Morire nel Mediterraneo

 

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                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 novembre 2012

Immigrati, "Contrordine italiani non sono loro che vi tolgono lavoro"
È scritto nero su bianco: "Per quanto riguarda il rischio disoccupazione, non c'è un effetto di concorrenza derivante dalla maggior presenza di lavoratori stranieri". Lo afferma una lunga ricerca sul "Ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano", condotta da Cnel e ministero del Lavoro. Ma gli stranieri lavoratori saranno 900 mila nel 2020
la Repubblica, 21-11-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Contrordine italiani: gli immigrati non vi tolgono il lavoro. È scritto nero su bianco: "Per quanto riguarda il rischio disoccupazione, non c'è un effetto di concorrenza derivante dalla maggior presenza di lavoratori stranieri". A sostenerlo è una lunga ricerca sul "Ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano", condotta da Cnel e ministero del Lavoro.
Gli immigrati non alimentano la disoccupazione. Ricorrendo a dati statistici aggiornati, i ricercatori scrivono che "guardando le correlazioni tra la presenza d'immigrati e il tasso di disoccupazione si osserva come queste siano di segno negativo. In altre parole, il tasso di disoccupazione è più alto nelle regioni dove la presenza di immigrati è più bassa". Insomma i dati "concordano nell'evidenziare il ruolo non significativo della presenza immigrata nell'influenzare la probabilità di perdere l'occupazione, entrando in disoccupazione".
Nel 2020, 900 mila lavoratori stranieri in più. Va però detto che "un aumento della quota di immigrati residenti in un territorio si traduce in una riduzione della probabilità, per chi è disoccupato, di trovare un impiego e risultare così occupato". Non solo. "A risentire maggiormente della concorrenza degli immigrati sul mercato del lavoro sono soprattutto i lavoratori con bassi titoli di studio e i più giovani". E ancora: stando alla ricerca, nel 2020 i lavoratori immigrati aumenteranno del 45% rispetto al 2010 con circa 900mila occupati in più, mentre l'occupazione italiana resterà costante. Gli immigrati troveranno soprattutto posti meno qualificati, dove supereranno nel 2020 il 50% degli addetti.
Cittadinanza ai nati in Italia. "Se non c'è un'aspra concorrenza nel lavoro e gli immigrati, anche con titoli di studio elevati, fanno lavori che gli italiani non cercano vuol dire che l'integrazione è incompleta  -  commenta il presidente del Cnel, Antonio Marzano  -  la situazione migliora con il permanere degli immigrati in Italia e soprattutto per le seconde generazioni". Ma soprattutto, "per che è nato in Italia, è cresciuto e ha studiato qui, credo che negare la cittadinanza sia una forzatura e non aiuta l'integrazione".



Discriminazione: l’Unar chiede al Governo una norma per consentire ai cittadini di Paesi terzi di partecipare ai concorsi pubblici.
Secondo il direttore dell’Ufficio De Giorgi l’Italia rischia una procedura di infrazione da parte dell’Ue; necessarie nuove norme che potrebbero essere inserite nel prossimo decreto legge “salva infrazioni”.
Immigrazioneoggi, 21-11-2012
“Esclusa una infermiera da un concorso pubblico per collaboratore professionale sanitario indetto dall’Azienda per i servizi sanitari di Trieste solo perché colombiana. Esclusi alcuni candidati dal concorso del Comune di Savona per esperti di comunicazione istituzionale solo perché cittadini non comunitari. Sono solo alcuni casi che l’Unar ha trattato negli ultimi mesi circa la violazione del principio di parità di trattamento in materia di accesso al pubblico impiego” dichiara Marco De Giorgi, direttore dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri presso il Dipartimento delle pari ed opportunità.
“Proprio il 12 novembre il Tribunale di Trieste – continua De Giorgi – ha dato ragione all’Unar riconoscendo il diritto della cittadina colombiana che lamentava di essere vittima di una ingiusta discriminazione”. Le numerose pronunce dei giudici di merito, in linea con l’orientamento europeo, richiedono quindi un intervento normativo ad hoc che rimuova quello che è sentito come un pesante limite discriminatorio per l’accesso al pubblico impiego. “Anche per evitare gli effetti di una nuova procedura di infrazione contro l’Italia in questa materia, abbiamo chiesto al Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri diretto da Moavero di prevedere nel prossimo decreto legge “salva infrazioni” di inserire una norma che ci rimetta in linea con le direttive comunitarie e consenta il diritto di accesso ai posti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni anche da parte dei cittadini di Paesi terzi alle stesse condizioni dei cittadini Ue.



