Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 febbraio 2015

Il dramma di Lampedusa, i vescovi contro Bruxelles: "L'Europa sta a guardare"
Il rammarico del commissario Ue per i 29 migranti morti di freddo: "Deve essere fatto di più". Il sindaco dell'isola: "La missione europea 'Triton' così com'è non serve a niente". Attesi gli agenti della Scientifica per identificare le salme la Repubblica, 10-02-2015
"E' in corso il dramma. La nostra lotta contro i trafficanti continua in modo costante e coordinato. Deve essere fatto di più": così su Twitter il commissario Ue all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos si rammarica per i 29 migranti morti per assideramento al largo di Lampedusa. "Ogni vita perduta è una di troppo", aggiunge.
Ma i vescovi puntano il dito contro Bruxelles. Dopo il quotidiano Avvenire che definisce quanto accaduto una "tragedia lancinante che pesa sulla coscienza dell'intera Europa", rincara la dose il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova: "L'Europa sta a guardare", dice il porporato che aggiunge: "Finché l'Europa guarda dalle altre parti e fa finta di non capire che l'Italia è veramente la porta dell'Europa e che iò che accade in Italia appartiene a tutti, le cose andranno avanti così - conclude Bagnasco - con queste tragedie del mare".
E Avvenire aggiunge: "Non possiamo credere che questa nuova tragedia nulla dica alla coscienza d'Europa. La Libia, dove operano trafficanti senza scrupoli, racket legato alle milizie e forse ai jihadisti, non può restare estranea all'agenda di Bruxelles".
Lampedusa. Sull'isola gli sopravvissuti alla tragedia hanno trascorso la notte nel centro d'accoglienza di contrada Imbriacola. Le salme dei migranti, chiuse in sacchi di plastica, sono state sistemate all'interno del vecchio aeroporto in disuso. In arrivo una squadra della polizia Scientifica che dovrà identificare le vittime. Si tratta di giovani tra i 18 e i 25 anni, secondo una prima ispezione cadaverica. Gli agenti della Scientifica preleveranno il Dna e scatteranno delle fotografie per poterle poi identificare. Non si sa ancora se alcune delle vittime fossero parenti dei 75 superstiti che si trovavano sullo stesso barcone. Subito dopo le salme verranno sistemate nelle bare e portate via con la nave a Porto Empedocle per poi essere tumulate nei cimiteri in cui c'è spazio.
Il decesso dei migranti è avvenuto per ipotermia, dovuta al freddo del Canale di Sicilia su cui nelle scorse ore si è abbattuto una violenta ondata di maltempo. Al loro arrivo sulla maggiore delle Pelagie, i soccorritori hanno parlato di evidenti sintomi di assideramento. Per un migrante, giunto in condizioni gravissime, è stato necessario il trasferimento in elisoccorso a Palermo dove è ricoverato in coma, un altro, con sintomi di assideramento, è stato portato alla Guardia medica. Gli altri sono stati trasferiti al Centro d'accoglienza Il direttore sanitario dell'isola, Pietro Bartolo, ha criticato il sistema di soccorso adottato con l'introduzione del dispositivo "Triton" al posto dell'operazione "Mare nostrum". Per il medico, infatti, i migranti vengono soccorsi troppo al largo dalla terraferma, senza la possibilità di riparo a bordo delle navi e in caso di mare grosso e freddo sono costretti a una traversata esposti alle intemperie, cosa che può rivelarsi estremamente pericolosa. "Le condizioni in Libia sono drammatiche - spiegano i soccorritori - Se questi migranti hanno sfidato le onde alte sette metri e mare Forza 8 non appena il maltempo si placa si rischia una nuova invasione".
Sull'isola già ieri sera è arrivato il prefetto di Agrigento, Nicola Diomede, che oggi insieme al sindaco Giusy Nicolini visiterà il centro d'accoglienza per incontrare i 75 profughi sopravvissuti, tra loro ci sono anche tre minori non accompagnati, due della Costa d'Avorio e uno del Mali. Gli altri profughi provengono sempre dall'Africa subsahariana: Guinea, Senegal, Gambia e Niger.
Il sindaco ha parlato al telefono con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio: "Gli ho detto che non si può affrontare così né la primavera né l'estate perché è stato sguarnito il fronte umanitario quello del soccorso", afferma il primo cittadino, che ha attaccato frontalmente la missione europea 'Triton', subentrata all'operazione italiana 'Mare nostrum': "Così com'è - dice Nicolini - non serve a niente e quindi almeno risparmiamo questi soldi. Bisogna ripensare il sistema di soccorso e non può essere 'Mare nostrum'. Ma bisogna fare qualcosa di simile. E' vero -prosegue il sindaco- che costava tanto, ma bisogna fare in modo che costi di meno perchè un presidio nel Mediterraneo serve. Se si manda una motovedetta a 140 miglia, è evidente che c'è il rischio di trovare i migranti già morti. Bisogna portarli al sicuro nel giro di due ore. Non possiamo permetterlo e non possiamo permettere che Lampedusa ritorni nell'imbuto della indifferenza, della solitudoine e della emergenza".


