Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 maggio 2010

II rapporto II dossier, che analizza tutti i Paesi, denuncia anche i «diritti negati» ai rom e la mancanza di norme anti-tortura
Amnesty accusa l'Italia. Frattini: «Indegno»

Corriere della Sera, 28-05-2010
M.Antonietta Calabrò
Critiche per i respingimenti in mare. Il ministro: falso, salvate molte vite umane
ROMA — L'annuale report sui diritti umani nel mondo di Amnesty International accusa il nostro Paese per i respingimenti in mare che mettono in pericolo gli immigrati. E provoca la dura reazione del ministro degli Esteri Franco Frattini: «Il rapporto di Amnesty è indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia. L'Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare, respingo il rapporto al mittente. Amnesty ha fatto sempre la sua parte, ma i nostri dati sono molto chiari e dicono il contrario».
Il dossier, 643 pagine, è un'analisi globale Paese per Paese in cui l'Italia spicca per aver ricevuto circa 90 raccomandazioni per la violazione dei diritti degli immigrati, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. «Gli sforzi delle autorità per controllare l'immigrazione hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo», si afferma, il cui numero si è dimezzato da 31 mila a 17 mila. Il rapporto ricorda anche che in gennaio il gruppo di lavoro della Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha criticato il nostro Paese per i centri di identificazione ed espulsione. «È in vigore il reato di clandestinità — ha spiegato Giusy D'Alonzo, che ha analizzato il caso Italia —, che allontana l'immigrato dalle istituzioni al punto che se è testimone 0 subisce un reato, non può denunciarlo». Infine il caso Libia: accordi come quelli con il Paese africano non tengono conto della questione dei diritti umani. «Sono anni che solleviamo — ha continuato D'Alonzo —l'attenzione sui rapporti diplomatici fra Italia e Libia. Nulla si sa delle 800 persone che sono state riconsegnate alla Libia».
Un capitolo a sé poi riguarda i rom. Secondo Amnesty l'Italia nega loro pari accesso ai servizi e dopo gli sgomberi sono ancora di più costretti a una situazione di povertà. L'associazione per i diritti umani punta il dito anche sulla mancanza di norme specifiche contro il reato di tortura («A distanza di 20 anni l'Italia non ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura») ma senza di esse sono potenzialmente sempre presenti i rischi di casi come quello del giovane Cucchi, dal momento che i maltrattamenti commessi da pubblici ufficiali in servizio vengono perseguiti come reati minori. «L'introduzione del reato di tortura in Italia con riferimento all'attività delle forze dell'ordine mi sembra un'ingenerosa esagerazione, a noi non sembra che ci sia una situazione tale da giustificare una misura di questo tipo» così Claudio Giardullo, segretario generale del Silp Cgil, Sindacato di polizia. Anche il segretario del Sappe (agenti penitenziari) Donato Capece, ribatte alle accuse sul caso Cucchi («le responsabilità saranno accertate dall'indagine della magistratura») e ricorda che gli agenti penitenziari «ogni giorno salvano la vita a decine di detenuti che tentano il suicidio».
A proposito di detenuti, il portavoce di Amnesty, Noury ha dichiarato che «siamo delusi da Obama che non ha mantenuto la promessa di chiudere Guantanamo». E che violazioni del tipo di quelle compiute nel carcere americano o le repressioni dei manifestanti in Cina avvengono perché 8 Paesi del G20, tra cui gli Usa e Cina, non riconoscono ancora la Corte penale internazionale.
Il. rapporto 2010 punta l'indice anche contro Al Qaeda (per le stragi di civili in Iraq) e i talebani (per la violazione dei diritti delle donne in Afghanistan e Pakistan). Ma anche il divieto di velo integrale (in vari Paesi europei) e di costruire minareti in Svizzera vengono indicati come violazioni dei diritti umani.



Il mestiere di Amnesty e il ministro intollerante

Europa, 28-05-2010
Gabriella Monteleone

Va bene che l'intolleranza alle critiche è una costante che accomuna tutti i rappresentanti di questo governo almeno quanto la preoccupazione perché il Belpaese appaia tale. Ma che il ministro Frattini respinga al mittente come «indegno» il rapporto 2010 di Amnesty International su "La situazione dei diritti umani nel mondo" perché non risparmia, ahinoi, l'Italia, sembra più un riflesso condizionato da nervi troppo scoperti che un legittimo risentimento da offesa "gratuita". Perché è certo vero che il nostro paese non è la Guinea, la Bielorussia o la Russia (checché ne pensi Berlusconi), e neppure la Birmania, ma in quanto a violazioni di diritti umani, anche qui non mancano. A meno di non voler ignorare le segnalazioni di «tortura e altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze di polizia», anche nelle carceri: vedi Cucchi, Aldrovrandi ed altri casi noti e meno noti. Non è solo Amnesty a denunciarli, ricordandoci anche la colpevole mancata introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura.
Quanto alla politica dell'immigrazione, che più preoccupa evidentemente il titolare della Farnesina, il rapporto accusa l'Italia che nel 2009 «ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale» come la Libia, e le autorità «hanno messo a repentaglio i diritti dei migranti e richiedenti asilo», nonché le loro stesse vite, lasciandoli in mare «per giorni senza acqua e cibo». Si riferisce in particolare, ma non solo, ad aprile 2009 quando dovette intervenire la nave turca Pinar per mettere in salvo 140 tra migranti e richiedenti asilo, perché né Malta né l'Italia fecero entrare in porto l'imbarcazione lasciando i migranti al loro destino per giorni (comprese donne incinte e bambini). Da lì il governo, grazie ad un accordo con la Libia, inaugurò la politica dei respingimenti. Contro la quale è stato per primo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (che fa parte del Consiglio d'Europa, come Frattini ben sa) a
puntare il dito stendendo un rapporto di denuncia di «casi gravi e reiterati di xenofobia e trattamenti disumani» nei confronti degli stranieri e dei profughi, invitandoci anche «a rivedere le attuali azioni di intercettazioni dei migranti in mare». Perché il principio del non refoulement è un cardine della Convenzione di Ginevra sottoscritta dall'Italia nel 1951. Considerare la Libia un paese sicuro in termini di diritti umani e del diritto dei rifugiati è quantomeno un azzardo. Sarà un caso che i giornalisti non possono avvicinarsi ai centri di raccolta del clandestini in quel paese? Non è forse vero che molti vi rimangono rinchiusi a tempo indeterminato perché non ci sono limiti di legge al trattenimento? C'è poco da indignarsi. Amnesty fa solo, e bene, il suo mestiere.



