Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

15 ottobre 2012

Regolarizzazione: alle 24 di oggi lo stop. Si stimano 120mila domande.
Alle 18 di venerdì erano 106mila le domande giunte, 92mila delle quali per collaboratori familiari.
Immigrazioneoggi, 15-10-2012
Ultime ore al termine per la presentazione delle domande per la procedura di emersione, che scade alle 24 di oggi. Continua la corsa degli ultimi minuti: alle 18 di venerdì scorso, infatti, risultavano giunte ai terminali del Viminale 106mila domande (116mila quelle compilate).
Secondo i dati del Ministero dell’interno risulta ancora evidente lo scarto tra le domande presentate per l’emersione dei lavoratori domestici come colf e badanti (circa 92mila domande inviate) e quelle per i lavoratori subordinati (circa 13mila). Rispetto alle prime settimane dal lancio della procedura, cioè verso la metà di settembre, le associazioni e i patronati che hanno intrapreso questa strada sono aumentate visibilmente con 45mila moduli compilati. In ogni caso, i privati si confermano la maggioranza dei richiedenti, fermandosi a 67mila moduli compilati totali. Per quanto riguarda invece le province da cui proviene il maggior numero delle domande, al primo posto c’è Milano (12.700), seguita da Roma (9.700), Napoli (8mila), Brescia (3.700), Bergamo (2.700) e Torino (2.300). La provenienza più frequente dei cittadini stranieri regolarizzati è invece il Marocco con circa 12mila moduli, il Bangladesh con 11mila, l’Ucraina con 10mila, l’India con 8mila e l’Egitto con 7mila.



Sanatoria immigrati: ultime ore
Valle Sabbia News, 15-10-2012
Ultimo giorno oggi per la regolarizzazione degli immigrati. Aperta il 15 settembre si chiude la finestra per l'emersione dei lavoratori stranieri occupati irregolarmente
Fino a ieri, allo sportello dell’Anolf Cisl Brescia le domande presentate sono state 177, così suddivise: 6 per la regolarizzazione di posizioni di lavoro subordinato, 145 per lavoro domestico (colf) e 26 per lavoro di cura (badanti).
Per tutto il mese la Cisl ha registrato un gran numero di richieste di informazione e di consulenza che solo in minima percentuale si sono però tradotte nella domanda di regolarizzazione vera e propria.
Negli ultimi giorni la tendenza si è invertita ed anche per lunedì le prenotazioni allo sportello fanno pensare ad una corsa per non perdere l’occasione.
Ad evidenziare il cambio di passo di questi ultimi giorni della regolarizzazione sono anche i dati del Ministero dell’interno: in una sola giornata, quella di lunedì 8 ottobre, si è registrato a livello nazionale un picco di 5.777 domande.
Decisivi – osserva il Tavolo nazionale immigrazione cui aderiscono Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Acli, Arci, Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli, Fcei, Asgi – sono stati gli ultimi chiarimenti del Viminale sui documenti idonei a dimostrare la presenza in Italia dal 31 dicembre 2011, il punto più problematico di tutta l’operazione.
Recependo le indicazioni dell’Avvocatura dello Stato, infatti, il Ministero dell’interno ha chiarito che sono valide anche le ricevute provenienti dai money transfer, i biglietti aerei, anche di compagnie estere, con destinazione finale l’Italia (purché sul passaporto del richiedente ci sia il timbro di un Paese dell’area Schenghen), i contratti nominativi di gas, elettricità e telefonia e ancora il libretto di risparmio e le richieste di rilascio per le carte Postepay.
 


Caccia all'immigrato-eroe che salva una famiglia e poi scappa temendo il rimpatrio
L'auto con padre, madre ed un bambino era finita nel canale: tutti salvi grazie al gesto di un marocchino irregolare
Corriere della sera.it, 15-10-2012
Alfio Sciacca
Ora gli danno tutti la caccia. Ma non per notificargli il rimpatrio nel suo paese, quanto piuttosto per ringraziarlo per quello che è considerato un gesto di eroismo. Da sabato sera tutti cercano un giovane marocchino che ha salvato la vita ad una famiglia che viaggiava su un'auto finita in un canale a causa della fitta nebbia. È avvenuto in Abruzzo, lungo la strada provinciale 20 tra Avezzano e San Benedetto. Subito dopo l'incidente erano stati chiamati i vigili del fuoco, ma prima che arrivassero i soccorsi dalla nebbia è sbucato il giovane marocchino che ha aiutato la famiglia a mettersi in salvo.
