Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 aprile 2014

Sbarchi senza fine: 360 migranti soccorsi al largo della Sicilia
Tra loro molte donne e bambini
stranieriinitalia.it, 23-04-2014
Palermo, 23 aprile 2014 - Altri 360 immigrati sono stati soccorsi al largo della Sicilia nella serata di ieri. La nave "Aliseo" della Marina militare ha recuperato 169 profughi, tra i quali 16 donne e 64 minori, e li sta conducendo nel porto di Augusta (Siracusa), dove sono attesi nel tardo pomeriggio.
Un grosso peschereccio con altre 191 persone a bordo, tra cui 55 donne e 11 bambini, segnalato a 20 miglia a Est di Malta da un aereo ATR42 della Guardia Costiera, e' stato raggiunto da due motovedette classe 300 dalpate da Pozzallo Ragusa) e da Siracusa e dal rimorchiatore d'altura "Nos Taurus", pure di Pozzallo.
Date le avverse condizioni del mare, forza 4, in zona sono stati dirottati anche due mercantili, il "Sinostrum" ed il "Marata" per dare ridosso al barcone. Le operazioni, coordinate dalla centrale operative della Guardia costiera di Roman, si sono concluse in serata con l'arrivo degli immigrati a Pozzallo.



Dalla parte dei profughi
Rendiamo sicuri i viaggi dei profughi
l'Unità, 23-04-2014
Luigi Manconi
Se due personalità politiche cosi incomparabilmente diverse come il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, e il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, pronunciano, su una materia cosi importante, parole non troppo dissimili, il fatto merita attenzione.
Giusi Nicolini, sul Cortiere delia Sera di ieri ha sottolineato la necessità dell'apertura di un «canale umanitario in Siria» coordinato dall'Europa.
Angelino Alfano lo scorso 16 aprile, ha detto che a far venire in Europa «migliaia e migliaia di disperati è la voglia di liberta». E ha precisato che si tratta in larghissima maggioranza di «esseri umani che fuggono dalle guerre, da conflitti etnici e religiosi e hanno diritto alla protezione umanitaria». Attaccato dai leghisti, prima, e da Forza Italia, poi, per i costi dell'operazione Mare Nostrum, Alfano ha risposto cosi: «quell'attività ha salvato 19 mila vite umane e noi non baratteremo mai un punto percentuale alle elezioni con 19 mila morti». Per una volta sono d'accordo con il ministro dell'Interno e, a sostegno di quella posizione, aggiungo un dato.
Il tasso di crescita demografica dell'Africa è moite volte quello italiano: e le proiezioni confermano che tra un paio di decenni la popolazione di quel continente supererà di circa un miliardo di individui la popolazione europea. Dunque, non si può ignorare l'esistenza di imponenti flussi provenienti dall'Africa e non si può impedire - tantomeno con le motovedette e con i muri lungo i confini - che parte di essi si indirizzino verso l'Europa. La sola strategia intelligente e razionale è quella che parte da una presa d'atto: i movimenti da un continente all'altro e da un territorio all'altro sono in corso da sempre e sono destinati a continuare. Dunque, più che ostacolati, quei movimenti vanno gestiti e governati. Non è un compito che spetta solo all'Italia, ovviamente, ma dev'essere un progetto europeo in cui viene riconosciuto il ruolo cruciale che si trovano a svolgere il nostro e gli altri Paesi dell'Europa mediterranea: e ciò vale soprattutto quando si prende in considerazione quella componente dell'immigrazione che raggiunge l'Italia via mare. Il nostro Paese ha circa 7500 km di costa e rappresenta il primo punto di approdo per chi proviene dall'Africa. Ma non solo. 0ltre a quanti arrivano sui barconi, molti giungono attraverso percorsi altrettanto pericolosi: nascosti sotto i camion che si imbarcano in Grecia e in Turchia, approdano nei principali porti italiani, come Venezia e Ancona. Anche qui, seppure in percentuale inferiore, arrivano persone provenienti dalla Siria, dall'Eritrea e dalla Somalia. Finora l'Italia non si è dimostrata in grado di gestire autonomamente questo fenomeno ed ecco perché è necessario e urgente che l'intera materia sia condivisa dall'Unione europea nel suo complesso. Più precisamente, è possibile elaborare un vero e proprio piano di «ammissione umanitaria», attraverso l'istituzione di presidi dell'Unione europea nei Paesi di partenza e di transito per accogliere le richieste di asilo e di protezione umanitaria. È un'idea indubbiamente ardua da realizzare, ma la sola capace di ridurre le cifre crudeli della tragica contabilità dei morti nel Mediterraneo. Negli ultimi vent'anni,infatti, ogni giorno hanno perso la vita mediamente 6-7 fuggiaschi che cercavano di raggiungere il continente europeo. Sono stime per difetto fatte da organizzazioni internazionali e associazioni per i diritti umani, da cui si deve partire per la pianificazione di politiche drasticamente diverse. L'avvio del semestre europeo a guida italiana può consentire di operare attraverso un'intesa più stretta - c'è da augurarselo - con tutti i Paesi del continente. E il primo passo dovrebbe essere l'attuazione di un piano basato su un fondamentale dispositivo: se il principale attentato all'incolumità dei richie-denti asilo è rappresentato da quei viaggi illegal i nel Mediterraneo, dobbiamo fare in modo che quel tragitto possa realizzarsi in condizioni di sicurezza.
