Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 marzo 2011

 

«Ecco perché l’intervento è il male minore»
Francesco Persili
il Riformista 22 marzo 2011
Luigi Manconi. «Si doveva agire prima e meglio. Ma quando il violento calpesta la vittima non si può stare fermi».
«Un intervento fatto tardi e nel modo peggiore. ma il rischio è che Gheddafi porti a termine una strage di innocenti. Dunque, se si possono impedire nuove morti, l’intervento è necessario. È il male minore». Così Luigi Manconi alRiformista.
«Un intervento fatto tardi e nel modo peggiore». Luigi Manconi, già sottosegretario alla giustizia nel secondo governo Prodi, critica «l’inerzia» dell’Europa e la «codardia» della comunità internazionale sulla Libia che hanno reso «inevitabile ma drammaticamente intempestiva e, dunque, ancora più cruenta» l’operazione. «Di fronte alla prima mobilitazione popolare si poteva dare sostegno e riconoscimento agli insorti e mettere in campo strumenti di pressione nei confronti del regime: dalle sanzioni al coinvolgimento dei paesi arabi e africani per isolare Gheddafi». L’ex portavoce dei Verdi, che sul Kosovo, portò il suo partito a votare a favore dell’intervento in cima a un’elaborazione «dolorosa», si sarebbe spinto a concedere anche «una via d’uscita, un salvacondotto e la possibilità dell’esilio», al raìs libico. «Ma tutto questo non è stato fatto, né tentato, oggi dobbiamo affrontare un altro ricatto».
 
Quale?
Se bombardiamo Tripoli ci saranno danni e vittime innocenti. La stessa cosa succederà se restiamo fermi. Di fronte al ricatto, non si può cedere alla presunzione di innocenza di chi ritiene di essere più forte delle circostanze e fare scelte non condizionate. Non ci si può sottrarre dicendo facciamo altro.
 
L’intervento come male necessario?
Il rischio è che Gheddafi porti a termine una strage di innocenti. Dunque, se si possono impedire nuove morti, l’intervento è necessario. È il male minore.
 
Si può ancora trovare una soluzione diplomatica come auspica il governo?
Adesso che l’intervento c’è stato, bisogna far sì che l’iniziativa politica e la via della diplomazia riprendano il loro corso perché l’operazione duri il minor tempo possibile, faccia meno danni possibile, e non crei una situazione di tabula rasa. Quando il popolo solleva istanze di democrazia il nostro compito è sostenerlo e favorire soluzioni democratiche.
 
Coinvolgere la Nato è la giusta soluzione?
La ritengo ragionevole. In una situazione, come quella attuale, di indecente caos, l’assunzione del comando da parte della Nato potrebbe portare più razionalità sotto il profilo della strategia militare e ridimensionare le velleità di protagonismo di alcuni soggetti.
 
Quale responsabilità ha l’Italia nella crisi libica?
Enormi. L’Italia, più di qualsiasi altro Paese europeo, ha avuto con la Libia un rapporto che ha oscillato tra il subalterno e il marginale, l’equivoco e l’ammiccante. Il governo Berlusconi ha firmato il trattato di amicizia, che ha ridotto il progetto iniziale di Prodi e Amato ad un mero dispositivo di polizia. È stata la resa a Gheddafi, la cooperazione nella repressione dell’immigrazione nordafricana affidata alla politica di respingimenti basata sulla negazione dei diritti fondamentali della persona.
 
La riluttanza del governo conferma la golden share leghista sull’esecutivo?
Non ci vogliono interpretazioni raffinate o retroscena per capirlo. Quando il ministro La Russa sillaba che il Trattato di amicizia è sospeso di fatto, e poi si legge che la prima condizione che la Lega pone è il rispetto di quel trattato, si comprende che siamo in una situazione che sfugge a qualsiasi precedente storico, politologico, diplomatico.
 
Lei ha votato sì all’intervento in Kosovo, mentre è stato contrario a quello in Iraq.
Il fatto di essersi emancipati da una lettura ideologica o moralistica significa poter decidere di volta in volta di sostenere o meno l’intervento. In Kosovo c’era una situazione di emergenza umanitaria che richiedeva l’uso della forza. Il dibattito all’interno dei Verdi fu molto faticoso, il sì sofferto, ma facemmo la cosa giusta. In Iraq, invece, non c’erano le condizioni per intervenire perché quell’operazione era costruita su un sistema di menzogne.Nessun ricorso alla forza può essere giustificato da motivazioni ingannevoli.
 
Né con Gheddafi, né con la guerra. Può esistere una terza via non violenta?
La non violenza non è restare imbelli di fronte al violento che calpesta la vittima, ma essere pronti ad intervenire e, in caso estremo, a sacrificare anche la propria vita, e quella dell’aggressore. Ho il massimo rispetto per chi oggi dice né con Gheddafi, né con la guerra, ma mi piacerebbe che ci dicesse cosa fare oggi per impedire nuove morti. E, comunque, anche chi sostiene questa posizione deve sapere che sta contribuendo, allo stesso modo di chi è favorevole all’intervento, a produrre morte.
 
Esiste la non violenza assoluta?
Penso di sì, ma è dei profeti. Tutti gli altri hanno una grande difficoltà ad esercitare la categoria della non violenza assoluta. Quando si entra nella sfera della politica, tutte le scelte hanno a che fare con l’esercizio della forza. Pertanto anche chi si oppone all’intervento deve sapere che non è innocente ed è ugualmente corresponsabile.
 
 
 

Piano per 50 mila profughi, sì dalle Regioni 
Maroni: ce ne sarà uno ogni mille abitanti. A Tripoli il rimorchiatore sequestrato
Corriere della Sera, 23-03-2011
Virginia Piccolillo
ROMA — Cinquantamila profughi potrebbero arrivare dalla Libia entro giugno. È questa la stima che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha prospettato come «molto realistica» ieri ai rappresentanti di regioni e province, convocati al Viminale per fronteggiare l’eventuale emergenza umanitaria che verrà. Quella in corso, fatta di 15 mila clandestini arrivati tutti dalla Tunisia, è esclusa dal piano profughi. Maroni ne parlerà domani o dopodomani con le autorità tunisine: è infatti slittato il viaggio a Tunisi inizialmente previsto in queste, delicatissime, ore in cui si guarda con preoccupazione alla situazione in Libia. Ieri ci sono stati sviluppi anche per la nave italiana, l’Asso 22, sequestrata con gli otto uomini dell’equipaggio, da militari libici armati. Nel pomeriggio i sequestratori sono scesi dal rimorchiatore e hanno scaricato il materiale portato a bordo, facendo presagire un imminente rilascio dell’equipaggio. Ma poi sono risaliti sul rimorchiatore per passare la notte. Una mossa che ha lasciato tutti con il fiato sospeso: ancora aperta la possibilità di voler utilizzare il rimorchiatore italiano per il pattugliamento, ma anche quella di voler liberare la nave e il suo equipaggio. Al momento, comunque, dalla Libia non sono arrivati profughi. Ma Maroni ipotizza un esodo da 50 mila persone. C’è la «disponibilità delle regioni» ha annunciato il ministro al termine dell’incontro con Regioni, Anci e Upi nel quale ha prefigurato uno smistamento dei profughi in tutte le regioni. In un rapporto di 1000 per milione di abitanti: uno ogni mille. Via libera dai governatori. Anche se molti ci tengono a sottolineare che si è trattato di un ok di massima. In attesa del piano definitivo. E in attesa soprattutto di chiarire se a dover essere sistemati sono profughi intesi come richiedenti asilo o clandestini. Sul piatto Maroni mette 500 milioni di euro del fondo della protezione civile e chiede ai prefetti di stilare un elenco di possibili siti dove possano trovare rifugio gli immigrati. I soldi stanziati serviranno a vitto, alloggio e ad allestire le strutture dell’accoglienza. Il piano di emergenza prevede, come ha spiegato Maroni, una distribuzione con «alcuni, necessari correttivi per Regioni che hanno già una forte pressione migratoria come la Sicilia, la Calabria o la Puglia o emergenze quali l’Abruzzo con il terremoto» . «Le Regioni sono pronte a dire sì al piano di emergenza umanitaria — ha confermato il presidente Vasco Errani —, una forma di cooperazione interistituzionale che risponde all’appello del capo dello Stato» . Ma i distinguo già arrivano. Il governatore del Veneto Luca Zaia anticipa che «non si interesserà dei profughi provenienti dalla Tunisia, che sono illegali. Ma solo di eventuali profughi provenienti dalla Libia» .