SI È LANCIATO IN ACQUA - A quanto raccontano alcuni testimoni il giovane non avrebbe esitato a togliersi i vestiti e lanciarsi in acqua. Il suo intervento sarebbe stato determinante per salvare la vita di tre persone che comunque sono finite in ospedale ad Avezzano. Ancora grave il capofamiglia, ricoverato in prognosi riservata, mentre sono fuori pericolo la moglie e il figlio. Quanto all'immigrato eroe subito dopo il salvataggio ha fatto perdere le tracce, molto probabilmente perchè sprovvisto di regolare permesso di soggiorno. E dunque come migliaia di irregolari presenti nel nostro paese teme di essere rimpatriato.
REGOLARIZZARLO - Tra i tanti che ora lo cercano per ringraziarlo c'è anche chi prova a rassicurarlo. «L'immigrato che ha salvato la famiglia dall'annegamento dev'essere uno di quei ragazzi che lavorano nel Fucino e sono qui per necessità - afferma il presidente della Provincia dell'Aquila, Antonio Del Corvo- ha perciò tutte le caratteristiche per rientrare nel processo di regolarizzazione in atto in questi giorni. Se si farà avanti intercederò presso la prefettura». Del Corvo si è detto particolarmente colpito dal gesto del giovane marocchino. «Andrà eventualmente sensibilizzato il suo datore di lavoro, vedremo chi è - continua - questo ragazzo ne ha tutti i meriti. È la dimostrazione che tra gli immigrati ci sono tante brave persone».
BENVENUTO IN ITALIA - Interviene anche il presidente della regione Abruzzo Gianni Chiodi: «Se veramente è successo quello che raccontano le cronache questo ragazzo è il benvenuto in Italia». Per Chiodi un gesto del genere «denota la grande umanità da parte di questo ragazzo rimasto sconosciuto. Ora se fosse vero che sia clandestino credo che questo suo gesto riscatti ogni forma di anche minima legalità formale da parte sua. Non so cosa si possa fare non ho idea di cosa può fare la legge in casi del genere, ma certamente lui qui in Italia è un benvenuto».



Il Consiglio d’Europa preoccupato per la sorte dei 18mila immigrati ospitati nell’ambito dell’emergenza Nord Africa.
Il 31 dicembre il fondo non verrà rinnovato e il Governo ancora non comunica una possibile alternativa.
Immigrazioneoggi, 15-10-2012
“L’Italia deve elaborare un piano per far fronte ai flussi migratori prima che il tempo a sua disposizione venga meno”. Lo ha affermato alla fine della sua visita di tre giorni a Strasburgo, il parlamentare conservatore inglese Christopher Chope, incaricato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di redigere un rapporto sugli arrivi degli immigrati sulle coste italiane.
Chope ha tenuto a sottolineare di comprendere la situazione in cui si trova l’Italia, in quanto “Paese europeo in prima linea sul fronte migratorio”, ma ha tenuto ad esprime anche preoccupazione per quanto accadrà quando “il prossimo 31 dicembre prenderà fine il fondo destinato all’emergenza Nord Africa”.
Sulla base delle informazioni raccolte durante i suoi incontri con ministri, membri della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare e rappresentanti di organizzazioni internazionali, Chope ritiene che il Governo stia valutando le possibili opzioni per circa 18mila persone ospitate dai vari centri d’emergenza, ma non abbia ancora trovato una soluzione. Il relatore ha dichiarato infine di essere “preoccupato” per tutti coloro a cui non è stato riconosciuto alcuno status, ma che non possono essere rinviati in Libia o comunque nei loro Paesi d’origine.



Malala ha vinto, con lei le giovani del Pakistan
l'Unità, 15-10-2012
Cristiana Cella
Milioni di persone spiano con il fiato sospeso ogni minimo segno di miglioramento, il movimento di un dito, di una mano, ogni segno di ripresa. Malala Yusufzai, la giovanissima attivista per i diritti delle donne in Pakistan, gravemente ferita dai talebani, combatte per la sua vita in un ospedale di Rawalpindi, intubata e in terapia intensiva. Forse sarà trasportata all’estero da un aeroambulanza degli Emirati Arabi Uniti, atterrata oggi a Islamabad. Intorno a lei, nel suo paese e nel mondo, cresce un’onda di protesta anti talebana e di solidarietà. Milioni di studenti in Pakistan pregano per lei, insieme agli insegnanti, fiaccolate di ragazzine della sua età gridano per le strade la loro rabbia per l’attacco alla «figlia della nazione».
