Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 novembre 2014

Roma, aggredito un altro straniero «Cacciateli tutti o sarà l`inferno»
Guerriglia a Tor Sapienza, quartiere blindato dalla polizia Furia dei residenti contro il palazzo che ospita gli immigrati
Il Messaggero, 13-11-2014
Nino Cirillo
ROMA La colpa è sempre loro, degli «arabetti». Sono loro che sporcano, sono loro che si affacciano nudi alle finestre, che lanciano coltelli sui passanti, che si ubriacano, che danno fastidio alle ragazze. E se tanto mi dà tanto, deve essere stato per forza uno di uno di loro -tutta Tor Sapienza ci crede - ad aggredire, domenica pomeriggio al parco, una giovane mamma che per fortuna aveva un pitbull al guinzaglio.
Sono loro, insomma, i sessanta ospiti del centro di accoglienza di viale Giorgio Morandi, che «devono andar via», perché «vengono dalla giungla» , perché «tutti insieme qui non ci stiamo più». Con le buone e soprattutto con le cattive, perché per due sere di seguito è stato una specie di assalto all`arma bianca. I più decisi lunedì si sono arrampicati fino al secondo piano di quel palazzone per stanarli, e loro, gli «arabetti», son stati visti lanciare di tutto pur di non soccombere.
UNA TRINCEA GIÀ SCAVATA
Una guerra, come altro chiamarla? Con una trincea già bella e scavata, proprio a metà fra il Lory bar e il centro d`accoglienza, una cancellata elettronica aperta ma che nessuno dei due eserciti varca a cuor leggero, nessuno che si avventuri da solo in territorio nemico. Una guerra anche al di là delle intenzioni di questi romani disperati, perché a un certo punto, quando ancora non erano arrivati i rinforzi della Polizia, lunedì sera sono spuntati, a incrociare il corteo di protesta, quelli «veri», quelli «fomentati», e cioè una squadra militarizzata, volti coperti e idee chiarissime: hanno fatto esplodere sedici bomboni da stadio, l`inferno prima che i lacrimogeni ristabilissero l`ordine. E neppure ieri è stata una giornata facile, nonostante le cinque autoblindo piazzate fin dal primo mattino sotto il centro d`accoglienza. E` bastato che calasse la sera ed è tornata la tensione. Un immigrato aggredito, ricoverato ma in condizioni per fortuna non gravi. Viene dal Congo, non è neppure ospite di viale Morandi, paga la colpa di essere straniero. E` la seconda spedizione punitiva delle ultime ore dopo quella che è costata diverse ferite al volto a un ragazzino bengalese. Tanto da far dire a Gabriella Erríco, che del centro è la responsabile: «Hanno detto che ci ammazzano. Ho paura».
E intorno alle nove, come le altre sere, una piccola folla s`è presentata minacciosa davanti al centro al grido di «Ammazza il negro», appunto. Non sono bastate le rassicurazioni avute dal Campidoglio dopo l`incontro di una delegazione del quartiere con il sindaco («Ridistribuiremo i centri d`accoglienza su tutta la città»), come non sono bastate la parole di Carlo, il portavoce della delegazione («Ci hanno promesso che entro una settimana il centro verrà chiuso»).
«NON SIAMO SPACCIATORI»
Eppure bisogna ascoltarla questa gente di Tor Sapienza, altrimenti non si capisce come si sia arrivati fin qui, sull`orlo del cratere. C`è Elvio, per certi versi un moderato: «Noi vogliamo pulizia, ma la vogliamo in maniera, come dire, amichevole...». Da sei mesi è disoccupato e si sta accontentando di fare consegne in giro per 50 euro al giorno, «ma non sono razzista».
Come «non siamo razzisti» dicono tutti gli altri del Lory Bar, e «non siamo neanche spacciatori, lo spaccio di droga c`è qui come ai Parioli o a Monteverde». Ce l`hanno con i giornalisti («S`inventano...i draghi»), ma alla fine hanno una gran voglia di parlare, di sfogarsi, in un italiano gonfio di risentimento, in uno slang anche questo nuovo e inquietante. C`è Alfredo che invoca «una guerriglia civile», come se potesse esistere,
c`è Roberto che avverte, proprio come la direttrice del centro «Qui ci scappa il morto», c`è Mauro che nella foga si confonde: «Stanno cercando un capro ispiratorio»,. Chi non si confonde è Marina, rarissimo caso di colf italiana: «Me lo ricordo ancora, tre anni fa, un nero che mi si avvicina, in via della Cicala e mi fa: lo so che sei sposata, però. mi piaci. Riuscii a scappare».
