Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 settembre 2012

Raid e crisi. L’alba «nera» della Grecia
Il partito di estrema destra cresce ancora nei sondaggi e i suoi deputati si rendono protagonisti di pestaggi contro gli immigrati
La situazione è esplosiva, tra disoccupazione e guerra tra i poveri
l'Unità, 10-09-2012
Teodoro Andreadis
La tensione continua a crescere, con conseguenze che, purtroppo, nessuno è in grado di prevedere. «Alba Dorata» continua a mostrare il suo vero volto, fatto di odio e razzismo senza limite: a ventiquattro ore di distanza, si sono succedute due aggressioni contro venditori ambulanti, che cercavano di sbarcare il lunario, in una situazione sempre più difficile.
La prima, a Rafina, a circa trenta chilometri di distanza da Atene, nel corso di della festa organizzata dalla parrocchia locale, in onore della Madonna. Un militante del partito neonazista, ha da prima, fingendosi poliziotto chiesto i documenti a un immigrato proprietario di un piccolo stand. Subito dopo ha chiamato una decina di complici, sempre membri di Chrysi Avghì («Alba Dorata»), che hanno distrutto tutta la merce degli immigrati.
Al raid hanno preso parte anche due deputati del partito, Yorgos Ghermenìs e Panayotis Iliopoulos, che si sono affrettati a dichiarare: «Abbiamo fatto il nostro dovere». Stessa scena, a ventiquattrore di distanza, in un mercato per le vie di Missolungi, nella Grecia occidentale: con a capo un altro deputato, Kostas Varvarousis, militanti della stessa formazione politica di estrema destra, hanno preso di mira i banchi che a loro avviso «non erano in regola», appartenenti a piccoli commercianti stranieri. In una nuova esplosione di violenza, li hanno distrutti, buttando a terra tutta la merce. Le immagini delle aggressioni razziste hanno fatto il giro del mondo, portando di nuovo alla ribalta la fortissima tensione sociale che caratterizza la Grecia ai giorni della crisi, e le incredibili isterie neonaziste a cui può condurre. La polizia ha reso noto che è stata aperta un’ indagine, e alcuni commentatori riferiscono della possibilità che venga chiesta l’espulsione dal parlamento dei deputati che hanno preso parte ai raid. Una mossa che al momento, tuttavia, appare alquanto improbabile.
La disoccupazione prevista, per l’anno prossimo, in Grecia, sfiora il 35%. La recessione potrebbe superare il 12%, e il governo si prepara ad annunciare il nuovo pacchetto di tagli da almeno undici miliardi e mezzo di euro. In questa situazione mai vista prima in tempo di pace, il partito del generale in pensione Yorgos Michaloliakos, con un simbolo che ricorda moltissimo la croce uncinata cerca di avvantaggiarsi in ogni modo dalla crisi che attanaglia il paese. Gli iscritti distribuiscono viveri nelle piazze delle città, «ma solo per i greci», il portavoce, Ilias Kassidiaris, in piena campagna elettorale, ha aggredito la deputata comunista Liana Kanelli, altri parlamentari vanno nelle zone degradate di Atene, insistendo per accompagnare gli anziani a riscuotere la pensione. E ci si scaglia contro gli extracomunitari che capitano a tiro.
Un incubo, dovuto, in gran parte, alle feroci politiche di austerità, imposte dalla Troika, ed, in primis, dal Fondo Monetario Internazionale. Chrysì Avghì, pesca tra la disperazione della gente, parla di “patria”, “dignità”, “sicurezza”, a chi non ha più nulla in cui sperare, nulla da perdere. E nei sondaggi, continua a salire: secondo una delle ultime rilevazioni demoscopiche, dal 6,9% delle elezioni di giugno, questo partito xenofobo e violento, sarebbe riuscito ad arrivare al 9,5%, diventando, al momento, la terza forza politica del Paese. Alcuni analisti aggiungono che rilevazioni non ancora pubblicate, darebbero percentuali ancora più alte, vicine al 12%.
Il ministro degli interni, Nikos Dendias, ha ripetuto più volte che «non verranno tollerate ronde d’assalto e che qualunque fenomeno di questo tipo, sarà disintegrato». Ma il portavoce dei rondisti, Kassidiaris, sprezzante, gli ha risposto: «Ogni volta che il ministro prende la parola per occuparsi di noi, guadagniamo un punto percentuale nei sondaggi».
PERICOLO DI CORTO CIRCUITO
Gli eurocomunisti di Syriza -principale partito di opposizione denunciano “il tentativo di imporre un clima da terrorismo fascista” e chiedono al governo di intervenire con assoluta decisione. Ma il pericolo del corto circuito, è fortissimo: la polizia, che in una sua buona percentuale (forse anche del 40%) appena tre mesi fa, ha votato questo partito, rischia, ora, di essere neutralizzata dal mix esplosivo di populismo e violenza di «Alba Dorata». Gli aiuti in generi alimentari e medicine e la retorica contro «i politici ladri e corrotti», adottata da tutti i membri di questa formazione razzista, hanno creato una realtà non facile da contrastare. E più passa il tempo, peggio è.
Una delle possibili soluzioni, potrebbe essere ordinare lo scioglimento del partito, per incompatibilità coi principi costituzionali? Un interrogativo a cui la Grecia sta cercando, disperatamente, delle risposte. Per non permettere a questi individui, di dividere definitivamente il paese tra greci poveri e immigrati poverissimi. Anche perché, come osservano molti in Rete, i responsabili dei raid, si guardano bene dal prendersela con il racket della prostituzione e dei locali notturni, saldamente in mano alla mafia russa ed ai greci del Ponto. Si è violenti e arroganti, come sempre, solo con i deboli.



Grecia, deputati Alba Dorata devastano stand immigrati: il video
Il Messaggero, 09-09-20121
ATENE - Il ministro greco degli Interni, Nikos Dendias, ha chiesto l'apertura di una inchiesta contro due deputati di Alba Dorata per la violenta distruzione del banchetto di mercanzia di un immigrato che il partito di estrema destra ha immortalato in un video. Il video è stato pubblicato dal sito Rpn.gr.I due deputati - Giorgos Germenis e Panayiotis Iliopoulos - rischiano una incriminazione per danni e abuso di autorità, oltre alla revoca dell'immunità paralmentare.