 
Il medico di Lampedusa: Così i soccorsi sono inadeguati Prima li avremmo salvati»
Corriere dela sera, 10-02-2015
Alessandra Coppola
@terrastraniera
«Tutti uomini giovani e forti - sospira amaro Pietro Bartolo -. Tutti morti». Ce li ha davanti, mentre gli squilla il cellulare: «Non riesco a cominciare il lavoro». Affaticato, spiccio. Un`altra strage: «Era prevedibile, e succederà di uovo. Non è questo il sistema giusto per salvare vite umane. Probabilmente con Mare Nostrum non avremmo avuto questi morti: non è possibile che si vadano a recuperare i migranti a 100-120 miglia da Lampedusa per poi portarli verso la Sicilia in condizioni meteo proibitive. Quel dispositivo consentiva alle navi della Marina di raggiungere questi disperati, prenderli a bordo,  metterli al riparo e ristorarli. Ora questo è più difficile». È il dottore dell`isola, il direttore del Poliambulatorio che ne ha salvati a centinaia, ne ha fatte partorire a decine. E poi ha anche contato i cadaveri, di tutte le provenienze e di tutte le età. «Bare, bare, qui ci servono tante bare e nient`altro!», gridava disperato alla radio quando di corpi ne erano stati raccolti in mare 366, il 3 ottobre 2013. E lui era sul molo a ricomporli: «I pescherecci arrvano e mi scaricano qui solo morti e ancora morti!».
Ieri, la Guardia costiera gliene ha portati altri 29. «Africani, sub-sahariani - dice, e per la lunga esperienza saprebbe  azzardare anche da quali Paesi venivano -. Costa d`Avorio, Ghana, Niger. Non ci sono donne e bambini. Erano ragazzi. Al cento per cento morti di ipotermia». Di freddo.
Sono settimane che a Lampedusa fa il gelo degli inverni peggiori. «Una roba impensabile». Il mare è così grosso, racconta Vito Fiorino, che per 15 giorni la nave non ha attraccato. «C`è riuscita domenica a  portarci i viveri, oggi neanche è venuta». Lampedusano del weekend, Fiorino era stato tra i soccorritori volontari del 3 ottobre, e adesso è con una  certa angoscia che raccoglie le notizie della motovedetta che è partita per il salvataggio e per le condizioni delle onde rischiava pure di ribaltarsi.
«Non è cambiato nulla continua Bartolo -. Dopo il primo novembre (fine di Mare Nostrum, ndr) le barche hanno continuato ad arrivare. Solo che non se ne dà più notizia». L`ultima bagnarola «è stata rimorchiata 5, 6 giorni fa: 181  persone a bordo, come questi ragazzi partiti dalla Libia». Buttati in acqua dai trafficanti nonostante il maltempo che sta battendo il Mediterraneo.
Quando le onde sono alte, i primi a salire a bordo sono gli africani, che per gli scafisti valgono meno e possono rischiare  di più. Ma ora il freddo è micidiale. «Si sono salvati i più robusti - continua il medico - chi è riuscito a trovare un  angolino riparato. Ma anche i sopravvissuti sono, in condizioni precarie». Non è stagione da rotta Sud. Gli arrivi negli  ultimi mesi sono soprattutto via terra o dalla Turchia, su mercantili che resistono alle onde. Ma chi segue le pagine  Facebook e i siti arabi dove i profughi siriani si scambiano notizie segnala un inquietante aumento delle ricerche di persone scomparse in viaggio.



VERGOGNA EUROPEA
la Repubblica, 10-02-2015
GAD LERNER
LA DENUNCIA di Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, è di quelle che dovrebbero rendere insonni le notti dei nostri governanti.
SIAMO tornati a prima di Mare Nostrum. Non sono serviti a niente i 366 morti del 3 ottobre 2013, non sono servite a niente le parole di Francesco».
Ci avevano presentato come un successo il coinvolgimento degli altri paesi europei nella nuova operazione Triton, mimizzando il vincolo imposto alle navi militari: limitare il pattugliamento all`interno delle acque territoriali. Sottovoce lasciavano  intendere che non sarebbe cambiato nulla, anzi, che tale arretramento del raggio d`azione avrebbe disincentivato i trafficanti e i profughi loro ostaggi. Con un bel risparmio di 9 milioni al mese, ovvero 108 milioni l`anno, considerati un onere eccessivo sul bilancio dello Stato.
Menzogne, sotterfugi. La verità si è imposta in queste notti invernali di mare a forza 7, quando la rinuncia a una presenza costante della Marina Militare in acque internazionali ha ritardato l`intervento delle motovedette della Guardia Costiera, peraltro encomiabili per l`impegno profuso tra le onde di otto metri che hanno prima infradiciato e poi congelato decine di poveracci, fino a ucciderli per ipotermia.
Inequivocabili risuonano le parole di Pietro Bartolo, direttore sanitario di Lampedusa: «Non è questo il sistema giusto per salvare vite umane. Probabilmente con Mare Nostrum non avremmo avuto questi morti». Le motovedette non sono attrezzate a  prestare soccorsi immediati, a differenza delle navi della Marina non hanno medici a bordo, faticano a coinvolgere i mercantili di passaggio.
Anche le nude cifre sono inequivocabili. Smentita la pretesa di scoraggiare i viaggi dall`Africa mostrandoci meno accoglienti. Gli sbarchi dacché Frontex ha preso il posto di Mare Nostrum sono aumentati: furono 2171 nel gennaio 2014; sono stati 3528 nel gennaio di quest`anno. I morti registrati fino al 9 febbraio dell`anno scorso furono 12; i morti già contati alla stessa data del 2015 sono più di 50. Considerateli il prezzo di una ritirata dalle acque internazionali e chiedetevi se possiamo accettare che l` annegamento, il soffocamento, il congelamento di persone ci riguardi meno quando avviene a  100 miglia anziché a 12 miglia da Lampedusa.
