Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

15 febbraio 2013

Immigrazione, la proposta Pd
l'Unità, 15-02-2013
Rachele Gonnelli
Bersani lo ripete spesso che il primo atto del suo governo sarà la cittadinanza ai figli degli immigrati nati e cresciuti in Italia. Ma non c’è solo questo nel programma del Pd sulla delicata questione dell’immigrazione.
Su quello che è stato il tema cruciale della scorsa legislatura oggi c’è un «assordante silenzio», fa notare Livia Turco, responsabile del Forum immigrazione dei democratici, perché il centrodestra dopo aver sbraitato e condotto una battaglia ideologica «squillando trombe e tromboni» ora «ha ammainato la bandiera con imbarazzo, perché le politiche securitarie messe in campo fin qui sono risultate del tutto fallimentari». Sono aumentati gli irregolari e si è dovuto provvedere con una nuova sanatoria, l’Italia è stata condannata dall’Europa e dall’Onu per il trattamento riservato ai profughi e ai migranti nei Cie, peraltro con costi elevatissimi, mentre i Comuni sono stati lasciati soli nel cercare di mettere in piedi una politica di integrazione e coesione sociale, perché il fondo nazionale è stato totalmente azzerato dal governo Berlusconi. «Ma colpisce anche il silenzio di Monti continua l’ex ministra che potrebbe spendere almeno qualche parola su un tema come questo che richiede il massimo riformismo». Per il Pd è sempre un tema cruciale ma va completamente rovesciato l’approccio.
«L’ottica del centrodestra è sempre stata quella di aver di fronte un migrante occasionale, da rimandare a casa il prima possibile mettendo tutti gli ostacoli possibili alla sua integrazione», spiega Turco. L’impianto progressista parte invece dal dato di fatto che in Italia vivono e lavorano 5 milioni di stranieri che hanno diritto di programmare la loro vita in modo normale e alla luce del sole. «Perciò la cifra della nostra proposta aggiunge gira intorno a come rendere praticabile e regolare l’ingresso, piuttosto che come chiudere le frontiere, ma sprovincializzando il problema, perché la politica migratoria deve essere definita a livello europeo, così come le quote-flussi non possono essere più definite solo a livello nazionale, ma in un mercato del lavoro europeo, facilitando la circolazione».
La proposta del Pd è articolata in 10 punti, molti dei quali da inserire in un paio di disegni di legge correttivi delle storture da mettere in campo nei primi mesi del nuovo governo: dall’abrogazione della Bossi-Fini e della successiva Maroni-Berlusconi alla nuova normativa sul diritto d’asilo, dall’abolizione del reato di clandestinità e della tassa sul permesso di soggiorno al superamento dei Cie e delle legislazioni speciali sull’identificazione e sul trattamento dello straniero migrante, fino ai requisiti per i ricongiungimenti familiari o la reintroduzione dello sponsor per il permesso di soggiorno, incluso per ricerca di lavoro e studio. Altri provvedimenti da mettere in campo in un secondo tempo: dal voto amministrativo al varo di un vero e proprio codice che raccolga in un unico testo semplice e coerente tutte le norme. «L’Italia deve porsi come protagonista in Europa su questo tema, per valorizzare l’immigrazione come risorsa, invece di piangere l’assenza dell’Europa», conclude Livia Turco. Utilizzando la cooperazione con l’altra sponda del Mediterraneo. Anche perché lì non ci sono più regimi-gendarmi, ma possibili partner.



