Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Quando l'emigrazione è frutto di un caso, la storia di Kibuaka

Kibuaka, nato a Kinshasa nel 1965, sbarca in una gelida mattina 21 febbraio 2005 a Genova pensando di essere in Grecia.
Il giorno di Natale 2004 imbocca, correndo trafelato per scappare dalla Polizia, la scaletta di una nave in partenza dal porto fluviale di Matadi, senza sapere che quei pochi gradini percorsi a salti avrebbero cambiato la sua vita.
Kibuaka era ed è un membro dell’U.D.P.S., un partito politico congolese che predica la non violenza, la libertà dei cittadini e l’uguaglianza, il primo a parlare di democrazia durante il potere del defunto presidente Mobutu.
Insieme ad altri due membri del suo partito, Kibuaka viene mandato a Matadi per distribuire dei volantini. Vengono a sapere che l’indomani, il giorno di Natale, allo stadio Lumumba si terrà un grande concerto. I tre attivisti non si lasciano scappare l’occasione e svolgono con diligenza il proprio compito, lasciando un volantino ad ogni spettatore entrante nello stadio, per poi tornarsene nell’albergo che li ospitava, vicino al porto.
Succede che il musicista idolo delle folle accumula un enorme ritardo e per di più incomincia a piovere, il concerto è annullato. La gente si riversa inferocita nelle strade attorno allo stadio facendo danni. Interviene la polizia. I facinorosi hanno in mano i volantini del partito U.D.P.S. distribuiti da Kibuaka e dai suoi amici, che per la polizia erano gli ispiratori della sommossa. I tre vengono bastonati, uno viene colpito da un proiettile, i colpi di mitra fischiano, Kibuaka, calpestato a terra dagli stivali dei poliziotti, si sente le costole rotte.
Il popolo dello stadio si avvicina sempre più. Approfittando di un attimo di distrazione della polizia Kibuaka si rialza e comincia a correre, inseguito da un poliziotto che spara cartucce ad altezza d’uomo. La corsa prende la via del porto, dove i container in sosta possono offrire un provvido nascondiglio.
Kibuaka vede una nave con le luci accese e la passerella non ancora alzata: “presto, ragazzo, presto sali!”. L’uomo che dal ponte l’aveva invitato a salire lo accompagna nella sua cabina, è il comandante di una nave greca. Lo rifocilla e lo fa riposare. Quando Kibuaka si sveglia la nave ha lasciato Matadi da tre ore.
Qualche sosta in porti africani, qualche lavoro a bordo, e la nave raggiunge Genova. Il capitano accompagna Kibuaka fuori dal porto sino alla stazione ferroviaria, gli dà 50 euro e un biglietto per Milano.
Alla stazione centrale di Milano Kibuaka segue un africano, spera di avere qualche consiglio, lo segue quando quel nuovo amico prende un treno per Lecco, e da lui avrà ospitalità per un paio di mesi.
Kibuaka dichiara il suo ingresso in questura e dopo 7 mesi va a Roma per depositare la sua testimonianza alla Commissione che gli attribuisce il permesso umanitario.
A Lecco Kibuaka viene all’ARCI per frequentare il corso di italiano per stranieri. Vuole impadronirsi della lingua, frequenta non uno bensì tre corsi. Nel frattempo l’Arci lo segnala allo SPRAR di Lecco, dove risolve il problema alloggio per sei mesi.
All’Arci collabora con piccoli lavori, allestimento di banchetti e distribuzione di materiali.
Dopo due rinnovi del permesso umanitario, ora Kibuaka ha un permesso di lavoro. Ora è responsabile magazziniere, ha instaurato un rapporto di collaborazione continuativa con una cooperativa incaricata di svuotare i cassoni della raccolta dell’abbigliamento usato.
Non ha più rivisto la moglie e i 7 figli. Si sente solo, vorrebbe almeno qualche membro della sua famiglia. Per avere più chances di ricongiungimento con il figlio di 17 anni è persino andato a Roma per sottoporsi al test del DNA.
Ora che ha una casa in affitto e un lavoro, Kibuaka spera di poter chiamare presto a Lecco anche la moglie e un altro paio di figli. La ragazza maggiore però resterà in Congo: deve accudire i fratelli che non ce la faranno ad ottenere il ricongiungimento.

14-02-2010                                              Testimonianza raccolta da: Viviana Guolo – ARCI LECCO
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