Sarà bene precisare, a questo punto, che la decisione Ue di accontentarsi del presidio dei confini europei - ammesso che sia  sensata e moralmente accettabile - di per sé non costituiva un impedimento alla libera iniziativa sovrana dello Stato italiano. In altre parole, l`Europa gretta e egoista non vietava affatto al nostro governo di proseguire l`azione intrapresa con Mare Nostrum. Tanto è vero che la nostra Marina Militare ha fatto pressioni sulle autorità politiche per proseguirla, ricevendo in cambio  accuse di insubordinazione corredate di insinuazioni sui vantaggi economici che gliene derivavano. Insomma, l`Europa ci ha fornito un alibi per rinunciare a un`opera di soccorso umanitario della quale pure avevamo menato gran vanto. E che il governo ha pensato di poter interrompere alla chetichella, fingendo che nulla fosse cambiato.
Da questo punto di vista; i morti di freddo nel Canale di Sicilia non rappresentano solo una ferita alla coscienza nazionale di un paese civile. Segnalano anche un deficit di politica estera che offusca il nostro ruolo di potenza mediterranea.
Stiamo cedendo spazio al monopolio di mafie transazionali che insieme alla tratta dei migranti gestiscono anche il commercio  illegale di armi e materie prime, avvantaggiando il radicamento jihadista sulla sponda sud del nostro mare. L`esito più  immediato di questo ripiegamento potrebbe essere la chiusura della nostra ambasciata a Tripoli, ultimo avamposto occidentale
in Libia, dove aumentano i rischi anche per il nostro rifornimento energetico.
Ricordiamo Enrico Letta e José Barroso inginocchiati davanti a centinaia di bare nell`hangar di Lampedusa, meno di due anni fa. La sensazione è che ora ci troviamo di nuovo in ginocchio, ma voltati dall`altra parte come se questa tragedia non ci riguardasse più. Magari perché così ha voluto il ministro Alfano. Eppure ci vorrebbe poco per ripristinare Mare Nostrum, salvando vite umane e insieme l`onore della nazione.


 
"Noi, tra le onde giganti per ore in attesa che venissero a salvarci"
la Repubblica, 10-02-2015
Il Racconto
ALESSANDRA ZINITI
SONO sconvolto, senza parole. Non mi abituerò mai a tirare su un lenzuolo sui volti di questa gente. Soprattutto quando,  come questa volta, avremmo potuto salvarli. Se solo i soccorsi fossero stati adeguati. Se li avessero presi a bordo di una nave militare, coperti, riscaldati, rifocillati. E invece ancora ore e ore di acqua e gelo sulle motovedette aperte, bagnati da onde alte metri e sferzati dal vento ghiacciato e dalla bufera. Morti di freddo».
Corre da un lettino all`altro del poliambulatorio, attrezzatissimo, di Lampedusa Pietro Bartolo: direttore sanitario e medico che ha ancora negli occhi l`orrore di quelle centinaia di corpi dei naufragi del 3 e del 10 ottobre. Avvolto nella copertina termica di alluminio un ragazzo giovanissimo, gli occhi sbarrati fissi al soffitto, è l`unico che - in poche sussurrate  parole di inglese stentato - riesce a spiegare cosa è successo. « Waves... ten meter... cold, very very cold... my friends... dead». Dice di chiamarsi Hope, come la speranza con cui, insieme ad altri 105 compagni di quel viaggio disperato, aveva intrapreso il viaggio dalla Libia nonostante le condizioni del tempo non fossero rassicuranti.
«Eravamo tutti uomini, a bordo di un barcone di legno: non c`erano donne né bambini... per fortuna. Il tempo non era bello ma non pensavamo di finire nella tempesta. E invece dopo sette, otto ore di navigazione la barca si è fermata. C`erano onde altissime, sempre più alte, nove-dieci metri, un muro d`acqua, salivamo e scendevamo, salivamo e scendevamo. Paralizzati dalla paura. Ero sicuro che saremmo morti tutti, sbalzati in acqua. Alcuni avevano il salvagente, avevano pagato di più, altri no, ma ci tenevamo stretti tra noi per non cadere. Eravamo tutti bagnati, il gelo era terribile, il vento fortissimo, grandinava, le mani senza più sensibilità. Ci avevano dato un telefono satellitare e abbiamo dato l`allarme, ma non arrivava  nessuno. Poi abbiamo visto quella nave e pensavamo di essere salvi. Forse eravamo ancora tutti vivi».
Ma la salvezza era ancora molto lontana. La nave di cui parla Hope era il mercantile Bourbon/Argos. C`era ancora luce domenica pomeriggio quando il comando delle capitanerie di porto di Roma, a cui è arrivato l`Sos, ha dirottato sulle coordinate indicate dai migranti, oltre 100 miglia a sud di Lampedusa ( in acque libiche), due mercantili che incrociavano  nella zona. «Il mare era forza 8, onde alte nove metri, come un palazzo di tre piani. Condizioni del mare proibitive», dice il portavoce delle Capitanerie di Porto Filippo Marini. I due mercantili, oltre al Bourbon Argos il Saint Rock, neanche ci provano a salvare i migranti: impossibile prenderli a bordo, altissimo il rischio di far rovesciare l`imbarcazione alla deriva. Per altre sei ore, i 105 uomini tendono le mani e gridano. Non capiscono perché nessuno li prenda a bordo. Sono  altre sei ore di acqua ingoiata, gelo, grandine, raffiche di vento a 300 chilometri orari. «Alcuni di noi non si muovevano più, forse erano già morti, forse solo svenuti».
Erano le 22 di domenica quando dopo una cavalcata di sei ore in quel mare in tempesta la prima motovedetta della guardia costiera partita da Lampedusa raggiungeva il barcone in avaria. Ma non era ancora finita «Ci hanno dato le coperte termiche e basta. Le onde altissime ci bagnavamo, acqua di sopra e di sotto, avevo ghiaccio ovunque, non riuscivo più a muovermi. Non c`era niente di caldo, non c`era un medico, non c`era un riparo. Il ragazzo accanto a me era rigido e non si muoveva più. Ho pensato: "Adesso muoio anch`io"».
