebbe essere spaventoso. Due volte di più. Tre volte di più. È una tragedia nascosta, sono urla nel silenzio che si perdono nel vento che soffia sul mare.
Dopo i 335 di don Mosè Zerai ecco la drammatica cronaca che fa padre Jospeh Cassar, un gesuita del "servizio per i rifugiati" a Malta. Sono altri 70. Dispersi anche loro. Affogati anche loro. I loro cadaveri sono stati trasportati dalle correnti proprio sulle spiagge da dove erano partiti. È padre Joseph che parla: "Queste informazioni mi sono state comunicate da una persona di cui non posso rivelare l'identità per non mettere a repentaglio la sua vita. Mi ha telefonato ieri sera e mi ha raccontato tutto... mi ha raccontato che le autorità libiche hanno ritrovato sulla costa quei settanta cadaveri di migranti e hanno subito seppellito i corpi senza neppure scoprire chi erano e da dove venivano". Erano tutti neri, tutti provenienti dall'Africa sub sahariana. Spiega ancora il gesuita: "La mia fonte è molto attendibile, già in passato mi ha informato di naufragi che purtroppo si sono rivelati reali".
Trentotrentacinque. Settanta. E sessantotto. Quelli del 25 marzo, anche loro salpati da qualche insenatura della Libia e anche loro tutti eritrei e somali ed etiopi. In mezzo al Canale di Sicilia sballottati da montagne d'acqua, il motore in avaria, un'ultima telefonta e poi più nulla. Don Mosè ha il suo satellitare sempre in mano. Aspetta lo squillo con il cuore in gola. "Mi chiamano di giorno e di notte, i migranti dalle barche e anche i loro parenti che li aspettano qui in Italia. Molte volte finisce come a quei 335, altre volte quelle voci diventano volti e sorrisi di uomini e di donne che incontro qui a Roma. Come Samuel...".
Samuel, che la settimana scorsa aveva telefonato al sacerdote mentre il suo peschereccio imbarcava acqua a prua, erano in 110, tutti sicuri di morire a 45 miglia dalle coste libiche. E poi però si sono salvati. Ogni tanto capita. "Ma solo ogni tanto... da anni nel Mediterraneo ne muoiono a migliaia", dice don Mosè. Nell'assoluta indifferenza. Senza corpi non c'è naufragio. Senza naufraghi non ci sono morti che fanno statistica. Dispersi.
E partono, partono comunque sempre per abbandonare fame e violenze. Sono partiti martedì della settimana scorsa altri 17 su un gommone e in Italia ne sono arrivati vivi soltanto 6. Raccolti fra pezzi di chiglia - erano aggrappati lì da un giorno e una notte - dai marinai di un battello egiziano. E poi portati a terra dalla motovedetta 301 della Capitaneria di Porto di Lampedusa. "Ogni volta che mi avvicino a un barcone prego Dio che mi li faccia trovare tutti salvi... ma non è sempre così", spiega il capo di prima classe Calogero Fiannaca, un siciliano di Realmonte che dal 2000 vive in mare a cercare naufraghi. Dagli aerei della Guardia di Finanza avvistano i barconi, lui e il suo equipaggio poi salpano. È sempre il momento più terribile quello dell'abbordaggio. Non sai mai quello che trovi o quello che non trovi.
"Il giorno dopo quegli undici naufraghi io ho visto un peschereccio stracolmo di corpi immobili, c'erano più di 180 neri a bordo, schiacciati uno contro l'altro e uno sopra l'altro", ricorda Antonino Grimmaudo, comandante del motopesca "Cosimo Aiello" della marineria di Mazara del Vallo. Il comandante aveva anche paura di avvicinarsi a quel barcone, aveva paura che spostando il mare le onde lo mandassero giù per quanto era carico. Si sono salvati.
Ma non si sono salvati gli altri trentacinque, il 15 marzo. Trentacinque su più di cinquecento tunisini. Provenivano da Zarzis, dal profondo sud. È stato Atif a ricostruire tutto, testimone della morte dei suoi compagni, di un bimbo, di tante donne che un attimo prima ha visto vive e un attimo dopo non le ha viste più. Erano dentro il mare. A Zarzis, davanti a una zona che sulle mappe nautiche è segnata come la Chabana, quaranta miglia dall'isola, quella che fino a qualche anno fa era la rotta dei negrieri tunisini, i passeur che trasportavano i neri in Europa.