Il video, che il partito ha postato sul suo sito ufficiale, mostra una quarantina di attivisti in maglietta nera, molti dei quali sventolavano una bandiera greca, che chiedono il permesso di soggiorno ai venditori stranieri davanti ad una chiesa di Rafina, a nord est di Atene.
Subito dopo un gruppo di militanti rovescia con violenza uno dei banchetti degli ambulanti e ne distrugge la merce. I due deputati intervengono nel video, dichiarando di ritenere loro dovere intervenire contro il commercio illegale in assenza della polizia. Il partito di estrema destra, che molti considerano neonazista, è entrato per la prima volta in parlamento alle due ultime elezioni che si sono susseguite questa primavera in Grecia, cavalcando il risentimento popolare verso il crescente numero di immigrati clandestini, aggravato dalla crisi economica. Secondo un sondaggio Vprc pubblicato la settimana scorsa, il partito ha ormai raggunto il 12% dei consensi. Alle elezioni del 17 giugno ha ottenuto il 6,97% dei voti e 18 deputati.



Razzismo e odii sociali minaccia per l’Europa
Estremisti in ascesa. L’Europa è bersaglio
Dopo l’appello di Monti viaggio nei populismi che agitano la Ue. E Alba Dorata cresce in Grecia
Dalla Francia all’Ungheria, dalla Romania alla Norvegia: il populismo aggressivo è in crescita elettorale
Come collante l’avversione all’Unione europea «colpevole di cancellare le tradizioni»
l'Unità, 10-09-2012
Umberto De Giovannangeli
Monti aveva lanciato l’allarme: «Stiamo assistendo a un fenomeno di rigetto»
Presto a Roma un vertice per affrontare i problemi di questa allarmante ondata antieuropeista
Dall’Ungheria alla Norvegia fino alla Grecia: xenofobia e odio sociale minacciano l’Europa. Ad Atene Alba Dorata cresce nei sondaggi e dà la caccia agli immigrati. Intervista al leader socialista ungherese Mestherhàzi: c’è un furore nazionalista pericoloso.
Il loro collante politico è l’avversione all’«Europa dell’omologazione e degli affaristi». Il loro collante ideologico rispolvera ideologie e pratiche di un passato che non passa: l’odio verso gli immigrati, l’antisemitismo, la xenofobia. Cercano di cavalcare l’insicurezza sociale prodotta dalla crisi, indirizzandola contro i «palazzi del potere» che «affamano il popolo» e contro «gli scippatori di lavoro»: neri, asiatici, i «diversi» che vanno «rispediti a casa», con ogni mezzo. Il nemico viene individuato nelle classi politiche nazionali cosmopolite e liberiste «traditrici» dei valori tradizionali della nazione e l’Unione Europea, concepita come una creazione figlia della cultura che loro rifiutano.
Un populismo aggressivo, in crescita politica ed elettorale, che attraversa l’Europa da Nord a Sud, da Est a Ovest. In questo contesto, annota in un recente saggio Francesco Violi (Il Populismo in Europa e nell’Unione Europea), «l’Ue è un nemico da abbattere, il ladro della sovranità violata, colei che vuole annacquare, omologare o cancellare le tradizioni e le culture differenti, colei che vuole rubare ai popoli la loro sovranità col placet dei burocrati e delle classi dirigenti decadenti e corrotte, colei che fa l’interesse dei grandi multinazionali e delle grandi lobby finanziarie contro il benessere della gente comune...». L’euroscetticismo è il terreno su cui il populismo nazionalista e dichiaratamente di destra incontra quello di movimenti e partiti «nuovi», adeologici». A sottolinearne la pericolosità è stato recentemente Mario Monti.
In Europa si sta diffondendo un «pericoloso fenomeno» con «populismi che mirano alla disgregazione» nei diversi Stati membri. È l’allarme lanciato, l’altro ieri, dal premier italiano dopo il bilaterale con il presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy a Cernobbio. «Siamo in una fase pericolosa» perché «in Europa c’e molto populismo che mira a disintegrare anziché integrare e sono molto lieto che il presidente Van Rompuy abbia colto la mia idea di un vertice ad hoc», in cui si parli del fenomeno di «rigetto a cui stiamo assitendo», ha aggiunto Monti. «Ho proposto al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, che la riunione straordinaria» per affrontare i populismi e l’antieuropeismo «abbia luogo a Roma, in Campidoglio» dove fu firmato il Trattato europeo, ha concluso il Professore.
MAPPA
Per contrastare un fenomeno in preoccupante crescita, occorre analizzarlo, conoscerlo, radiografarlo. L’Unità ha dedicato a questo complesso tema un documentato articolo di Paolo Soldini. Ritornare sull’argomento è utile per comprenderne innazitutto il radicamento. Tra i pionieri dell’euroscetticismo, c’è il francese Front National (Fn) guidato da Marine Le Pen. Legato alla Destra sociale, nazionalista e con chiare derive xenofobe, il Fn negli anni si è liberato dalle sue tendenze più estremiste guadagnando terreno tra giovani e operai fino alle presidenziali dello scorso aprile, quando la Le Pen ha ottenuto il 18% dei voti, piazzandosi al terzo posto dopo Hollande e Sarkozy e facendo scattare l’allarme a Bruxelles, preoccupata dalla «minaccia populista» portata avanti in Francia e non solo. Una minaccia che, infatti, si estende a macchia di leopardo in tutta Europa e che in Ungheria è il segno distintivo del partito al governo, Fidesz, e del premier Viktor Orban. Nei suoi confronti l’Ue ha aperto una procedura di infrazione per leggi giudicate in contrasto con i trattati europei nel campo dell’indipendenza della Banca centrale, della giustizia e dei media, certificando la deriva autoritaria di un premier che più volte si è scagliato contro l’euro e l’Ue.