Crociata: «Le migrazioni ci educano all'incontro»
Avvenire.it, 21-11-2012
“Educare all’incontro, alla scuola del Concilio”, per “non cedere alla sfiducia e alla paura”, vincendo così “confusione e separazione, indifferenza e individualismo”, che “sono i mali che segnano le relazioni nella nostra società”. È l’invito rivolto oggi da monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ai partecipanti al convegno per il 25° anniversario della Fondazione Migrantes. Il fenomeno migratorio, ha spiegato monsignor Crociata, può essere “l’occasione e la sfida per educare alla differenza, all’inclusione e all’integrazione, a una nuova storia di comunità e di relazioni”. Le migrazioni, infatti, “spingono a costruire nuove relazioni sociali, culturali, ecclesiali, nei confronti dei fratelli separati e di altre religioni”, a partire dalla consapevolezza che “la mobilità e l’incontro tra i popoli, la diaspora di molte persone e famiglie è certamente un segno dei tempi”, come ha ricordato il Papa nel messaggio per la 92a Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2005, “un campo che provoca all’incontro tra i popoli, al confronto, allo scambio culturale, al dialogo interreligioso”. In questa prospettiva, l’immigrazione “è un ambito pastorale ma anche un luogo teologico per un rinnovato cammino di Chiesa”, un elemento cioè attraverso il quale “ripensare l’essere e l’agire della comunità cristiana”, in un cammino di “ascolto e di incontro”.
"La debolezza culturale più rischiosa è cedere alla sfiducia e alla paura”, ha ammonito monsignor Crociata: di qui l’importanza di “richiamare alcuni percorsi educativi” per la “pastorale della mobilità” nelle diocesi. Il primo percorso delineato dal vescovo è “educare all’identità cristiana”, attraverso la “formazione permanente” degli adulti. “Costruire gesti e momenti di integrazione”, il secondo percorso suggerito da mons. Crociata, perché “l’integrazione non ha bisogno solo di mediazione, ma anche di scambi, di una partecipazione continua degli immigrati ai luoghi di vita sociale ed ecclesiale”. Un terzo percorso è la “conoscenza delle culture”: “La conoscenza dei Paesi di provenienza degli immigrati - ha detto mons. Crociata - aiuta a superare pregiudizi o giudizi affrettati, e a entrare nella prospettiva dell’incontro con l’altro. Soprattutto per i ragazzi e i giovani, che oggi vivono in una scuola aperta alla multiculturalità, la conoscenza culturale dei paesi da cui provengono i compagni di classe aiuta a costruire relazioni positive e costruttive”. C’è poi il percorso costituito dall’ecumenismo e dal dialogo interreligioso, in cui “si costruisce gradualmente un processo di comprensione che va oltre la semplice tolleranza”. Infine, il “graduale di inserimento degli immigrati anche nella vita pastorale”, soprattutto nei percorsi di catecumenato.