Si deve puntare sull'anticipazione delle procedure di richiesta e consentire a uomini, donne e bambini che cercano un'opportunità di vita nel nostro continente, di chiedere all'Italia e alle altre nazioni europee una forma di protezione già nei Paesi dove si concentrano i flussi. Si tratta di anticipare geograficamente il momento delia fòrmulazione delia domanda di tutela e di ricorrere a un piano di reinsediamento - come già si fa per i profughi siriani - e di concessione della protezione. Tutto ciò dev'essere fatto per evitare quella maledetta traversata e quindi nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Tunisia, Egitto, Giordania, Líbano, Algeria, Marocco e, se ve ne sono le condizioni, Libia. Tale procedure si dovrebbe attuare con il coinvolgimento della rete delle ambasciate e dei consolati degli Stati Membri, oltre che con le organizzazioni internazionali. Una volta riconosciuta la sussistenza delle condizioni per la protezione, l'Unione europea definirá le quote di accoglienza per ciascuno Stato membro. Un viaggio sicuro, dunque, dal presidio internazionale al Paese di destinazione, quest'ultimo individuato anche considerando l'eventuale presenza di familiari. È un progetto difficilissimo da realizzare ma, a ben vedere, ha più probabilità di riuscita di quante ne abbia la cupa utopia dell'Europa-fortezza.



Migranti, l'Italia con il cerino in mano la Ue se ne infischia
Il Mattino, 23-04-2014
Alessandro Campi
La questione immigrazione ha fatto il suo ingresso prepotente (e per molti versi inaspettato) nella Campagna elettorale per le europee. Ci si aspettava battaglia sui temi economici: le ricette contro la crisi e per sostenere occupazione, le polemiche sulle banche e sull'euro, le accuse alla Germania perle sua linea rigorista in materia di conti pubblici. E invece lo scontro si è acceso sui clandestini che a migliaia stanno sbarcando sulle coste della Sicilia, sui centri di accoglienza ormai sull'orlo del collasso, sull'operazione di pattugliamento e soccorso condotta nel Mediterraneo dalla nostra Marina militare, rivelatasi oltremodo costosa e fallimentare.
La gestione dei flussi migratori c'entra poco con l'andamento dello spread e il rispetto del pareggio di bilancio, ma a pensarci bene si tratta di un fenomeno che chiama egualmente in campo l' Europa e le sue spaventose contraddizioni, oltre ad essere lo specchio nel quale si riflettono la debolezza dell'Italia sulla scena internazionale e la mancanza di visione dei suoi gruppi dirigenti.
Quando nei giorni scorsi il ministro degli interni Angelino Alfano ha lanciato rallarme sul numero crescente di immigrati in arrivo sulle nostre coste, che potrebbero diventare decine di migliaia con l'approssimarsi della bella stagione, si è pensato che il suo fosse un espediente propagandistico-elettorale: un modo, nemmeno troppo elegante visto il suo modo istituzionale, per guadagnare consensi nell'area del centrodestra agitando un tema che piú di altri si presta ad essere utilizzato in modo strumentale e irresponsabile.