Asilo politico negato. A 19 anni si dà fuoco al gate di Fiumicino
A Roma il dramma di un ivoriano “Centinaia i disperati come lui”
La Stampa, 15-02-2013
Flavia Amabile
Solo la profonda disperazione può costringere una donna o un uomo a darsi fuoco. E di speranze non ne aveva ormai più il diciannovenne originario della Costa d’Avorio che ieri mattina si è cosparso di benzina e si è dato fuoco all’aeroporto di Fiumicino. La domanda di asilo era stata rifiutata, pensava di avere come unica alternativa il ritorno in patria anche se in realtà poteva ancora presentare una nuova domanda per chiedere l’asilo politico e attendere nel frattempo la risposta da detenuto nel Cie di Ponte Galeria.
La vicenda ha inizio a gennaio quando il diciannovenne arriva in Italia e chiede asilo politico. Il 23 gennaio arriva la risposta ufficiale della Commissione italiana. È un rifiuto. Il giovane potrebbe presentare ricorso, ha quindici giorni di tempo, invece preferisce lasciare l’Italia ed andare in Olanda dove spera di avere maggiore fortuna. Arrivato ad Amsterdam, la polizia olandese lo ferma: secondo quanto prevede il «Regolamento Dublino» viene rinviato nel paese dove ha chiesto asilo, e quindi in Italia. Viene effettuato il rientro ma c’è anche l’obbligo di presentarsi agli uffici della Polizia di Frontiera per l’attuazione del decreto di espulsione. L’obbligo era previsto per ieri mattina. E poco dopo le 10 il giovane è arrivato, ha mostrato agli agenti di turno il decreto di espulsione emesso dalla Questura di Roma ma subito dopo ha estratto una tanica di benzina da un borsone che aveva con sé. Si è versato addosso il liquido, ha acceso un fiammifero e ha tentato di darsi fuoco. Gli agenti hanno fatto il possibile per fermarlo ma le fiamme li hanno aggrediti, il diciannovenne si è liberato ed è uscito fuori dove si è dato fuoco.
Le grida degli agenti hanno richiamato Tiziana Guarna, una funzionaria della Dogana di Fiumicino: «Ho sentito delle grida provenire dall’ufficio vicino e ho visto prima il poliziotto e ho spento il fuoco. Poi mi sono accorta dell’altro ormai steso a terra. C’era chi mi urlava: «Spegnilo! Spegnilo». E ho scaricato l’estintore sul suo corpo. Li ho salvati? Me ne sono resa contro solo dopo, lì per lì ho pensato soltanto ad agire», racconta.
Il diciannove e l’agente sono stati trasportati in ospedale. Il primo in gravi condizioni ma non in pericolo di vita, il secondo con ustioni al braccio destro. E la vicenda ha risollevato il problema delle richieste di asilo. Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano rifugiati, chiede che questo gesto faccia «aprire gli occhi davanti alla disperazione di richiedenti asilo e rifugiati». Per il presidente della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca «l’accoglienza e l’inserimento dei migranti nel nostro tessuto sociale è una delle più importanti sfide umanitarie per il nostro Paese». Mentre secondo Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, questo gesto estremo «dovrebbe far riflettere tutti».



Roma - Ragazzo ivoriano colpito da espulsione si dà alle fiamme all’aeroporto
La Costa D’Avorio è nel caos. I cittadini ivoriani non dovrebbero essere espulsi
Ingabbiato nell’Europa del regolamento Dublino
Melting Pot Europa, 15-o2-2013

Doveva essere espulso ma questa mattina, pochi minuti dopo le 10.30, un ragazzo ivoriano di 19 anni si è cosparso di combustibile e si è dato alle fiamme nel settore Partenze dell’aeroporto di Fiumicino dove doveva essere eseguito il provvedimento.
Ora si trova in gravi condizioni al centro Grandi Ustionati e Chirurgia Plastica dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma.
Ancora non è chiara la storia di questo ragazzo che in ogni caso proviene da un paese verso il quale l’italia dovrebbe aver sospeso le espulsioni.
Di lui però si sà che dopo aver presentato domanda d’asilo in Italia ha cercato di soggiornare in Olanda dove però a dovuto fare i conti con l’Europa di Dublino, quella che ingabbia migliaia di rifugiati nel primo paese in cui approdano.
Eppure proprio in questi giorni sentiamo dirigenti di Questure e Prefetture raccontare ai "profughi" ospitati nell’ambito del circuito dell’Emergenza Nordafrica che si devono accontentare di qualche spicciolo per raggiungere le ambite mete europee e costruirsi una nuova vita. Menzogne, l’Europa li ingabbia così come ha ingabbiato quel 19enne ivoriano che ha dopo aver visto bruciare il sogno di raggiungere un nuovo paese, ha deciso di bruciare anche se stesso
Eppure la Costa d’Avorio, come riportato dal sito viaggiaresicuri.it, è un pese attraversato da una profonda crisi politico-istituzionale, culminata in violenti scontri armati tra le opposte fazioni dell’ex-Presidente Gbagbo e del neo-eletto Presidente Ouattara.
Inoltre la grave situazione umanitaria seguita alla crisi politico-militare sta favorendo inoltre la diffusione di malattie già endemiche nella regione, in particolare colera (ad Abidjan e nelle aree lagunari) e febbre gialla (nelle regioni della Vallée du Bandama e nel Worodougou).
E’ insomma generalmente riconsciuto che la Costa D’Avorio si trova in una situazione particolarmente instabile con violenze e rischio di persecuzioni generalizzate che anche recentemente hanno portato diversi giudici italiani a riconoscere o lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria ai cittadini ivoriani.
E’ lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in una nota del 13 febbraio 2012 a spiegare la situazione nel paese.
Sempre nel corso del 2012 l’UNHCR ha diffuso le linee guida per valutare le posizioni dei singoli cittadini ivoriano.
Attendiamo di avere informazioni più dettagliate sulla storia del ragazzo ivoriano che era probabilmente uno dei tanti esuli dell’emergenza nordafrica (visti i tempi della decisione della commissione) che hanno abbandonato i centri per cercare futuro altrove senza poi quindi presentare domanda di permesso umanitario quando nel novembre 2012 il Governo ne ha disposto il rilascio.