Tra i partiti populisti di destra estrema, attualmente presenrti al Parlamento europeo e nel proprio Parlamento nazionale che portano avanti questi «valori», ci sono: Diritto e Giustizia in Polonia, l’Ataka Attacco Unione Nazionale in Bulgaria, Jobbik Movimento per una Ungheria Migliore, il Partito della Grande Romania, il Partito Nazionale Britannico, Alba Dorata in Grecia, il Partito Nazionale Slovacco. A questi si uniscono movimenti europei che si muovono in una ottica antistatalista e antiomologazione europea, senza raggiungere l’estremismo ideologico della destra radicale: tra questi, il Partito della Libertà in Olanda, in Austria il Partito della Libertà e la Lega per il futuro dell’Austria entrambi creazione del defunto Jörg Haider. Si va dal partito irlandese Libertas, che ha guidato il voto contrario al referendum sul Trattato di Lisbona in Irlanda nel 2008, allo Ukip nel Regno Unito, un partito che ha al centro del suo programma politico l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Nella realtà scandinava troviamo il Partito del Popolo Danese, i Democratici Svedesi, i Veri Finlandesi e il Partito del Progresso in Norvegia, di cui è stato membro Breivik, l’autore del massacro di Utoya. «L’unica forma di europeismo che unisce alcune di queste forze riflette ancora Violi è l’europeismo alla Breivik. l’europeismo dell’odio, l’europeismo del “noi, società aperta e libera” contro loro, “chiusi e pericolosi”., l’europeismo del bene contro il male. Una visione inconciliabile contro una visione universalistica dell’umanità, come vuol essere la propsta federalista»
L’ESCALATION
Non siamo di fronte solo a movimenti marginali. Dal 2008 ad oggi gli anni della crisi più dirompente il Fn francese ha ottenuto il 18% alle presidenziali dell’aprile scorso. Nello stesso periodo in Belgio, nonostante il protrarsi della crisi di governo, l’Alleanza Libera Fiamminga continuava a mietere consensi nei sondaggi. In Svezia, per la prima volta i Democratici Svede\si riuscivano ad entrare in Parlamento, in Finlandia i Veri Finlandesi di Timo Soini ottenevano il 19% risultando il 3° partito più votato e scavalcando il Partito di centro. In Ungheria, lo Jobbik otteneva il 16,6% ed è il terzo partito. In Olanda, a 4 giorni dalle elezioni anticipate, sembra invece aver perso colpi l’euroscettico Partito per la libertà, guidato da quel Geert Wilders che nel 2010 conquistò gli olandesi con le sue crociate anti-immigrati. Dopo aver staccato la spina al governo conservatore di Mark Rutte, Wilders ora ha trasformato l’appuntamento al voto in un referendum sull’Europa, reclamando perfino il ritorno al fiorino.



Lampedusa. Giusi Nicolini
Il sindaco gentile che accoglie umanità
il Fatto, 09-09-2012
Nando dalla Chiesa
E ora, ora che il mare le ha consegnato un altro cadavere da sistemare (“ho solo la fossa comune usata dopo il naufragio di marzo”), i buoni cittadini si stringano intorno a lei. E le chiedano scusa per il ritardo. Perché d’estate si dorme e l’informazione ha l’occhio della talpa, ma intanto qualcuno sta da solo in mezzo alla tempesta per avere detto parole di pura umanità. Il campo di battaglia è Lampedusa. Destino di un’isola che la storia sta trasformando in segno di contraddizioni acide e brutali. Destino di chi ha scelto di governarla senza brandire una mazza da baseball.
Si chiama Giuseppina (Giusi) Maria Nicolini la nuova sindaco dell’isola degli sbarchi. Le è bastato prendere il 26 per cento dei voti a maggio. “Un pezzo del Pd e quel che c’è di società civile nell’isola”, uniti intorno a lei, già direttrice per Legambiente della riserva naturale di Lampedusa. Una percentuale fragile per chi si è trovato davanti agli effetti mica tanto collaterali dell’emergenza. “Scempio del territorio, dell’ambiente e della legalità. Quando con la scorsa amministrazione è arrivata in Comune la Guardia di finanza, avevano già fatto sparire le carte. Cantieri aperti senza progetti. Esercizi abusivi anche sulle spiagge, con autorizzazioni illegittime. E oggi imprese, specie agrigentine, che si vedono cambiare film sotto il naso. Consulenze che sfumano”. Il clima perfetto per avvertimenti obliqui, arroganti, “a ottobre incominciano col fuoco”. Per strada (“hai reso la mia vita impossibile” ), al bar, in municipio. E in più la sommossa che le è montata contro dopo avere commesso il peccato mortale di quest’epoca di furori tangheri. È stato il 20 agosto. Quel giorno Giusi, volto incavato e profilo da Magna Grecia, ha rilasciato un’intervista all’AdnKronos per commentare la storia di Samia Yusuf Omar, l'atleta somala che dopo aver partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 ha trovato la morte a bordo di una carretta del mare, partita dalla Libia e diretta in Italia. Una storia che ha commosso chiunque non abbia il cuore di una scarpa. Ha detto quel giorno Giusi: “I dati ufficiali sui naufragi parlano di circa 6mi-la persone morte, ma sappiamo bene, come dimostra la storia di Samia, che le vittime dei viaggi della speranza sono molte di più. […. ] Dico allora che noi ci auguriamo che gli sbarchi ci siano, che queste persone riescano ad approdare sulle nostre coste, che arrivino vivi”. E ha aggiunto: “In questi anni ho parlato con mogli e madri tunisine disperate che cercano i loro congiunti di cui non hanno più notizie. Lampedusa non ha paura degli sbarchi […] Per noi non si tratta di numeri, ma di persone. Li vediamo quando arrivano, entriamo in contatto con loro, con le loro speranze e le loro paure”.
Ecco. Non ha minacciato di cannoneggiarli dal porto, non ha dichiarato, come il predecessore, di tenere la mazza da baseball in ufficio. Ha respinto con orrore l’idea del Mediterraneo cimitero sterminato. Ha detto quello che sente l’Italia non ancora ingaglioffita. Si può pensare una cosa o l’altra sulle politiche migratorie. Ma la reazione che le è arrivata addosso ha il fiato del razzismo da bettola, altro che la poesia da taverna di Lucio Dalla. È finita nella macelleria telematica. Dileggiata per il suo fisico. Se una foto la ritrae elegantemente sportiva, donna neocinquantenne dal tocco sbarazzino, ecco l’accusa: è “una foto ritoccata, dove la nostra indossa accessori tipicamente radical, con cui potrà accompagnare le proprie chiccose dichiarazioni di morte della genia italica e in favore dell'indesiderato (da noi) immigrato sfruttatore”. Così subito arriva in rete la foto più ingenerosa: “Hai fatto bene a mettere in evidenza questa befana mentalmente deviata […] uno scatto più realistico, che risalta certi lineamenti che a me paiono... inquietanti, meglio accordantisi nella loro secca evidenza alla realtà di simili dichiarazioni malsane; un viso di morte”.