In realtà, come hanno ben documentato le inchieste del Mattino, si trattava di un allarme fondato. Dall'inizio dell'anno sono arrivati, partendo dalle coste nordafricane, quasi ventiduemila migranti. Solo a ridosso della Pasqua sono giunti in milleduecento. Il record degli arrivi si è avuto nel 2011, con oltre sessantamila sbarchi: di questo basso quella barriera sarà facilmente infranta. Ma non è solo un problema di numeri. Colpiscono le modalità con cui si sta realizzando questa nuova ondata di arrivi.
La nostra Marina, che si è assunta il meritorio compito di pattugliare i mari per prevenire disastri come quello che nell'ot-tobre del 2013 costò la vita a centinaia di persone, rischia di diventare il terminale involontario di coloro che gestiscono e organizzano i trasferimenti di esseri umani da un continente all'altro. L'intervento umanitario deciso dall'Italia con l'ope-razione "Mare Nostrum" è diventato un oggettivo e forse non previsto incentivo per i trafficanti e gli scafisti, che ormai non hanno più nemmeno l'incombenza di dover raggiungere con il loro carico di disperati le coste italiane. È sufficiente abbandonarli in mezzo al mare in attesa dell'intervento de i nostri marinai, che trasbordano i migranti dal loro barconi sui mezzi militari per poi portarli al sicuro nei porti e da qui nei centri di accoglienza. L'ultima parte del trasporto ormai la facciamo noi, al modico costo di nove milioni di euro al mese. E il peggio, a quanto pare, deve ancora venire.
In tutto questo l'Europa non si capisce dove sia. La frontiera mediterranea è continentale, non nazionale, ma l'Italia deve vedersela da sola: sul piano economico (e non sembri un segno di grettezza ricordare che siamo finanziariamente a pezzi, costretti a tagliare spese e stipendi) e su quello logistico-organizzativo. Perdipiù, ci troviamo costantemente sul banco degli imputati, per bocca dei solerti funzionari di Bruxelles, a causa delia cattiva qualità dei nostri centri di accoglienza, ormai stipati all'inverosimile. Non si capisce dove finisca la capacità dell'Italia a trattare con i propri partener dell'Unione per una politica dell'immigrazione autenticamente comunitaria, a costo di battere i pugni sul tavolo, e dove cominci l'ipocrisia travestita da moralismo di chi ci accusa di scarso senso dell'accoglienza nel momento stesso in cui persegue ai propri confini politiche rigide di contenimento degli ingressi, ricorrendo alla forza se necessario.
Ma la debolezza italiana è doppia. Nonc'è solo quella verso l'Europa, dalla quale ci limitiamo a prendere ordini senza contropartite, c'è anche quella nei confronti dei Paesi della fascia arabo-mediterranea, sui quali non esercitiamo più alcuna influenza diretta. Il caso più evidente è quello della Libia, dalle cui coste parte la quasi totalità dei clandestini. L'idea avanzata da Luigi Manconi, di gestire le domande d'asilo nei porti di partenza, in modo da contenere gli sbarchi in massa e le successive fughe dai centri, si scontra col fatto che la Libia non è una realtà politicamente pacificata, con la quale si possano al momento stringere accordi vincolanti. Non solo, ma se mai si dovesse stabilire un governo nazionale che non sia in balia dei gruppi armati e delle lotte tribali l'Italia avrebbe lo stesso difficoltà a interloquire con quel Paese e con la sua dirigenza. La guerra anglo-francese del marzo-ottobre 2011 ci ha spodestati dalla Libia non solo economicamente, ma anche sul piano politico-diplomatico, ha spezzato la nostra storica catena di relazioni. Con in più, accanto al danno, la beffa: le ragioni umanitarie addotte per giustificare la rimozione di Gheddafi e del suo regime hanno sollecitato a suo tempo una vasta coalizione di forze, quelle invocate per salvare gli immigrati e porre fine al loro esodo attraverso deserti e mari, privazioni e violenze d'ogni tipo, oggi trovano una eco solo da parte del governo italiano. Alfano ha parlato, per l'esattezza, di seicentomila disperati pronti a salpare nelle prossime settimane e mesi. E nessuno, dinnanzi a queste cifre, se l'è sentita di smentirlo o di accusarlo di speculare a fini elettorali. L'Italia, visto che i centri di accoglienza sparsi per la Penisola sono ormai al collasso, dovrebbe aprire - questo già ci viene caldamente consigliato - le caserme, gli edifici pubblici, le chiese e magari anche le residenze private. Quando è invece chiaro che serve un intervento urgente che veda in prima fila - con uomini, mezzi e soldi -l'Unione europea e le Nazioni Unite. Se l'Italia ha ancora una classe politica degna di questo nome e un residuo di credibilità sulla scena globale, è per conseguire questo obiettivo che dovrà battersi in tutte le sedi e nel modo piú deciso.