Via della Cicala, poco lontano. Come poco lontano ci sono il campo rom di via Salviati e i rumeni che si son presi una bella fetta di alloggi popolari intorno alla Chiesa ortodossa sconsacrata. Storia oscura pure questa, forse di ignobili affitti in nero sulla pelle di altri disperati. Tutto questo a Tor Sapienza, come se una mente diabolica si fosse divertita a fabbricare una polveriera, per giunta a quasi tre chilometri dal primo commissariato.
«PAGHIAMO LE TASSE»
Ma a girare per un pomeriggio tutto intorno ai casermoni di viale Giorgio Morandi, non ti vengono in aiuto né Pasolini né don Di Liegro. Qui a Tor Sapienza è tutto drammaticamente nuovo, tutto fa paura. E crescono le leggende. Come quella dell`egiziano che l`altro giorno «faceva 700 euro di ricariche telefoniche». O un`altra : a ogni immigrato toccherebbero 35 euro al giorno di argent de poche, «e noi paghiamo le tasse». Poco importa che Ambra, la giovane mamma, non abbia mai raccontato di essere stata aggredita da qualcuno del centro perché questa, semplicemente, è l`ora
dei gíustízierí.



Tor Sapienza, dietro le sbarre del Centro: "Noi, in gabbia come bestie e ci vogliono tutti morti"
La vita nella cooperativa "Il sorriso" che gestisce l'accoglienza degli stranieri nel quartiere romano. La rabbia dei rifugiati: "Barricati qui, sedie e letti contro le porte"
la Repubblica, 13-11-2014
MAURO FAVALE
"Ci vogliono tutti morti. Tutti, a cominciare da noi operatori. Hanno detto che stasera entrano nel centro e ci ammazzano. E fino ad ora le loro minacce le hanno sempre mantenute". Alle quattro di pomeriggio, per la prima volta dopo tre giorni, si aprono ai giornalisti le porte a vetri (sfondati) della Cooperativa "Il sorriso" che gestisce da tre anni questo centro di accoglienza in via Giorgio Morandi.
C'è Gabriella Errico, la direttrice della struttura, e con lei una dozzina di altri operatori. L'ingresso è spoglio: una portineria, due ascensori, una rampa di scale, due distributori di merendine e bevande. Da lì raccontano la paura e i due assalti subiti lunedì e martedì notte. È l'altro punto di vista rispetto ai residenti ma è il medesimo stato d'animo. "Siamo terrorizzati  -  continua Gabriella  -  e con noi anche tutti i ragazzi qui nel centro". Mentre parla i giovani che arrivano dall'Egitto, dal Gambia, dalla Somalia, dal Mali, dal Bangladesh osservano dalle scale prima spaventati, poi infastiditi, infine incuriositi. Sorridono alcuni timidi, altri sfacciati.
"I minori sono ingestibili  -  confessa Francesca, un'altra operatrice  -  il lavoro con loro inizia da zero, fai conto che abbiano 5 anni. Alcuni arrivano direttamente dai barconi che sbarcano sulle nostre coste. Ma dal disagio adolescenziale al reato c'è una bella differenza. E qui nessuno copre gli illeciti. Se sbagliano, sanno che verranno denunciati". Negano tutte le accuse che arrivano dai residenti, soprattutto quelle che li vedrebbero protagonisti di veri e propri "spogliarelli" davanti alle finestre, sotto lo sguardo dei residenti: "Non è vero  -  assicura ancora Francesca  -  la prima cosa che ci hanno chiesto, quando sono arrivati, è di mettere delle tende per non farsi vedere".
