Accoglienza integrata siamo ancora indietro

Osservatorio Italia-razzismo 1 agosto 2013
Ieri sulle coste del siracusano sono sbarcate venticinque persone quasi tutte di origine afgana e pakistana. Nulla di inconsueto sia per il luogo che per il periodo, soprattutto se si considera il fatto che lì, dall'inizio dell'estate, gli sbarchi sono stati una trentina e le persone arrivate quasi un migliaio.

Anche qui, come a Lampedusa, gli sbarcati vengono inizialmente accolti in una struttura di primo soccorso e accoglienza in cui ricevono le prime cure e, poi, dovrebbero essere trasferiti in centri attrezzati per un'accoglienza più lunga. Dovrebbero infatti avere la possibilità, è un loro diritto, di venire ospitati in un centro accoglienza per richiedenti asilo (Cara) in cui attendere la risposta riguardo la domanda di protezione internazionale. In alternativa potrebbero anche essere inseriti in uno dei 128 progetti Sprar, ovvero nella rete del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Ma non sempre ciò si verifica. L'accoglienza nei progetti Sprar e nel Cara è molto ambita perchè qui, non solo vengono garantiti il vitto e l'alloggio, ma viene resa disponibile l'assistenza legale, quella sanitaria e l'inserimento in attività formative. Il tasso di fallimento di chi intraprende un percorso di questo tipo è davvero basso, nel senso che la maggior parte degli accolti porta a termine il progetto incontrando, poi, meno difficoltà di inserimento rispetto a chi, invece, viene accolto nei circuiti canonici dei centri che limitano l'accoglienza all'offerta di cibo e di un posto letto. Nonostante il numero dei posti nei sistemi di accoglienza integrata (Cara e Sprar) sia davvero basso, appena 5000, a nessuno dovrebbe però essere negata la possibilità di fare almeno un tentativo di accesso. E, invece, è ciò che accade di frequente e per vari motivi. Uno di questi riguarda il fatto che la sistemazione precaria in centri di primo soccorso rende poco accessibili informazioni di questo tipo che, solitamente, sono veicolate dagli operatori di cooperative e di associazioni, o da funzionari della Questura. Per quanto riguarda i primi, non è detto che siano presenti in  maniera stabile e che svolgano questo tipo di attività; i secondi, invece, non sempre vengono in contatto diretto con i richiedenti asilo e, anche quando questo incontro si tiene, non è scontato che nel Cara ci sia posto. Ecco perché accade ciò che non dovrebbe accadere: ovvero che i centri destinati alla prima accoglienza si tramutino in luoghi di lunga permanenza. Il problema è che, così facendo, vengono negati i diritti che spettano a chi si trova in quella condizione, i richiedenti asilo che, vista l'assenza di attività a loro rivolte, andranno incontro a un'ingente perdita di tempo. Infatti, se non risulterà proficua la prima fase della permanenza in Italia, quella in cui l'accoglienza è quasi scontata, una volta ottenuto il permesso di soggiorno tutto sarà più complicato. Insomma, bisogna puntare sulla costruzione di basi solide per far sì che il progetto migratorio non fallisca in tempi brevi, provocando seri problemi.
l'Unità 1 agosto 2013

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