Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 novembre 2013

Profughi. Nuove norme sulla protezione, aspettando il Testo Unico sull'Asilo
Il governo recepisce un’altra direttiva sui diritti di rifugiati e titolari di protezione sussidiaria. L’obiettivo e arrivare entro la fine del 2014 a una legge organica
stranieriinitalia.it, 22-11-2013
Roma – 22 novembre 2013 . L’Italia prova a fare un altro passo avanti per proteggere chi fugge da guerre e persecuzioni, adeguando la sua legislazione alle indicazioni dell’Unione Europea.
Ieri il consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo per il recepimento della direttiva  2011/95/UE. Riguarda “Norme sull’attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta”.
“L’obiettivo – spiega il governo - è di elevare il livello della protezione riconosciuta e di ravvicinare i due status riconducibili alla protezione internazionale, quello di rifugiato e quello di beneficiario di protezione sussidiaria, con particolare riguardo ai diritti connessi ai due status”.
“La normativa nazionale contenuta nel decreto legislativo n.251/2007, sotto tale profilo, aveva in parte anticipato il legislatore comunitario. Con le nuove norme – prosegue Palazzo Chigi - si prosegue in tale direzione, con l'obiettivo di elevare gli standard di assistenza e di tutela”.
I flussi nel Mediterraneo stanno cambiando, quelli dei migranti economici risultano sempre più minoritari rispetto a quelli di migliaia di persone che scappano da guerre, rivoluzioni, regimi oppressivi ecc. e che quindi, arrivati in italia, hanno diritto a una forma di protezione. Una situazione che si scontra,pèerò, con la disorganicità della nostra normativa in materia.
Il governo vorrebbe quindi condurre in porto u Testo Unico sul Diritto di Asilo entro la fine del 2014, che dovrebbe recepire anche tutta la normativa europea in materia. Un obiettivo confermato mercoledì scorso dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi al direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati Christopher Hein.
Durante l’incontro (qui un resoconto dettagliato) il Cir ha indicato tre punti dovrebbero assolutamente entrare nel Testo Unico. Come l’”accesso alla protezione e quindi alla procedura d’asilo anche dall’estero”, ad esempio attraverso le nostre rappresentanze diplomatiche, in modo da evitare che i richiedenti asilo affrontino il Mediterraneo sui barconi per raggiungere le nostre coste.
Serve poi, spiega il Cir, “un Programma Nazionale di Integrazione in favore di chi ha ottenuto lo status di protezione utilizzando fondi nazionali e comunitari esistenti che dovranno essere gestiti in modo più efficace”. Infine,  “un sistema unico di accoglienza di richiedenti asilo e anche per un determinato periodo di tempo per chi ha ottenuto protezione, con una “cabina di regia” unica”.


Decreto flussi a rischio, il ministero: "Non c'è lavoro, disoccupazione anche tra gli immigrati"
Il rapporto interno dei tecnici del dicastero di Giovannini: "I lavoratori stranieri sono già troppi". Se fosse confermato dal governo questo orientamento, quest'anno non potrebbe entrare nessuno per via regolare
la Repubblica, 22-11-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  -  L'Italia chiude le porte: stop a nuovi flussi di immigrati regolari. I lavoratori stranieri nel nostro Paese sono già troppi e cresce tra le loro fila l'esercito dei disoccupati. Ne sono certi i tecnici del ministero del Lavoro, che lo mettono nero su bianco in un recente rapporto interno. E così anche quest'anno per cercare fortuna in Italia resteranno aperti solo i canali d'ingresso irregolare, a meno di ripensamenti politici dell'ultima ora (il rapporto non è vincolante).
La relazione del ministero. La relazione dell'ottobre scorso è scritta dalla direzione generale dell'immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e si intitola: "Il mercato del lavoro dei lavoratori stranieri in Italia nel secondo trimestre 2013". All'interno delle 24 pagine viene proposta "una serie di considerazioni in merito al tema dei flussi in ingresso nel nostro Paese, derivanti sia dall'analisi dell'offerta che della domanda di lavoro".
Con il decreto flussi si fissano annualmente le quote di extracomunitari che possono entrare in Italia per motivi di lavoro subordinato o autonomo. In realtà, come sanno bene gli immigrati, il decreto è anche una chance per chi già sta sul territorio italiano: uscire dalla clandestinità e mettersi in regola.
Mezzo milione in cerca di lavoro. Stando ai tecnici del ministero, "da un lato, la costante contrazione della domanda e dall'altro il considerevole incremento delle persone in cerca di occupazione, determina una condizione in cui l'offerta di lavoro garantita dai lavoratori stranieri già presenti in Italia è più che sufficiente. Tale affermazione è corroborata da alcuni dati e segnatamente dalla presenza, nel secondo trimestre 2013, di oltre 500mila lavoratori stranieri in cerca di lavoro".