Gli operatori della cooperativa continuano a raccontare, qualcuno dai piani più alti urla: "Sono stanco, stanco". Da due giorni vivono barricati: anche le sigarette le vanno a comprare gli operatori del centro dal tabacchi più vicino. Non si può rischiare nessun "contatto". Non dopo le aggressioni degli ultimi giorni, non dopo gli assalti notturni. "Abbiamo rotto letti e porte interne per chiuderci dentro  -  spiegano  -  ma non abbiamo più nulla da usare". All'esterno, i vetri sono sfondati, sul muro ci sono ancora i segni dei petardi lanciati dai residenti. Discutono di come affrontare l'ennesima notte di tensione: "Facciamo un'assemblea fuori dal centro  -  dicono tra loro  -  ci mettiamo qui davanti, pacificamente, e proviamo a fronteggiare i residenti, sperando che siano in maggioranza quelli che vogliono difenderci". Arriva qualche politico (il consigliere comunale Gianluca Peciola, la deputata Celeste Costantino, entrambi di Sel), davanti al centro si radunano i responsabili di altre associazioni che lavorano sugli immigrati nel quadrante est della città, quello più caldo, dopo le proteste di Torpignattara e di Corcolle, tra settembre e ottobre. "Se ce ne andiamo vince la logica che basta fare casino per chiudere i centri, non possiamo cedere", spiegano. In questa struttura stretta tra i palazzi di via Morandi sono arrivati 3 anni fa. Prima, con l'emergenza-sbarchi, gli ospiti erano 150. Ora sono appena 60, distribuiti in 23 per stanza, venti per piano.
"Preferiamo lavorare sulla qualità dei progetti, non sulla quantità delle persone", sottolinea ancora Francesca. L'edificio dove vivono, oltre 3000 mq, era di proprietà di una banca e viene affittato dalla cooperativa a 25.000 euro al mese. Le risorse arrivano dall'Unione europea, dal Campidoglio, dal Viminale attraverso lo Sprar, il servizio per rifugiati e richiedenti asilo. Ogni ospite costa 35 euro al giorno, per vitto, alloggio e anche per qualche vestito. "È questo che dà fastidio ai residenti  -  prosegue un altro operatore  -  che vengano spesi dei soldi per gente che non è italiana. Ma noi siamo un paese che ospita". "Lo sappiamo, qui il disagio è reale, la periferia ha enormi problemi: isolata, senza servizi, in un periodo in cui mancano case e lavoro. Ma ci hanno preso come capro
espiatorio", insiste Gabriella, la direttrice. Vorrebbero invertire la china, provare a farsi conoscere di più dal quartiere. "Stavamo facendo una festa, due settimane fa, in un parco, c'erano anche italiani, non posso credere che ora ci vogliono cacciare  -  dice un ragazzo libico, da 5 mesi in Italia  -  Ho più paura ora di quando ero in Africa. A questo punto preferivo morire nel mio Paese piuttosto che farmi uccidere qui".



Tor Sapienza, l'urlo della pasionaria: "Nessun razzismo ma ci fanno paura"
La donna ha guidato la protesta meno facinorosa: "Per strada la sera c'è il coprifuoco, non possiamo uscire"
FEDERICA ANGELI
la Repubblica, 13-11-2014
"Ma quale odio razziale? Quale fascismo? Quale violenza squadrista? E quale ondata della destra estrema? Io ho partecipato alle proteste sotto il palazzo degli immigrati, la prima e pure la seconda sera. Ma, potesse rivoltarsi mio padre nella tomba, ho sempre votato comunista. Ho gridato con tutto il fiato che avevo in corpo che non ne possiamo più, ma dalla mia bocca non è mai uscita una frase contro il colore della pelle o la nazionalità di quelle persone. Stavano violentando una ragazza e la verità è qui per strada la sera c'è il coprifuoco, non possiamo più uscire. Ecco come stanno le cose". Adriana, la pasionaria di Tor Sapienza, è una donna minuta. E' una nonna e abita da oltre quarant'anni in quel quartiere. Vive in una casa del Comune e, da quando è rimasta vedova, campa con 600 euro al mese, a cui sottrae i 150 per la pigione dell'appartamento.