Pillole di opinione, avvisaglia di un tam tam che in poco tempo ne fa “la befana di Lampedusa”, con la stessa faccia degli ebrei (ed ecco, associata, la foto di Fiamma Nirenstein), “feccia radical” o “buttanazza veterofemminista”. La frase del peccato – “speriamo che gli sbarchi ci siano” – diventa il tormentone che spiana la strada a minacce e ingiurie senza fine, all’accusa di attentare all’equilibrio etnico e di partecipare al grande gioco di togliere preziosi posti di lavoro agli italiani per darli allo straniero. Alleata degli scafisti, ma anche dei futuri “parassiti e criminali”. E degli stupratori, naturalmente. Lampedusa isola di accoglienza. Lampedusa isola di frontiera. Geografica e culturale.
Giusi è in una tenaglia. “Problemi ovunque, dal cimitero alle fogne a mare. Ora bisogna impedire che si saldino il razzista, lo speculatore, il mafioso, l’abusivo, l’architetto a cui non pagherò i lavori”. Ha preparato una denuncia al Tribunale di Agrigento. Per difendersi. E soprattutto contro l’istigazione all’odio razziale. Ma davvero devono essere le carte dei tribunali a proteggere una donna sindaco che, di fronte ai cadaveri galleggianti o inghiottiti dalle onde, ha detto “speriamo che gli sbarchi ci siano”? Mollare anche lei in mezzo al mare, ai confini estremi della nazione, o adottarla a simbolo di un’Italia più civile?



A Milano un terzo delle mamme è straniera, in aumento la natalità.
Aumenta l’età media al parto e il numero dei figli per madre. Con l’immigrazione muta la “maternità” nel capoluogo lombardo.
Immigrazioneoggi, 10-09-2012
A Milano aumenta l’età media e il numero di figli per ogni mamma, un terzo delle quali è straniera. È quanto emerge dal rapporto diffuso dall’assessore all’Area metropolitana, Decentramento e Municipalità, Servizi civici del Comune di Milano, Daniela Benelli.
Dall’analisi dei dati emerge che l’età media delle madri è in crescita. Se nel 1981 era di 28,2 anni, dieci anni dopo, nel 1991 era salita a 29,9 e nel 2001 arrivava a superare i 30. Dal 2006 si è collocata stabilmente sopra i 33.
La sorpresa è data dal fatto che, rispetto al passato, aumenta il numero di figli: erano 1,12 per madre nel 1981, 0,98 nel 1991 e 1,15 nel 2001.
Negli ultimi 30 anni, insomma, si è registrato un incremento della natalità che l’assessore attribuisce anche all’aumento delle madri straniere che oggi arrivano a rappresentare quasi un terzo del totale, 4.934 su 12.074.
Se l’età è in aumento, diversa è la situazione della madri straniere. Mentre in media il 10,7 per cento delle partorienti ha oltre 40 anni (era il 4,5% nel 1999), l’8,4% ha meno di 25 anni e la fascia più prolifica è quella tra i 35 e 39 anni (33,6%), tra le donne africane e asiatiche la fascia più prolifica è quella tra i 25-29 anni, tra le americane e le madri degli altri Paesi europei è 30-34 anni: in entrambi i casi, quindi, le fasce di età sono più basse rispetto a quella delle italiane.



L’onda di ritorno dell’immigrazione
Africani in fuga dall’Europa in crisi
il Fatto, 09-09-2012
Carlo Antonio Biscotto
Avvocato, docente di Diritto costituzionale, esperta di problemi legali nel settore dell’editoria, giornalista e scrittrice. Sembrerebbe la classica biografia di una donna in carriera. E lo è. Ma Afua Hirsch, giovane corrispondente dall’Africa del Guardian, in un coraggioso articolo apparso qualche giorno fa sul suo giornale ci ha mostrato senza reticenze l’altra faccia della luna.
Nata e cresciuta a Londra da padre occidentale e madre ghanese, Afua non ha avuto una infanzia facile. Sua madre si vergognava delle sue origini e diceva agli amici di Afua che sua figlia era giamaicana.
A QUEI TEMPI, ricorda con tristezza Afua, non era cool essere africani e la giovane Afua viveva in una sorta di perenne disagio e di dolorosa ricerca di una identità, esperienza questa comune a molti africani costretti a emigrare in Europa e in America dopo la fine del colonialismo.
La famiglia di Afua si era trasferita a Londra nel 1962. Per la famiglia della madre vivere in Inghilterra aveva significato principalmente un lavoro, l’assistenza medica gratuita, un pasto assicurato e buone scuole per i figli.
L’Africa era un ricordo lontano e spiacevole specialmente quando il continente era precipitato in una spirale di dittature, povertà, guerre, carestie. Ancora oggi molti ricordano una copertina dell’Economist del 2000 che definiva l’Africa ‘il continente disperato’.
Afua ricorda le parole di una grande scrittrice africana, Chimamanda Ngozi Adichie, autrice di ‘Metà di un sole giallo’ (Einaudi, 2008) e ‘Ibisco viola’, insignita del premio Nonino nel 2009: “Non fossi cresciuta in Nigeria anche io penserei che l’Africa è una terra di suggestivi paesaggi, stupendi animali e gente incomprensibile che combatte guerre insensate, muore di fame e di Aids, incapace di uno scatto di orgoglio e in passiva attesa di essere salvata da un qualche straniero bianco e buono. Questo hanno fatto all’Africa: l’hanno spogliata della dignità”.
Il dramma è che molti africani hanno interiorizzato l’idea che l’Occidente è più sofisticato e più evoluto e l’hanno trasformata in un complesso di inferiorità. Afua ricorda che quando era bambina persino i suoi parenti ogni volta che dall’Africa facevano ritorno a Londra esclamavano: “Eccoci tornati nella civiltà”. Nel 1995 la madre la portò per la prima volta ad Accra, capitale del Ghana, per farle conoscere la terra dei suoi avi. Di quella prima esperienza africana ricorda il caldo torrido, l’odore di spezie e di pesce affumicato e il fatto – stupefacente per una giovanissina nera che aveva fino ad allora vissuto il colore della sua pelle come una anomalia – che tutti erano neri. Erano neri i funzionari della dogana, i soldati, le autorità di polizia. Per la prima volta si rese conto che anche i neri potevano occupare posizioni di comando. Ne rimase colpita. Quella visita, come ella stessa racconta, cambiò la sua vita.