Salvare, un dovere poi c’è da fare
Avvenire, 23-04-2014
Paolo Lambruschi
Siamo in piena emergenza sbarchi, come previsto. La situazione è difficile, come hanno ricordato ieri Caritas, Acnur e l’Alto commissariato Onu per i diritti umani, amplificata dalla polemiche dei partiti in campagna per le Europee. Ma era evitabile affiancando per tempo all’operazione Mare Nostrum un sistema adeguato di accoglienza.
È ormai prossima la quota di 25mila arrivi in questo primo scorcio del 2014 e i comuni siciliani non reggono un ritmo che ricorda l’emergenza Nordafrica del 2011. E da qui all’autunno il flusso non si arresterà. Non ci saranno 600mila persone sulle coste libiche in attesa di partire, come sosteneva poco tempo fa il  ministro Alfano. Ma certo con la primavera, che significa temperature del deserto miti anche per donne e bambini, migliaia di eritrei – prima nazionalità tra quelle sbarcate – vengono segnalati in viaggio sulle rotte dal Sudan verso Tripoli per affidare vita e speranze alle carrette del mare. I trafficanti di uomini sono in piena attività anche in Africa occidentale, dove il Sahara libico è attualmente percorso da colonne di maliani e gambiani, mentre il conflitto in Siria sta moltiplicando i passaggi in Libia dall’Egitto – Paese ritenuto poco amichevole – di siriani e palestinesi intenzionati a prendere la via del mare verso la Ue.
In questo quadro preoccupante, le polemiche politiche nostrane, perlopiù propaganda elettorale, si sono concentrate sui costi dell’operazione Mare Nostrum. I nove milioni mensili di cui il nostro Paese si fa carico dallo scorso novembre per pattugliare le frontiere marine sono infatti ritenuti da alcuni eccessivi e da altri utili solo ai trafficanti, perché incentiverebbero gli arrivi via mare. Occorre anzitutto ribadire che le navi militari italiane hanno salvato finora la vita a 19mila persone, il che in un Paese normale costituisce titolo di merito. Bene fa dunque il governo a dichiarare che indietro non si torna. Del resto, le alternative all’intervento in mare sono inaccettabili e incompatibili con il diritto internazionale e con l’appartenenza al mondo civile. L’Italia, fondatore della Ue e firmatario della Convenzione di Ginevra, non può né deve più respingere i profughi in Libia – Stato al collasso che non garantisce i loro diritti umani – o peggio rifiutarsi di aiutare nel Mediterraneo donne, bambini e uomini che all’80%, stando all’esame delle richieste del 2013, hanno diritto di chiedere asilo perché in fuga da guerre, persecuzioni e fame.
L’errore non è stato avviare l’operazione Mare Nostrum, semmai non affiancarvi un numero congruo di centri di accoglienza per evitare il caos. Ora, per fermarlo, l’azione governativa dovrebbe interrompere prima di tutto il conflitto di competenza tra Comuni e Regioni da una parte e prefetture dall’altra. E poi coordinare e organizzare, mettendo attorno a un tavolo gli attori, compresi gli enti del terzo settore, per evitare gli sprechi e gli scandali dell’emergenza nordafrica.
Quindi, urge chiedere chiarezza e interventi a livello europeo, utilizzando l’imminente semestre di presidenza italiana. Se il Belpaese, declassato ormai dai migranti a porta di ingresso, si sobbarca gli oneri del salvataggio e della prima accoglienza e chiede a ragione sostegno economico ai partner, è altrettanto vero che i profughi vi restano lo stretto necessario e, prima che le forze dell’ordine prendano generalità e impronte, fuggono verso i Paesi più accoglienti e ricchi come Germania, Scandinavia e Gran Bretagna. Sui quali pesano i costi sociali di inserimento come giungono i benefici di una manodopera giovane e produttiva. Difficile uscire in tempi brevi da questa emergenza, ma la presidenza italiana potrebbe dare impulso al contrasto dei trafficanti di uomini, prevenendo i viaggi della speranza.