E' stata lei a guidare la protesta della parte meno facinorosa  -  "ma non meno incazzata"  -  del quartiere. "Quando ci siamo dati appuntamento sotto il palazzo degli extracomunitari, volevamo solo far capire loro che la violenza che avevano usato con quella ragazza qualche sera fa era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E sa loro come hanno reagito? Affacciandosi dalle finestre e lanciandoci gli oggetti. Con i tablet e i cellulari ci filmavano dall'alto. E un gruppo di magrebini sventolava i coltelli per farci vedere che erano armati. Eh no: il danno e anche la beffa? Provi a contenere lei gli animi di persone esasperate da una situazione pesantissima e difficile che si vedono anche deridere da queste persone protette dallo Stato. Che hanno più diritti di noi. Fossero stati italiani, le assicuro, non sarebbe cambiato nulla. Siamo stanchi, davvero. Ci sentiamo umiliati. Soprattutto quando assistiamo a scene come buttare i pasti che gli porta la Caritas. Appena il furgoncino coi viveri se ne va, scendono e gettano tutto nei cassonetti. E poi passano gli italiani e i rom del campo qua dietro e mangiano i loro avanzi. Il mondo s'è capovolto, dia retta a una nonna".
Viale Morandi non è sempre stato così. La situazione è scivolata nel degrado e nell'abbandono delle istituzioni negli ultimi 45 anni. "Qui, mi creda  -  ci spiega ancora Adriana  -  fino a dieci anni fa era stupendo abitare: ci conoscevamo tutti, le sere d'estate a giocare a carte nel cortile condominiale, a passeggiare fino a tarda notte, ora non è più possibile. Siamo vittime della violenza e della maleducazione di queste persone che vengono da fuori e si comportano come le bestie, con tutto il rispetto per le bestie".
E' arrabbiata Adriana. Gli occhi azzurri sotto una chioma bionda cotonata si infossano dentro le rughe quando racconta come vive lì e cosa hanno significato per lei le barricate della scorsa notte in viale Morandi. "Cinque sere fa ero andata con l'autobus a trovare mia figlia. Quando sono andata via da casa sua e sono arrivata qua, la strada era tutta buia, i lampioni spenti. Mi è preso il panico. Mi sono detta: e ora come faccio a rientrare con questo buio? Come minimo mi accoltellano. Sull'autobus con me c'era una signora robusta che doveva scendere alla fermata dopo, ci siamo guardate e abbiamo deciso di scendere insieme, per farci coraggio.
Almeno un tratto di strada buia l'abbiamo fatta in due. Sono arrivata a casa col fiatone e la tachicardia. Ma come si fa a campare così?". Da quando le è morto il marito soffre di ansia e il medico le ha consigliato di farsi delle passeggiate, anche la sera, prima di coricarsi. "Le pare che posso scendere a passeggiare qui la notte? No. Mi tengo l'ansia tra le quattro mura. E da due giorni la grido in strada a chi ci sta rendendo la vita impossibile".
 


Profughi. "Fuggiti dalla violenza, così a Roma vivono nel degrado"
I migranti sopravvissuti alla rotta Sahara-Mediterraneo tra palazzi occupati e baracche. Dati e testimonianze dalla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani nella Capitale
stranierinitalia.it, 12-11-2014
Roma - 13 novembre 2014- "Portano l’Ebola". "Stop all’invasione". "Aiutiamoli a casa loro".  Allarmi, slogan  e stumentalizzazioni politiche che hanno accompagnato l'arrivo, nell'ultimo anno, di 150mila migranti e rifugiati nelle coste del Sud Italia.
I dati e le testimonianze raccolti sul terreno da Medici per i Diritti Umani (MEDU) descrivono però una realtà molto diversa e ben più complessa: storie drammatiche di persone sopravvissute a una violenza indicibile e i cui diritti più elementari spesso non vengono ancora riconosciuti, una volta attraversato il Mediterraneo, sul suolo italiano ed europeo.
Roma insieme a Milano rappresenta la principale tappa nella penisola per le migliaia di profughi diretti verso i paesi dell’Europa del Nord. Sono 258, tra cui 34 donne e 45 minori, i migranti forzati provenienti dal Corno d’Africa che hanno ricevuto assistenza medica dalla clinica mobile di MEDU nel periodo giugno-ottobre 2014 in baraccopoli ed insediamenti precari di Roma.