I social media sono sommersi da accorati appelli, da migliaia di denunce. Sabato, nelle scuole afghane, le lezioni sono iniziate con una preghiera per lei. Ma non solo. Venerdì fedeli e perfino mullah, nelle moschee pachistane, prendevano posizione apertamente, durante la preghiera, dichiarando come anti-islamico il feroce gesto di violenza. Leader politici del suo paese, da sempre ambiguo verso i talebani, che ha sostenuto e sostiene da decenni, denunciano la violenza oscurantista. Per i giovani pachistani è un’eroina, un simbolo.
È questa la vittoria di Malala, una vittoria sanguinosa, che ha svegliato di colpo un paese intero, sotto shock per l’attentato. Come scrive il NewYorkTimes, è successo qualcosa di fondamentalmente diverso, l’attacco a Malala ha «liberato menti incatenate e talebanizzate». Ha dimostrato che, contro la ferocia e l’odio fondamentalista, si può reagire, con strumenti di pace, anche, e soprattutto, all’interno della comunità islamica.
Malala aveva denunciato, con il suo diario scritto per la BBC, nel 2009, l’insostenibile vita quotidiana di ragazze e donne negli anni in cui la Swat Valley, la sua bellissima regione, era sotto il controllo talebano. Da allora è nel mirino. Nelle aree sotto il loro controllo, in Pakistan come in Afghanistan, i talebani proibiscono l’istruzione femminile, attaccano le studentesse con l’acido, danno alle fiamme le scuole, uccidono insegnanti e donne che ricoprono ruoli pubblici, ottengono di trasformare i programmi scolastici e le scuole in madrasse. Impediscono le vaccinazioni, bandiscono le leggi laiche, sostituendole con quelle islamiche, con effetti devastanti per le donne.
IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Come studentessa, Malala, figlia di un insegnante illuminato e democratico, ritiene la chiusura delle scuole per le ragazze insopportabile. Come sbarrare una porta sulla vita e sul futuro. Aveva solo 11 anni quando ha deciso di cominciare a parlare e non ha mai smesso, nonostante le minacce. Per Malala l’istruzione è l’unica vera arma contro l’integralismo e per l’affermazione dei diritti umani: «Io ho dei diritti. Ho il diritto all’istruzione. Ho il diritto di giocare. Ho il diritto di cantare. Ho il diritto di parlare. Ho il diritto di andare al mercato. Ho il diritto di parlare in pubblico».
I talebani hanno cercato di farla tacere ma hanno sbagliato strategia. La sua voce si è moltiplicata, portandosi dietro un paese intero. Ha scatenato la reazione di una società civile che non sopporta più gli abusi di potere giustificati da un’ interpretazione oscurantista dell’Islam. In un’intervista di un anno fa, Malala dice che vorrebbe parlare con i talebani e lo farebbe mostrando loro il Corano e sfidandoli a trovare, nelle parole sacre, qualcosa che sostenga le loro feroci intimidazioni.
COME A KABUL
La sfida di Malala è una vittoria per milioni di ragazze, nel suo paese, come in Afghanistan, al di là delle sue montagne, dove il fondamentalismo islamico continua a mietere vittime e a incatenare la vita delle donne. E delle bambine.
