Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Un passo indietro, due avanti e un’uscita a vuoto

Mauro Valeri
Sebbene mi fossi ripromesso di limitare lo spazio da dedicare al calcio in questa rubrica, sono mio malgrado costretto ad un ennesimo ripensamento, per via di ciò che è avvenuto in queste prime settimane del nuovo anno. Ancora una volta, a catalizzare il dibattito su calcio e razzismo è stato Mario Balotelli. Ripartiamo quindi da Balotelli. O meglio da ciò che è accaduto il 6 gennaio a Verona in occasione della partita Chievo-Inter. I fatti sono piuttosto noti ed hanno riempito diverse pagine dei quotidiani, sportivi e non. Tuttavia, sono stati sottovalutati alcuni elementi che invece hanno una notevole rilevanza nel dibattito nel razzismo del calcio che, a mio parere, ha fatto prima un passo indietro e poi due avanti. Per capire però ciò che è avvenuto il 6 gennaio, è bene tener conto di due premesse. La prima è che a Verona, nella partita contro il Chievo della stagione scorsa (maggio 2009), Balotelli, dopo aver segnato il gol, si era rivolto al pubblico che (presumibilmente) lo aveva insultato, portando il solito dito destro sulle labbra, a mo’ di “state zitti!”, che è diventato il suo modo di rispondere a chi lo insulta. Il giudice sportivo non aveva però irrogato alcuna ammenda, e anche i commentatori non avevano segnalato alcun coro razzista. Questo anche perché la tifoseria del Chievo è stata sempre considerata una delle più corrette, anche per quanto riguarda il problema del razzismo. Anzi, è una squadra che ha sempre schierato calciatori neri, spesso vittime del razzismo delle altre tifoserie. Se l’Hellas Verona ha una componente della sua tifoseria “storicamente” razzista, quella del Chievo è decisamente pacifica e non razzista (sebbene, stando all’Osservatorio sul Razzismo nel calcio, c’era stato un episodio nella stagione 2002/03, in un Chievo-Parma, ma quasi tutti l’avevano considerato una provocazione di qualche “non tifoso” del Chievo). La seconda premessa è che Balotelli, alcuni mesi fa, dopo essere stato travolto dalle polemiche sulle risposte che dava dal campo ai tifosi che lo insultavano, aveva fatto una promessa: avendo compreso che chi vede la partita dalla televisione non sente gli ululati o i buuu e quindi non capisce bene del perché delle sue reazioni, aveva promesso che non avrebbe risposto più con gesti dal campo, ma che a fine partita avrebbe apertamente denunciato quello di cui era stato vittima. Avviene così che, terminata la partita Chievo-Inter, Balotelli dichiari ai microfoni “il pubblico di Verona, ogni volta che vengo a giocare qui, mi fa sempre più schifo, veramente, perché è inaccettabile questo pubblico”. Ovviamente, è una frase grave, sia perché è una generalizzazione nei confronti di tutti i tifosi veronesi, sia perché nessuno si era accorto che qualcuno lo aveva insultato. O meglio, al momento in cui era stato sostituito era stato fischiato, ma, dicono in molti, “i fischi non sono razzisti”. Balotelli quindi è apparso ai più come il “solito” ragazzo permaloso e arrogante. Soprattutto poco difendibile. Ed è questo il passo indietro che ha fatto Balotelli, e in parte anche lo stesso dibattito sul razzismo, che è ripreso con un noto refrain: “Avete visto, è uno che racconta frottole. Non è una vittima, ma fa la vittima. Anzi, ha sempre fatto la vittima. Quello contro di lui non è razzismo. Né a Verona né altrove”. A questo punto però, Balotelli dimostra di essere un ragazzo sensibile e intelligente, oltre che campione sul campo. Infatti, il giorno dopo, sul suo sito chiarisce quella frase detta a caldo: “Non mi scuso con chi mi ha insultato, ma con quella parte del pubblico che non c’entrava niente e che ho offeso esprimendomi male perché esasperato dai ‘buu’ durante la partita e mentre uscivo dal campo. Avrei dovuto precisare che quei tifosi che mi hanno fatto ‘buu’ a Verona, così come in altri stadi d’Italia, mi fanno schifo. Perché invece di godersi sportivamente una partita non pensano ad altro che a insultarmi. Sono stanco di sentire slogan e ‘buu’ razzisti anche quando in campo mi comporto bene. E non accade solo a me. A Verona mi sono vergognato dei miei tifosi quando ho sentito i ‘buu’ contro Luciano del Chievo. Mi ha dato molto dispiacere, è una vergogna che deve finire” C’è anche un post scriptum: “Non ce l’ho con Verona, che invece mi piace molto, tant’è vero che con un mio compagno di squadra siamo andati a vedere la casa di Giulietta che non avevamo mai visto”. Frase