Tutti hanno attraversato il Sahara, si sono imbarcati in Libia e hanno subito qualche forma di grave deprivazione o violenza nei paesi di transito. Tra di loro nessuna epidemia legata a temibili malattie infettive d’importazione quanto piuttosto patologie legate, oltre che alle violenze subite, alle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere durante il viaggio e nel nostro paese.
MEDU chiede alle istituzioni che "nella capitale d’Italia vengano garantite adeguate misure di accoglienza ai migranti che raggiungono l’Europa via mare, con particolare riguardo ai gruppi più vulnerabili".
"Con la chiusura dell’operazione Mare Nostrum - si legge in n comunicato - rischia di aggravarsi ulteriormente la situazione umanitaria nel Canale di Sicilia con un ulteriore aumento delle vittime del mare. L’Italia, l’Unione europea e la comunità internazionale sono chiamate sia ad assicurare efficaci operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo sia ad adottare misure che consentano a chi fugge da guerre e persecuzioni la possibilità di accedere alla protezione internazionale senza rischiare costantemente la propria vita".
LEGGI IL RAPPORTO



Torna per curarsi la 18enne siriana respinta
Avvenire, 12-11-2014
Ilaria Sesana
Felice, finalmente. Si è sciolta in lacrime, una volta al sicuro, tra le braccia del marito Fady che l’ha accolta lunedì sera allo scalo romano di Fiumicino. Aya Bawadri, 18enne siriana con un tumore osseo a una gamba, è tornata nello stesso aeroporto dal quale era stata respinta più di un mese fa perché trovata in possesso di un passaporto falso. «Ero spaventata quando mi hanno fatto salire sull’aereo per Istanbul. Pensavo di morire – racconta al telefono ad Avvenire – avevo il panico di non poter più ritornare in Europa».
Quella di Aya è una storia a lieto fine grazie all’impegno del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani, e di un gruppo di volontari italiani che subito si sono attivati per aiutare lei e il marito. La giovane è fuggita da guerra e violenza. Ma la ragazza deve combattere anche contro un osteosarcoma di secondo grado, tumore molto aggressivo che le era stato diagnosticato un anno fa. Aya non può curarsi in Siria e così raggiunge il Libano, dove si sposa con Fady, 31enne siriano che vive in Svezia da due anni come rifugiato. A pochi giorni dalle nozze, la coppia parte per l’Italia e atterra a Fiumicino il 6 ottobre. Ma quando la polizia di frontiera scopre che il passaporto della ragazza è falso, subito scatta l’allarme: Aya viene rimandata in Turchia e da lì a Beirut. Il certificato di matrimonio con un uomo che ha titolo di soggiorno in Svezia e la documentazione medica non vengono presi in considerazione. «Se la rimandate indietro la uccidete!», grida il marito. Non solo le sue parole non vengono ascoltate, ma il ragazzo viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e condotto in carcere a Civitavecchia. Ora è stato rilasciato, ma non può lasciare l’Italia in attesa del processo.
La notizia del respingimento inizia in breve tempo a rimbalzare sui social network. Decine di persone si attivano per trovare una soluzione alla vicenda: da semplici cittadini che hanno organizzato una raccolta fondi per le spese sanitarie, fino al senatore Manconi che ha seguito la vicenda giorno per giorno. Aya ha potuto rientrare in Italia grazie a un visto rilasciato dall’ambasciata italiana a Beirut per motivi sanitari. Ma solo a patto di avere una struttura ospedaliera disposta a ricoverare la ragazza e qualcuno che garantisse la copertura delle spese mediche. L’Ospedale San Camillo si è reso disponibile a soddisfare la prima richiesta, mentre l’associazione «A buon diritto» ha fatto da garante. Oggi Aya ricomincia a sperare.
«Ma è impensabile che ci siano voluti 40 giorni per risolvere una questione che si presentava come caso umanitario – commenta Luigi Manconi – malgrado i ministeri di Esteri, Interno e l’ambasciata italiana a Beirut abbiano dimostrato subito sensibilità per la vicenda». In presenza di gravi condizioni di salute, dovrebbe esserci un automatismo di tutela dei richiedenti asilo vulnerabili.