Le vie percorribili sono diverse, dai corridoi umanitari per i siriani ai visti di transito concessi dalle ambasciate Ue verso uno Stato membro, dove poi giudicare i singoli casi. Anziché rischiare la pelle su un barcone, un profugo pagherebbe così un normale biglietto aereo senza finire nel mercato di vite umane. Soluzioni su cui sappiamo che si sta ragionando. Solo allora le navi di Mare Nostrum potranno rientrare in porto.



Migranti, il flop delle espulsioni boom di richieste di asilo politico
Prefetture in tilt: 37mila profughi sono in attesa di risposta
Il Mattino, 23-04-2014
Gígi Di Fiore
Una mini paghetta quotidiana da 2 euro e 50 centesimi, una tessera telefonica da 15 euro, biancheria, abbigliamento, prodotti per l'igiene. Chi ha intenzione di partecipare ai bandi d'appalto per la gestione di un centro di accoglienza sa che questi devono essere i servizi e le condizioni minime assicurate ad ogni ospite. Eccolo il cuore dell'apparato che significa politica d'immigrazione e umanità per chi fugge da guerre, orrori, miseria.
Sbarcati in Italia, ormai quasi solo sulle coste siciliane, i migranti vengono trasferiti nei centri di primo soccorso e accoglienza e poi in strutture dove rimarranno settimane e settimane. Ha spiegato il vice ministro dell'interno Filippo Bubbico: «Per affrontare l'imponente flusso di migranti, l'ltalia ha dovuto ampliare la rete di accoglienza, sia quella iniziale di soccorso sia quella preordinata a favorire i percorsi di integrazione sociale».
In soldoni, significa aumento di luoghi d'ospitalità e posti letto. Incremento sempre più urgente, dopo gli arrivi dell'ultimo mese. A febbraio, i 5516 posti di prima accoglienza del 2012 erano diventati già 7501. Centri sparsi ovunque, individuati dalle Prefetture. La gestione dei servizi è affidata in appalto a consorzi e cooperative. Con gli ultimi arrivi, è sotto pressione il centro Cara Mineo di Catania. Qui i servizi sono gestiti da un raggruppamento d'imprese. Capofila è la coop Sisifo associata alla Lega coop. Con la Sisifo ci sono la Cascina Global service, vicina a Comunione e liberazione; il consorzio Casa della Le cifre    Solidarietà, legata ad un'arciconfraternità siciliana, e il consorzio Sol.Calatino. Non è finita, c'è anche l'impresa Pizzarotti, proprietaria della struttura che ospita il centro. Chi affida l'appalto? Un consorzio pubblico, costituito dai nove comuni dell'area, chiamato Calatino terra di accoglienza. Riceve dal ministero dell'Interno una quota di 35 euro a migrante ospitato, trattenendone 40 centesimi per progetti di integraz.ione
Facile calcolare che, per una media di 3772 ospiti, il costo totale giornaliero del centro è di 130mila e 511 euro. lnsomma, una struttura come quella catanese, tra le più grandi e strategiche d'Italia, costa 40 milioni di euro all'anno. La scrematura sui migranti prevede la distinzione tra chi entra nelle procedure per la richiesta di asilo e protezione e chi è destinato all'espulsione. In questa seconda categoria rientrano i condannati per vari reati, i clandestini già espulsi. Nel primo caso, i migranti sono ospitati in centri di accoglienza (i Cara) che hanno aumentato i posti da 9400 a 19mila. Nei secondo caso, le 11 strutture (i Cie), hanno subito una riduzione di posti, diventati 842 per problemi di ristrutturazione delle sedi. Sulla carta, i posti nei Cie sarebbero 1791 totali.