Avrebbero dovuto arrivare a Lampedusa dopo altre sei ore di navigazione le motovedette con i profughi a bordo, sei ore ancora all`aperto, al gelo, ammassati nella prua della motovedetta ad ogni onda invasa dal mare. Ma il viaggio è durato molto di più. Persino le motovedette sono andate in avaria. «Questi non sono incidenti, sono omicidi. Far partire la gente con questo mare significa ucciderla - dice l`ammiraglio Giovanni Pettorino - e per i nostri operatori un soccorso in condizioni  così proibitive significa rischiare la vita».
Quando, alle cinque del pomeriggio, dopo 19 ore, la prima motovedetta ha toccato il molo Favaloro, è cominciata la tragica  conta. E dei 105 "salvati" alle 22 della sera prima, 29 erano ormai morti. Dí freddo. Assiderati. E la rabbia di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, esplode: «Questa strage si poteva evitare. Così è impossibile salvare vite umane».  



Strage di profughi, Ue: si deve fare di più
Nello Scavo
Avvenire, 10-02-2015
"Finché l'Europa fa finta di non capire che l'Italia è veramente la porta dell'Europa e guarda da un'altra parte, le cose andranno avanti così, con queste tragedie in mare". Lo ha detto stamani il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, a chi gli chiedeva dell'ultima strage di migranti a Lampedusa.
"È in corso il dramma. La nostra lotta contro i trafficanti continua in modo costante e coordinato. Deve essere fatto di più": così su Twitter il commissario Ue all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos nel rammaricarsi per la morte dei migranti nel Mediterraneo. "Ogni vita perduta è una di troppo", aggiunge.
La gelida strage. L'Ue assente
di Nello Scavo
Sono morti di freddo. Assiderati dopo diciotto ore in balia di una tempesta polare. Sette sono spirati aspettando i soccorsi, altri 22 hanno esalato l’ultimo respiro a bordo delle motovedette italiane, le uniche a spingersi al largo, mentre i mezzi della missione europea Triton, tenuti sotto costa, non sono stati di alcun aiuto. Altri 29 morti, in maggioranza eritrei. E non si sa quanti siano i dispersi. Si sono salvati in 76, la gran parte subsahariani. Su un gommone gli uomini della Guardia Costiera hanno trovato solo due naufraghi. «Ma è impossibile che fossero partiti da soli», spiegano dalla capitaneria. Intanto un velivolo Atr della Marina lanciava in mare alcune zattere di salvataggio, casomai tra le onde ci fosse qualcuno ancora in grado di mettersi in salvo. Fino a tarda notte, però, nessun altro è stato avvistato.
Sono i trafficanti i colpevoli dello sterminio nel Mediterraneo: oltre tremila morti in poco più di un anno. Ma la strage di ieri, sui cui indaga la procura di Agrigento, ha anche dei responsabili per omissione. «Non riuscirò mai ad abituarmi a queste tragedie. Sono sconvolto. Si poteva evitare. Con la fine di Mare Nostrum siamo tornati a contare i morti in mare». Pietro Bartolo è il direttore sanitario di Lampedusa. È toccato a lui fare la prima ispezione sui 29 cadaveri. «Sarebbe bastato – rincara il dottor Bartolo – che li andassero a prendere con le navi militari e non con i gommoni o le motovedette, in mare aperto, con questo gelo e con questo maltempo». Anche il sindaco dell’isola indica nell’Unione Europea e nella soppressione di Mare Nostrum la responsabilità per queste vite perdute: «Se ci fosse stata Mare Nostrum sarebbero tutti ancora vivi». E invece c’è Triton, il dispositivo dell’Unione europea, che ieri ha mostrato la corda, mettendo a nudo la cattiva coscienza della gran parte dei Paesi Ue. Rispetto a Mare Mostrum, Triton consente costi di gestione inferiori di circa 60 milioni all’anno: solo 2,2 milioni per ciascuno del 27 stati membri. Di «orrore» ha parlato Laura Boldrini. «Persone morte non in un naufragio, ma per il freddo. Queste - ha denunciato il presidente della Camera - le conseguenze del dopo Mare Nostrum».
In balia della burrasca a bordo dei barconi presumibilmente salpati dalla Libia si è lottato per la vita. Uno dei sette profughi deceduti prima dei soccorsi, è stato rinvenuto con il cranio fracassato. Il cadavere è stato sistemato alla banchina del molo Favaloro a Lampedusa, insieme
con gli altri 28 corpi. Non si esclude che l’uomo possa essere stato colpito dagli altri migranti nel tentativo di accedere nel gavone, già assiepato, per trovare riparo quando la pioggia si è fatta insistente e la temperatura era di zero gradi.
«Sono morti in una maniera indegna per un essere umano », ha detto a Radio Vaticana l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro. «Qui ci sono esseri umani che continuano a bussare alle porte perché continuano a chiedere di vivere – ha aggiunto il presule che il 14 febbraio riceverà la porpora cardinalizia – e un’operazione europea che si limiti soltanto a salvaguardare i confini credo che non otterrà grandi risultati».