Perché la guerra delle donne inizia presto qui. Vendute in matrimonio dall’età di 9 anni, scambiate per rimediare alle offese tra famiglie, stuprate, subiscono ogni tipo di violenza, non possono studiare, uscire da sole, lavorare, curarsi, avere giustizia. Non hanno diritti e non sanno di averli. Vite cancellate, non solo dai talebani che hanno molti fratelli in Pakistan come al di là del Kyber Pass, in Afghanistan. I partiti fondamentalisti che governano molte province afghane non sono da meno. Usare leggi oscurantiste per controllare metà della popolazione e impedire la loro esistenza pubblica non è un problema religioso. È una strategia brutale di controllo politico del potere. Ho incontrato ragazzine, con lo stesso bel viso ancora infantile, con lo stesso sguardo determinato e coraggioso di Malala, anche nelle scuole dei quartieri degradati di Kabul. Ragazzine che sapevano quello che sa e dice Malala: che l’istruzione è un’arma contro il sopruso, la violenza e l’ignoranza. Per cambiare e conquistarsi una chance. Bambine che andavano a scuola di nascosto da padri e mariti, rischiando molto, per avere gli strumenti per prendere in mano la propria vita. Malala è una di loro, cresciuta in una famiglia aperta e lungimirante, e che, anche per loro, rompe la violenza del silenzio. Il suo coraggio è il loro. E la marea di denuncia e di sostegno che ha messo in moto la sua aggressione non si fermerà.



Libia, condizioni agghiaccianti per i profughi-detenuti
Mario Lana, vice-presidente della Federazione internazionale dei diritti umani 1 (Fidh) commenta la diffusione del rapporto sulla situazione in Libia. Il titolo-slogan è "Libia, si ponga fine alla caccia ai migranti" ed è stato presentato a Bruxelles oltre che in Costa d'Avorio. "Agghiaccianti" sono definite le condizioni dei migranti trattenuti nelle galere libiche. La ricostruzione attira nuovi arrivi
la Repubblica.it, 13-10-2012
VINCENZO NIGRO
ROMA - "Abbiamo idea che i respingimenti nel Mediterraneo verso la Libia proseguano nonostante l'ultima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. E' il caso "Hirsi contro Italia" del 23 febbraio 2012, una sentenza che ha dichiarato illegittimi i respingimenti collettivi ed ha condannato il nostro Paese". Mario Lana, l'avvocato che per anni ha condotto battaglie per i diritti umani al fianco di Lelio Basso, è il vice-presidente della Federazione internazionale dei diritti umani 2 (Fidh). L'avvocato Lana commenta la diffusione del rapporto della federazione sulla situazione in Libia. Il titolo-slogan del rapporto è "Libia, si ponga fine alla caccia ai migranti" ed è stato presentato a Bruxelles oltre che contemporaneamente a Yamoussoukro, in Costa d'Avorio. Nel giugno del 2012, una missione di tre organizzazioni per i diritti umani (oltre alla Fidh la Ong "Justices pour le migrants" e "Migreurop") ha visitato la Libia per 3 settimane a Tripoli, Bengasi e nel Jebel Nafusa. Nel paese la situazione è ancora pericolosamente instabile, e molte previsioni prevedono la possibilità di una ripresa di atti terroristici e di scontri fra fazioni libiche.
Terribile la situazione per i migranti. Il rapporto riporta di violazioni flagranti e generalizzate dei diritti umani fondamentali di cui sono vittime i migranti, in balia di milizie fuori controllo. La Fidh scrive che "prima della guerra, in Libia i lavoratori migranti costituivano quasi un terzo della popolazione. Il conflitto ha provocato un esodo di massa, in condizioni documentate dalla FIDH in un precedente rapporto1.
La ricostruzione attira nuovi arrivi. "Soltanto un'esigua minoranza cerca di raggiungere l'Europa. Si tratta essenzialmente di persone in fuga dai conflitti o dalla repressione nel Corno d'Africa, che sono alla ricerca di una protezione internazionale che la Libia, che non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e non ha alcun sistema d'asilo, non è in grado di offrire", ha dichiarato Messaoud Romdhani, vice Presidente della Lega tunisina dei diritti dell'uomo. La lista delle intercettazioni in mare effettuate dalla guardia-costiera libica è stata fornita alla delegazione e conferma questa constatazione: quasi la totalità delle persone intercettate sono potenziali rifugiati di origine somala o eritrea.
Nelle mani delle milizie. Il rapporto della Fidh ricorda che il viaggio dei migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana che entrano in Libia dal sud è particolarmente pericoloso: sono spesso vittime di reti di trafficanti, di estorsioni e violenze, abbandonati nel deserto o respinti alle frontiere. In Libia, gli stranieri considerati " illegali " rischiano di essere catturati ai check point o arrestati nelle loro abitazioni o luoghi di lavoro dalle brigate di ex ribelli (Katiba). Si fanno arresti mirati e discriminatori e i migranti provenienti dall'Africa sub-sahariana sono i primi ad essere presi di mira. Sullo sfondo, un razzismo radicato e diffuso. Come ha dichiarato alla delegazione un dirigente di una katiba denominata "Libia libera": "La cosa più importante oggi è "ripulire" il paese dagli stranieri che non sono in regola e mettere fine alle pratiche di Gheddafi che lasciava entrare molti africani in Libia. Non vogliamo più che queste persone portino qui malattie e criminalità ".