Una volta lì morivano solo gli etiopi e gli eritrei che riuscivano a fuggire dalla Libia, dove si spaccavano la schiena anche per un anno o due per racimolare i soldi del viaggio per l'Europa. E loro, i tunisini, con disprezzo ascoltavano il respiro del mare e dicevano: "Est la merde du noir". Era la puzza dei cadaveri. Dopo pochi anni il mare di Zarzis butta sempre quell'odore. Ma non ingoia più solo i neri, adesso ingoia tutti.



A Ventimiglia l'ombra delle 'ndrine
Avvenire, 05-04-2011
Dino Frambati
Non solo caos e tensioni. Sul travagliato “confine” di Ventimiglia ora si affaccia l’inquietante ipotesi di un interesse della ’ndrangheta. Che, attratta dal “business” dei migranti diretti in città per raggiungere la Francia, incaricherebbe i passeur di organizzare e controllare i flussi. L’allarme è stato lanciato dopo che nelle tasche di alcuni nordafricani – fuggiti da Lampedusa, dai centri di Manduria e di Santa Maria Capua Vetere nel tentativo di raggiungere l’estremo Ponente ligure – sarebbero stati trovati numeri di cellulari che ricondurrebbero ad esponenti della malavita organizzata.
Notizia né confermata né smentita dalle forze dell’ordine, e che tuttavia potrebbe non allontanarsi troppo dalla realtà vista la forte presenza delle cosche nelle province liguri di Ponente. Com’è già stato appurato in passato, peraltro, l’organizzazione è già specializzata in espatri illegali attraverso il confine tra Liguria e Provenza. L’obiettivo delle ’ndrine, dunque, sarebbe in queste ore quello di entrare in pieno controllo dei movimenti sul confine, mettendo in mano ai passeur “di fiducia” la gestione dei migranti che arrivano in città. Quest ultimi, d’altronde, potrebbero aumentare ulteriormente in numero, come teme anche il sindaco di Ventimiglia Gaetano Scullino, che ha parlato di 400 possibili nuovi arrivi tra stanotte e oggi: «La città è già al limite da giorni – dice il primo cittadino – e non potrebbe sopportare un numero maggiore di persone. Il centro per ora sta funzionando e ci consente di far fronte all’emergenza, ma non è in grado di accogliere un’ulteriore ondata di arrivi».
Intanto proprio nell’ex caserma dei pompieri, adibita a centro di accoglienza e la cui gestione è passata totalmente in mano alla Croce Rossa, si è presentata a mezzanotte di sabato scorso, stremata da un viaggio lungo e faticoso, la prima intera famiglia tunisina: il padre Ahmed, la madre (prima donna ad aver raggiunto la città di confine in questa emergenza), tre figli, di 10, 14 e 15 anni. Sono stati alloggiati in un’ex infermeria, dal momento che nel centro non è prevista la presenza di bambini, dove hanno mangiato e dormito. Sabato scorso nella struttura c’erano solo venti persone, ma la sera si è affollato di nuovi arrivi come testimonia la distribuzione di 240 pasti; a dormire sono però rimasti solo in circa 150.
La convivenza tra ventimigliesi e stranieri resta buona. E mentre Claudio Bosio, segretario generale della Cisl di Imperia, informa che il sindacato è pronto a creare per gli stranieri «uno sportello di orientamento al lavoro, ai servizi sociali, per l’inserimento nella società civile e ad organizzare corsi di lingue», nella tarda serata di ieri a far visita al centro sono arrivati l’assessore all’Immigrazione della Regione Liguria, Enrico Vesco e lo stesso presidente, Claudio Burlando.
 


Colombo visita Cpt Lampedusa Ingresso vietato... ma solo al Pd
l'Unità, 04-04-2011
Arrivato a Lampedusa per visitare il Centro di accoglienza, al senatore del Pd Furio Colombo, accompagnato dal deputato Andrea Sarubbi, è stato vietato l'accesso nel Centro di accoglienza dell'isola. Colombo, che è già in aeroporto per ripartire, spiega che «si è trattato di un provvedimento ad personam: avevamo preparato la nostra visita informando preventivamente il comandante dei Carabinieri che ci ha accolti in aeroporto e accompagnati verso il Centro». «Mentre eravamo in macchina - dice il parlamentare - abbiamo ricevuto una telefonata da un rappresentante della prefettura di Agrigento il quale ci ha detto che oggi era assolutamente vietato l'accesso nel Centro anche ai parlamentari, che come tutti sanno possono visitare anche le carceri senza alcun preavviso». Da quanto si apprende dai responsabili del Cpt, stamattina un altro parlamentare, Vincenzo Fontana del Pdl, ha invece visitato il Centro.