Immigrati, Turco: "Il gesto del giovane ivoriano ci faccia riflettere"
Dichiarazione di Livia Turco, presidente Forum Immigrazione del PD
PD, 15-02-2013
"Il gesto di disperazione del diciannovenne ivoriano che decide di darsi fuoco per evitare l’espulsione deve farci riflettere sui drammi umani che troppo spesso sono conseguenza di tentativi falliti di emigrazione”. Lo dichiara Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del PD.
“Chi lascia il proprio paese lo fa per ricercare una vita più dignitosa, più sicura e una situazione di benessere più edificante. Non possiamo accettare che nel nostro Paese il termine immigrazione venga così spesso associato alla parola dramma.
La scelta dell’ivoriano di porre fine alla propria vita, pur di non essere rimandato indietro, deve far riflettere anche sul fatto che sia indispensabile trovare delle strade alternative al sistema delle espulsioni, magari puntando sul rimpatrio assistito come già fanno in altri paesi europei.
Purtroppo – aggiunge Turco- questa tragedia ci dimostra anche la totale inadeguatezza del sistema europeo di protezione. Altro punto essenziale sarà quello di rivedere e modificare il regolamento di Dublino. Al giovane ragazzo va tutta la nostra solidarietà e l’augurio di pronta guarigione".



Appello per una mobilitazione nazionale con i rifugiati
Costruiamo una coalizione per l’accoglienza degna. Mobilitiamoci in maniera permanente a partire dal prossimo 25 febbraio
Melting Pot Europa, 15-02-2013
Il prossimo 28 febbraio è prevista la fine della cosiddetta “Emergenza Nordafrica” e migliaia di rifugiati in tutta Italia rischiano di essere abbandonati una seconda volta.
Già nel corso di quest’ anno e mezzo trascorso dall’inizio del Piano di Accoglienza, infatti, sono stati lasciati soli dalla colpevole inerzia del Governo e di chi ha gestito l’accoglienza.
Strutture in condizioni indegne, senza acqua calda e riscaldamento, persone stipate in posti sovraffollati, disservizi e malaffari, come ci hanno raccontato i reportage dell’Espresso, di Repubblica e del New York Times, non sono però gli unici “scandali” di questa vicenda.
Salvo in qualche rara esperienza territoriale infatti, nessuna delle strutture di accoglienza ha costruito le condizioni minime perché i rifugiati provenienti dalla Libia avessero l’opportunità di rendersi autonomi, indipendenti ed inserirsi nei nostri territori. Niente corsi di formazione, nessuna traccia dell’inserimento lavorativo, zero inserimento abitativo.
Così, il circuito messo in piedi con l’Emergenza Nordafrica si appresta a dare prova del suo ennesimo fallimento consegnando alla strada migliaia di persone senza futuro.
Eppure il denaro non è mancato e le cifre fanno impallidire ogni retorica sulla scarsità di risorse: 1 miliardo e 300 milioni di euro, 46 euro a persona per ogni giorno di ospitalità, oltre 1.200 euro al mese per ogni profugo, una vera fortuna in denaro si è persa tra le pieghe di convenzioni e burocrazie, finita in tasca di albergatori e cooperative a copertura dei loro affari.
Come se non bastasse, il colpevole ritardo con cui il Governo ha disposto il rilascio dei permessi di soggiorno ha letteralmente ingabbiato i rifugiati: senza permesso, senza carta d’identità, senza titolo di viaggio (sostitutivo del passaporto), senza quindi poter scegliere di restare, di lavorare, oppure di ripartire verso altre mete.
Per questo, dopo questo anno e mezzo di mobilitazioni, di appelli e di attività di sostegno ai cosiddetti profughi, crediamo sia il momento di mobilitarci tutti insieme. Di mettere in campo una grande coalizione per i rifugiati. Una mobilitazione comune che dal prossimo 25 febbraio si riappropri di piazze, strade, spazi vuoti, università o scuole.