Amnesty denuncia
l'Italia: troppi abusi contro i migranti

Il Messaggero, 28-05-2010
Marco Berti
ROMA - Leggi penalizzanti nei confronti degli immigrati, discriminazioni verso le comunità rom, incremento dei crimini omofobici, torture
e maltrattamenti commessi dalle forze di polizia. Il rapporto 2010 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo non fa
sconti all'Italia, uno dei 166 Paesi in cui l'ong ha documentato gravi violazioni. In alcune circostanze, si legge tra l'altro nel rapporto,
le autorità italiane «hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo».
L'Italia «ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale». «I governi italiano e maltesesi sottolinea- in disaccordo sui rispettivi obblighi di condurre operazioni di salvataggio in mare, hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo, ponendo a grave rischio le loro vite».
Amnesty si riferisce alla decisione, definita «senza precedenti», di trasferire a Tripoli, in Libia, i migranti soccorsi in mare «senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale». La Libia, chiarisce il rapporto, «non è firmataria della Convenzione di Ginevra sui rifugiati». Secondo i dati del governo italiano, tra maggio e settembre, 834 persone intercettate o soccorse in mare sono state portate in Libia, violando così il principio del non-refoulement (divieto di rinvio di una persona verso un paese in cui potrebbe essere a rischio di subire gravi violazioni dei diritti umani).
Accuse pesanti, di fronte alle quali ha duramente reagito il ministro degli Esteri Franco Frattini. «Tutto questo è indegno - ha replicato il capo della Farnesina - per il lavoro dei nostri uomini e donne delle forze di polizia che ogni giorno salvano persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty». «Amnesty - ha aggiunto il capo della diplomazia italiana - ha fatto sempre la sua parte, noi con i dati e con i fatti siamo molto chiari e l'Italia certamente è il Paese europeo che ha salvato più persone in mare, quindi respingo al mittente questo rapporto».
Ma non c'è solo l'immigrazione nel mirino di Amnesty. «Senza il reato di tortura nel codice penale, l'Italia è sempre più a rischio di "casi Cucchi"», sottolinea il rapporto ricordando la morte del trentenne romano nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertinì. «Sono pervenute frequenti denunce di tortura e altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze di polizia, nonché segnalazioni di decessi avvenuti in carcere in circostanze controverse», si legge ancora. L'Italia ricorda Amnesty, «a distanza di 20 anni non ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura», di conseguenza i maltrattamenti commessi da pubblici ufficiali in servizio vengono perseguiti come reati minori.



Amnesty accusa l'Italia Frattini: «Attacco indegno»

il Giornale, 28-05-2010
«Il rapporto di Amnesty international è indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia, che ogni giorno salvano le persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty». È questa la reazione del ministro degli Esteri Franco Frattini dopo la pubblicazione del rapporto su «La situazione dei diritti umani nel mondo». Nel rapporto l'ong punta il dito contro la condotta delle autorità che in alcune circostanze «hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo», nonché le loro stesse vite, lasciandoli in mare «per giorni senza acqua e cibo». Accuse che il ministro Frattini, da Caracas dove si trova in visita, «respinge al mittente»: «L'Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare. Amnesty ha fatto sempre la sua parte -ha detto il titolare della Farnesina - ma i nostri dati sono molto chiari».
Il filo conduttore del rapporto 2010 - presentato oggi alla stampa e pubblicato da Fandango - sono «le lacune» della giustizia internazionale, con «alcune grandi potenze che pensano di essere al di sopra della legge», anteponendo la politica alla giustizia: non a caso l'organizzazione rivolge un appello di «coerenza» al G20, chiedendo a quei paesi che ne fanno parte che ancora non lo hanno fatto - come Usa, Cina e Russia - di riconoscere al più presto la Corte penale internazionale (Cpi), il primo tribunale internazionale permanente chiamato a giudicare reati come genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Ma «lacune» Amnesty ne individua anche in Italia. Nelle cinque pagine del report annuale dedicate alla situazione italiana, l'organizzazione stigmatizza il trattamento riservato ai rom, vittime di «sgomberi forzati illegali» (a Roma e Milano) ed esclusi da «un equo accesso all'istruzione, all'alloggio, alle cure sanitarie e all'occupazione». Ancora più pesanti le accuse sulla gestione dell'immigrazione, in particolare sulla pratica dei respingimenti: «Gli sforzi da parte delle autorità per controllare l'immigrazione - si legge - hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo». L'Italia, ad esempio, «ha continuato a espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani» -ovvero la Libia - «senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale».



Immigrazione, Amnesty attacca l'Italia: razzisti L'ira di Frattini: quel rapporto è indegno