Onde alte 8 metri, maestrale con mare forza 7. Un inferno d’acqua gelata che ha messo a dura prova 4 motovedette , ciascuna con a bordo un medico e un infermiere. «La Guardia costiera sta facendo il proprio lavoro oltre ogni limite, in condizioni meteo proibitive. Ma come diciamo da tempo, i mezzi messi in campo da Triton non sono sufficienti». Carlotta Sami, portavoce dell’Acnur, lo ripete da mesi: «È una tragedia, ma purtroppo ce ne aspettiamo delle altre». Alcune fonti parlano di almeno altri due barconi salpati ma di cui non si ha notizia.
«Li abbiamo fatti morire di freddo nel nostro Mare Mediterraneo », è l’accusa di monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes. «Una vergogna - ha esclamato - che l’Europa avrebbe potuto risparmiarsi se non si avesse abbandonato con troppa superficialità l’operazione Mare Nostrum».



Il caos in Libia aumenta le rotte neanche il gelo ferma gli sbarchi
Il Messaggero, 10-02-2015
C.Man.
IL CASO
ROMA Nessuno stop, nessun cambiamento: Triton continuerà per tutto il 2015. Così è stato ribadito nei giorni scorsi in sede europea, nonostante gli sbarchi siano aumentati, di pari passo con il numero dei morti. L`operazione non sembra riuscita nell`obiettivo di far diminuire il numero di clandestini che arrivano sulle nostre coste. E da quando è partita, dopo il  naufragio davanti all`isola di Lampedusa che ha causato centinaia di vittime, sono approdati sulle nostre coste oltre 20 mila migranti. L`andamento dei flussi è rimasto in linea con quanto accadeva prima che si decidesse di avviare i pattugliamenti  impiegando mezzi e uomini in accordo con gli altri Stati membri. E se ieri, nonostante il mare con onde alte nove metri, i  barconi della speranza hanno tentato di arrivare a Lampedusa, è facile immaginare cosa accadrà quando il mare tornerà calmo con l`arrivo della primavera.
NAVI FERME
La sfortuna, poi, ci ha messo del suo nella tragedia di ieri. Erano ferme in porto per rifornimento e per cambio equipaggio le due navi d`altura che avrebbero potuto soccorrere in modo più sicuro il barcone alla deriva nelle acque libiche. E non c`era alcun mercantile in zona pronto a intervenire. Nel dispositivo messo in campo da Triton, l`operazione targata Frontex,  l`Agenzia europea delle frontiere, è presente una nave d`altura, l`islandese Tyr, l`unica in condizione di andare a raccogliere barconi in difficoltà. La Tyr, però, nelle ore della richiesta di aiuto era bloccata a Malta per il periodico e programmato cambio di equipaggio e rifornimento. L`altra nave d`altura che incrocia nelle acque del Canale di Sicilia è un pattugliatore della Marina militare che però si trovava anche quello nel porto di Augusta per rifornimento. È toccato dunque  alle motovedette della Guardia costiera operare il soccorso. Proprio nei giorni scorsi il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, è stato in Italia per una serie di incontri. Tra gli altri, ha visto il capo della Polizia Alessandro Pansa. Il focus dell`impegno di Triton - come da mandato - è sul controllo delle frontiere, più che sull`attività di ricerca e soccorso in mare. I mezzi sono così posizionati entro il limite delle trenta miglia dalle coste. Ma superano quella soglia quando sono chiamati al soccorso. Diverso era il mandato dell`operazione Mare Nostrum. In quel caso, l`accento era sul salvataggio delle  vite in mare: le navi arrivavano fino a ridosso della Libia per soccorrere i barconi in difficoltà.



Sbarchi, la linea dura del Viminale Interventi solo in casi gravi
Nuovo via libera a missione Triton
Nuova tragedia nel Canale di Sicilia: 29 morti per assideramento. Polemiche per la sospensione di Mare Nostrum ma continua la missione Ue
Corriere della sera, 10-02-2015
FIORENZA SARZANINI
La linea del Viminale non cambia. Di fronte alla nuova tragedia nel Canale di Sicilia, i responsabili dell’Immigrazione confermano la necessità di andare avanti con l’operazione «Triton». Il rinnovo dell’accordo in sede europea è già avvenuto, si prosegue con altri finanziamenti e lo stesso dispositivo di mezzi schierati in mare e in volo fino al dicembre 2015. Sono 25 tra navi e motovedette, oltre a nove aerei. Archiviata definitivamente «Mare Nostrum» e ogni altro tipo di missione umanitaria, si fanno i conti con l’emergenza. Ma la decisione è presa: i mezzi di soccorso si muoveranno soltanto in caso di grave pericolo perché la loro presenza in acque internazionali o addirittura di fronte alle coste libiche e turche «rischia di incoraggiare le partenze», come hanno ribadito nel corso dell’ultima riunione anche i vertici di «Frontex», la struttura dell’Unione Europea che ha il compito di pianificare le politiche dell’immigrazione condivise da più Stati membri. E questo nonostante ci sia la dimostrazione che «Triton» non ha sinora fornito i risultati annunciati. Soprattutto con la consapevolezza che la situazione può diventare drammatica, come ribadirà questa mattina in Parlamento il prefetto Mario Morcone, direttore del Dipartimento Immigrazione, sottolineando la necessità di trovare nuove strutture di accoglienza e di poter contare sulla collaborazione di Lombardia e Veneto, sinora molto restie ad autorizzare l’assistenza ai profughi.