Maroni ottíene il sì delle Regioni: «Un piano per 50mila profughi»
Il ministro: la distribuzione degli immigrati terrà conto del numero di abitanti
Il Messaggero, 23-03-2011
ROMA - La «cooperazione interistituzionale», come l'ha definita Vasco Errani, tra Governo, Regioni e Autonomie locali funziona a meraviglia. L'incontro chiesto da Maroni ai rappresentanti di Regioni, Province e Comuni a proposito del varo di un piano di accoglienza per 50 mila migranti ha ottenuto parere positivo all'unanimità. Il piano per i 50 mila, «un numero molto realistico, sta per essere messo a punto e sarà presentato nei prossimi giomi - ha detto Maroni - Nella distribuzione dei migranti terremo conto dei numero di abitanti per ciascuna Regione». Nei senso che, come ha sottolineato lo stesso ministro, «le Regioni più popolose accoglieranno un maggior numero di persone, ma ci saranno dei correttivi: Ie Regioni che hanno già una forte pressione migratória (Sicilia, Calabria e Puglia) e l'Abruzzo che ha avuto il terremoto, saranno salvaguardate».
Il si di Regioni, Province e Comuni. Maroni ha incassato il consenso pieno di tutti gli interessati, come si diceva, da Nord a Sud. «Ci verrà consegnata nei prossimi giorni l'ipotesi di assegnazione numerica per ciascuna Regione», ha commentato Renata Polverini,presidente della Regione Lazio. Anche le Province, per bocca dei presidente dell'Upi, Giuseppe Castiglione, «hanno accolto positivamente il piano dei Governo e l*idea di far diventare Mineo, "villaggio dela solidarietà" (che accoglie al momento 770 profughi), un progetto pilota a livello europeo». Più articolato il parere dell'Associazione nazionale dei Comuni (Anci); il delegato per l'immigrazione e sindaco di Padova, Flavio Za- nonato,ha offerto anche lui la piena disponibilità a cooperare con il Governo sul fronte delFemergenza umanitaria, «ma - ha osservato - serve un critério che sappia realizzare i giusti correttivi a seconda delle varie realtà delle Regioni italiane. Tuttavia - ha aggiunto Zanonato - l'impegno dei Comuni è stato forte anche in passato, visto che sono stati circa 3.000 i profughi accolti con il progetto "Sprar" che sono stati allocati anche in numerosi piccoli Comuni italiani». Al momento, ha detto Zanonato, «circa 1.550 profughi non sono stati accolti per la mancanza di risorrse, che tuttavia il Governo ci ha garantito erogherà quanto prima. Da questi 1.550 - ha concluso - potremmo arrivare a un livello di accoglienza fissato anche intomo a quota 2.500». L'unico Comune che, fino a questo momento, si è dissociato dalla maggioranza è Prato: «Noi siamo già la Lampedusa della terraferma - ha detto l'assessore all'Immigrazione Giorgio Silli-    Non possiamo accogliere altri profughi sul nostro territorio».
La Caritas. Una voce fuori del coro è quella della Caritas. Oliviero Forti, responsabile del settore Immigrazione, ha lamentato di non essere stato preso in considerazione dal Governo: «Ci sono migliaia di posti già pronti sulla terraferma per ospitare migranti ma non sono stati utilizzati. Noi come Caritas - ha aggiunto -    abbiamo comunicato la disponibilità di circa 2.500 posti ma non abbiamo avuto nessun tipo di riscontro in tal senso»..
Maroni in Tunisia. Parallelamente al piano per l'accoglienza dei profughi, Maroni sviluppa la sua iniziativa "diplomatica" in Tunisia. «Domani (oggi, n.d.r.) andrò in Tunisia per concordare con lè Autorità di quel Paese iniziative che possano fermare il flusso di migranti verso Lam- pedusa», ha affermato il ministro. Dall'inizio dell'anno, ha ricordato Maroni, «sono arrivate 15 mila persone, tutti tunisini, a Lampedusa: nell'intero 2010 erano arrivati 4 mila clandestini complessivamente, di cui solo 25 tunisini». Quelli sbarcati a
Lampedusa, ha aggiunto, «sono tutti giovani, maschi, una generazione in fuga. Serve un coinvolgimento dell'Unione europea, la Tunisia è un Paese amico e sono ottimista sulla possibilità di risolvere il problema».
Le proteste. «I rifugiati non sono pacchi, l'accoglienza è un diritto». Cosi recitava uno striscione esposto davànti all' Altare della Patria da un gruppo di attivisti di "Action", gli stessi che si erano prima incatenati davanti al Cara di Castelnuovo di Porto per protestare contro il trasferimento di 55 richiedenti asilo nel villaggio di Mineo. A Torino, intanto, è stato appiccato un altro incendio, dopo quello della notte scorsa, al Centro di identificazione ed espulsione.