la Repubblica, 28-05-2010
Caterina Pasolini
ROMA—Italia ai confini della legalità, Italia violenta, razzista e omofoba. Italia sott'accusa, nel rapporto annuale di Amnesty International. L'associazione per la difesa dei diritti umani nelle pagine dedicate al nostro paese parla senza mezzi termini di abusi della polizia con pestaggi e morti sospette, dinorme discriminatorie nei confronti di rom e migranti provocando la dura reazione del ministro degli esteri Frattini. Amnesty stigmatizza infatti la condotta delle autorità italiane che in alcune circostanze «hanno messo a repentaglio i diritti degli immigrati continuando ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani e hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo mettendo a rischio le loro vite». Una situazione grave, sottolinea l'associazione umanitaria, in un paese dove ancora non c'è stato il riconoscimento della tortura come reato nel codice penale: «Di conseguenza gli atti di tortura e maltrattamenti commessi da pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni vengono percepiti come reati minori».
Parole pesanti quelle di Amnesty, che hanno provocato la dura reazione del ministro degli esteri Franco Frattini: «È un rapporto
indegno e da respingere al mittente perché l'Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare. Indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia che ogni giorno salvato le persone».
Ma l'Ong non fa marcia indietro, anzi per quanto riguarda episodi di violenza da parte di uomini dello stato ricorda la sentenza di condanna al G8 di Genova: «Non essendovi il reato di tortura tutto questo haimpedito di punire i pubblici ufficiali in modo proporzionato alla gravità della loro condotta». Ed elenca il caso del pestaggio di Emmanuel Bonsu a Parma, la condanna in primo grado per omicidio colposo di Federico Aldovrandi a Ferrara emessa nei confronti di quattro agenti di polizia, la condanna sempre per omicidio colposo nel caso dell'uccisione di Gabriele Sandri.
Sul fronte immigrati segnala che il nostro paese ha ricevuto 90 raccomandazioni perla violazione dei diritti degli immigrati, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. E a gennaio il Gruppo di lavoro della Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha criticato il nostro Paese per i centri di identificazione ed espulsioni. «Viene fuori l'immagine di un paese pieno di lacune dove l'introduzione del reato di immigrazione clandestina potrebbe dissuadere gli immigrati irregolari dal denunciare i reati subiti e ostacolare il loro accesso a istruzione, cure mediche e altri servizi pubblici per il timore di denunce». Preoccupazione per i trattamenti subiti dalla co-munità rom e dagli immigrati in Italia è stata espressa da Giusy D'Alconzo, Coordinatrice attività di ricerca di Amnesty in Italia.



Salvateci dalle ong
I rom ci tirano le pietre Amnesty attacca noi

Libero, 28-05-2010
Marie Giovanna Maglie

Sapete qual è la vocazione segreta, il desiderio recondito, che a ogni rapporto si svela, di organizzazioni come Amnesty International? Che niente cambi, che le ingiustizie la cui denuncia costituisce la loro ragione di esistere non vengano sanate, riparate, sennò tutti a casa, e sono un esercito di stipendiati in giro per il mondo. Vale per chi si batte contro la pena di morte, la tortura, è la regola cinica che li vuole pronti a sparare nel mucchio, mettendo insieme Italia e Cuba, Libia e Inghilterra, fior di nazioni de¬mocratiche e orride dittature, un po' per il suddetto tengo famiglia, un po' perché se a dirigere le organizzazioni sono per¬sonaggi ideologicamente (...) (...) compromessi, ecco che piace più il terrorismo di Sendero luminoso del lavoro duro dei poliziotti italiani.
Aggiungeteci la dolente nota dell'immigrazione selvaggia nel nostro Paese, della necessità di sanzionare come reato la pratica di ingresso clandestino, le decisioni sagge che il governo ha preso in accordi con la Libia per fermare gli sbarchi che altro non erano che carichi di nuovi schiavi, e capirete che il tenero cuoricino dei funzionari di Amnesty non regge. Per l'Italia esige il massimo della pena, in ossequio a una pratica nefasta di politically correct che divide la società in buoni e cattivi in modo vecchio, manicheo. È principalmente per queste gravi ragioni che le organizzazioni umanitarie, accampate nelle capitali internazionali, nei quartier generali delle sedi istituzionali, non contano quasi niente. Sono tante piccole Onu, diciamoci la verità, inutili se non dannose..
Il fatto. Abusi della polizia, norme discriminatorie nei confronti di rom e migranti, omofobia. Peccato però che i signori di Amnesty non ricordino che quegli stessi nomadi sono quelli che tiravano sassi dal cavalcavia dell'autostrada o si scontravano con la polizia nel campo milanese del Triboniano.
È il quadro che emerge sull'Italia dal rapporto annuale di Amnesty International, presentato ieri. Morti sospette, pestaggi, maltrattamenti delle forze dell'ordine sono citati nel rapporto.
Soddisfazione è stata espressa per la condanna, in Appello, di 27 tra agenti e dirigenti della polizia, per gli abusi commessi nel 2001 nella scuola Diaz di Genova, durante il G8, e di quelle per le brutalità commesse a Bolzaneto. «Ma l'Italia non ha né istituito un organismo indipendente di indagine sugli abusi commessi dalla polizia, né ha introdotto il reato di tortura nel Codice penale, impedendo di punire i responsabili in maniera proporzionata alla gravità della loro condotta» si legge nel rapporto. Nei nove anni trascorsi, poi, «non c'è stata alcuna parola forte di condanna da parte delle istituzioni e nemmeno un'analisi interna relativa al fallimento nella gestione dell'ordine pubblico a Genova».
Non basta, torniamo alla solita dolente nota sull'immigrazione e sui clandestini, nuovo feticcio dell'organizzazione internazionale. Pesanti critiche nei confronti dell'Italia sul dossier immigrazione sono contenute nel rapporto L'ong, in particolare, punta il dito contro la condotta delle autorità che in alcune circostanze «hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo». Nel rapporto si legge, inoltre, che «l'Italia ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani» - ovvero la Libia - «senza valutare le loro necessità di asilo e pro-tezione internazionale». «I governi italiano e maltese in disaccordo sui rispettivi obblighi di condurre operazioni di salvataggio in mare, hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo, ponendo a grave rischio le loro vite». La risposta del nostro governo. «È indegno per il lavoro dei nostri uomini e donne delle forze di polizia che ogni giorno salvano persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty». Così il ministro degli Esteri Franco Frattini da Caracas respinge al mittente le conclusioni contenute nel rapporto pubblicato oggi da Amnesty International. «Amnesty ha fatto sempre la sua parte, noi con i dati e con i fatti siamo molto chiari e l'Italia certamente è il Paese europeo che ha salvato più persone in mare, quindi», ha concluso il ministro, «respingo al mittente questo rapporto».
Troppo cauto, caro ministro, quando vuole glielo preparo io un bel rapporto sulle malefatte di Amnesty e compagni, glielo facciamo consegnare dagli agenti di polizia che rischiano la vita e meritano rispetto, dagli agenti di polizia penitenziaria   che ogni giorno salvano detenuti dal suicidio.