I 32 sbarchi
I dati aggiornati a ieri documentano 32 sbarchi di migranti dall’inizio dell’anno per un totale di 3.815 persone, compresi 241 minori non accompagnati, ben il 60 per cento in più dello stesso periodo del 2014. «I numeri - spiegano gli analisti del ministero dell’Interno - ci dimostrano che c’è ancora molto da fare per riuscire a governare i flussi. Turchia ed Egitto hanno intensificato la collaborazione, potenziando i servizi di vigilanza nei loro porti e ciò fa ritenere che la strada intrapresa possa essere quella giusta, anche se non sufficiente». In realtà l’acuirsi della crisi mediorientale e la situazione di incertezza in Libia fanno prevedere che nei prossimi mesi, probabilmente già nelle prossime settimane, il numero degli arrivi potrebbe continuare ad aumentare. Basti pensare che tra gli sbarcati in questi primi 40 giorni del 2015, 764 sono siriani, 513 provengono dal Gambia e 487 dal Senegal.
L’asilo negato
La scelta di proseguire con i pattugliamenti a 30 miglia dalle coste italiane viene ritenuta al momento l’unica strada possibile. Ma il rischio forte è che entro breve si entri in una situazione di grave emergenza. E quindi sarà necessario intervenire in maniera strutturale, anche tenendo conto dei dati relativi alla concessione dello status di rifugiato. Nel 2014 è stato infatti accolto soltanto il 50 per cento delle istanze di asilo politico e questo ha aumentato la presenza nel nostro Paese di migranti irregolari. Al Viminale negano però che ci sia stato un aumento delle vittime e forniscono l’elenco dei naufragi «che solo lo scorso anno hanno causato oltre 3.000 vittime. Il 28 giugno del 2014 ci sono stati 250 dispersi, altri 250 il 6 luglio, 270 il 23 agosto e 250 il 31 agosto che si aggiungono ai 489 del 13 settembre: tutti in condizioni di bel tempo e mare calmo». Una contabilità dell’orrore che però non basta a placare le polemiche e le accuse delle associazioni umanitarie che, in linea con quanto sostenuto dall’Alto commissariato per i rifugiati, insistono sulla necessità di prevedere interventi umanitari proprio per cercare di soccorrere i migranti quando si trovano in acque internazionali.
Alloggi per i migranti
La scorsa settimana il capo della polizia Alessandro Pansa ha incontrato il direttore di «Frontex» Fabrice Leggeri proprio per pianificare gli obiettivi della missione in vista della bella stagione che, presumibilmente farà aumentare ulteriormente gli arrivi. Al momento rimangono invariati il numero dei mezzi e l’entità dei finanziamenti: 2 milioni e 900 mila euro mensili messi a disposizione della Ue per coprire il 100 per cento delle spese sostenute dagli Stati stranieri e il 38 per cento di quelle affrontate dall’Italia. I mezzi navali costano tra i 550 e i 1.000 euro all’ora, gli aerei circa 3.500 euro. Un impegno che potrebbe rivelarsi insufficiente. A questo si aggiunge la carenza di strutture per l’accoglienza. Oggi il prefetto Morcone sarà ascoltato dalla commissione Diritti umani del Senato presieduta da Luigi Manconi. E in quella sede ribadirà le difficoltà di reperire alloggi per gli stranieri che, di fronte a un peggiorare della situazione, potrebbero costringere il Viminale ad individuare nuove caserme da destinare all’assistenza dei profughi, ma anche a requisire intere strutture per garantire assistenza a chi fugge dalle aree di guerra ed è in attesa di ottenere lo status di rifugiato .



Tragedia lancinante che pesa sulla coscienza dell'intera Europa
Avvenire, 10-02-2015
La nuova strage al largo di Lampedusa ha provocato forti polemiche sulla missione Triton, già a corto di fondi e la cui sopravvivenza dopo l’estate appare in forse. L’assenza di navi Ue nelle acque antistanti le coste libiche sarebbe stata «fatale» dicono gli operatori e la presidente della Camera. 'Mare Nostrum' è un ricordo, purtroppo. E ci domandiamo con l’arcivescovo di Agrigento, che senso abbia limitarsi a pattugliare i confini davanti a un flusso di disperati che neppure il generale inverno riesce a fermare. Non possiamo credere che questa nuova tragedia nulla dica alla coscienza d’Europa. La Libia, dove operano trafficanti senza scrupoli – racket legato alle milizie e forse ai jihadisti – non può restare estranea all’agenda di Bruxelles.



Treni, autobus e dintorni
Corriere delle migrazione, 09-02-2014
Sergio Bontempelli
Il razzismo ha molti volti e molte sfaccettature. C’è quello delle aggressioni fisiche, ma anche quello “istituzionale”, fatto di discriminazioni agite o sancite dalle autorità pubbliche. C’è l’intolleranza che corre sui social network, e che si riproduce di commento in commento, di tweet in tweet. E poi c’è la chiacchiera quotidiana, da bar: i discorsi di tutti i giorni – “vengono in troppi”, “ci rubano il lavoro” – che creano un solco di discriminazione e di disprezzo, alimentano false notizie e leggende metropolitane, creano muri tra un (presunto) “noi” e un (altrettanto presunto) “loro”.
A volte, può accadere che un addetto al pubblico – un commerciante, un barista, un funzionario, un capotreno… – abusi del suo potere, sulla base di dicerie e generalizzazioni. Gli esempi possono essere molteplici: dal barista che allontana dal suo locale un cliente rom («si sa che rubano, non ce li voglio qui dentro…») al conducente di un autobus che in un eccesso di (cosiddetto) zelo non apre le porte del suo mezzo ai passeggeri migranti… In questi casi, un cittadino comune può intervenire, senza imbarcarsi in faticose discussioni,  facendo semplicemente riferimento alla legge.
L’appello al rispetto delle norme consente di ancorare la discussione a un elemento – per così dire – oggettivo, e anche “neutro” dal punto di vista valoriale. Detta in termini semplici, si tratta di assumere un atteggiamento del tipo «Lei è libero di pensarla come vuole, ma è tenuto all’osservanza di queste norme…». L’interlocutore – statene certi – vi odierà con tutte le sue forze, ma difficilmente vi darà torto: la legge è pur sempre la legge, e vale per tutti.