Patto tra Regioni e Viminale Venerdi Maroni in Tunisia
La Padania, 23-03-2011
IVA GARIBALDI
ROMA - Arriva il si delle Regioni, Province e Comuni ad accogliere fino a 50 mila profughi che potrebbero arrivare dalla Libia. L'annuncio è dei ministro Roberto Maroni che ieri ha convocato un vertice al Viminale con i Governatori e i rappresentanti di Anci e Upi. Un piano straordinario che dovrà tener conto di alcune variabili, dal numero di abitanti alla capacità di accoglienza di ogni singola Regione anche in virtü degli stranieri attualmente pre- senti nelle diverse realtà locali.
Il ministro Maroni, che ve-nerdi sarà a Tunisi per affrontare con il Governo dei Paese africano l'altra grande emer- genza e cioè i continui sbarchi proprio di tunisini sulle nostre coste, commenta l'esito del vertice in una conferenza stampa al termine dell'incontro: «Il piano predisposto dal ministero - ha spiegato il titolare del Viminale - prevede una distribuzione che tenga conto, sul territorio, del numero degli abitanti. Per cui si tratterà di una distribuzione con un numero realístico che terrà conto anche di alcuni, necessari correttivi per Regioni che hanno già una forte pressione migratória come la Sicilia, la Calabria o la Puglia o emergenze come l'Abruzzo con il terremoto». E' chiaro, è in arrivo una sorta di tsunami immigratorio e il ministro vuole contenere i disagi. Ma una cosa è certa: non ci saranno nuovi arrivi al Nord.
Maroni riferendosi alle Regioni e agli enti locali ha detto di essere «grato dell'adesione alla richiesta di solidarietà sollecitata autorevolmente anche dal capo dello Stato. Abbiamo discusso di questo piano d'emergenza per accogliere fino a 50 mila profughi, un numero molto realístico, dalla regione Nord africana. Abbiamo discusso su come accoglierli e su come realizzare questa solidarietà». I ministro ha sottolineato che ci si trova di fronte «ad una si- tuazione drammatica che va affrontata». Maroni ha pure confermato che «il piano comporterà un impegno finanziario. Ho ricordato che il Consiglio dei Ministri ha rifinanziato il fondo delia protezione civile con le risorse necessarie per gestire l'emergenza umanitaria, facendo le cose che servono». Maroni ha anche ricordato quel villag- gio delia solidarietà con sede a Mineo «che ha avuto 1'adesione di tutti i sindaci» e con il quale vogliamo investire su un mo- dello di eccellenza per l'accoglienza dei rifugiati da presentare in tutta Europa. Ieri le Regioni non hanno fatto mancare il loro appoggio: il governatore del Veneto ha confermato l'impegno per i profughi libici.
«Per quanto ci riguarda - ha spiegato Luca Zaia - valuteremo il piano del Governo con i giusti correttivi predisposti per la nostra Regione. Penso alia recente alluvione, e alia forte presenza di immigrati nella Regione». Il Veneto, ha sottolineato Zaia, «non si interesserà dei profughi provenienti dalla Tunisia, che sono illegali, quindi
l'impegno della Regione Veneto riguarderà soltanto eventuali profughi provenienti dalla Libia». Positiva anche la risposta del presidente Vasco Errani: «Le Regioni sono pronte a dire si al piano di emergenza umanitaria che sta mettendo a punto il governo, che sarà presentato tra pochi giorni».
Intanto, complice anche le buone condizioni meteo, continuano gli sbarchi a Lampedusa. Due carrette del mare sono arrivate ali'alba di ieri con a bordo 127 immigrati e altre due in tarda mattinata con altri 150. Sfiorano cosi quota 5.500 gli immigrati presenti a Lampedusa ormai sull'orlo del collasso. Il centro dell'isola può ospitare fino a 800 persone.


 
L'INVASIONE
Per iniziare ci teniamo cinquantamila immigrati
Pronto il piano per rifilarli alle regioni. Il Veneto: ospiteremo soltanto i libici. E spunta l'ipotesi di una tassa sui rifugiati
Libero, 23-03-2011  
CATERINA MANIACI
ROMA - Cinquantamila. Almeno cinquantamila, forse anche di piü: sono i profughi che l'Italia dovrà accogliere e "distribuire" in tutto il Paese, regione per regione. Senza sapere, per il momento, quanto tempo questi profughi rimarranno qui, se e a quanti di loro verrà riconosciuto lo status di rifugiati politici. E, soprattutto, quanto tutto questo ci costerà. Il governo sta cercando di affrontare la situazione insistendo su una ripartizione del numero dei migranti tra diversi Paesi europei. Il Viminale ha convocato i rappresentanti delle Regioni, di Anci (Comuni) ed Upi (Province), per cercare di mettere a punto un piano di solidarietà che consenta di «spalmare» su tutta la Penisola i 14.918 stranieri arrivati in Italia con i 190 sbarchi registrati dall'inizio di gennaio e di cui fanno parte anche gli oltre cinquemila di Lampedusa.
Da Regioni, Provincie e Comuni c'è stata adesione alla richiesta di accogliere fino a 50mila migranti, «un numero molto realistico» ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine dell'incontro. Il piano, ha aggiunto Maroni, «lo stiamo mettendo appunto e sarà presentato nei prossimi giorni». I criteri della distribuzione dei profughi? Si terrà contro, ha spiegato il ministro, «dei numero di abitanti per ciascuna regione. Per cui si tratterà di una distribuzione con un numero realístico che terrà conto anche di alcuni, necessari correttivi per Regioni che hanno già una forte pressione migratoria come la Sicilia, la Calabria o la Puglia o emergenze quali l'Abruzzo con il terremoto». Maroni ha poi ricordato che oggi andrà in Tunisia «per concordare con le autorità di quel Paese iniziative che possano fermare il flusso di migranti verso Lampedusa». Costi dei cinquantamila profughi? Nessuna cifra, ma è ovvio che «il piano comporterà un impegno finanziario», ha ammesso Maroni. Che non si stia pensando, magari, ad una tassa-profughi? Inline verrà rafforzato il sistema Sprar (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che per- metterà di accogliere circa un decimo del totale.
Le risposte sono, nella maggior parte, positive e collaborative. Con dei distinguo, però. «Le Regioni sono pronte a dire si al piano di emergenza umanitaria che stamettendo a punto il governo, che sarà presen-tato tra pochi giorni», ha confermato il presidente Vasco Errani. Il progetto, ha rimarcato, «è una forma di cooperazione interistituzionale tra governo, Regioni e autonomie locali, rispondendo cosï all'appello del capo dello Stato». L'Upi garantisce «piena adesione» alla proposta dei governo, «piena disponibilità» anche dai comuni che parlano di critério di distribuzione sul territorio convincente. La proposta del ministero, come ha fatto sapere la governatrice del Lazio Renata Polverini, verrà illustrata agli enti locali nei prossimi giorni ma il Veneto, come ha fatto sapere il governatore Luca Zaia, si è detto disponibile ad accogliere solo i profughi libici.
Questione urgente: Lampedusa. L'isola è al collasso, come si dichiara da giorni ormai. E gli sbarchi continuano a ritmo continuo, di giorno e di notte. Ci sono già circa seimila stranieri. Il numero dei migranti ha praticamente raggiunto il numero dei residenti e questo, con la stagione turística alie porte, esaspera ulteriormente gli animi degli abitanti, che temono un crollo delle prenotazioni alberghiere su cui si regge Fintera economia dell'isola. La nave "San Marco" della Marina militare è salpata ieri sera dal porto di Augusta (Siracusa) per dirigersi a Lampedusa, dove preleverà un migliaio di immigrati. La nave giungerà a Lampedusa oggi in mattinata.
Sull'emergenza- Lampedusa il ministro Maroni ha spiegato che «il governo intende farsi carico del disagio dei lam- pedusani, ai quali va il nostro ringraziamento per la pazienza dimostrata, seppure con qualche scatto polemico». Il sottosegretario Sonia Viale avrà il compito di mettere a punto, entro due settimane, un piano di misure compensative per l'economia proprio per andare incontro alia piü che probabile debacle turistica che Lampedusa affronterà nella prossima stagione estiva.