Amnesty boccia l'Italia: crudele con gli immigrati
Frattini: indegno, abbiamo salvato più vite di tutti

La Stampa, 28-05-2010
FLAVIA AMABILE
ROMA Bocciate le autorità italiane che in alcune circostanze «hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo», nonché le loro stesse vite, lasciandoli in mare «per giorni senza acqua e cibo». E poi per gli sgomberi di campi rom, i respingimenti e il rimpatrio forzato di immigrati, l'introduzione del reato di «immigrazione clandestina» e l'assenza del reato di tortura nel codice penale che arginerebbe il pericolo del ripetersi di casi come quello di Stefano Cucchi, il trentenne morto in circostanze molto sospette dopo una settimana di carcere.
Già da alcuni anni Amnesty International non è tenera con l'Italia nel suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Anche quest'anno non ha riservato al governo parole di elogio ma pesanti critiche nel dossier immigrazione.
La differenza è che questa volta il governo ha respinto con forza le critiche al mittente. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha bollato come «indegne» le parole dell'organizzazione. «L'Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare». Per questo, secondo il ministro, il rapporto dell'organizzazione è «indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia, che ogni giorno salvano le persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty».
Parole a cui ha risposto Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr): «Che l'Italia abbia in passato salvato migliaia di vite umane in mare è sicuramente vero e questo fa onore al Paese. Altrettanto vero, però, è che con la pratica dei respingimenti dal 6 maggio del 2009 l'Italia ha rimandato in Libia senza aver svolto alcuna identificazione anche a richiedenti asilo provenienti dalla Somalia e dall'Eritrea bisognosi di protezione».
Il filo conduttore del rapporto 2010 sono «le lacune» della giustizia internazionale, con «alcune grandi potenze che pensano di essere al di sopra della legge». E l'Italia non è ben messa. L'organizzazione stigmatizza il trattamento riservato ai rom, vittime di «sgomberi forzati illegali» (a Roma e Milano) ed esclusi da «un equo accesso all'istruzione, all'alloggio, alle cure sanitarie e all'occupazione».
L'Italia, poi, «ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani» - ovvero la Libia - «senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale». Inoltre, sottolinea Amnesty, «i governi italiano e maltese, in disaccordo sui rispettivi obblighi di condurre operazioni di salvataggio in mare, hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo, ponendo a grave rischio le loro vite».
Né si risparmiano critiche per non aver collaborato «pienamente» alle indagini sulle violazioni dei diritti umani e segnalazioni di «tortura e altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze di polizia», anche nelle carceri. Qui si imputa all'Italia di non aver istituito un organismo indipendente di denuncia degli «abusi» della polizia e di non aver ancora introdotto il reato di tortura nel codice penale che eviterebbe molte morti sospette, pestaggi, maltrattamenti delle forze dell'ordine.



Il rapporto: «Roma viola i diritti dei migranti»
Frattini contro Amnesty: indegna sull'Italia

il Sole, 28-05-2010
Scontro tra il ministro degli Esteri Franco Frattini (foto) e Amnesty International. Nel suo rapporto annuale, l'organizzazione a tutela dei diritti umani ha puntato l'indice contro la politica dei respingimenti da parte del governo: «L'Italia ha continuato a deportare la gente verso posti dove rischiano abusi dei diritti umani», si legge nel rapporto. Immediata la reazione di Frattini che da Caracas ha parlato di rapporto «indegno» e aggiunto che «la realtà è tutto il contrario di ciò che dice Amnesty».



A DOMANDA RISPONDO GLI ZINGARI, CHE MASCALZONI

il Fatto Quotidiano, 28-05-2010
Furio Colombo
Nel tranquillo silenzio degli italiani di destra ma anche di sinistra, di intellettuali ma anche di vescovi, di cittadini ma anche di istituzioni, ogni notte viene "bonificato" un campo Rom, vuoi dalla gentile signora Moratti, vuoi dal vigoroso e determinato Alemanno, il tutto per far piacere alla Lega. Intanto Di Pietro fa una conferenza stampa insieme a Calderoli sul criminogeno "federalismo demaniale" ovvero libera concessione ai leghisti di beni dello Stato. Possibile che quel che resta del Pd non abbia nulla da dire?
Alfonsina
lA CONFERENZA stampa congiunta di Calderoli e Di Pietro mi è sembrata un evento difficile da spiegare agli elettori, una confusione di idee e di progetto politico non di poco conto, tenuto conto che tutto, nel fantastico e irreale mondo di Berlusconi, sta in piedi per merito esclusivo della Lega. E' vero, il "federalismo demaniale" sarà uno scambio incontrollabile e camuffabile di beni che ci farà dimenticare Balducci, Scajola, la cricca. Ma la persecuzione dei Rom nel silenzio omertoso e conveniente o sbagliato di quasi tutti è il delitto più grave. £' fondato su puro odio razziale. E condotto con strumenti militari cosi offensivi e così aggressivi (considerato che due terzi degli abitanti di ogni campo sono donne e bambini) da provocare rivolte. E' pura incoscienza non calcolare che quelle rivolte si possono sopprimere sul momento (con molto rischio e molti feriti) ma non sai mai quanto odio possono seminare in seguito. Quell'odio è fondato su una propaganda senza sosta, di tipo nazista. Cito da Radio Padania (14 maggio): "Colpa di Gad lerner e di tutte quelle trasmissioni che aizzano in maniera violenta la comunità Rom contro la Lega". Cito dal blog del leghista Daniele Sensi che fa girare questo messaggio: "Dire che gli zingari sono sporchi e delinquenti è come dire che l'acqua bagna". E' facile concludere: questa è l'Italia di Berlusconi. Ma bisogna aggiungere: questa è l'Italia del silenzio complice e di tutti i Tg che chiamano Bossi affettuosamente "Il Senatur".