(Ha collaborato Tarek Ahmad)



Moschee a Milano. "Quel bando è irregolare, lo fermeremo"
Secondo il centrodestra, per costruire nuovi luoghi di culto bisognerebbe modificare il piano regolatore. De Corato: “Faremo finire in ghiacciaia il piano della giunta Pisapia”
stranieriinitalia.it, 13-11-2014
Milano - 13 novembre 2014 - Dopo le raccolte firme, la battaglia in consiglio comunale. Il centrodestra continua a dire no alla costruzione di moschee a Milano.
La prossima settimana ail bando della giunta Pisapia per l'assegnazione di tre aree dove costruire altrettanti luoghi di culto (due dei quali musulmani) arriverà a Palazzo Marino, prima in commissione urbanistica, poi in Aula. E l'opposizione spera di bloccarlo lì, puntando sul fatto che nel Pgt, il piano regolatore, quelle aree non hanno quella specifica destinazione.
“Non va bene. Abbiamo chiesto un parere tecnico agli uffici legali della Regione per capire se la decisione della giunta è regolare. Intanto, prenderemo la sospensione del bando in attesa della risposta del Pirellone” dice oggi su Libero Riccardo De Corato, di Fratelli d'Italia.
Se De Corato e gli alri dimostreranno di aver ragione, la giunta sarà costretta a portare in consiglio comunale una variante del Pgt. E questo,  spiega il consigliere di FdI, farà finire “il bando in ghiacciaia”.



Dopo “Mare Nostrum”, quale accoglienza?
Le modalità di protezione per i richiedenti asilo al centro di un incontro al San Fedele, promosso da Caritas Ambrosiana, Fondazione San Fedele e Università degli Studi
Avvenire, 13-11-2014
Il naufragio sulle coste lampedusane - il 3 ottobre 2013 - del barcone stracarico di migranti e la macabra fila di 366 corpi sul molo dell’isola hanno prepotentemente portato nelle case di tutti i drammi, troppo spesso negli anni colpevolmente ignorati, delle migrazioni forzate e dei “viaggi della speranza”. Dopo quella tragedia il coro di voci che quasi unanimemente si è levato è stato “mai più”: coro di voci che il Governo italiano ha raccolto varando la missione “Mare Nostrum,” operazione umanitaria di soccorso in mare che ha tratto in salvo nel 2014 più di 150 mila persone.
A distanza di un anno, è cambiato il clima politico. La commozione per le vittime delle traversate si è dissolta, le parole di papa Francesco («no alla globalizzazione dell’indifferenza») sono state archiviate, mentre le polemiche sui costi dell’operazione hanno preso vigore e le manifestazioni ostili hanno riempito le piazze. Così, a partire dall’1 novembre scorso, a “Mare Nostrum” si sostituisce “Triton”, più modesta missione europea, finalizzata non primariamente al soccorso in mare dei migranti, ma all’obiettivo della “lotta al traffico di esseri umani”: l’etichetta con cui sempre più spesso si criminalizzano questi viaggi della speranza.
Per discutere di questi temi Caritas Ambrosiana, Fondazione Culturale san Fedele, Associazione volontari Caritas Ambrosiana e Università degli Studi di Milano invitano al convegno “Dopo Mare Nostrum. Quale accoglienza, quale protezione per i richiedenti asilo?”, in programma giovedì 13 novembre, alle 17.30, all’Auditorium San Fedele (via Hoepli 3a, Milano). Partecipazione libera e gratuita
Dopo l’introduzione di padre Giuseppe Trotta (Fondazione Culturale San Fedele) che modererà l’incontro, interverranno Maurizio Ambrosini dell’Università degli Studi di Milano (“Troppa accoglienza? I veri dati sui rifugiati”), Carlotta Sami, portavoce UNHCR per il Sud Europa (“Da Mare Nostrum a Triton. Come cambia il soccorso e la protezione in mare dei richiedenti asilo?”), e Livio Neri, Associazione Avvocati per niente (“Luci e ombre della legislazione italiana sull’asilo”). Le conclusioni saranno di don Roberto Davanzo, direttore Caritas Ambrosiana.

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