IL REBUS DEI FLUSSI
Lampedusa, arrivata la San Marco Regioni: ok al piano dei 50mila
Avvenire, 23-03-2011
Vincenzo R. Spagnolo
È arrivata al largo di Lampedusa la San Marco, la nave della Marina militare che sarà utilizzata per trasferire gli immigrati sbarcati sull'isola. La nave non entrerà in porto e il trasbordo dei migranti dalla banchina sarà effettuato con i mezzi da sbarco a bordo della nave. Sulla San Marco dovrebbero salire circa 700 migranti.
Notte senza sbarchi dopo giorni di arrivi incessanti. Gli ultimi ieri pomeriggio. Impossibile avere un numero preciso delle persone che si trovano sull'isola, la maggior parte accampate al porto o per le strade e in attesa di essere trasferite sulla terraferma. Nonostante il ponte aereo di ieri, quando hanno lasciato la maggiore delle Pelagie in 500, il saldo delle partenze resta sempre negativo. Continuano ad esserci circa 5mila stranieri, a fronte di 5500 lampedusiani. Oggi, con l'arrivo della San Marco e altri ponti aerei la situazione dovrebbe migliorare.
DALLE OK AL PIANO DEI 50MILA
Manca poco a mezzogiorno quando il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, entra nella sala del Viminale riservata ai giornalisti. La riunione con i rappresentanti della Conferenza delle Regioni, dell’Unione province italiane e dell’Anci si è appena conclusa. Due ore e mezza di discussioni e un primo risultato. A illustrarlo è lo stesso Maroni: "Da Regioni, Province e Comuni è arrivata l’adesione alla richiesta di accogliere fino a 50mila migranti. Lo riteniamo un numero realistico". Si tratta di un’adesione preliminare, perché il piano nazionale d’accoglienza, prosegue Maroni, ancora non esiste: "Lo stiamo mettendo a punto. Sarà presentato agli enti locali nei prossimi giorni. Ovviamente, nella distribuzione dei migranti terremo conto del numero di abitanti. Seguiremo il principio di solidarietà, ma con criteri correttivi". Dopo Maroni, a confermare l’adesione al piano sono il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, il vicepresidente dell’Anci, Flavio Zanonato, e il presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione.
Mille per milione. In serata, sulle agenzie di stampa, sono iniziate a fioccare le adesioni delle singole regioni, alcune delle quali hanno anche avviato una prima conta delle disponibilità. In concreto, verranno gravate di meno le regioni che già ospitano molti migranti o dove si trovano diversi Cie (i centri d’identificazione ed esplusione), come Sicilia, Puglia e Calabria, ma anche l’Abruzzo, alle prese con la ricostruzione. Qualche dettaglio in più sui "criteri" trapela dalle parole dei presidenti di regione. "Mille profughi per ogni milione di italiani residenti nelle diverse Regioni. Un principio di proporzionalità che assegnerebbe alla Sicilia 5mila migranti", spiega il governatore siciliano, Raffaele Lombardo. Il presidente del Piemonte, Roberto Cota, puntualizza: "Il piano sull’emergenza umanitaria riguarderà soltanto i profughi libici, ai quali è possibile concedere lo status di rifugiati, ma che al momento sono pari a zero. Al contrario, per i tunisini sono già in funzione i Cie, che hanno una loro capacità di accoglienza".
Missione a Tunisi. Il villaggio di Mineo (Catania), dove alloggiano già 800 migranti, potrebbe diventare modello d’accoglienza. Maroni ha chiarito che la Protezione civile e il commissario per l’emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, riceveranno uno stanziamento dalla presidenza del Consiglio. Intanto, però, i Cie scoppiano. "Dall’inizio dell’anno - ricorda Maroni - sono arrivati 14.918 immigrati contro i 4000 di tutto il 2010. Sono tutti di nazionalità tunisina, giovani e di sesso maschile, praticamente una generazione che parte". Oltre cinquemila sono attualmente a Lampedusa, gli altri sono stati trasferiti nei Cie, ormai saturi. A testimonianza dell’urgenza della situazione, il ministro sarà oggi in Tunisia per "verificare col governo locale la possibilità di studiare iniziative in grado di mettere fine al flusso d’immigrati, che rischia d’essere sfruttato dai trafficanti di esseri umani".
Appello all’Europa. Prima di partire, Maroni ripete con forza una richiesta già avanzata più volte: "È importante il coinvolgimento dell’Unione Europea, poiché la Tunisia è un Paese amico che ha intenzione di mantenere una leale collaborazione con l’Europa. Resta invece l’incognita della Libia: non sappiamo quanti potranno giungere dalla sue coste, poiché non si può prevedere l’evoluzione della situazione".



La grande beffa
Ma la bomba immigrati cade solo qui
Libero, 23-03-2011
PIETRO SENALDI
«A loro il petrolio, a noi i clandestini», titolava ieri «Libero», sintetizzando brutalmente cosa l'Italia ha da guadagnare da questa guerra in Libia. Era un allarme, un avvertimento a non cascare nella trappola di Francia e Inghilterra. Malauguratamente, deve essere stato interpretato come un suggerimento. Proprio ieri infatti il governo (...)
(...) ha annunciato che dovranno essere Regioni, Province e Comuni a farsi carico dell'emergenza profughi: i disperati di Lampedusa saranno ripartiti in numero di mille ogni milione di abitanti, fino a raggiungere il tetto massimo di 50mila su tutto il territorio nazionale.
Per esemplificare, ala sola Lombardia ne toccheranno diecimila, quasi una cittadina, a Lazio e Campania seimila a testa. Per di piü Maroni ha detto che «ci sarà un impegno finanziario» per supportare le Regioni. Tradotto, significa che la solidarietà ci costerà. E anche non poco, se il governo si premura di preavvisarci. Si sente già puzza di tassa per i profughi.
È una soluzione d'emergenza a cui razionalmente è difiicile opporsi, visto che ormai a Lampedusa ci sono piü profughi che abitanti, ma non può mancare di suscitare perplessità e angosce. Pur comprendendo le ragioni dei ministro Maroni e avendo la massima fiducia nel suo operato, per amara esperienza sappiamo tutti che in Italia l'emergenza, più presto che tardi, tende a diventare normalità. Lo scenario potrebbe essere questo. I cinquantamila saranno ospitati, inizialmente per sei mesi, in tendopoli, caserme, edifici vari come richiedenti asilo politico. Scaduti i sei mesi, difficilmente la Libia sarà un Paese pacificato e democratico e lo status di rifugiato sarà rinnovato fino a un anno. A quel punto, non si sa quanti dei cinquantamila, quasi tutti giovani, forti, arrabbiati e desiderosi di vivere in Europa, saranno rimasti nei centri d'accoglienza e quanti non avranno invece preferito darsi alia macchia e cercar fortuna.
Sicuramente, nell'un caso come nell'altro, serve una sconsiderata dose di ottimismo per pensare che la Libia, la Tunisia o l'Egitto saranno diventati nel frattempo un eden e che il nostro governo prenda a uno a uno i rifugiati e li rimpatri. Piü probabilmente, il Nord Africa sarà una polveriera peggio di oggi, ai malcapitati sarà dato asilo politico e avremo decine di migliaia di giovani per le nostre strade senza un lavoro, un soldo, una famiglia e una casa. Con tutto quel che ne consegue.
L'ACCORDO
Pia illusione è anche che il tetto di cinquantamila sia tassativo. Questa decisione infatti è una calamita per quanti affollano i porti dei Nord Africa in attesa di partire per le nostre coste. Quando sopra la testa volano i missili e le alternative per il futuro sono tra un protettorato straniero, la dittatura incattivita di un pazzo e una teocrazia islamica, se per caso si sa che un cugino o un nipote sono ospitati in maniera demograficamente razionale e compatibile a Milano o Roma, è difficile resistere alia tentazione di salire sulla prima barca in partenza per raggiungerli. E a quel punto, che si fa con i nuovi arrivati? Li si butta a mare? Si abbandona Lampedusa a se stessa? Si spara alle zattere colme di profughi? Niente di tutto questo; semplicemente, si alilargano le braccia dell'accoglienza e le maglie della legge.
Certo, criticare è facile, ma la soluzione? Affrontare a muso duro Sarkozy anche sotto Faspetto immigrati, come ab- biamo fatto sulla questione di chi deve guidare le operazioni di guerra, potrebbe essere il primo passo. L'Italia aveva sottoscritto con la Libia un accordo che ci tutelava dall'immigrazione selvaggia dall'Africa. Di questo accordo, che ci costa 25 miliardi di risarcimenti per il passato coloniale e onerosi impegni per la costruzione di opere pubbliche, ha beneficiato tutta Europa, in primis la Francia. La stessa Francia che, come ormai pare evidente, ha prima fomentato la rivolta libica, quindi l'ha cavalcata, trascinando tutto l'Occidente alla guerra al solo scopo di imporre i propri interessi affaristici a Tripoli a discapito dei nostri e affermarsi come potenza economica e politica di riferimento in tutto il Nord Africa.
PROMESSE TRADITE
Ora l'accordo è saltato, Francia, Inghilterra e Stati Uniti bombardano; noi no, ma solo noi ci prendiamo chi scappa dalle bombe. Eppure, pochi giorni prima dell'inizio delle operazioni belliche, proprio da Parigi avevamo avuto ampie rassicurazioni che il peso degli immigrati sarebbe stato sopportato da tutti. Ora che il conflitto è stato inne- scato in tutta fretta, quasi furtivamente, da Sarkozy, è chiaro che non sarà cosi ed è lecito dubitare che nella testa dei presidente francese cosi sia mai stato. Non credo che la cosa possa essere tollerata da un Paese che non voglia ras- segnarsi a un ruolo ancillare in Europa e nel Mediterraneo. Se non vuole caricare una quota di profughi sulle navi e dirigersi alia volta dei porti francesi, presidiandoli finché non sia dato il via libera allo sbarco, l'Italia deve almeno subordinare la concessione delle proprie basi aeree, oltre che all'affidamento alia Nato delle operazioni di guerra, anche alia stipulazione di un accordo per la distribuzione dei profughi tra tutti i Paesi impe gnati nel conflitto. Se cosi non sarà, la politica non prenda in giro i Cittadini e dica chiaramente che dobbiamo rassegnarci a un'invasione «bíblica» dall'Africa, per usare le parole dei ministro Maroni.
Se non fosse una tragica sconfitta nella sconfitta e un insostenibile affronto alia gente di Lampedusa, verrebbe quasi da chiedersi se, anziché prendersi i 50, e poi 60- 70-80-90 mila disperati sbarcati, non convenga prelevare i seimila abitanti dell'isola e mantenerli vita natural durante sul Continente. Lasciando magari Lampedusa e tutti i suoi migranti alia Francia e alle sue mire espansionistiche.