Da allora Afua, magari inconsciamente, prese tutte le decisioni riguardanti la sua istruzione e il suo lavoro come se il suo vero obiettivo fosse quello di tornare in Africa.
Dieci anni fa trascorse per lavoro un periodo di due anni in Senegal e si rafforzò il suo desiderio di tornare laddove affondavano le sue radici. Lo scorso febbraio la grande, definitiva decisione: il trasferimento ad Accra. Una decisione per nulla sofferta, ma che persino parenti e amici di origine ghanese residenti in Gran Bretagna hanno stentato a capire. Ma Afua non è sola. Il contro-esodo degli emigranti o figli di emigranti africani è iniziato silenziosamente da qualche anno.
LE RAGIONI SONO MOLTE: a crisi economica in Europa, il rinnovato orgoglio degli africani, la primavera araba, la crescita economica di molte nazioni africane. Il Fmi prevede che nei prossimi 5 anni sette tra le economie in più rapida crescita del mondo saranno africane: Etiopia, Mozambico, Tanzania, Congo, Ghana, Zambia e Nigeria dovrebbero far segnare un tasso di crescita di oltre il 6% l’anno fino al 2015. Cinquanta anni fa i genitori di Afua e milioni di africani fuggivano da un continente dove regnavano solo miseria, malattie e disoccupazione. Oggi tornano a casa fuggendo da un’Europa soffocata dai problemi.
E in Africa trovano lavoro, speranza, fiducia nel futuro, entusiasmo. In Ghana sta sbarcando in forze anche la City. I più lussuosi alberghi di Accra pullulano di emissari delle banche di investimento, delle multinazionali, delle società di consulenza finanziaria che fanno la fila per fare affari con le aziende locali. Quello dell’Africa è un rinascimento che ha come motore la tecnologia informatica, i cellulari, Internet, la banda larga che raggiunge già il 7% degli africani, ma che raggiungerà il 99% entro il 2060.
Ma se in Gran Bretagna la sua pelle era troppo scura, in Africa è troppo chiara e Afua a volte viene criticata perché troppo occidentalizzata. Ma le cose stanno cambiando e comincia a farsi strada un neologismo, ’Afropolitano’, che indica l’africano della diaspora o l’africano che si identifica tanto con le origini africane quanto con la cultura occidentale. È una buona notizia.



Dopo Nayomi, Ana Carolina. La bella battaglia delle Miss per la cittadinanza
Corriere della sera, 10-09-2012
Elvira Serra
La storia di Nayomi Andibuduge e della sua lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la conoscete tutti. L’avete letta su questo blog e sul Corriere di oggi. C’è un’altra ragazza, però, riserva nell’elezione di stasera di Miss Italia nel Mondo, che merita la nostra attenzione. E’ Ana Carolina Da Silva, nata a Rio de Janeiro 21 anni fa, un metro e 71, occhi castani che ridono. Bella, come tutte le concorrenti in gara a Montecatini. “Mi sento italiana”, ha detto. Vive da dodici anni a Oderzo, in provincia di Treviso, ha preso la maturità scientifica e poi si è iscritta all’Università a Milano. Nuota, fa danza classica e moderna, come tante sue coetanee. Ma ha sollevato un problema importante, che la rende diversa da loro.
    “Per un cittadino di un Paese non europeo occorrono dieci anni di permanenza in Italia per avviare l’iter per la cittadinanza. Quattro anni per chi proviene da un Paese europeo. Le procedure burocratiche richiedono poi altri tre o quattro anni, un arco di tempo lunghissimo soprattutto per chi, come me, si sente italiana e in questo Paese ha sempre vissuto. E soprattutto un’attesa che risulta ancora più amara pensando che lo stesso iter, per uno straniero che abbia lontane origini italiane, richiede solo pochi mesi”.
Ana Carolina chiede di rivedere i tempi della burocrazia per ottenere gli stessi diritti, e doveri, di tutti gli altri cittadini. A me non sembra una richiesta assurda. E a voi?



Comunicato di UDGDP sulla lettera del Ministro della Giustizia Severino al direttore del Corriere della Sera sulle recenti stragi di Lampedusa e sulla tratta dei migranti
Unità Democratica Giudici di Pace, 10-09-2012
Comunicato
Unità Democratica Giudici di Pace approva e condivide quanto affermato dal Ministro della Giustizia Severino nella lettera al direttore del Corriere della Sera del 9 settembre u.s. in relazione all’ennesima strage nel mare di Lampedusa ,nella quale lettera ha espresso” sentimenti di sdegno e di umana solidarietà“.
Il Ministro ha aggiunto che” non può fare a meno di pensare con raccapriccio agli ultimi istanti di vita di quegli uomini ,donne,bambini passati dall’illusione di una vita migliore alla disperazione di una morte orribile“ . Le parole di un Ministro della giustizia in Italia oggi sono finalmente quelle che avremmo voluto leggere od ascoltare nei lunghi anni in cui il governo dell’epoca precedente si esprimeva in tutt’altro modo
a proposito degli immigrati respinti in mare dall’Italia in base ad accordi con la Libia e riaccompagnati in Africa facendo subire all’Italia, quindi, condanne della Corte di Giustizia Europea e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Unità democratica Giudici di Pace già dal 2008 ha emanato comunicati di solidarietà con chi ha sofferto pene inaudite nella speranza di una vita migliore ed i cui resti si annidano in fondo al mare Mediterraneo. Non possiamo non approvare ,quindi,con soddisfazione quanto scritto dal Ministro della Giustizia Severino “ Nè riesco ad allontanare il pensiero di quei sopravvissuti che hanno cercato in ogni modo di portare insalvo con sè mogli,fratelli,figli e li hanno visti sparire nel buio della notte a pochi metri dall’approdo”.
Non a caso da più di quattro anni Unità Democratica Giudici di pace si è esposta nel difendere le posizioni dei più deboli ed ha esposto in tutte le sedi ,nelle quali è stata ricevuta le istanze in favore di una legislazione sull’immigrazione più consona ad una nazione civile europea e di alta tradizione umana.
Ma ciò che convince ancora di più UDGDP delle parole del Ministro è il suo convincimento anzi certezza che “questi sentimenti siano condivisi dal popolo italiano,che ,ben prima di altri ,ha vissuto il dramma dell’emigrazione” e che”"altri  sapranno evocare il ricordo di quell’esercito di annegati nel Mediterraneo, che negli anni si sono affollati intorno ad un sogno impossibile.”