Fini: aberrante associazione tra criminalità e immigrazione

l'Unità, 28-05-2010
È necessario combattere «l'aberrante associazione tra criminalità e immigrazione» che spesso si fa strada nell'opinione pubblica. Farlo è compito, secondo il presidente della Camera Gianfranco Fini, della politica e dell'informazione, la prima con comportamenti virtuosi, la seconda rinunciando ai «vergognosi stereotipi» che associano criminalità a immigrazione. Fini ha affrontato il tema in occasione della presentazione, a Montecitorio, del libro di Alina Harja e Guido Melis «Romeni. La minoranza decisiva per l'Italia di domani», insieme agli autori del libro e a Giuliano Amato.
Con quasi un milione di persone e 20.000 aziende su tutto il territorio nazionale , la comunità dei romeni «rappresenta - avverte Fini - una risorsa per la crescita del nostro Paese»,dove la richiesta di manodopera romena «tende a includere sempre di più». «Gli autori del libro -ha aggiunto - ritengono che l'inserimento dei romeni nella vita italiana sia fondamentale per la riuscita del più ampio processo di integrazione che riguarda anche le altre cominità straniere residenti in Italia». Alla base dei pregiudizi - ha concluso - c'è un vuoto di memoria culturale che riguarda la politica e l'informazione, non meno che la società. «È lecito chiedersi - ha sottolineato il presidente della Camera - come mai l'opinione pubblica italiana tenda a dimenticare che parliamo di cittadini che già fanno parte dell' Unione europea e che quindi provengono da un paese che condivide con il nostro una grande prospettiva di costruzione politica, economica e civile. E viene inoltre da domandarsi come mai questa opinione, soprattutto nelle fasce più alte, raramente ricordi l'apporto che la cultura romena ha fornito alla più vasta cultura europea. Pensiamo soltanto a Mircea Eliade e a Eugene Ionesco, grandi intellettuali romeni che hanno vissuto in esilio per non sottostare alla dittatura comunista».



L'INTERVISTA Isabella Bertolini (Pdl): "Le ricette in materia della sinistra (e di FareFuturo) sono un po' datate "
"È l'immigrazione la sfida, altro che cittadinanza..."