 

 

 
«L’intervento? Per proteggere la popolazione»
Avvenire 23 marzo 2011
Paolo Lambruschi
I francesi lo chiamano il «mediatore invisibile» e Mario Giro, responsabile delle relazioni internazionali della Co­munità di Sant’Egidio non ha cambiato i­dea sulla guerra, «che è sempre un erro­re e un male da evitare». Ma questa, os­serva, «non è una guerra». 
Giro, molti sostengono che si sia arriva­ti ai bombardamenti troppo in fretta, senza lasciare spazio alle trattative di­plomatiche. È vero? 
Rispetto alle altre rivolte esplose nel Nor­dafrica, ci sono due differenze sostanzia­li e noi occidentali, che ci siamo sempre disinteressati della Libia, siamo rimasti spiazzati dagli avvenimen­ti. Primo, a Tripoli da 42 an­ni comandano un dittato­re e il suo clan. Secondo, la Libia non è mai diventata uno stato per colpa di que­sta dittatura, bensì un in­sieme di tribù, ciascuna con i propri interessi. Non c’è nemmeno un esercito, ma diverse milizie. Davan­ti alla legittima richiesta di democrazia da parte del popolo libico, Gheddafi ha ri­sposto con le bombe. Se l’Onu non aves­se votato la risoluzione della no fly zone e non fosse intervenuta, il dittatore avreb­be soffocato nel sangue la rivolta. 
Dunque lei è favorevole ai raid aerei? 
Favorevoli ad azioni di polizia interna­zionale come questa, che proteggono la popolazione civile. Siamo contro la guer­ra, ma questa non è una guerra, c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che pone dei paletti. In Libia l’interven­to militare sotto mandato Onu ha un o­biettivo preciso, impedire a un dittatore di bombardare un popolo che vuole co­struire uno stato moderno. Lo stesso consiglio rivoluzionario di Bengasi ha chiesto che non vi siano interventi di ter­ra, il conflitto devono e vogliono risol­verlo da soli. 
Se non ci fosse di mezzo il petrolio sa­rebbe intervenuta l’Onu? 
Ritengo che la questione petrolio sia di­ventata un’ossessione. Ce lo vendeva Gheddafi e ce lo venderà chi governerà dopo di lui. Punto. Piuttosto l’entità dei beni del dittatore e del suo clan congela­ti negli Usa dimostra che i proventi del petrolio sono stati utilizzati per arricchi­mento personale. Il che legittima ancor più la rivolta popolare. 
Possiamo fidarci dei ribelli o corriamo il rischio di trovarci un regime integralista alle porte? Non sappiamo chi sono e co­sa vogliono, neanche loro probabilmen­te lo sanno dopo 42 anni di oppressione. Sappiamo, però, che la cosiddetta pri­mavera araba ci consegna una novità: è cresciuta nel­la popolazione del mondo arabo la coscienza dei di­ritti civili e il desiderio di democrazia. Non a caso l’e­sercito tunisino e quello e­giziano si sono comportati con responsabilità. Ma in Libia non c’è un esercito, ci sono i mercenari e le guar­die del regime e serve l’aiuto dell’Onu. 
Se cade Gheddafi non rischiamo un e­sodo di profughi sbarcheranno sulle nostre coste? 
Anche questa è un’ossessione. Certo, ma sarà temporaneo e an­drà gestito dall’Ue. Del resto si gri­dava all’emergenza dopo i primi sbarchi e ora si scopre che abbia­mo 50 mila posti. 
Come va gestito il problema? 
L’unica via è rinunciare alla so­vranità nazionale sulla questione migranti affrontandola a livello europeo. Quindi servono accordi tra l’Unione europea e l’Unione africana. Italia ed Europa si sono accordati con Gheddafi perché bloccasse gli eritrei, i somali, gli etiopi e i subsahariani. Ma i tap­pi non possono fermare la storia. 
«Dobbiamo impedire a un dittatore di massacrare il suo popolo che chiede libertà»

 

 

 

Cota: «Non per i clandestini ma per i rifugiati»