La lettera prosegue analizzzando il problema della tratta e dello sfruttamento degli immigrati ad opera di organizzazioni criminali e della necessità della lotta a questa delinquenza diversa dalle vittime rappresentate dagli emigranti.
UDGDP si dichiara d’accordo altresì con le dichiarazioni del Ministro relative al nuovo Governo che mantiene una task force che sta cercando di ricostruire intese e patti internazionali”.
Al Ministro ,infine ,chiediamo di tenere conto anche delle difficoltà della giustizia di pace chiamata a svolgere compiti così delicati come quelli delle convalide dei trattenimenti e proroghe degli stessi trattenimenti (fino a 18 mesi) dei cittadini dei paesi terzi nei Centri di identificazione ed Espulsione, e che non può essere mantenuta ancora nella precarietà e nella soggezione,in parte, ad umilianti proroghe annuali.
Unità Democratica Giudici di Pace
Il segretario generale
(D.Loveri)



L’inerzia dell’Europa arricchisce il traffico di esseri umani
Un «affare» di oltre 32 miliardi di dollari.
La denuncia di Amnesty, Unhcr, Arci, Cgil, Cisl: non sono «clandestini» ma richiedenti asilo
l'Unità, 08-09-2012
Umberto De Giovannangeli
Mediterraneo, il «mare della morte». Mediterraneo, il mare solcato da «boat people» stipati di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa; migliaia di uomini, donne, bambini che finiscono nelle mani delle organizzazioni criminali dedite al traffico di umani, un traffico che oggi rende più del traffico della droga o delle armi. La tragedia di Lampedusa è solo l’ultima di una lunga serie, ma di certo non sarà quella conclusiva. Perché se il Mediterraneo è diventato il «mare della morte» è anche per responsabilità dell’Europa. A ricordarlo sono associazioni, organizzazioni umanitarie, agenzie delle Nazioni Unite che ogni giorno sono impegnate, eroicamente, a cercare di preservare i diritti di quanti non hanno diritti. E il primo diritto da difendere è quello alla vita.
SILENZIO COMPLICE
«Nonostante l’impegno delle autorità militari italiane e internazionali che hanno risposto all’allarme lanciato dai naufraghi dispiegando numerose forze per i soccorsi, dobbiamo constatare l’ennesima tragedia nel Canale di Sicilia. Dobbiamo ricordare che non si tratta di un dramma isolato: secondo i dati di Fortress Europe dal 1988 sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, alle sue porte, almeno 18.455 migranti, 2.352 solamente nel 2011», rimarca Christopher Hein Direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (CIR). «Non possiamo però solo limitarci a fare questa macabra conta. L’unico modo per evitare simile tragedie è inserire meccanismi di accesso protetto e regolare in Europa. Se guardiamo anche alla tragedia di ieri (giovedì, ndr) avvenuta al largo della Turchia dove hanno perso la vita 58 persone in fuga dalla Siria, dall’Iraq e dalla Palestina, è evidente che è necessario stabilire modalità di accesso per quanti fuggono da violenze, guerre e persecuzioni: visti umanitari, reinsediamento, evacuazioni umanitarie. Decreti flussi che rispondano alle esigenze anche dei Paesi di origine. Le migrazioni possono essere governate non si può continuare a subirne l’evoluzione, perché la conseguenza è essere corresponsabili di simili tragedie». conclude Hein.
Il j’accuse del Direttore del CIR trova conferma in altre, importanti, prese di posizione. «Le morti in mare di intere famiglie, bambini e giovani, in fuga dalla guerra e dalla povertà sono una delle peggiori tragedie dei nostri tempi che si preferisce non vedere», afferma la portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu(Unhcr), Laura Boldrini. «Quest’anno il numero degli arrivi in Italia è drasticamente diminuito rispetto allo scorso anno sottolinea Boldrini via mare sono giunte ad oggi 7 mila persone mentre, lo scorso anno, anche a seguito della guerra di Libia e delle primavere arabe ne erano arrivate 50 mila». «Ma anche a fronte di una tale significativa riduzione aggiunge secondo le nostre stime, e senza considerare il numero dei dispersi nel naufragio odierno (ieri, ndr), il numero dei morti e dispersi in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa è quest’anno di 283 persone». «Al di là delle responsabilità specifiche dei singoli naufragi, su cui è di primaria importanza fare chiarezza per evitare che il Mediterraneo diventi una sorta di terra di nessuno dove vige l’impunitàdice ancora Boldrini vi è una responsabilità collettiva legata all’indifferenza e al considerare tutto ciò ineluttabile, anziché cercare soluzioni concrete per evitare che ciò si ripeta». Il naufragio di ieri, «sottolinea drammaticamente ancora una volta le ragioni per cui i governi dell’Unione Europea devono impegnarsi maggiormente nel soccorso e nell’assistenza alle persone che arrivano in condizioni disperate sulle loro coste», rileva, in una nota, Amnesty International. Nel 2011, almeno 1500 persone hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Europa, nella maggior parte dei casi via Lampedusa, nel corso di un massiccio flusso di richiedenti asilo e migranti dall’Africa del Nord e da altre zone. «Ancora una volta, le acque intorno alla piccola isola di Lampedusa sono state teatro di una tragedia, evidenziando come il numero delle persone che muoiono alle porte dell’Europa stia aumentando dichiara Nicolas Beger, direttore dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee l’Ue non si sta adoperando in favore dei migranti. I suoi Stati membri devono intraprendere sforzi comuni per evitare le morti in mare, raddoppiando l’efficacia e il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso». «Queste tragedie sono la drammatica conseguenza di quella miopia politica che è convinta di poter fermare le migrazioni chiudendo le frontiere e rendendo di fatto impossibile entrare legalmente, e senza rischiare la vita, in Italia e in Europa», rilancia Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, che punta il dito contro «le “lacrime di coccodrillo” di coloro che, pur con responsabilità nazionali e internazionali, non hanno fatto nulla per garantire strumenti adeguati e una legislazione più giusta in materia di immigrazione». L’allarme viene rilanciato anche da Cgil e Cisl.