Vi proponiamo allora un piccolo viaggio, in diverse puntate, sui piccoli episodi di ogni giorno, in cui chiunque può intervenire con efficacia. In questo primo articolo, cominciamo dai mezzi di trasporto.
«Gli extracomunitari non pagano il biglietto»
E’ il caso più frequente. Un controllore sale sul treno, o sull’autobus, e chiede ai passeggeri di esibire il biglietto: chi ne è sprovvisto, o chi ne ha uno irregolare (perché non timbrato, o perché riferito a un viaggio più breve, ad esempio) incorre in sanzioni. E’ una cosa normale, e fa parte dell’ordinaria routine dei trasporti pubblici.
Tuttavia, va ricordato che non è possibile effettuare controlli selettivi: in altre parole, non si può chiedere il biglietto solo ai passeggeri dotati di certe caratteristiche (ad esempio, a chi ha la pelle nera, a chi è o sembra “rom”, a chi è o sembra “extracomunitario”, e così via). L’operatore ha l’obbligo di controllare tutti i passeggeri. Se non lo fa, mette in atto un comportamento discriminatorio vietato dalla legge: anche se l’immigrato di turno viene trovato senza biglietto. Le norme in materia sono molto chiare: si può fare riferimento all’articolo 43 del Testo Unico Immigrazione (decreto legislativo 286/98), che vieta ogni «distinzione (…) basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose».
L’obiezione per cui «sono sempre gli extracomunitari che non pagano il biglietto» è ovviamente priva di fondamento: nessuno studio serio ha mai accertato una particolare “propensione” degli immigrati a evadere le tariffe dei trasporti. Suggeriamo però di non addentrarsi in discussioni di questo tipo, e di richiamare con fermezza l’operatore al rispetto dei suoi doveri.
«Non hai il biglietto? Scendi dal treno…»
Un altro esempio tipico di comportamento discriminatorio è l’ipotetico controllore che, su un mezzo di Trenitalia, “pizzichi” uno straniero senza biglietto, e lo costringa a scendere alla prima fermata utile. Perché questo comportamento è discriminatorio? Non è forse giusto imporre una sanzione a chi non ha rispettato le regole? Ovviamente sì, è giusto. Qui non si vuole fare l’apologia di chi non paga il biglietto: la legge è uguale per tutti. Ma – ed è questo il punto – anche la “punizione” deve essere uguale per tutti, sennò non vale…
Ora, piaccia o non piaccia, Trenitalia non prevede che il trasgressore debba scendere (bisogna ricordare che le sanzioni non sono stabilite dalla legge, ma dai regolamenti interni di ogni gestore). Nelle «Condizioni generali di trasporto» dell’azienda ferroviaria [Parte Terza, cap. 7 su «Irregolarità e abusi», lettera e], si legge testualmente che «il viaggiatore sprovvisto dei titoli di viaggio è assoggettato al pagamento del prezzo intero dovuto più una soprattassa di €200». Una formulazione simile si trova anche nella Carta dei Servizi del Trasporto a media e lunga percorrenza (quella relativa alle “Frecce” e ai treni Intercity, per capirci).
Insomma, chi non ha il biglietto deve pagare una multa. E se non ha i soldi per pagarla subito, si vedrà recapitare a casa l’importo dovuto. Dunque, il capotreno non può far scendere l’eventuale “portoghese”: l’interruzione del viaggio è prevista solo quando il trasgressore rifiuti esplicitamente la multa [DPR 753/80, art. 23, terzo comma], o quando non si faccia identificare, cioè non fornisca i propri documenti [Condizioni Generali di Trasporto Trenitalia, Parte Prima «Norme Comuni», punto 7].
L’addetto che “sbatta  fuori dal treno” un cittadino straniero privo di biglietto commette allora un atto discriminatorio: non perché sia giusto o legittimo viaggiare gratis sui mezzi pubblici, ma perché le sanzioni devono essere proporzionate, conformi ai regolamenti, e uguali per tutti. Se vi dovesse capitare un caso del genere, ricordatelo al capotreno. E respingete al mittente le eventuali risposte di senso comune, del tipo «si sa che poi loro la multa non la pagano, nemmeno se viene spedita a casa…». Ovviamente si tratta di uno stereotipo, ma non è il caso di addentrarsi: basterà ricordare che le regole sono regole, e che gli addetti Trenitalia sono tenuti a rispettarle. Qualunque sia la loro opinione.
Questuanti e venditori
Un altro caso frequente è quello del controllore che allontana dal treno il venditore ambulante, o la persona che chiede l’elemosina. Qui, le norme sono più restrittive: esiste addirittura una legge (il già citato DPR 753/80, all’art. 30) che vieta «le attività di venditore di beni o di servizi», nonché quelle «di cantante, suonatore, e di raccolta di fondi a qualunque titolo» a bordo dei treni. La stessa norma prevede l’allontanamento dal mezzo e una multa fino a 46 euro.
In questo caso, dunque, il capotreno è obbligato a far scendere il mendicante, il suonatore o il venditore. In ogni caso, il Codice Etico del Gruppo Ferrovie dello Stato (a cui appartiene anche Trenitalia) obbliga il personale a comportarsi «con efficienza e cortesia» nei confronti della clientela (pag. 15). Non sono perciò ammissibili insulti e umiliazioni, né violenze verbali o fisiche, né offese a sfondo etnico o razziale: tutti comportamenti, tra l’altro, punibili ai sensi del Codice Penale.