Accoglienza in base al numero di stranieri già presenti nei territori

La Padania, 23-03-2011
Iva Garibaldi
ROMA - È positiva la valutazione del governatore Roberto Cota sull'inœntro al Viminale che il ministro Maroni ha tenuto con le Regioni sull'immigrazione. Il piano straordinario che dovrà affrontare la questione del possibile esodo dei profughi dalla Libia, infatti, dovrà tener conto delle esigenze delle Regioni. E in particolare, nella mappa dei numero di rifugiati da accogliere bisognerà tener conto della popolazione straniera già presente.
Presidente Cota, quali sono le sue valutazioni al termine dell'incontro con il ministro dell'Interno sulla questione immigrazione?
«È andata bene. Il piano che sarà approntato nei prossimi giorni non riguarda la gestione dei clandestini che arrivano dalla Tunisia la cui competenza è del Viminale. Si tratta invece di un piano straordinario nel caso in cui ci siano profughi dalla Libia con lo status di rifugiati. Chiariamo che ad oggi non c'è nessuno straniero tra quelli sbarcati con queste caratteristiche».
Ma se avete previsto questa possibilità vuol dire che il Viminale si aspetta anche questo tipo di flusso migratorio?
«È una questione ipotetica. Maroni però l'affronta in anticipo perché è una persona responsabile a differenza di altri, in particolare mi riferisco aklle sinistre, che invece sembrano sottovalutare queste problematiche. Se non si affrontano questi aspetti con la dovuta cautela e realismo le conseguenze sono gravi. Il nostro atteggiamento in relazione all'attacco della Libia è simile a quello della Germania. Quest'attacco porta con sé molte incognite sia per gli equilibri locali sia perché può passare il messaggio che si tratti di un attacco dell'Occidente al mondo arabo e quindi potrebbero esserci reazioni forti compresi attacchi terroristici».
Ma le regioni come si sono mosse rispetto alla proposta di dividersi gli eventuali profughi?
«Oggi il ministro Maroni sarà in Tunisia per affrontare la problematica degli immigrati che provengono da quel Paese che al momento sono la quasi totalità dei 15 mila sbarcati nelle ultime settimane. Per quanto riguarda le regioni nei prossimi giorni sarà predisposto questo piano straordinario per gli eventuali profughi. Nei documento bisognerà tener conto delle presenze degli stranieri che sono attualmente nelle diverse Regioni. D Piemonte, ad esempio ha già un Cie. e un numero notevole di immigrati soprattutto a Torino».
Dopo l'incontro con Maroni la Conferenza si è riunita anche sul Federalismo fiscale regionale in vista dei voto in commissione bicamerale sul decreto: quali sono le sue impressioni?
«Voglio essere positivo e mi attengo ai fatti: sul Federalismo le regioni hanno dato l'intesa a dicembre perché la riforma federale è assolutamente necessaria. C'è il problema dei trasporto pubblico locale che non attiene al Federalismo che entrera in vigore domani ma è una questione che va affrontata già oggi. Per quanto riguarda questo capitolo c'è la necessità di dare alle regioni le risorse per far funzionare questo servizio».
Ma la questione dei trasporto pubblico come entra nel Federalismo fiscale?
«Centra perché l'accordo di dicembre riguarda anche il trasporto pubblico locale. D Governo ha assicurato che avrebbe trovatoifondi nel corso del 2011. Io mi fido del Governo, farà la sua parte».
Oggi è previsto anche un incontro tra Regioni e Calderoli: cosa prevede?
«Le posizioni si chiariranno anche se il Governo ha già ribadito il suo impegno a rispettare i patti. Se qualcuno dunque tira troppo la corda allora vuol dire che l'interesse primario è mettere il bastone tra le ruote. Vedremo la posizione di ciascuno».
Ma a suo parère ci sarà condivisione sul decreto dei Federalismo regionale?
«Lo spero perché si tratta di misure necessarie oltre che una grande opportunità per tutti».



Padre Maurizio Annoni, dell'Opera San Francesco: "Se c'è un'emergenza bisogna mobilitarsi tutti'
"Siamo vicini alla saturazione ma questi disperati vanno aiutati' '
La Repubblica, 23-03-2011  
ZITA DAZZI
PADRE Maurizio Annoni, presidente dell'Opera San Francesco, ogni giorno conta centinaia di profughi e rifugiati fra i duemila immigrati che si mettono in coda per un pa¬sto caldo in corso Concordia.
È preoccupato quando vede le immagini da Lampedusa?
«Come si fa a non esserlo? Vedo tutta quella disperazione, tutti queivolti, quei corpi ammassati, senza nessuna assistenza. Penso a quanto dolore c' è dentro a ognuna di quelle persone che hanno attraversato il mare nella Speranza di trovare aiuto».
Potrebbero arrivarne novemila in Lombardia, secondo quel che si è detto nella riunione col ministro Maroni al Vimina- le.
«Se c'è un'emergenza, certo, tutti dovremo rimboccarci le mani. Ma mi sembra che si stiano facendo cifre un po' esagerate. In ogni caso se si trattasse di un numero veramente cosi elevato, dubito che si potrà fare fronte per un lungo periodo alla richiesta di accoglienza. Il sistema milanese del privato sociale è già vicino al livello di saturazione».
Se il Comune e la Regione vi chiederanno di aprire le porte che risponderete?
«Faremo la nostra parte, come succedé da 50 anni a questa parte, ma non perché ce lo chiedono le istituzioni. È il Vangelo che ci fa muovere, è la pietas Cristiana che ci ispira. Abbiamo oltre 5mila immigrati tesserati, che vengono da noi da anni a mangiare, lavarsi e vestirsi. Nel 2010 abbiamo avuto altri mille nuovi arrivi. Continueremo a fare il nostro lavoro. Di profughi e rifugiati di guerra ne accogliamo tutti i giorni».
E se vi chiedono un posto per dormire?
«Li mandiamo al centro di via Saponaro, gestito dalla Fondazione fratelli di San Francesco, o al dormitorio pubblico di viale Orties».
Il ministro ha detto che verra fatta una distinzione fra "profughi" e "immigrati clandestini".
«Credo che non sarà semplice fare questa divisione. Molte di queste persone che arrivano sui barconi scappano dalla guerra, dalla carestia, dalle persecuzioni. E arrivano con solo i loro vestiti addosso, senza alcun documento. E a volte non è semplice identificarli con certezza o stabilire la loro nazionalità. Hanno troppa paura».
Di che cosa?
«Il loro incubo è quello di essere rispediti indietro, di finire nelle mani dei loro nemici, di essere uccisi, di finire in galera. Sono disposti a qualunque cosa pur di restare in Europa. Io credo che si debba tutelare chi ha più bisogno, chi è più a rischio. Non si può pensare dirispedire in Africa i profughi di guerra, i libici in fuga, come gli eritrei, i somali, i sudanesi, gli etiopi».
Il programma di protezione che viene accordato dal governo è sufficiente per reinserire un rifugiato nella società?
«Purtroppo no. Molte di queste persone, finito il periodo della prima accoglienza, tornano in Strada, finiscono a fare la vita dei clochard anche se le leggi internazionali prevederebbero un sostegno vero per trovare casa e lavoro».



Immigrazione: nave San Marco arrivata a Lampedusa
Al via trasferimento migranti dall'isola
(ANSA) - LAMPEDUSA, 23 MAR - E' arrivata al largo di Lampedusa la San Marco, la nave della Marina militare che sara' utilizzata per trasferire gli immigrati sbarcati sull'Isola. La nave non entrera' in porto e il trasbordo dei migranti dalla banchina sara' effettuato con i mezzi da sbarco. Sulla San Marco dovrebbero salire circa 700 migranti.
Le operazioni di imbarco dei migranti dovrebbero iniziare attorno alle 10. Una volta a bordo e prima che la nave lasci Lampedusa i migranti verranno perquisiti. Ancora non e' stata resa nota la destinazione della San Marco. (ANSA).