Ma sono proprio le politiche di espulsione a mostrare il passo. Su 6016 migranti passati dal 2007 al 2012 perle 11 sedi Cie, ne sono stati rispediti in patria solo 2749. Il ministero dell'Interno ha dati certi sull'immigrazione nel 2013. Sulle nostre coste sono arrivati 42925 migranti, che significano il 325 per cento in più rispetto al 2012. Tra loro, c'erano 3818 minori che viaggiavano da soli. Quest'anno, fino al 22 aprile ne sono sbarcati 22050. Da dove sono partiti i migranti? Libia, Egitto e Turchia. Quali i Paesi di origine? Nell'ordine, per consistenza, Siria, Eritrea (9834, quest'anno già 5033), Mali, Somalia, Gambia, Senegal, Nigeria, Pakistan, Egitto. Paesi di crisi politiche e guerre.
Quanta gente può essere ospitata nelle strutture temporanee, come quella di Messina? Il ministero assicura che i posti letto individuati dalle Prefetture attualmente sono non meno di 3847. Ma è la consistenza delle domande di richiesta d'asilo da rifugiato e da protezione a preoccupare. Sono in aumento. Lo scorso anno, le 10    commissioni territoriali che le esaminano, sparse nelle Prefetture di più zone d'Italia, hanno ricevuto 25838 domande. Il rifiuto è arrivato per 9542 posizioni. Nel numero, c'erano anche 2499 persone scomparse. Probabilmente fuggite in altri Paesi. Nei primi mesi di quest'anno, sono arrivate altre 2014 richieste formali di asilo e protezione. Spiega il vice ministro Bubbico: «C'è un arretrato da esaminare pari a 19004 domande. Il grosso di queste pratiche risale al 2011, quando l'emergenza umanitaria per il    Nord Africa ha prodotto ben 37350 domande di asilo su 62000 migranti arrivati sulle nostre coste».
L'Italia frontiera d'Europa. E gran parte di chi arriva ha per meta il nord Europa. Da qui la paura di farsi identificare, nel timore di non poter proseguire il viaggio. Conferma il vice ministro Bubbico: «Il loro progetto migratorio prevede di raggiungere il nord Europa dove sono radicate reti familiari e catene migratorie della loro comunità».


 
Il CIE di Milano riaspre le sue porte e tornerà ad essere un luogo di detenzione per migranti e richiedenti asilo
Per 40 euro a persona, la Croce Rossa e altre vincitrici del bando garantiranno il vitto, l'alloggio e i servizi di assistenza per un massimo di 140 "ospiti", come il Ministero si ostina a chiamare i trattenuti
la Repubblica.it, 22-04-2014
STEFANO PASTA
MILANO - È ufficiale: il Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Milano riaprirà a breve, probabilmente quest'estate. Sono infatti terminati i lavori di ristrutturazione necessari dopo anni di rivolte, scioperi della fame, incendi e fughe nella struttura di via Corelli, ex Cpt, costruita nel 1998 quando il periodo massimo di permanenza era ancora di 30 giorni e non gli attuali 18 mesi. Decisivo per la riapertura è stato trovare, con un bando al massimo ribasso, un nuovo ente gestore: la Croce Rossa, che ha gestito il centro fino alla chiusura del 31 dicembre scorso, aveva infatti  annunciato la rinuncia perché il compenso giornaliero era troppo basso.
Per 40 euro a persona. Ma ora, il Prefetto Paolo Tronca ha firmato l'incarico al Raggruppamento temporaneo d'impresa costituito dalla Gepsa, società francese di Gdf Suez, e dall'associazione culturale di Agrigento Acuarinto, dopo che le altre due concorrenti (la Ghirlandina di Modena e la 120 Servizi di Siracusa) erano state escluse per inadempienze, nonostante avessero un miglior punteggio. Ora, per 40 euro a persona, le vincitrici garantiranno il vitto, l'alloggio e i servizi di assistenza per un massimo di 140 "ospiti", come il Ministero si ostina a chiamare i trattenuti.