Un quadro fosco, con poche luci: "Gli unici segnali positivi  -  si legge  -  riguardano il segmento dei servizi alla persona, con una domanda in crescita anche nella fase di crisi, ma che gli attuali livelli di disoccupazione possono sostanzialmente compensare". Ed ecco la bocciatura di un eventuale nuovo decreto flussi: "La domanda di lavoro attesa può essere ampliamente soddisfatta nell'ambito dei settori, dei territori, e dei profili richiesti, compreso il settore domestico, dell'offerta di lavoro disponibile, anche in assenza di una nuova programmazione di quote generali tramite i decreti flussi annuali".



I sei giorni in mare di Daniel: “La nafta era finita, disperati pregavamo di morire”
Corriere.it, 22-11-2013
Stefano Pasta
«L’Italia? Una coperta termica che mi acceca, una bottiglietta d’acqua e due biscotti secchi». Queste sono le prime immagini del nostro Paese per Daniel, sbarcato a Lampedusa quando aveva vent’anni. Tre anni, due mesi e dodici giorni per arrivare nella “Fortezza Europa” dalla baraccopoli di Agbogbloshie, ad Accra, capitale del Ghana. Oggi ripete: «Sono partito da casa mia nel 2005 e sono arrivato in Italia nel 2008. Non so il giorno in cui sono nato (sul passaporto hanno scritto 1 gennaio), ma mi ricordo che sono arrivato il 9 ottobre». Gli chiedo come mai non ha provato a venire “con le carte in regola”; scherzando, mi manda a quel paese:
    sa bene che i visti Schengen non sono alla portata di nessuno a Agbogbloshie.
Vista da Accra, l’Italia ha le tinte scolorite di una vecchia maglietta rossonera di Marcel Desailly, le note di “Azzurro” e la forma di un’arancia. Daniel è cresciuto con il mito del calciatore del Milan, nato nella sua stessa città, e in un locale vicino a casa trasmettevano almeno quindici volte al giorno la canzone di Celentano.
In più, le arance di Rosarno, o i pomodori del Foggiano, sono viste come l’occasione per un futuro migliore. Proprio le terre in cui i braccianti stagionali impiegati in nero vivono spesso come “nuovi schiavi”. Ma, in Ghana, i soldi al profumo di zagara diventano la prova che il sogno europeo funziona.
    «Da qualche parte dentro di me, ero già partito prima del 2005: da quando la famiglia di un mio amico, con i soldi guadagnati dallo zio in Italia, ha potuto aprire un negozio nel nostro quartiere» racconta con semplicità.
Vista dal Mediterraneo, invece, l’Italia ha la forma di un puntino, di una striscia che appare e scompare. «Dopo un po’, non capisci più se l’hai vista veramente o solo immaginata». Prima di partire, Daniel ha lavorato in una fabbrica di mattonelle a Tripoli per due anni, sempre chiuso in fabbrica come fosse in prigione o ai lavori forzati, mangiando pane e polvere di argilla. Con i soldi risparmiati, è partito dalle coste libiche su un vecchio peschereccio bianco, che normalmente può portare quindici, venti persone. Loro erano in centoventi, tra cui dodici bambini e alcuni adolescenti soli.
    «Il motore riempiva ogni angolo della barca di un odore schifoso di nafta e di un fumo grasso che il vento non riusciva a mandare via».
Soprattutto, non era praticamente possibile fare un passo, cambiare posizione. «C’era qualche tanica di benzina sotto i piedi, stavamo appiccicati, incastrati, accovacciati, qualcuno in ginocchio, altri in piedi tenendosi alle spalle di chi stava sotto».
    Racconta Daniel: «All’inizio è facile, ti dici: “Ma ci siamo, è l’ultimo viaggio, sono sopravvissuto al deserto e alla Libia, in fondo a quel mare, da qualche parte, c’è l’Europa”. Alla fine del terzo giorno, con il mare che sembra sempre mosso, non ce la fai più.
Le onde ci sbattevano gli uni contro gli altri, una donna era svenuta, i bambini piangevano, il sole della giornata aveva stordito tutti. Chi si era conquistato un posto al coperto soffriva dell’odore nauseante della nafta e del vomito, chi era all’aperto aveva già la pelle scorticata dal sole e dalla salsedine».
    «All’inizio ci si vergogna per i bisogni, cerchi di non farti notare, anche se è impossibile. Poi, man mano che cresce l’ansia, non ti vergogni più, hai paura di altro. Chi sta male, chi sviene dal caldo, i bisogni se li fa anche addosso».
«Certe notti sembrano non finire mai: le notti dei vecchi, le notti dei malati, degli ospedali, le notti della paura, le notti del mare». La quarta notte di Daniel e dei suoi compagni fu come molte di queste notti. Forse l’ultima, infinita, forse la prima di un’altra vita. Passò come una lunga tortura in cui non era possibile dormire. Qualcuno di tanto in tanto crollava sugli altri, ma era come una breve perdita di conoscenza: subito lo risvegliavano le proteste dei vicini. Da ogni angolo del peschereccio si alzava un misto di imprecazioni roche, preghiere, pianti e lamenti. Nessuno lo diceva, ma tutti pensavano all’acqua che stava finendo: «Abbondavano solo il sale e l’arsura: una donna, disperata, ha bevuto l’acqua di mare, ma poi continuava a vomitare». Nessuno sapeva cosa fare.