Detenzioni arbitrarie e illimitate. Migliaia di migranti sono oggi detenuti nei campi gestiti dalle katiba (gruppi combattenti) senza alcuna prospettiva di soluzione legale o possibilità di ricorrere a istanze nazionali o internazionali per uscirne. "Le condizioni di vita in questi campi sono inumani e degradanti. Le celle sono sovraffollate, le possibilità di uscire all'aria aperta eccezionali e i detenuti subiscono quotidianamente l'arbitrarietà e la brutalità delle guardie", dichiara Sara Prestianni, membro di Migreurop e di JSFM.
Le responsabilità dell'Unione europea. In questi centri, la missione ha incontrato persone detenute dopo essere state intercettate su imbarcazioni di fortuna nel Mediterraneo. Le loro testimonianze inducono a supporre che i respingimenti verso la Libia proseguono in violazione delle norme internazionali (ricordate in una sentenza recente della Corte europea dei diritti dell'uomo, Hirsi vs Italia, 23 febbraio 2012). Il rapporto mostra ugualmente che la Libia è parte integrante del sistema europeo di esternalizzazione dei controlli di frontiera per impedire gli arrivi dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo sul territorio europeo e come questo sistema si stia rinnovando nel quadro dei negoziati in corso con le nuove autorità libiche.
Alcune parti del Rapporto. Riportiamo la parte del rapporto in cui si inviano una serie di richieste alle autorità libiche, che purtroppo in queste ultime settimane sono entrate in una fase di pericoloso stallo, dopo l'attacco di Al Qaeda al consolato americano a Bengasi e dopo il fallimento del tentativo del premier designato Abu Shagur di formare il nuovo governo. "La FIDH, Migreurop e JSFM ricordano la corresponsabilità della Libia, dell'Unione europea, dei suoi Stati membri e dei paesi d'origine dei migranti e raccomandano:
Alle autorità libiche
-  Di porre immediatamente agli arresti e le detenzioni arbitrarie ad opera dei gruppi di ex ribelli e di riprendere il controllo sulle questioni legate all'immigrazione.
- Di chiudere immediatamente i centri di detenzione per migranti che sono luoghi dove le condizioni di vita rappresentano una violazione della dignità umana.
- Di regolarizzare la situazione amministrativa dei migranti detenuti che desiderano lavorare in Libia.
- Di impedire immediatamente le pratiche del  " lavoro forzato ".
- Di elaborare una politica migratoria che si inscriva nel quadro di uno Stato di diritto e nel rispetto del diritto internazionale e marchi una vera rottura con le politiche repressive, mortali ed illegali del periodo precedente.
All'Unione europea e ai suoi Stati membri
- Di sospendere tutte le attività di cooperazione in materia migratoria con la Libia in assenza di misure che garantiscano la protezione dei diritti umani in questo paese.
-  Di rinegoziare accordi di cooperazione nel pieno rispetto del diritto internazionale ed europeo relativo ai diritti umani e di rendere pubblici gli accordi.
-  Di rinunciare a qualsiasi misura il cui obiettivo o i cui effetti impediscano il pieno esercizio dei diritti da parte dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati presenti sul territorio libico.
- Di mettere fine alle politiche di esternalizzazione dei controlli delle frontiere europee nei paesi vicini e, in particolare, in Libia.
- Di assicurare il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale nell'applicazione delle politiche migratorie.
Agli Stati africani di origine dei migranti
- Di vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali dei loro cittadini immigrati in Libia e di assicurare la loro difesa e protezione in caso di violazione di questi diritti.
- Nell'immediato, di esigere dalle autorità libiche la liberazione dei loro cittadini dai centri di detenzione dove subiscono trattamenti inumani e degradanti, così come la condanna di tutte le pratiche e attitudini xenofobe che stigmatizzano i cittadini dell'Africa sub-sahariana".

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