La conferma che sono luoghi di detenzione. Ma cosa c'entra la controllata del colosso dell'energia francese con strutture come i Cie? Oltralpe, la Gepsa gestisce da tempo celle e cortili di alcune carceri. Commenta con disappunto il Comune: "È la conferma - dice l'assessore alle Politiche sociali Majorino - che i Cie sono luoghi di detenzione. Avevo chiesto che quello di via Corelli non venisse riaperto, ma trasformato in un luogo d'accoglienza. Un'occasione persa". Pare invece che il "Sistema Cie" sia una buon mercato per la Gepsa, che in passato ha gestito il Cara romano di Castelnuovo di Porto, oggetto nel maggio 2013 di un'interrogazione parlamentare firmata anche dall'attuale ministro Madia per la sorte dei suoi lavoratori, e ha partecipato, facendo ricorso dopo gli esiti negativi, al bando per la gestione del Cie di Gradisca di Isonzo e del Cara foggiano di Borgo Mezzanone.
"Un luogo dannoso, inutile". Sempre a Milano, in una palazzina a due piani proprio accanto al Cie di via Corelli e al canile cittadino, è ora in corso anche la costruzione di un Cara (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo), che dovrebbe aprire entro la fine dell'anno. Sarà la prima struttura di questo tipo in tutto il Nord-Ovest. Secondo il Naga, associazione milanese che garantisce assistenza legale e sanitaria agli stranieri, "con la riapertura del Cie e del Cara riapre, in grande stile, la stagione del controllo, l'unica risposta che, da sempre, la politica riesce a dare al fenomeno migratorio". La bocciatura del Cie è senza appello: "Un luogo dannoso, inutile, disfunzionale, diseconomico, un buco nero dove vengono ogni giorno violati i diritti dei cittadini stranieri reclusi".
Assieme persone con vite diverse. Secondo il presidente dell'associazione Luca Cusani, dato che la ristrutturazione è avvenuta a seguito di rivolte, "immaginiamo che la nuova versione conterrà strumenti e dispositivi che tenteranno di neutralizzare ogni forma di rivolta attraverso meccanismi di sottomissione e costrizione". Sicuramente, i Cie italiani sono posti dove si sta male, si vive sospesi in attesa di un possibile rimpatrio che non si sa mai se e quando ci sarà. Nella "nuova" struttura di via Corelli, finiranno persone dalle vite molto diverse: padri di famiglia che hanno perso il lavoro e non possono rinnovare il permesso, giovani da poco entrati in Italia alla ricerca di un futuro migliore, lavoratori in nero perché senza documenti, ragazzi cresciuti nel Belpaese che parlano con accento milanese, romano, o toscano. Come Mohammed, in Italia dal 1992, che a marzo è stato rimandato in Algeria dopo mesi di reclusione al Cie di Ponte Galeria a Roma, il più grande d'Italia. Nella Capitale, ha lasciato la moglie Gisella, peruviana da 21 anni in Italia che lavora come badante per 600 euro al mese, e i loro due figli di 8 e 12 anni. Nell'ultimo periodo, non volevano più rispondere al padre al telefono. Gli ripetevano: "Papà, tu chiami ma non vieni. Perché?".
 


In Italia il buco nero dei bambini stranieri
Avvenire, 23-04-2014
Marco Birolini
Negli ultimi 40 anni in Italia sono scom­parsi 11.615 minori, 1.617 italiani e 9.998 stranieri. Quasi la metà si è al­lontanata da un istituto di accoglienza, un mi­gliaio se ne è andato volontariamente. Poco più di 300 sono stati sottratti da uno dei geni­tori. Ma in più di 5mila casi i motivi della scom­parsa non sono mai stati accertati. Al netto de­gli episodi in cui le autorità non li hanno an­notati e dei possibili ritorni non segnalati, si tratta di cifre che sgomentano.
 Che fine fanno? Le ipotesi sono diverse, alcu­ne assai inquietanti. Nella relazione 2012 del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse si legge: «Sono 3.524 i mi­nori stranieri non accompagnati che scappa­no con destinazione il centro e il Nord Euro­pa. Tanti, invece, finiscono nelle maglie della criminalità organizzata». L’attuale commissa­rio, il prefetto Vittorio Piscitelli, conferma: «Non possiamo escluderlo. Il timore è che finiscano per farsi assoldare dai clan. Tanti minori sbar­cano sulle nostre coste e poi perdono i contatti sia con la famiglia d’origine sia con i parenti che li aspettavano. Non tutti, insomma, arrivano dove volevano». Un dato di fatto che alimen­ta le peggiori paure di chi indaga. «Se ne per­de ogni traccia, è come se finissero in un bu­co nero – ammette Piscitelli –. Gli scenari so­no ampi: potrebbero finire nelle mani dei traf­ficanti di uomini, oppure di gruppi pedofili. E non possiamo trascurare nemmeno l’abomi­nevole pratica del traffico di organi. Non esi­ste una casistica, ma tutto è possibile. Pur­troppo i piccoli stranieri sono i più vulnerabi­li, perché si adescano facilmente».