    «Non ci volevamo credere, ma dai rumori del motore e dalla rabbia degli scafisti avevamo capito che anche loro non sapevano cosa fare».
La quinta notte spuntano delle luci in fondo, poi se ne vanno, o forse la barca ha invertito la rotta. Era una nave? Era una terra? Era “Lampa Lampa”, come chiamano Lampedusa sulle coste africane? «Cominci a sentirti impotente, sei un naufrago, e ti viene in mente chi sai che non ce l’ha fatta. Come quel ragazzo ivoriano partito la settimana prima di te con una barca che – avevi sentito senza volerci pensare – era affondata poco dopo la partenza. O chi hai conosciuto nel grande viaggio e non sai più dov’è. Come i connazionali Adam, lasciato nel deserto del Tenerè, e Kofi, che era rinchiuso nel carcere libico di Ganfuda».
    «La fame, la sete, la stanchezza, lo smarrimento ci avevano reso come pazzi».
Bisognava stare immobili: «Io ero seduto tra un ragazzo della Nigeria, malato, sempre in silenzio, e Evans, anche lui ghanese. Evans piangeva e pregava Dio di morire. Sì, avevamo perso la speranza e anch’io mi sono unito alla sua invocazione». Nel pomeriggio del sesto giorno, fu chiaro che l’Italia era in vista, una strisca scura all’orizzonte, non lontana. «Ormai senza benzina, quasi tutti pensavamo di morire così, in vista dell’Italia senza poterci arrivare».
    Tutte le energie venivano impiegate per chiedere aiuto, urlando quando passavano altre imbarcazioni. Daniel racconta che «sì, ci vedevano, ma non si fermavano per non avere problemi».
Poi – Daniel non sa come, i ricordi di quei momenti sono confusi – arrivano su una costa siciliana: «Tra il buio, il mare mosso e il timone che si era rotto, la barca si è schiantata sugli scogli. Ci siamo buttati in mare e qui gli italiani, che nel frattempo ci avevano visti, ci hanno veramente salvato la vita».
    Due non ce l’hanno fatta: «Mentre io ero avvolto in una coperta termica luccicante, scalzo, ancora bagnato, uno dei primi ricordi della terra italiana è il ragazzo nigeriano, mio vicino di viaggio, coperto da un lenzuolo bianco, morto. Era malato e non sapeva nuotare».
Uno dei primi suoni, invece, che Daniel ha nelle orecchie è l’urlo straziante di una donna quando le passarono una busta con una bottiglietta d’acqua e un pacco di biscotti: «Beve assetata e dopo ingoia un biscotto, ma urla e sputa tutto. Anche a me succedeva: il cibo taglia la gola, non passa, lo stomaco lo vuole ma il dolore è più forte, è come una lama, non puoi mangiare più niente».
    Daniel, ora, si trova a Milano, ospite di connazionali. Vista da qui, l’Italia ha un sapore amaro. «Senza documenti, è difficile fare ogni cosa». Daniel è un “clandestino”.
Come il 50% degli emigrati italiani che tra il 1945 e il 1960 entravano in Francia, attraversando le Alpi e rischiando la vita. O come il 90% dei familiari italiani che poi li raggiungevano. Quando l’Italia era ancora terra di emigrazione e l’Europa non conosceva ancora la grande immigrazione extracomunitaria.



Se vuoi ottimi immigrati impara dal Belgio
West, 22-11-2013
Letizia Orlandi
Nella guerra per accaparrarsi i migliori e più qualificati immigrati, il Belgio è in pole position. Questo grazie alla celerità con cui il Regno concede permessi di lavoro agli stranieri iper specializzati. E alla perfetta sinergia tra la burocrazia statale e gli imprenditori privati. Con il risultato che non passano più di tre settimane per confezionare e recapitare la speciale carta di soggiorno (blue card) al talento immigrato. Un paradiso, pensando ai tre, anche quattro mesi, di Italia e Spagna. Risultati che si evincono dall’analisi realizzata da Deloitte. Che, con cadenza biennale, compara 26 paesi UE sui costi e la durata delle formalità per ottenere un visto di lavoro. Sul podio insieme a Germania e paesi scandinavi, il Belgio primeggia non solo nelle tempistiche. Ma anche per quanto concerne i requisisti minimi richiesti agli stranieri. Basta una retribuzione lorda di € 38 mila l’anno. Primato UE che rappresenta una risposta adeguata al problema demografico (invecchiamento e denatalità). Oltre a garantire al paese competitività economica sul lungo periodo con i mercati emergenti.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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