Perchè chi è fuggito dal conflitto in libia, perseguitato, minacciato, utilizzato come moneta di scambio dal dittatore Gheddafi, non sia costretto a mettersi in fuga una seconda volta, nell’ombra, dopo aver sperato che le democrazie europee sapessero dare prova di civiltà.
Chiediamo:
- la proroga dell’accoglienza oltre il 28 febbraio con risorse destinate all’inserimento abitativo dei rifugiati;
- la messa a disposizione di borse lavoro, fondi per la formazione, l’inserimento lavorativo e di somme adeguate per chi voglia raggiungere altre mete, anche attingendo dall’enorme quantità di denaro accumulata dagli enti gestori che non hanno mai messo in campo queste attività;
- l’immediato rilascio per TUTTI dei permessi di soggiorno, dei titoli di viaggio, delle carte d’identità.
- l’adozione di queste misure in maniera omogenera su tutto il territorio nazionale
Una questione di democrazia, dignità e giustizia.
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Malta: Imam invoca un provvedimento del Governo per permettere alle donne musulmane di indossare l’hijab sul posto di lavoro.
Con una chiara presa di posizione del Governo sulla libertà di indossare l’hijab nel posto di lavoro, molte più donne musulmane si unirebbero alla forza lavoro del Paese.
Immigrazioneoggi, 15-02-2013
Molte più donne musulmane si unirebbero alla forza lavoro del Paese se il Governo maltese permettesse loro di indossare il tradizionale hijab anche sul posto di lavoro. È quanto sostiene l’imam Mohammed Elsadi, che avverte le autorità maltesi che sono molte le donne che restano a casa dopo essere state costrette a togliere l’hijab dai luoghi di lavoro. L’hijab è il tradizionale velo che copre il capo ma non il volto. Non è un simbolo religioso, ma fa parte di un codice d’abbigliamento.
“Alcune donne che indossano l’hijab”, spiega l’Imam al Times of Malta, “non fanno neanche domanda di lavoro perché temono che saranno costrette a rimuoverlo”. Questa questione è stata sollevata durante un recente incontro tra l’imam Elsadi e il primo ministro maltese Lawrence Gonzi, in cui l’Imam ha esortato il Primo Ministro a definire chiaramente, in termini giuridici, che le donne possono indossare l’hijab sia nel settore pubblico che privato. Una legiferazione in tal senso incoraggerebbe una maggiore rappresentanza delle donne musulmane nel mondo del lavoro.
La richiesta è giunta dopo un recente episodio in cui due donne musulmane che lavoravano nel settore sanitario sono state costrette a togliere l’hijab. Stesse dinamiche anche per le insegnanti musulmane che nelle scuole statali non possono indossarlo. “Non so esattamente”, dichiara a questo proposito l’Imam, “se è a loro vietato di indossarlo o se non lo indossano per timore che gli venga imposto di rimuoverlo”. Elsadi ha anche aggiunto che la comunità musulmana è comunque molto ben accettata e che c’è sempre tolleranza verso i costumi musulmani: “Apprezziamo molto l’atteggiamento del popolo maltese verso i musulmani”. Quando gli è stato chiesto se volesse che il provvedimento includesse anche il diritto di indossare il niqab (il velo che copre anche il volto), l’Imam ha risposto che la sua richiesta è specifica per l’hijab.
Non ci sono stime ufficiali sul numero di musulmani a Malta, un’isola che conta 400.000 abitanti, ma secondo stime ufficiose si aggirerebbero attorno ai 6.000.
(Samantha Falciatori)

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