Sbarcano senza documenti e identificarli è dif­ficile. Così se scappano da un centro di acco­glienza diventa quasi impossibile rintracciar­li: «Con Save the children stiamo mettendo a punto un progetto che prevede di identificare i piccoli migranti all’arrivo e dotarli di una spe­ciale sim card contenente foto e dati anagra­fici – spiega il prefetto –. Così almeno sarebbero riconoscibili: ora invece, se spariscono, non si sa dove finiscono». L’impressione è che l’Italia sia un posto di false promesse e un Paese di transito verso un destino amaro. Gli investi­gatori non trascurano nulla, ma è difficile riu­scire a guardare in quel buco nero.
Ad avvalorare i timori del prefetto c’è la testi­monianza di Maria Rosa Dominici, psicologa e per vent’anni giudice onorario presso il Tri­bunale dei minori di Bologna, che nel 2007 fu ascoltata nell’ambito di un’indagine conosci­tiva sulle persone scomparse avviata dalla Ca­mera: «Sì, l’Italia è un Paese di passaggio: ci so­no organizzazioni criminali che prendono i bambini e li portano via – afferma –. Alcuni anni fa emersero indizi che portavano a un gi­ro di pedofili in Belgio, uno dei crocevia di que­sti turpi traffici». Secondo la Dominici ci sono anche i bambini “invisibili”, che non vengono registrati all’anagrafe: «Sono i figli delle pro­stitute. Quando nascono, il protettore guada­gna due volte: sulla madre e su chi mette al mondo. C’è un vero e proprio mercato, so di coppie che si sono sentite offrire neonati. Mi capitò anche il caso di una bambina albanese di otto anni, venduta a un professionista del Sud. Quando raggiunse i 13 anni la cacciò in strada. La trovammo a Pescara, finì in una co­munità sotto protezione». Secondo lo Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia di Sta­to, al 30 giugno 2013 le persone scomparse che non avevano ancora compiuto i diciott’anni e­rano 728: 155 italiane, 573 straniere. Di questi minori spariti nel nulla, 74 hanno meno di 10
anni, 177 hanno tra gli 11 e i 14 anni.



Padova 24.04 - Mobilitazione contro il razzismo
dopo il pestaggio di Presley da parte della Polizia Municipale. Vogliamo giustizia
Melting Pot Europa, 23-04-2014
Un cittadino nigeriano di 49 anni, padre di cinque figli, viene fermato su un autobus perché il suo biglietto è timbrato male. Interviene una pattuglia della Polizia Municipale e la sua giornata finisce in ospedale con il volto tumefatto, i polsi lacerati dalle manette, gli occhi gonfi, il viso pieno di sangue. E’ stato colpito ripetutamente mentre era immobile.
A distanza di ormai quindici giorni, da parte della Polizia Municipale non vi è alcuna risposta, nessuna chiarezza sull’accaduto, solo un comunicato con cui i Vigili Urbani raccontano che Presley è “caduto da solo”.
Presley è in Italia da vent’anni ma non sembra avere gli stgessi diritti degli altri cittadini. Ha origini africane, la pelle nera e questa sembra essere la sua colpa.
E’ l’ennesimo episodio di violenza contro i migranti, l’ennesimo abuso subito da un cittadino “straniero” da parte di chi pensa di poter agire nell’impunità, in questo clima di criminalizzazione dei migranti che, dalle coste della Sicilia, fino al cuore delle province del Nord, non smette di essere agitato dalla politica.
Per dire no al razzismo, per respingere la paura, per dire basta alle leggi ingiuste contro i migranti saremo in piazza giovedì’ 24 aprile alle ore 17.00, in Piazzale della Stazione.
Perché Padova ha bisogno di cambiare
Perché una città più sicura è una città in cui i diritti vengono rispettati
Per non avere paura
Per dire NO al razzismo
Associazione Razzismo Stop - ADL Cobas



 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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