Oltre 100mila i bambini stranieri nati nel 2011, il 18,4% dei nati in Italia.
Incremento del 28,7% rispetto al 2010. In Emilia Romagna i bambini stranieri sono un terzo dei neonati.
Immigrazioneoggi 21-11-2012
Per la prima volta in Italia i bambini “stranieri” nati nel corso dell’anno hanno superato quota 100 mila, un record storico che conferma anche la continua crescita nel corso degli anni.
Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa condotto su dai Istat sono stati 100.474 i bambini nati da entrambi i genitori stranieri nel corso del 2011. Più della metà (58,6%) delle nascite si registrano nelle sole regioni di Lombardia, Veneto, Lazio ed Emilia Romagna. In quest’ultima regione, viene rilevata inoltre l’incidenza massima (29,1%) dei nuovi nati stranieri sul totale dei nati. Dal 2002 le nascite di bambini stranieri sono aumentate del 209%, mentre rispetto al 2010 l’incremento è stato del 28,7%.
Quasi un quarto dei bambini stranieri nel 2011 è nato in Lombardia (quasi 25 mila), a seguire l’11,9% è nato in Veneto, l’11,7% in Emilia Romagna e il 10,2% in Lazio. Per quanto riguarda l’incidenza dei nuovi nati stranieri sul totale della popolazione nata nel 2011, questa è massima in Emilia Romagna, dove raggiunge il 29,1% ed è minima in Puglia, dove si attesta intorno al 5,4%. Proprio guardando l’incidenza, si nota una profonda differenza tra Nord-Centro Italia e Sud: sono infatti il Molise, la Basilicata, la Sardegna, la Calabria, la Puglia, la Sicilia e la Campagna ad avere tassi di incidenza inferiori al 10%. A livello nazionale, i nati stranieri rappresentano il 18,4% del totale delle nascite del 2011. Gli incrementi maggiori rispetto all’anno 2010 si sono registrati in Molise (75,0%), Calabria (86,1%) e Campania (82,1%).
Tra i nati stranieri nel 2011 spiccano i romeni nella maggioranza delle regioni. In particolare questi rappresentano il 44,4% dei nati stranieri in Lazio e il 30,7% in Piemonte. Il Marocco è invece la prima nazionalità tra i nati stranieri in Emilia Romagna (21,6%), in Lombardia (15,8%) e nelle Marche (14,7%), mentre in Toscana e Liguria risultano più numerosi i nuovi nati albanesi, rispettivamente il 21,8% e il 21,5%.
L’età media per il parto delle straniere è 28,3 anni, a fronte di 32 anni per le italiane nel 2011. Rispetto al 2008 l’età media del parto si è innalzata sia per le straniere che per le italiane, anche se a due ritmi diversi: infatti per le prime è aumentata dello 0,9%, mentre per le seconde l’incremento è stato dell’1,4%, poiché nel 2008 l’età media del parto delle donne straniere si attestava intorno ai 27,9 anni. Donne italiane e straniere differiscono anche nel numero di figli: le italiane hanno 1,3 figli a testa, mentre le straniere 2,04. Rispetto al 2008 questi numeri sono diminuiti del -8,5% per le italiane e del -11,7% per le straniere.



Per i cittadini dell’Uruguay non è più necessaria la legalizzazione dei documenti, basta l’apostille.
Una novità che farà risparmiare tempo e denaro.
Immigrazioneoggi, 21-11-2012
A partire dal 14 ottobre 2012, data di entrata in vigore della Convenzione dell’Aja per la Repubblica dell’Uruguay, gli atti e i documenti pubblici emessi in Uruguay, per produrre effetto in Italia, non dovranno più essere legalizzati, ma basterà che siano muniti del timbro dell’apostille.
Una novità non banale, che comporterà un certo risparmio di tempo e di denaro. In pratica, mentre prima il cittadino uruguaiano che doveva produrre ad una autorità italiana un documento rilasciato dal suo Paese doveva recarsi presso l’Ambasciata italiana in Uruguay affinché il suo documento venisse legalizzato (ossia contenesse l’attestazione ufficiale della legale qualità di chi aveva posto la firma sopra il documento e dell’autenticità della firma stessa) ora basta che il documento contenga l’apostille, ossia una specifica annotazione della competente autorità uruguaiana che lo rende immediatamente recepito nel territorio italiano senza bisogno di un’altra legalizzazione.
La novità interessa anche i documenti rilasciati in Italia, i quali, per produrre effetto in Uruguay, devono essere dotati di apostille. Il Ministero degli affari esteri uruguaiano ha redatto una serie di istruzioni per spiegare ai propri cittadini la procedura da seguire