Allarme immigrazione: sì ai profughi di guerra Il Viminale: "I clandestini verranno rimpatriati"
Sì delle Regioni al piano del governo per accogliere i libici in fuga dalla guerra Maroni in pista per bloccare gli irregolari, ma la Tunisia rinvia l’incontro. La Brambilla: "Salveremo il turismo a Lampedusa". Tendopoli in Sicilia per i disperati
il Giornale, 23-03-2011
Francesca Angeli
Roma - L’Italia accoglierà ed assisterà i profughi. Non i clandestini, che invece dovranno essere rimpatriati. Dal vertice del governo con le regioni è arrivato il via libera al piano messo a punto dal Viminale per una distribuzione su tutto il territorio dei rifugiati che potrebbero arrivare dalla Libia fino ad un massimo di 50.000 presenze. Il condizionale è d’obbligo perché al momento non risulta siano arrivati profughi ma, come ha tenuto più volte a ribadire il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, soltanto clandestini per lo più dalla Tunisia. Dunque il sì delle Regioni si riferisce ad eventuali arrivi futuri, sicuramente molto probabili, ma a quanto pare non per gli oramai quasi 6.000 disperati accampati a Lampedusa. Per l’isola allo stremo ci sarà un intervento ad hoc annunciato dal ministro del Turismo, Michela Brambilla. «La stagione turistica di Lampedusa vale 50 milioni di euro e noi la salveremo - dice il ministro -. Il piano di Maroni riporterà in breve la situazione alla normalità e anche se ci sarà un contraccolpo sul periodo di Pasqua noi interverremo con una campagna promozionale in modo che l’isola possa rifarsi nel periodo estivo».
A precisare i termini dell’accordo raggiunto sulla distribuzione dei migranti ci pensa subito la Lega con i suoi governatori. «Sia chiaro che si parla soltanto di profughi libici che al momento non ci sono - mette le mani avanti Luca Zaia, presidente del Veneto -. Quelli di Lampedusa sono clandestini ed il Veneto non è disponibile ad accoglierli». Identica la linea del governatore del Piemonte, Roberto Cota: il piano del Viminale, assicura, non prevede «la possibilità di accogliere nelle varie regioni italiane i clandestini provenienti dalla Tunisia o da altri Paesi del Nordafrica». Ma non sono soltanto le regioni leghiste a dire no ai clandestini. Anche la rossa Emilia Romagna con l’assessore alla Protezione civile Paola Gazzolo, tiene a puntualizzare che si parla «di profughi e non di clandestini» dei quali «si occuperà direttamente il governo».
Maroni avrebbe dovuto essere a Tunisi questa mattina «per concordare con le autorità locali iniziative che possano fermare il flusso verso Lampedusa». Ma l’incontro è stato rimandato di un giorno o due che in una situazione di emergenza come questa sono davvero un’eternità. Dall’inizio dell’anno sull’isola sono arrivati già 15.000 stranieri. «Tutti tunisini, giovani e maschi, una generazione in fuga - insiste Maroni -. La Tunisia è un paese amico e sono ottimista sulla possibilità di risolvere il problema». Ma il rinvio getta un’ombra sui possibili risultati della trattativa con Tunisi, cruciale per la risoluzione dell’emergenza.
Intanto da Lampedusa il sindaco Dino De Rubeis rilancia l’ennesimo grido d’aiuto. «I migranti dormono a terra in mezzo alla spazzatura», denuncia il sindaco. Ma il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, esclude rischi sanitari e di epidemie nonostante il sovraffollamento.
Che cosa si farà per decongestionare l’isola? Alcune tendopoli dovrebbero essere allestite in Sicilia ed in Puglia in siti della Difesa. Proseguono intanto i voli speciali, anche ieri circa 400 migranti sono stati trasferiti nei centri di identificazione di Puglia e Calabria. E ieri sera da Augusta è partita la nave militare anfibia San Marco che accoglierà circa 600 immigrati. Nessuna informazione sulla destinazione finale. È probabile che la nave attracchi a largo ed il trasbordo avvenga a piccoli gruppi e che in sostanza la san Marco si trasformi in un temporaneo centro di accoglienza. Anche se il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha già escluso che le navi possano essere «trasformate in alberghi».



Lampedusa, i ragazzi tunisini fanno lo sciopero della fame
la Repubblica, 23-03-2011
FRANCESCO VIVIANO
LAMPEDUSA — «Sono qui da due settimane ecome me altri ragazzi. Non possiamo stare in questo stato di abbandono, senza poterci lavare. Vogliamo andare via da qui, a Lampedusa è un inferno». Protestano i "ragazzi di Lampedusa", i 230 mi- nori giunti nell'isola a bordo di barconi senza genitori né parenti. E da ieri hanno deciso di uscire alio scoperto, rifiutando la colazione del mattino e il pranzo. Perché in questa situazione - dicono - è impossibile vivere anche per disperati che hanno rischiato la vita per raggiungere l'ltalia.
Qualcuno ha inghiottito una lametta, altri si sono tagliati i polsi. E a fatica i volontari di Save the Children e i funzionari di polizia che "governano" il Centro di accoglienza ormai ridotto a un vero e proprio immondezzaio tentano di frenare la protesta. Che potrebbe allargarsi a macchia d'olio provocando problemi seri per la sicurezza di tutti. «Hanno rifiutato il cibo perché vogliono andare via— dice un addetto alla sicurezza del Centro di accoglienza — e ab- biamo avuto serie difficoltà per convincerli a prendere il pasto. Ma molti hanno continuato a rifiutarlo, nonostante la fame con cui sono arrivati in Italia». Tanti ragazzi non si possono lavare da giorni, altri sono scalzi, altri non hanno un letto. E ora si teme che la protesta dei minorenni possa coinvolgere anche gli adulti che vagano perl'isola in cerca di un riparo per la notte e di un pezzo di pane per sfamarsi.
Il numero degli extracomunitari è arrivato ieri a 5.500 persone, piü degli stessi abitanti di Lampedusa, anche loro sotto pressione, che da settimane protestano inutilmente in cerca di una soluzione che possa "liberare" l'isola ormai occupata dai tunisini e dalle forze dell'ordine. II ponte aereo che a giorni alterni trasferisce centinaia di immigrati verso altri centri dell'Italia non serve a niente. Ogni duecento che ne partono,400cento ne arrivano. E anche ieri ne sono partiti 350ma a intervalli di poche ore l'una dall'altro a Lampedusa sono approdate barche e pescherecci con oltre 700 persone.



Nella ex caserma Lucania 400 profughi
La Gazzetta del Mezzogiorno, 23-03-2011
MIMMO SAMMARTINO
«La Basilicata metterà a disposizione l’ex caserma Lucania di Potenza per accogliere i profughi del Nord Africa. Potremo accogliere fino a quattrocento persone. E la Regione non esclude l’ipotesi di istituire, anche sul piano locale, un commissario straordinario per l’immigrazione». Sono le novità che ieri l’assessore regionale alla salute e alla sicurezza sociale, Attilio Martorano, ha portato di ritorno dal vertice tenuto al Viminale con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, i presidenti delle Regioni, l’Unione delle Province e l’Associazione nazionale dei Comuni. Lampedusa sta scoppiando con l’afflusso continuo di nuovi arrivi dalla sponda nord africana. I barconi di migranti continuano a portare sulle sue sponde ogni giorno centinaia di persone in fuga. Persone sopravvissute ai conflitti armati, alla fame, alle tempeste di mare che cercano in Italia, o in Europa, una speranza di futuro. Ma Lampedusa da sola non ce la fa. Si rende pertanto necessario un impegno condiviso dell’intero Paese dinanzi alla prospettiva di arrivi in Italia, nel volgere di qualche settimana, «anche di 50 mila persone».
E questo, sostiene Martorano, «senza calcolare la vicenda della Libia». «Dal primo gennaio 2011 - aggiunge - sono giunti in Italia 15.700 migranti, di cui 4800 a oggi a Lampedusa». «Abbiamo individuato la caserma come unica struttura lucana - fa sapere l’assessore alla sanità. - Struttura che, in passato, ha ospitato fino a 550 militari. Per via dell’emergenza alluvioni, abbiamo escluso un impegno della provincia di Matera. La disponibilità ad accogliere 400 profughi deriva anche da un calcolo di massima in base al quale le regioni ospitano mille profughi ogni milione di abitanti».
Intanto, come assicurato dal ministro Maroni, «il Governo, tramite il commissario straordinario per l’immigrazione, il prefetto di Catania Giuseppe Caruso, si farà carico degli oneri per eventuali infrastrutturazioni dei siti da riservare all’accoglienza degli immigrati». «Oggi - spiega Martorano - abbiamo dato la disponibilità politica a fare la nostra parte. Ma attendiamo il piano governativo per capire come si opererà sul piano concreto. Bisogna poter contare su adeguate risorse».
Altra questione da affrontare: il nodo dei rifugiati. «La maggior parte delle persone che arriveranno dalla Tunisia, e alle quali verrà riconosciuto lo status di rifugiato - afferma l’assessore regionale - aspirano a recarsi in Francia. Ma, in base al trattato di Dublino, se si è riconosciuti rifugiati di un Paese, non si può andare altrove. Quel vecchio trattato va dunque rivisto». Infine il tema dell’istituzione, anche su scala regionale, della figura del commissario straordinario per l’immig razione. «Porterò in giunta la proposta di un disegno di legge - conclude Martorano. - Il commissario straordinario potrebbe essere il riferimento istituzionale per gestire tutti i problemi relativi all’immigrazione sul territorio».