Avanti, 28-05-2010
Andrea Camaiora
Isabella Bertolini, deputato Pdl, una storia liberale confluita in Forza Italia, annuncia l'avvio di una iniziativa parlamentare da parte di un gruppo di deputati e senatori del Pdl sul tema dell'immigrazione e della cittadinanza allo straniero: una vera e propria sfida alla sinistra e a certi settori del centrodestra.
Onorevole Bertolini, le piace il regolamento sull'immigrazione a punti realizzato dal ministro Sacconi?
"Certo! Meno male che, secondo l'opposizione, il nostro è un governo che non fa nulla. Ma si rende conto? In appena due anni abbiamo approvato prima il pacchetto sicurezza e adesso facciamo un ulteriore salto di qualità con questo provvedimento".
Non esageriamo. È pur sempre un regolamento attuativo.
"Sì, ma porta in sé una rivoluzione culturale perfettamente coerente con lo spirito della legge Bossi-Fini. È il coronamento politico di quel percorso. Stiamo lavorando a un sistema nel quale l'immigrato non solo sia regolare, ma anche integrato e lo facciamo in linea con le legislazioni più avanzate al mondo, penso all'Australia e al Canada. Il cambio di approccio impresso dal governo su sollecitazione, mi piace sottolinearlo, di un eccellente ministro Pdl come Maurizio Sacconi, ha provocato una reazione indispettita della sinistra e dei parlamentari che dicono di fare riferimento alle posizioni di Gianfranco Fini".
E secondo lei perché ciò accade?
"Se c'è qualcuno in maggioranza che contesta un simile approccio, che è perfettamente in linea con la legislazione del 2001-2006 e con ciò che abbiamo sempre detto, deve probabilmente chiedersi cosa sta a fare nel Pdl e in maggioranza. Se si governa assieme, se si condivide un cammino politico, occorre prima di tutto andare d'accordo. Anche perché questo è un ulteriore passo di una strada ancora lunga da percorrere".
Scusi Bertolini, in che senso?
"Il primo passo di questo percorso legislativo è stata la legge Bossi-Fini, la prima svolta politica dopo decenni di ideologia della 'accoglienza', una ideologia secondo la quale la porta di casa tua deve stare per forza aperta per lasciare entrare chi gli pare. Peccato che la porta di casa degli 'accoglienti' fosse ben sprangata e quella aperta fosse la porta degli italiani che hanno meno. Con la Bossi-Fini abbiamo iniziato a mettere ordine e in questa legislatura, con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina abbiamo fatto nostro un principio giuridico su cui si fonda la Repubblica: la sovranità sul proprio territorio".
Eppure davanti alla Consulta pende un giudizio di Costituzionalità...
"Per rispondere faccio mie le tesi esposte sul 'Corriere della sera' da Angelo Panebianco. Cito testualmente. 'Che cosa è il reato di clandestinità? Nient'altro che la rivendicazione da parte di uno Stato del suo diritto sovrano al pieno controllo del territorio e dei suoi confini, della sua prerogativa a decidere chi può starci legalmente sopra e chi no. Se risultasse che una legge, regolarmente votata dal Parlamento, che stabilisce il reato di clandestinità, è incostituzionale, ne conseguirebbe che la Costituzione repubblicana nega allo Stato italiano il tratto fondante della statualità: la prerogativa del controllo territoriale'. E aggiungo da parte mia che questa tesi sottende una verità apparentemente paradossale...".
Quale sarebbe?
"Chi si è battuto più di ogni altro per introdurre il reato di immigrazione clandestina? La Lega Nord e la grandissima maggioranza del Popolo della libertà. Il che vuole dire che questi due partiti sono quelli che difendono la Repubblica italiana come entità statuale, quindi come nazione unitaria. Altro che la retorica delle celebrazioni dei centocinquant'anni dell'unità di Italia. Uno Stato è tale se difende i suoi confini e oggi a difendere i confini dello Stato dall'attacco criminale dei trafficanti di uomini sono le navi che pattugliano le coste meridionali. Ha capito: me-ri-dio-na-li. Altro che partiti del Nord ricco contro il Sud povero.
C'è chi dice che i respingimenti violano il diritto internazionale e la Costituzione perché impediscono il diritto d'asilo.
"È Le cito cosa ha scritto il professor Alessandro Pace, presidente dell'Associazione dei costituzionalisti italiani e professore di diritto costituzionale all'Università 'La Sapienza' di Roma: 'Non tutti quelli che vorrebbero entrare nel nostro Paese godono del diritto di asilo e non è nemmeno possibile che i migranti, una volta trasferiti sulle navi militari italiane per essere riportati in Libia, possano fare a bordo domanda di asilo. Le navi da guerra godono dell'immunità diplomatica ma non sono territorio italiano. Per la Costituzione italiana non è possibile invocare dall'estero il diritto d'asilo'. E se lo dice il Professor Pace - che non può essere certo considerato vicino alle posizioni del governo Berlusconi - anche a sinistra potrebbero convincersene".
Eppure vi accusano di volere negare i diritti degli stranieri. Anche il presidente della Camera disse addirittura una parolaccia in una visita ad una scuola parlando a giovani studenti di colore, figli di immigrati...
"Le opposizioni e una parte del Pdl sembrano interessarsi esclusivamente ai 'diritti' degh stranieri come se fossimo all'anno zero
dell'immigrazione. Secondo lei agli stranieri l'Italia non riconosce diritti e opportunità? Chi viene da Stati tirannici trova in Italia innanzitutto la libertà, il più importante diritto della persona. Tutti gli immigrati, anche se non sono in regola con la legge, godono di una completa assistenza sanitaria nelle stesse identiche forme che la Costituzione assicura ai cittadini italiani. Ha mai avuto notizia di cure non prestate a qualche cittadino straniero da parte del Servizio sanitario nazionale? Provi ad andare di notte nel pronto soccorso degli ospedali delle grandi città e vedrà. Così come all'immigrato regolare sono riconosciuti tutti i diritti sindacali e del lavoro e, ancora i Comuni riconoscono agli immigrati tutte le forme di assistenza previste per gli italiani tanto da aver prodotto una 'guerra tra poveri' nell'assegnazione delle case popolari, visto che gli immigrati di regola hanno famiglie numerose e quindi sono avvantaggiati rispetto ai nostri anziani che vivono da soli o al mas¬simo in coppia. Dunque l'Italia è tra le nazioni più ospitali verso gli stranieri".
E allora perché tanto parlare di integrazione e cittadinanza?
"La cittadinanza è un'altra cosa, non è uno strumento di integrazione. È piuttosto la conclusione di un percorso di integrazione che avviene prima. È per questo motivo che il governo ha introdotto un regolamento che premia chi vuole integrarsi in Italia e penalizza chi l'integrazione rifiuta. È dunque il primo passo per scegliere e non subire l'immigrazione".
Cosa intende?
"Ogni nazione degna di questo nome sceglie i propri immigrati, non li subisce. Non aspetta che entrino irregolarmente per poi renderli "regolari" attraverso le sanatorie, ma seleziona i propri immigrati. Noi possiamo, anzi dobbiamo, farlo determinando attraverso le quote e i flussi - che si decidono annualmente secondo la legge Bossi-Fini - per portare in Italia immigrati che possano più facilmente integrarsi e che rispondano alle esigenze del mercato del lavoro. È più facile integrare persone con qualche titolo di studio, che abbiano già un qualche mestiere. E che provengano da nazioni di civilizzazione più vicina alla nostra. Gli immigrati, checché ne dica la cattiva propaganda egualitaria, non sono mica tutti uguali".
Ma la Costituzione non dice che siamo tutti uguali?
"La Costituzione prescrive giustamente l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Ma non c'è Costituzione al mondo che faccia diventare uguale ciò che è diverso. Provi a pensare cosa accade con gli immigrati di fede islamica. Non ha letto di padri che uccidono le figlie perché queste hanno assimilato i costumi e gli stili di vita europei? Ed è solo la punta dell'iceberg che emerge. Noi non sappiamo quante siano le donne provenienti dal mondo musulmano che in Italia sono prigioniere nelle loro case perché i loro mariti le considerano proprietà, non persone".
In effetti, a dirlo non è solo lei...
"Le cito ancora cosa ha scritto sul 'Corriere della sera', Angelo Panebianco: 'In tutti i Paesi europei, quale che sia la politica verso i musulmani, si constata sempre la stessa situazione: ci sono, da un lato, i musulmani integrati, che vivono quietamente la loro fede, e non rappresentano per noi alcun pericolo ma ci sono anche, dall'altro, i tradizionalisti militanti, rumorosi e assai numerosi, più interessati a occupare spazi territoriali per l'Islam nella versione chiusa e oscurantista che a una qualsiasi forma di integrazione. E lascio qui deliberatamente da parte i jihadisti e i loro simpatizzanti. Salvo osservare che i confini che separano i tradizionalisti militanti contrari all'uso della violenza e i simpatizzanti del jihadismo sono fluidi, incerti e, probabilmente, attraversati spesso nei due sensi. Negare il problema è, francamente, da irresponsabili'. Chi studia seriamente il problema giunge alla stessa identica conclusione. Perché si tratta di un dato oggettivo. Che deriva da abitudini di vita quotidiana radicalmente differenti, che si tramandano di generazione in generazione. Tanto è vero che le più recenti esperienze europee dimostrano, numeri alla mano, che gli integralismi più violenti hanno trovato terreno di coltura proprio in quelle comunità di seconda o tèrza generazione, nati e vissuti in Occidente, che hanno frequentato le nostre scuole, che hanno letto i nostri libri, guardato i nostri programmi televisivi, quelli che dovrebbero essere più che integrati e invece reagiscono contro l'Occidente per-ché la loro religiosità integralista viene messa in discussione dalla nostra libertà".
E allora?
"Allora è indispensabile favorire gli immigrati che abbiano una cultura più vicina alla nostra: un indiano di civilizzazione britannica e un filippino di cultura cattolica si integrano meglio di un iraniano e di un siriano. L'Australia, ad esempio, si è già mossa in questa direzione: le loro leggi prevedono addirittura incentivi economici per chi provenga da nazioni occidentali, come ad esempio l'Italia, e voglia stabilirsi là. Evidentemente noi italiani siamo considerati buoni immigrati, non crede?".
Vuole dire che la cittadinanza non è il mezzo con cui realizzare l'integrazione degli stranieri? Cosa risponde ai firmatari della legge Granata-Sarubbi?
"È evidente che la cittadinanza non è strumento di integrazione, ma - lo ripeto - è il coronamento di un percorso. E per noi ciò significa che uno straniero per ottenere la cittadinanza deve essere talmente integrato da aderire a una nuova comunità nazionale, accettandone quindi anche i doveri conseguenti. Penso, ad esempio, alla difesa della patria. E le aggiungo che, per quanto riguarda noi che veniamo da una cultura liberale che è vissuta in Forza Italia e che vorrei prevalesse anche nel Pdl, la cittadinanza è una opportunità per lo straniero, non un obbligo. Sarebbe liberale quello Stato che imponesse in modo automatico al figlio dello straniero una cittadinanza diversa da quella dei suoi genitori? Avremmo mai accettato negli anni Cinquanta dello scorso secolo - quando non esisteva ancora l'Europa senza frontiere e gli italiani andavano a cercare lavoro in Germania, in Belgio e in Svizzera - che i loro figli nascessero tedeschi, svizzeri o belgi e non italiani? Ci saremmo ribellati a questa imposizione, rifiutando di essere considerati uomini di seconda serie. Ecco cosa non comprendono quelli che condividono la legge Granata-Sarubbi, a partire dal presidente della Camera: per loro la cittadinanza non è integrazione, ma assimilazione. Noi siamo liberali, non condividiamo il nazionalismo annessionista degli anni Trenta. Quella filosofia, per giunta, si scontra con la Costituzione vigente e con norme volute proprio dalla destra di Fini".
Quali sarebbero?
"Pensi al voto degli italiani all'estero, garantito per jus sanguinis. Tutto il nostro ordinamento si regge su questo. Non è allora questione di 'diritti' come recita la solita cantilena sinistrorsa: non ci sono diversi diritti civili, economici e sociali tra un cittadino italiano e un immigrato regolare. La sola cosa che li distingue sono i diritti politici, diritti che, peraltro, non sono riconosciuti nemmeno agli italiani che non hanno raggiunto la maggiore età. E che, invece, alcuni vorrebbero garantire allo straniero sin dal momento della nascita, come se così si diventasse più 'uguali' di ora: è francamente un principio insostenibile. In ogni caso al governo italiano non manca la visione d'insieme, prova ne sia che il ministro Gelmini ha affrontato bene la questione dei tetti per regolare la convivenza scolastica. E a un governo che opera bene è opportuno che la maggioranza parlamentare offra nuove idee, nuove proposte. Come ad esempio l'immigrazione a rotazione".
Di che si tratta?
"Non tutti gli stranieri che vengono a lavorare in Italia vogliono trascorrere tutta la loro vita qui. Anzi, molti ambiscono a ritornare nei loro Paesi d'origine dopo aver accumulato una somma che là vale molto di più. Le faccio un esempio che conosco: in India una casa a tre piani costa 30mila euro. Molti indiani riescono, con il loro lavoro in Italia, ad accumulare anche di più, perché sono specializzati in alcune attività. Conosco un imprenditore che fa selciati stradali in porfido che ha solo operai indiani, perché sono i migliori al mondo. La sua azienda ha una rotazione naturale con un ciclo quinquennale. L'indiano sta in Italia cinque anni e poi torna in India, magari facendosi sostituire da un parente o da un amico. È necessario, allora, costruire un sistema di welfare che accompagni questi immigrati nella loro permanenza in Italia, senza che ne risulti un gravame eccessivo sul nostro sistema di servizi sociali e sanitari. Dobbiamo anzi prevedere aiuti e incentivi che favoriscano i rientri volontari".
Anche lei vuole Fare Futuro...
"Per carità. L'Italia ha l'opportunità di fare tesoro degli errori commessi in mezza Europa, quelli che gli amici di FareFuturo ci propongono di fare a nostra volta. E mentre Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Germania hanno capito che certe soluzioni politically correct sono state fallimentari, i FareFuturisti sono rimasti un po' indietro con le loro letture".