LA DENUNCIA
L’eco dell’ennesima strage in mare arriva a Strasburgo. Gli ultimi due naufragi quello in Turchia ieri (giovedì, ndr) e quello di questa notte (venderdì, ndr) vicino a Lampedusa sono un monito per l’Europa di quello che può succedere quando si ignorano le tragedie umanitarie», dichiara Tineke Strik, la parlamentare olandese che sta indagando per conto dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla morte nel marzo dello scorso anno di 63 naufraghi nel Mediterraneo. Strik ha ricordato che molti di coloro che si trovavano sul barcone affondato nelle acque turche provenivano dalla Siria. «L’Europa dice deve dare una maggiore importanza alla situazione umanitaria in Siria e trovare nuove soluzioni per affrontare i flussi migratori tra Turchia e Grecia, per il bene di questi due Paesi, dell’Europa e di tutti coloro che continueranno a rischiare la propria vita nel tentativo di varcare il confine». Ogni anno i criminali che gestiscono il traffico di esseri umani guadagnano 32 miliardi di dollari, e combatterli è «una sfida di proporzioni straordinarie», avverte Yuri Fedotov, il capo dell’ufficio dell’Onu contro la droga e i crimini. Intanto nel Mediterraneo si continua a morire.



Quei bimbi in fuga dalla disperazione
La Stampa, 08-09-2012
Domenico Quirico
So che cosa hanno provato, i naufraghi bambini di Lampedusa. E’ il momento in cui il motore si arresta e al gorgoglio dei pistoni rantolanti, della pompa che aspira l’acqua dalla stiva marcia si sostituisce l’immenso, fragoroso silenzio del mare. E poi: i frenetici tentativi, con un cacciavite con le mani con gli stracci con le preghiere, di far ripartire il motore esausto. Il pilota il cui volto si fa livido di paura, il fremito che comincia a circolare tra le file dei migranti, stipati sul ponte a file fitte e ordinate con il divieto di alzarsi di muoversi. E invece i primi che si alzano, e le grida delle donne (sul mio barcone non c’erano donne, era un altro tempo: come tutto è cambiato orribilmente, nel giro di un solo anno). Nessuno all’inizio ha capito: perché ci siamo fermati? Proprio ora, dove venti ore in mare, quando pensavamo di essere ormai vicino a Lampedusa?
Ma già l’acqua comincia a salire, lenta, inesorabile: la puoi vedere, tu stesso, attraverso la piccola apertura della stiva. E’ allora che anche i bambini hanno capito che «il viaggio», quel viaggio straordinario che sembrava svolgersi, il mare, bagnati dall’acqua e da pallide onde di sole giallo, come un’affascinante avventura si convertiva, malvagio, in tragedia e paura e morte. La tensione che penetra in tutti i pori della mente, quel tipo di tensione che si avverte negli incubi infantili quando da un momento all’altro, sbucando da un mobile o dietro una porta, può accadere qualcosa di vago e di ignoto.
Queste vecchie barche, come era la mia, muoiono lentamente, lasciano che il mare le abbracci e le soffochi. C’è tempo per pensare: allora è questa la sensazione che uno avverte al momento della morte: questo vuoto, questa sospensione tra essere e non essere? se è così, non c’è quasi da averne paura.
Bambini migranti, bambini aspiranti «clandestini», come diventeranno con parola orrenda nei verbali, nella burocrazia di questa tragedia senza fine. So che cosa hanno provato quando sono partiti. La barca che li aspetta su una spiaggia fuori mano della Tunisia, le raccomandazioni dei nonni, dei parenti che li hanno accompagnati al luogo di raccolta e li hanno consegnati al passeur, con i soldi per il passaggio: come se fossero cose, oggetti da spedire. Loro sono soli felici eccitati. Deve essere la felicità questa, ma non lo sanno ancora. Hanno raccontato loro, per invogliarli, di un altro mondo al di là del mare, dove ci sono parenti o amici che li accoglieranno, città dove, al calar del sole, la vita invece di finire sembra cominciare.
Nel Maghreb, in Africa, come tra tutti i poveri del mondo, l’età tramonta di colpo come il sole; prima sono bambini, un attimo dopo già vecchi. Come assomigliano ai ragazzi con cui sono salito, un anno fa, su un’altra barca della speranza, tutti popolo di questo Mediterraneo così gonfio di speranze e di divieti. Erano più grandi, allora, erano i giovani ribelli che avevano appena cacciato il tiranno e esercitavano il loro diritto di partire, di andare a scoprire altri mondi. In fondo il loro era un atto politico, quasi rivoluzionario. Ma questi bambini di quale nuova delusione, di quale nuova disperazione sono figli, naufraghi, vittime? Al confine tra gli Stati Uniti e il Messico raccontano che sempre più spesso a tentare di attraversare il deserto (in fondo un altro mare pieno di insidie e di vuoto) sono minorenni, soli. Tentano di raggiungere i genitori che sono già dall’altra parte, nel mondo dei ricchi: perché la miseria è tanta e i parenti non riescono più a mantenerli; perché pensano che la nostra soglia del rifiuto e dell’indifferenza si abbassi e sia più clemente con chi è piccolo, che riconosceremo in loro più facilmente la vittima a cui destinare la nostra misericordia, più che ai fratelli ai genitori ai nonni. L’indifferenza: la perfezione dell’egoismo.
Un anno fa il popolo di Lampedusa era fatto di ragazzi ardenti indomiti, in loro una insofferenza, un furore, un miscuglio, direi, di odio e di amore. Ma questi bambini cosa si portano dentro? Sono partiti per l’enorme pressione della povertà che scorre, si ramifica e si estende come l’acqua alluvionale nel mondo. Ecco la verità: nulla è cambiato dall’altra parte del mare, c’è lo stesso riconoscibile dolore di ogni giorno, la vita come sappiamo che lì viene vissuta, senza lavoro e senza speranza, che prosegue monotonamente il suo cammino. Il dopo primavera araba è una cosa molto ordinata e pulita, ma dalla distanza da cui noi la guardiamo: certo ora votano liberamente, i giornali sono liberi, si può perfino manifestare. E’ tanto, è molto. Ma i rivoluzionari vittoriosi sono poveri come un anno fa, forse ancor più perché hanno perso la speranza. E ora fanno partire i bambini.