semplice ma che, nella storia del calcio, rappresenta due novità. La prima: Balotelli è oggi l’unico calciatore nel campionato italiano a denunciare apertamente il razzismo negli stadi. E’ anche questa unicità che lo rende “antipatico”. Nella stessa giornata, un calciatore nero del Livorno, Rivas, era stato insultato da cari razzisti da parte dei tifosi della Lazio (episodio punito dal giudice sportivo con 15.000 euro di multa). Ma, non avendo Rivas denunciato nulla, il fatto è rimasto sotto silenzio, quasi si trattasse di una vicenda privata tra la Lazio e la Lega Calcio. Balotelli invece quando lo insultano, o anche quando si sente insultato, lo denuncia, beccandosi sempre qualche reprimenda di troppo. L’altro passo avanti che Balotelli ha fatto e ha fatto fare alla lotta contro il razzismo nel calcio è l’essersi preso la responsabilità di criticare i “suoi” tifosi per gli insulti razzisti contro il calciatore nero brasiliano del Chievo, Luciano (anche questo episodio è stato punito dal giudice sportivo con 15.000 euro di multa). Quello fatto da Balotelli è un atto di coraggio piuttosto raro nella storia del calcio italiano, e soprattutto di questi tempi. Sarà ora interessante come gli “risponderà” la tifoserie interista, che certo non ha mai nascosto le sue simpatie ideologiche, ma che fa fatica a prendersela con uno dei suoi campioni (anche perché la scelta di sostenerlo si è oggi limitata all’esposizione di una sua foto con scritto: “meglio nero che bianconero”, slogan già utilizzato in passato – addirittura dai granata venticinque anni fa a “difesa” di Junior – ma che certo non si può annoverare tra le iniziative di lotta al razzismo!).
Qualche polemica ha accompagnato la scelta del giudice sportivo di punire con 7.000 euro un gesto di Balotelli, sempre in occasione della partita col Chievo. Al momento della sua sostituzione, mentre usciva dal campo, ha risposto ai fischi contro di lui, per l’occasione aumentati per intensità e quantità, cin un applauso ironico rivolto verso il pubblico. Stando ad una rigida interpretazione del codice sportivo, un giocatore non dovrebbe mai rispondere alle provocazioni del pubblico, ma sopportare come se nulla fosse, perché poi ci pensa il giudice. In questo caso però è una risposta ironica che ci poteva anche stare. Comunque, l’Inter ha fatto ricorso e vedremo come finirà.
Un’ultima riflessione sull’uscita di Maroni, nell’inedita veste di paladino della lotta al razzismo, questa volta nel calcio. L’avvertenza è non farsi ingannare dalle apparenze. Forse preoccupato della assai poco nobile uscita sui fatti di Rosarno, il ministro ha pensato di rifarsi dichiarando che in caso di cori razzisti le partite di calcio andrebbero fermate. Facendo intendere che se ciò non è finora avvenuto è perché gli arbitri non hanno avuto il coraggio di farlo. In realtà è un siparietto che va avanti da anni. Basta pensare che di sospendere le partite in caso di cori razzisti ne parlava Gullit nel “lontano” novembre 1992! Oggi, dopo diciotto anni, continua una sorta di scaricabarile tra il ministero dell’interno e la Federcalcio. La norma però è chiara e soprattutto è stata voluta proprio dal ministero dell’interno appena un paio di anni fa, per colmare – guarda caso – un vuoto giuridico: in caso d cori razzisti, è il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio (che è un dipendente del ministero dell’interno) a dover dare l’ordine all’arbitro di fermare la partita. Un blocco momentaneo che può servire a togliere lo striscione razzista o avvertire di smetterla con i cori razzisti. Se questa temporanea sospensione non dà i suoi frutti, la partita può essere definitivamente sospesa, con la sconfitta a tavolino (0-2) per la Società a cui appartengono i tifosi razzisti. Norma però mai applicata, con la scusa che è inapplicabile per problemi di ordine pubblico. L’uscita di Maroni appare quindi null’altro che l’ammissione di una sconfitta. Sconfitta di una politica basata su leggi speciali che non hanno minimamente intaccato il problema del razzismo negli stadi. Una prova? L’Osservatorio sul Razzismo nel Calcio ha censito, negli ultimi dieci campionati, ben 500 episodi di discriminazione razziale nei campionati italiani, quasi sempre puniti dal giudice sportivo, il quale ha irrogato complessivamente oltre due milioni e cinquecentomila euro di multe! Quanti di questi soldi sono stati investiti per prevenire e reprimere realmente il razzismo negli stadi?




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