 

ISLAM E FURBI DI OGNI GENERAZIONE
Vincenzo Andraous
Non condividere l’Islam, non credere nelle religioni altrui, non è peccato se non  c’è contrarietà affinché ognuno professi la propria in pace e serenità.
Non amare l’Islam non significa odiare quel credo per molti versi sconosciuto, neppure odiare una cultura e una tradizione diverse, oppure odiare chi non la pensa come me.
Cristo è dentro la mia religione ma ciò non mi pone nella condizione di odiare l’Islam, di non rispettare un altro popolo, di non essere fratello di ogni fratello: cristiano, mussulmano, ebreo o altro.
Non c’è Islam a fare la guerra, non c’è Maometto a indossare la muta da sub per sondare sottotraccia quali brecce aprire per conquistare altri territori di disumanità.
Non ci sono dei né semidei a fare da ponte agli estremismi, solamente furbi prezzolati di ogni generazione a ingenerare meccanismi perversi, marionette da mettere in campo, anche là, dove qualcuno ha ben definito la “terra di mezzo “ per indicare dove stanno coloro che rispettano l’uomo e le sue necessità, le sue urgenze di trasformare  un mondo  stanco di essere oppresso dai soliti truffatori di ieri, di oggi, e purtroppo di domani.
Un dittatore crudele muore, un ambasciatore del mondo muore, altri uomini muoiono nelle chiese, nelle moschee, nelle sinagoghe, le orde furiose attaccano, devastano le cose e i corpi, i simboli che appartengono all’umanità intera.
La vita viene presa e buttata di lato, è un film da scantinato impolverato, eppure è il detonatore usato per fare accadere una carneficina, per togliere di mezzo persone disposte a operare dinamiche di pace, di solidarietà, di fratellanza.
Uomini che fanno fatica a tradurre i bisogni di popolazioni sconquassate e tormentate da millenni di violenza, pedestremente raccontati a una parte di mondo colpevolmente disattento.
I paesi si incontrano, si scambiano le proprie esperienze, fanno vita assieme, dai più lontani ai più vicini, ogni paese custodisce la propria bellezza, unica e speciale, come deve essere, anche Dio non mette bandiera né stracci colorati per non rischiare di recintare un altro confine.
Dio, il tuo ed il mio, c’è, ma proprio perché di tutti, non raduna membra stanche e ferite per innalzare barriere invincibili-insormontabili, Dio è quello senza armi né parole di sangue, non tace quando alla sua porta è chiesta presenza, non stampa manuali di guerra, né fabbrica materia esplosiva, Dio è la parte di noi che non odia, non disprezza, non umilia le coscienze.
L’Islam e la sua gente non sono una parte di universo che si allontana, ma radice comune del mondo degli uomini, dove Dio cammina alla ricerca della sua umanità. Chi invece in suo nome non accetta regole di libertà per arginare l’orrore perpetrato intorno, non fa onore a quella religione, a quel Dio, a quel credo, e quando si spara e si uccidono i bambini, si mettono bombe che trucidano donne e vecchi innocenti, non si tratta di comandi dei libri sacri, ma del sangue della vergogna, inaccettabile, perché è prostituzione intollerabile delle verità, le quali non vestiranno mai abiti da mandante di alcun assassinio.
Più semplicemente ci sono i furbi di ogni generazione che attraverso l’oppressione, la prepotenza, la prevaricazione, il lutto di tanti innocenti, ricercano il potere sopra e sotto il diritto di ogni cittadino.
Non c’è l’Islam in discussione, né le religioni, sono gli uomini e le loro ideologie, utopisti “violenti nella pratica e illusi nella teoria”, a dare lineamenti carcerari e assolutismi omicidiari alle proprie azioni.
E’ necessario smetterla di barare con le parole, di giocare con le carte truccate dei significati, occorre abbandonare l’intolleranza che ci portiamo dentro, che non è per un altro Dio, ma per tutto ciò che è diverso da noi, per tutto ciò che non conosciamo, ma siamo bravissimi a giudicare.

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