 

Naufragi e disumane sparizioni
l'Unità, 09-09-2012
Flore Murard-Yovanovitch
Bambini, donne, uomini, di nuovo e ancora annegati a poche miglia dalle nostre coste. Oltre 60 i morti e ancora 80 i dispersi in due tragedie in mare, in meno di due giorni. Profughi siriani e iracheni al largo delle coste turche, tunisini al largo di Lampedusa. Scomparsi di varie nazionalità e in circostanze diverse ma per via della stessa causa: non le falle del barcone e del meteo, bensì una violenta politica europea di chiusura delle frontiere e la micidiale e colossale guerra alle migrazioni che si svolge nel cuore del Mediterraneo, a colpi di radar, motovedette, Frontex, accordi bilaterali e respingimenti illegali. Cioè il contrasto ai flussi a tutti costi, anche a quello della morte dei migranti. Cadaveri sui quali l’Europa può ora versare lacrime di coccodrillo piuttosto che occuparsene da vivi, piuttosto che “vedere” queste mamme e questi bimbi che solo la violenza di una guerra può spingere e costringere ad imbarcarsi di notte su barconi verso ignote coste e ad affidarsi ai scafisti. Piangere piuttosto che rispettare le convenzioni internazionali, piuttosto che stabilire delle modalità d’accesso protetto regolare e sicuro a chi sfugge persecuzioni e a cui spetta, di diritto, l’asilo.
Soprattutto alla luce del truce conflitto in Siria, dove sono in corso crimini contro l’umanità: 100.000 già fuggiti e rifugiati nei Paesi confinanti, centinaia nei porti della regione e in Libia che aspettano solo di imbarcarsi verso l’Europa: probabili future morti se essa continua a non agire e a non predisporre d’urgenza evacuazioni e visti umanitari. Come ricorda Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, “le migrazioni possono essere governate, non si può continuare a subirne l’evoluzione, perché la conseguenza è essere corresponsabili di simili tragedie”.
Infatti, alla paranoia del fantasma di un’invasione, ha fatto seguito in questi mesi un indifferente silenzio, e un quasi totale disinteresse mediatico, mentre gli sbarchi proseguivano a grappoli in tutto il Sud dell’Italia. Scomparsi doppiamente, finiti nelle brevi dei quotidiani, nel vuoto delle nostre coscienze digitali e intermittenti. Cronaca. Cifre. Corpi. Allorché quei diversi naufragati per assenza di soccorso, quei respinti, deportati, o detenuti nei Cie e nei nuovi lager, sono i segni del nuovo “orrore”, pudicamente spostato ai suoi margini, ma per questo non meno criminale: segnali della nascente barbarie anti-migranti del nostro vecchio continente. Una frontiera europea dove si consuma l’antico ma mai così attuale scontro tra l’umano e il disumano. La frontiera tra l’umano e il disumano. Perché non potremo certo continuare a credere e a illuderci che questi migranti muoiano a caso: è invece una specifica scelta e una cecità politica. Quella di annullarli, perché diversi. Quella di lasciarli scomparire, perché migranti. Una sparizione organizzata a cui manca ancora solo il nome che le darà la Storia.



Immigrati, guida alla Sanatoria
i datori di lavoro che occupano extracomunitari irregolari potranno regolarizzarli. Ecco come di VLADIMIRO POLCHI
la Repubbblica, 08-09-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  -  Lavora per voi un immigrato senza documenti? Non avete più scuse: tra una settimana scatta la regolarizzazione 2012. Dal 15 settembre al 15 ottobre potrete dichiarare il vostro rapporto di lavoro e uscire dall'illegalità.
La "legge Rosarno". La sanatoria è contenuta in una norma transitoria approvata il 6 luglio scorso con la legge Rosarno: il decreto legislativo che introduce pene più severe per chi impiega stranieri irregolari. La norma transitoria prevede, appunto, il "ravvedimento operoso": i datori di lavoro che occupano extracomunitari irregolari potranno dichiarare il rapporto di lavoro. Insomma, potranno regolarizzarli.
Come si presenta la domanda? Il 7 settembre sono stati pubblicati decreto attuativo e circolare ministeriale con tutti i dettagli. Eccoli: "I datori di lavoro, che occupano irregolarmente alle proprie dipendenze da almeno tre mesi lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale ininterrottamente almeno dal 31 dicembre 2011, possono dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione." Tutto via internet. L'accesso al sistema informatico avviene dopo essersi registrati sull'apposita pagina disponibile all'indirizzo www.interno.gov.it.
Quando scatta la regolarizzazione? "Le dichiarazioni di emersione sono presentate esclusivamente con modalità informatiche dalle ore 8.00 di sabato 15 settembre 2012 alle ore 24.00 di lunedì 15 ottobre 2012". Ma attenzione: nessun click day stavolta e nessuna fretta. "E' importante chiarire  -  si legge nella circolare  -  che non sarà necessario concentrare la presentazione delle domande nella fase iniziale della procedura, in quanto non sono state fissate quote massime di ammissione". Insomma basta avere le carte in regola e si "passa".
Quanto costa? La dichiarazione di emersione può essere presentata solo dopo il pagamento di un contributo forfetario di mille euro per ciascun lavoratore. "Il contributo forfetario è versato tramite il modello di pagamento "F24 Versamenti con elementi identificativi" reso disponibile sul sito internet dell'Agenzia delle entrate" www. agenziaentrate. gov. it. Il datore di lavoro dovrà dimostrare un reddito non inferiore a trentamila euro l'anno. "Per la dichiarazione di emersione di uno straniero addetto al lavoro domestico, il reddito del datore di lavoro non dovrà invece essere inferiore a 20.000 euro annui". Non solo. Il datore di lavoro deve dimostrare di aver regolarizzato le somme dovute al lavoratore a titolo retributivo, contributivo e fiscale, per un periodo commisurato alla durata del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a 6 mesi.
Quali documenti servono? La presenza in Italia del lavoratore straniero prima del 31 dicembre 2011 dovrà essere documentata da organismi pubblici. A tal riguardo, dovrebbe essere sufficiente uno dei seguenti documenti: Timbro di ingresso sul passaporto, Codice STP (Straniero temporaneamente presente), Permesso di soggiorno scaduto, Certificato medico di Pronto Soccorso, Richiesta di asilo, Atti giudiziari, Documentazione relativa alla sanatoria 2009, Provvedimento di espulsione, Eventuali denunce per reati non ostativi, Certificato di frequenza scolastica del minore, Ricevute pagamento mensa scolastica di un figlio.

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