Infine, è opportuno chiarire che la questua non è di per sé un reato. Chi chiede l’elemosina su un treno è responsabile di una semplice infrazione amministrativa (svolge un’attività che non è autorizzata a bordo del mezzo), ma non compie un “crimine” dal punto di vista penale.

 



Immigrazione: giovane siriano tenta di togliersi la vita nel Cie di Ponte Galeria
Il Manifesto, 10-02-2014
Annamaria Rivera
Il giovane è stato sottoposto a due interventi chirurgici. Proteste degli altri migrati rinchiusi. Decine di volte ho scritto, in saggi e articoli, contro i lager di Stato o, se l'espressione vi sembrasse eccessiva, dei Guantánamo italiani. Ma altra cosa è essere messa brutalmente di fronte alla loro realtà materiale e umana, alla loro concreta essenza concentrazionaria. All'orrore di lunghi, allucinanti corridoi di sbarre, dove i più camminano come fantasmi, qualcuno urla senza sosta la propria angoscia. All'agitazione contagiosa di persone, anche giovani, cui è stata inflitta la "doppia pena": il lager dopo il carcere. Allo squallore di camerate prive d'ogni arredo e colore. Allo stanzino angusto e senza finestre, con un logoro materassino di gommapiuma, messo sul pavimento come giaciglio.
Qui, secondo la spiegazione dei nuovi gestori del Cie di Ponte Galeria, sono isolati certi "utenti" (è il loro lessico, da banalità del male), quelli che hanno bisogno di assistenza o sorveglianza "perché non si facciano del male". Qui ha trascorso la serata e la notte tra il 6 e il 7 febbraio un giovane internato, forse di nazionalità siriana, reduce da un intervento chirurgico per essersi tagliato, con una lametta, vene e tendini di un polso. Ha passato quella notte in compagnia delle forze dell'ordine, che non devono avergli riservato cure troppo amorevoli, né devono essersi commosse oltre misura ai suoi pianti e alla disperazione. Fatto sta che l'indomani mattina, polso e avambraccio erano talmente gonfi da richiedere una nuova visita in ospedale, alla quale seguirà, sembra, una seconda operazione.
Non prendo per oro colato ciò che dicono alcuni testimoni dall'interno del Cie, a proposito d'una presunta istigazione all'atto autolesionistico da parte d'un rappresentante delle forze dell'ordine. Ma non sarebbe troppo sorprendente: lo schema più consueto degli atti di autolesionismo compiuti nei lager per migranti (quello di Ponte Galeria ne ha una storia ragguardevole) contempla la provocazione di qualcuno "che sta sopra". Si consideri, inoltre, che lì agli internati è proibito tenere perfino penne e matite, meno che mai, evidentemente, lamette e altri oggetti affilati.
Lo ho potuto constatare di persona il 27 gennaio scorso, nel corso della visita in quel Cie, compiuta insieme con Gabriella Guido, di LasciateCIEentrare, Daniela Padoan, portavoce dell'eurodeputata Barbara Spinelli e altri. Sarebbe opportuno, dunque, che s'indagasse sulla dinamica che ha indotto un così giovane internato a tagliarsi le vene. Del pari, converrebbe verificare le voci numerose - d'internati ed ex internati - che dicono di una "squadretta" delle forze dell'ordine, talvolta accompagnata da cani (anch'essi vittime di quel sistema), pronta a intervenire con modi non troppo gentili nei confronti dei più agitati tra gli "utenti".
Quel venerdì mattina del 6 febbraio, la vista del giovane siriano che perdeva sangue copiosamente aveva scatenato una rivolta, con l'usuale corollario del rogo di materassi (saranno stati sostituiti con letti più decenti?). Rivolta effimera e vana: tutto sembra tornato come prima, se non fosse per l'attenzione da parte di alcuni rappresentanti della "società civile" e delle istituzioni (tra i quali, la già citata Spinelli). Le cui regolari visite e denunce, però, non sembrano incidere granché sulla struttura e sulla routine di quell'isola concentrazionaria, così come di altre simili.
Può accadere perfino che a visite di tal genere seguano atti illegittimi ai danni degli internati: ritorsioni o solo casuali coincidenze nefaste? Il giorno dopo la nostra, del 27 gennaio, il console nigeriano sarebbe entrato nel Cie per identificare diciannove suoi concittadini da rimpatriare. Il 29 gennaio i diciannove, compreso un giovane richiedente asilo in sciopero della fame e condizioni di salute assai precarie, sarebbero stati deportati in Nigeria con un charter dell'Agenzia Frontex: un caso di scandalosa violazione di direttive europee, della Carta dei diritti dell'Ue, dello stesso articolo 10 della nostra Costituzione.
Quanto alle condizioni del Cie, le cose sembrano perfino peggiorate dacché all'Auxilium, ente gestore fin dal 2010, dal 15 dicembre scorso è subentrata l'Associazione Acuarinto di Agrigento: facente parte di un raggruppamento d'imprese guidato dalla Gepsa, una SpA francese che si occupa di penitenziari, a sua volta filiale di Cofely, holding dell'energia, controllata dalla multinazionale Gdf-Suez.
L'appalto è stato ottenuto grazie alla drastica riduzione dei costi, del personale e dei servizi garantiti. Si immagini cosa voglia dire, in una situazione così esplosiva, la riduzione non solo di cibo, sigarette, tessere telefoniche, ma anche degli oggetti più elementari per il decoro personale e dei servizi di assistenza psicologica. Sempre più si ribelleranno, le nonpersone dette ipocritamente utenti, affermando così la pienezza della loro umanità.

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links