ELEZIONI E RIFUGIATI
Corriere della sera, 23-03-2011
PAOLO FOSCHINI
E'possibile e anzi probabile che l'appello si riveli inutile, perché la politica è la politica e chissà perché non riesce quasi mai a sorprendere, ma per dignité andrebbe lanciato con forza lo stesso: per favore, la campagna elettorale sulla pelle dei profughi di guerra no. Fatela sul resto — il traffico, l'Expo, l'economia, l'inquinamento, per Milano ce n'è abbastanza no? — ma almeno quella risparmiatecela.
Purtroppo le prime prese di posizione registrate ieri sull'emergenza profughi che la guerra di Libia promette all'Italia fanno per ora emergere tra le forze di governo locali — in Lombardia più che in altre Regioni — un clima da ordine sparso e ciascuno per sé che non incoraggia: e di cui, specie di fronte a questo come a tutti i drammi umanitari, non si sentirebbe affatto il bisogno. Partiamo dai numeri. Naturalmente quella dei «5omila» che dalla Libia potrebbero arrivare in Italia spinti dalla guerra è per ora, come ha ricordato ieri per primo il governatore Roberto Formigoni, una stima teórica: «Allo stato il numero è zero», ha precisato. È vero, ha subito aggiunto, che Francia e Inghilterra dovrebbero farsi carico dei problema più di altri visto che la guerra l'hanno voluta soprattutto loro. Ma ha comunque dichiarato che «la Lombardia è pronta a fare la sua parte» per accogliere la quota che le sarà assegnata in base al piano Maroni: il cui principio di base — la divisione dei futuri rifugiati tra le varie Regioni in base al numero dei rispettivi abitanti — ha ottenuto dei resto il si della Conferenza stessa delle Regioni. Alla Lombardia, secondo una delle tante stime altrettanto teoriche circolanti fino a ieri sera, potrebbero «toccarne» tra i due e i novemila.
È fin troppo owio rilevare che le ricadute concrete del loro arrivo, se e quando ci sarà, non riguarderanno tanto la Regione (che in questo senso è una entità astratta) quanto i singoli Comuni. E che nello specifico, tra due mesi, non è per la Regione che molti Cittadini lombardi saranno chiamati a votare bensi, tra gli altri, per il Comune di Milano. E infatti ieri, puntuale, alla pur cauta disponibilità dichiarata dal governatore Formigoni si è immediatamente contrapposta non solo la frenata della Lega anche in Regione (frenata lieve, per carità: anche al Viminale da cui il piano profughi è partito c'è un leghista), che con Davide Boni ha invitato a «riflettere seriamente sulle nostre reali possibilita di accoglienza», ma soprattutto la barricata sollevata dal vicesindaco dei capoluogo Riçcardo De Corato: «La situazione a Milano rischia di esplodere, abbiamo già dato».
Forse un'analisi pacata e concreta delle soluzioni possibili (quali e quanti Comuni lombardi coinvolgere, dove e come, per quanto, con quali strutture, con quali costi) sarebbe più opportuna di qualsiasi slogan in un senso o nell'altro. Certamente più costruttiva.



Bimbo muore dopo due visite in ospedale I genitori: "Trascurato perché Rom"  
Il piccolo aveva 13 mesi. Si è spento dopo tre giorni di agonia. La procura chiede l'autopsia
La Repubblica, 23-03-2011
TIZIANA COZZI
NAPOLI - I primi malesseri sabato sera, nel piccolo container del campo rom di Giugliano, periferia Nord di Napoli. Nel fine settimana due inutili corse verso altrettanti ospedali che lo rimandano a casa. La morte ieri, durante l'ultima, disperata richiesta di aiuto nel terzo ospedale. Omar, un anno e un mese, si spegne tra le braccia del papà dopo tre giorni di agonia e di via crucis da una struttura sanitaria all'altra. Nessuna diagnosi. Sarà l'autopsia sul suo corpicino a dire la verità su quanto accaduto, sull'eventuale omissione di soccorso. L'esame avverrà appena saranno identificati i presunti responsabili e notificati gli avvisi di garanzia. La polizia del commissariato di Giugliano ha già inviato gli atti alla Procura della Repubblica e la piccola salma è stata trasferita a Napoli. "Siamo rom, quindi possiamo morire così. Mio figlio stava malissimo, era evidente. Eppure ci hanno liquidato così, sono bastate due parole: "Sta benissimo, tornate a casa". E invece stava per morire". Quanto accaduto è tutto nel breve, drammatico racconto del padre di Omar, Seido, che ora, nel campo Rom di Giugliano (in attesa di sgombero) si dispera e chiede di capire perché il bimbo è morto. È lui, con la moglie Draghiza, a ricostruire i fatti.
L'incubo comincia sabato sera. "Omar stava malissimo, con dolori di pancia e fitte allo stomaco", ricorda tra le lacrime mamma Draghiza. Domenica, dal campo Rom, la corsa verso Aversa. Dove i medici visitano il piccolo. "Sta bene", dicono. Dunque Omar torna nel container. Lunedì la situazione si aggrava. Il bambino non apre gli occhi, vomita, suda. Ha la diarrea. Seconda corsa, questa volta verso l'ospedale di Pozzuoli. Ma la scena si ripete. E anche se Draghiza chiede ai medici di fare una lavanda gastrica, i medici hanno già fatto la diagnosi: "È una banale influenza. Basta tenerlo al caldo e domani starà meglio". Non servono le preghiere e le lacrime della mamma che implora i medici di fare qualcosa. Devono lasciare il pronto soccorso.
Così la famiglia rom torna ancora una volta al campo, ma è l'inizio di una notte di paura. Il bimbo non si muove più. E martedì comincia la terza - e inutile - corsa verso un altro ospedale, il San Giuliano di Giugliano. Ma purtroppo Omar non verrà visto vivo dai medici. Muore durante il tragitto, viene trasferito direttamente all'obitorio dove, in breve, si affollano parenti e amici per protestare contro i medici. Intanto parte il fax dall'ospedale per la Procura e il magistrato di turno dispone il sequestro della piccola salma e l'autopsia. Cosa ha ucciso Omar? Una malattia seria non diagnosticata? Oppure una banale influenza non curata? "Siamo stati trattati così perché siamo rom - accusa Seido - quando siamo arrivati in ospedale ci hanno trattato con sufficienza. Non hanno valutato bene la situazione. È colpa loro se il nostro bambino ora non è più con noi. Adesso voglio giustizia. Voglio che chi ha sbagliato paghi".  

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