Più che il burqa, metterei al bando l'intolleranza

il Venerdi di Repubblica, 28-05-2010
Incredìbile: in questi nostri tempi, nei  quali le donne si vestono e si svestono come vogliono, con gonne lunghe e minigonne e senza gonne, con bikini e monokini e tanga, e gli uomini a loro volta mettono e smettono cravatte e camicie, calzoni lunghi e calzoni corti e braghe a mezzagamba, in questi nostri tempi, dunque, nei quali tutti fanno quel che vogliono, è incredibile che ancora ci si agiti se una donna si copre il volto con un burqa (spero che il termine sia corretto per indicare il velo integrale) e che si scrivano articoli, e addirittura si promulghino leggi sull'argomento. L'indignazione mi sembra fuori di ogni logica, priva di senso. Santo cielo: se certe donne vogliono nascondere il volto, bello o brutto che sia, lasciamoglielo fare. 0 forse ci si racconta davvero che siano un pericolo per la pubblica sicurezza? Non diciamo sciocchezze. L'insofferenza per il velo integrale non è dovuta, lo sappiamo, a precauzione contro il terrorismo. Fa parte di una serie di rivendicazioni da una parte, e di intolleranza dalla parte opposta, in materia religiosa. Come il crocifisso nelle scuole e la catenina con la croce intorno al collo; come i dibattiti sulle moschee e i nomi stranieri sulle insegne dei negozi.
Sappiamo che l'immigrazione e la convivenza di etnie diverse creano problemi di difficile soluzione: ma le intolleranze, invece di aiutare a risolverli, li aggravano. Purtroppo, coloro che cavalcano l'intolleranza raccolgono tanti voti e diventano politicamente forti. Ma coloro che scrivono nei giornali non sono caccia di voti. Il nostro compito è di esporre i problemi e di mettere in guardia. Spiegando, per esempio, che l'intolleranza è sempre dannosa.
Ognuno è libero di scegliere la sua religione, e di comportarsi in conformità. Le regole di certe religioni possono sembrare curiose a chi religioso non è, ma c'è libertà di culto, o almeno così si spera. Il velo integrale è certamente strano per coloro che non sono abituati a vederlo, e ammet¬
to che le ragazze col volto nascosto possono fare una certa impressione: molto meglio il velo in uso fino a qualche anno fa, e forse tuttora, in certe regioni del Nordafrica e altrove, un velo che lascia scoperta una parte del volto, e consente alle ragazze che lo portano di lanciare sguardi saet¬
tanti. Ma a ciascuno (e a ciascuna) libertà di scelta. Cristiane nude (o quasi) e musulmane coperte (dalla fronte in giù).
Diciamolo in francese: chacun (et chacune) son choix. Ciascuno (e ciascuna) a modo suo.