«Il divieto opposto ai nostri deputati ad esercitare una loro prerogativa, cioè visitare i Cpt di Lampedusa e Manduria è grave e inaccettabile e il ministro Maroni spieghi come sia potuto accadere». Lo denuncia Dario Franceschini, presidente dei Deputati del Pd, dopo che oggi i deputati Andrea Sarubbi e Furio Colombo, e sabato Ludovico Vico e Alberto Maritati, non hanno potuto visitare i centri di accoglienza di Lampedusa e Manduria. «Le visite erano state anche preavvisate - sottolinea Franceschini - come atto di cortesia non dovuto, ciò nonostante sono state impedite in base a disposizioni non ben definite del ministro dell'Interno. Ci chiediamo su quali basi si possano sospendere le prerogative dei parlamentari e chiedo anche come sia potuto accadere che nella stessa giornata un deputato del Pdl abbia invece potuto regolarmente svolgere un sopralluogo nel Centro di Lampedusa. Tale notizia è stata infatti confermata dai responsabili del Cpt, come riferiscono le agenzie di stampa. È stata dunque un'esclusione ad personam? È doveroso e necessario un chiarimento da parte del ministro Maroni», conclude.



"Salutatemi i tunisini" è bufera sulla battuta della Polverini
La governatrice: "Stavo solo scherzando". Dal Pd all'Idv a Sel: "Battuta di pessimo gusto". Montini: "Evidentemente a forza di frequentare Palazzo Grazioli anche lei pensa che si possa governare con battute che offendono, come in questo caso, la dignità di persone in difficoltà"
la Repubblica, 05-04-2011
Anche se Renata Polverini, governatrice della Regione Lazio, ha subito detto che quel "Salutatemi i tunisini" uscitole stamattina in occasione della presentazione dei ranger del Tevere era solo una frase scherzosa, "come fanno le persone normaliu" la polemica politica si è accesa come un fiammifero.
Il primo a sparare è il capogruppo pd alla pisana, Esterino Montino. "La Polverini dimostra una mancanza di sensibilità politica, oltre che umana, eccezionale - dice Montini - lasciarsi andare ad una battuta del genere proprio mentre il governo sta trattando, e sembra faticosamente, con la Tunisia, per limitare le partenze dal paese, è fatto da censura grave. A nome dei cittadini laziali chiedo scusa al popolo tunisino garantendo che il Lazio, una delle regioni piu importanti d'italia e sede della capitale, non è rappresentata da quel saluto offensivo. Spero che la Polverini si renda conto della gaffe e senta il dovere di chiedere scusa subito al popolo tunisino".
"Sarà anche stata una battuta, ma di pessimo gusto. Un presidente di Regione non dovrebbe scherzare su questioni così delicate. Da quel 'salutatemi i tunisini' si evince tutto il distacco verso un problema che, evidentemente, viene vissuto dalla Polverini come  meritevole di scherno". Lo dice in una nota Luigi Nieri, capogruppo di sinistra ecologia libertà nel consiglio regionale del lazio.
"Le persone normali, secondo la definizione che la Polverini dà dei cittadini, possono anche fare delle battute sull'argomento. Ma non può fare lo stesso chi è chiamato a responsabilità di governo e ha il dovere di indirizzare i cittadini- aggiunge Nieri- il centrodestra leghista propone gli eserciti regionali. La Polverini scherza sul dramma dei migranti. Oramai non si capisce più chi scherza e chi no. Questo è ciò che il centrodestra oggi è in grado di offrire in italia".
"Il morbo della xenofobia e della battuta ben oltre le righe che il ruolo istituzionale imporrebbe non abbandona la destra italiana. L'immagine della Polverini che urla 'salutatemi i tunisini' mentre si appresta a salpare per un giretto sul Tevere, non si addice certo a un presidente di Regione". Lo dichiara il capogruppo e segretario regionale dell'Italia dei Valori, Vincenzo Maruccio: "Il video sta spopolando in rete e ci regala una Polverini molto diversa da quella che in questi giorni si affanna a dichiarare la sua disponibilità ad ospitare i profughi. La crisi magrebina è un problema serio per il nostro paese, per l'Europa e in generale per gli equilibri nel Mediterraneo, oltre ad essere una grande emergenza umanitaria. Non può essere liquidata con battute vagamente razziste".

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links