50 mila "invisibili" Più stranieri che italiani nel popolo dei senza dimora

Italia-razzismo
Sono stati presentati ieri a Roma i dati sul primo censimento realizzato in Italia delle persone senza dimora. Lo studio è stato effettuato dall’Istat insieme a Caritas, Fiopsd e Ministero del welfare, censendo le persone che nei mesi di novembre e dicembre 2011 hanno usufruito di servizi, come quello di accoglienza notturna e mense, in 158 comuni italiani. I risultati della ricerca restituiscono questa fotografia: i senza dimora in Italia sono oltre 50.000 e nel 59,4% dei casi si tratta di stranieri (11,5% romeni, 9,1% marocchini, 5,7% tunisini).

Tra loro, il 99,1% è nato in uno stato estero e solo il 20% viveva una condizione di precarietà abitativa prima di arrivare in Italia. Per quanto riguarda la composizione di questa popolazione di “invisibili” le differenze tra italiani e stranieri sono significative: questi ultimi sono in genere più giovani (il 46,5% ha meno di 35 anni) hanno titoli di studio migliori (il 43,1% ha un diploma di scuola media superiore e il 9,3% ha una laurea) e la loro condizione di senza dimora, al momento dell’intervista, perdurava in media da 6 mesi, periodo di tempo minore rispetto a quello degli italiani. Sembra evidente, a leggere i risultati dello studio, come le cause sottostanti la condizione di precarietà abitativa degli stranieri possano essere ricondotte a una difficoltà ad entrare nei circuiti di accoglienza, ad usufruire di adeguati programmi di integrazione, a trovare lavoro contrattualizzato e conseguentemente a rispettare i parametri necessari per la permanenza regolare nel nostro paese. Lo scarso controllo rispetto alle situazioni di lavoro in nero, ma anche l'elevazione degli standard di reddito per il rinnovo dei documenti e di quelli relativi alla metratura delle abitazioni, oppure la rigidità con cui vengono individuate le professioni che uno straniero può svolgere, concorrono ad accrescere questa popolazione di uomini al margine. E poi c'è un altro aspetto, forse residuale rispetto ai risultati di questo rapporto, ma comunque fondamentale: quello relativo al nostro sistema di accoglienza. Uno studio pubblicato l'anno scorso dal Centro Astalli evidenziava come un elevato numero di richiedenti o titolari di protezione internazionale vivesse in strutture di fortuna ed edifici occupati e come queste persone siano transitate nei circuiti dell'accoglienza senza riuscire poi a costruire un percorso di vita stabile. La questione è nota da tempo, e solo qualche giorno fa è stata nuovamente sollevata dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, relativamente al destino delle persone accolte in quella che è stata definita “emergenza Nord-Africa”. Il 26 settembre è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il superamento dell'emergenza e ora si pone il problema di organizzare l'uscita dai centri delle oltre 20.000 persone ospitate e di garantire loro delle misure di sostegno. La preoccupazione degli enti locali rispetto alla fattibilità del progetto, data la quasi totale assenza di fondi, è reale. E la richiesta di una riforma del sistema di accoglienza nel nostro paese non più rinviabile.  
l'Unità, 11-10-2012

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