Il direttore risponde
Parliamo un po' dei veri «irregolari»

Avvenire, 28-05-2010
Caro direttore,
su Avvenire del 26 maggio ho letto l'interessante articolo "Immigrati-schiavi per i pomodori", sugli uomini e le donne ridotti in schiavitù nei campi del Foggiano. Giovedì 8 aprile scorso avevo visto su Rai3, a notte fonda, la puntata della trasmissione "Crash" dedicata all'"Oro Rosso". La conduttrice ed i servizi filmati hanno descritto le condizioni di lavoro di africani, romeni e oggi anche bulgari, impegnati nella provincia di Foggia per la raccolta dei pomodori. Persone buttate nei campi dall'alba al tramonto per pochi euro, talvolta senza cibo né acqua. Diritti totalmente cancellati da condizioni di lavoro non solo illegali, ma disumane. Mi sono tornati in mente i racconti di mio padre, emigrato in Venezuela negli anni 50. Mi diceva che, pur non conoscendo né il Paese, né la lingua, fu trattato sempre bene. Il datore di lavoro, pur esigendo molto dagli stranieri, bianchi o neri che fossero, garantiva loro una paga dignitosa, un alloggio decoroso e scarponi, guanti ed elmetto, i cosiddetti «dispositivi di protezione individuale» che, oggi, girando per i cantieri, non sempre gli stranieri indossano, perché non sono «informati e formati», oppure perché il loro datore di lavoro ha preferito risparmiare. Due spunti di riflessione, uno importante, l'altro meno, forse. Perché nel 2010, in Italia, uno dei Paesi del G8, trattiamo gli esseri umani come schiavi? Perché queste tramissioni non vanno in onda in una fascia oraria che non sia solo da insonni?
Antonio Di Furia
La storia dell'emigrazione italiana è lunga e intensa, e non tutte le pagine sono belle e consolanti come quella che suo padre, caro signor Di Furia, e il suo datore di lavoro venezuelano hanno contribuito a scrivere, ognuno per la propria parte, alla metà del secolo scorso. Le vicende di coloro che, per decenni e decenni tra il XIX e il XX secolo, presero le vie del mondo partendo dalle nostre terre è largamente segnata da situazioni e condizioni simili a quelle di incivile sfruttamento che purtroppo si verificano anche nella nostra Italia e che sono state al centro della denuncia contenuta nel nostro articolo (uno dei tanti sul tema) e nella trasmissione Rai che lei ricorda. Aver memoria e consapevolezza di tutto questo non diminuisce la gravità delle ingiustizie oggi perpetrate ai danni di troppi poveri immigrati, ma l'accresce. La stragrande maggioranza degli italiani ha, infatti, nella libro di famiglia - e, dunque, per così dire, nel proprio Dna - almeno un capitolo dedicato all'emigrazione di una o più persone care. Anche per me è così. E anche per questo mi sento di dire che nessuno di noi può credibilmente sostenere di ignorare il significato umano della fatica di cercare futuro oltreconfine e oltremare. La vita e il lavoro di gran parte degli immigrati in Italia sono, del resto, alla luce del sole e nelle regole. Regole che riguardano ognuno di loro esattamente come riguardano ciascuno di noi, e che aiutano a superare l'idea stessa di "loro" e "noi". Tranne che su un punto: quando parliamo di «irregolari», dobbiamo ricordare sempre che in questa categoria di «fuorilegge» molto prima di "loro", i lavoratori sfruttati, viene quella brutta parte di "noi" che si fa forte della debolezza dello straniero, e che è rappresentata da coloro che abusano brutalmente di chi lavora. La magistratura e le forze dell'ordine non vanno perciò lasciate sole sulla prima linea della legalità che, spero sia ormai chiaro a tutti, è davvero l'altra faccia dell'accoglienza. E i mass media sono effettivamente in grado di dare un buon contributo. Noi andando in edicola di buon mattino. I programmi tv - condivido la sua amarezza, gentile amico - quando possono.



Boniver sull'accordo Italia-Libia: «Una svolta nel contrasto agli sbarchi»

Avvenire, 28-05-2010
TRIPOLI. A neanche due anni dalla sua firma, il Trattato di Bengasi tra Roma e Tripoli ha impresso una «svolta» sul fronte del contrasto all'immigrazione clandestina. Lo dichiara Margherita Boniver dopo aver lasciato la capitale libica, al termine della visita del Comitato parlamentare Schegen-Europol immigrazione, di cui è presidente, con la convinzione che adesso in Libia la volontà politica di collaborare per chiudere le tratte ai flussi di disperati che si riversano sulle coste europe è concreta. Alla delegazione sono state aperte le porte del campo di raccolta di Twisha, uno dei 18 in Libia dove oggi si contano dai 2 milioni ai 2,2 milioni di immigrati. Una cifra definita da Boniver «eloquente» se si considera che la popolazione libica è di 5,5 milioni.Adesso però, ha detto Suleiman Shuhumi, presidente della Commissione esteri libica, «alla politica dei respingimenti andranno affiancati interventi nei paesi d'origine dei migranti».



«Perseguitato dall'Egitto»
Il giudice dà asilo politico all'imam del terrore

Libero, 28-05-2010
Andrea Morigi
Milano- Ottiene l'asilo politico, ma per una sola settimana, Abu Imad, l'ex imam di Viale Jenner. Oggi stesso, la Commissione nazionale per il diritto di asilo si riunìsce per revocargli il beneficio. Per lui, Arman Ahmed El Hissini Helmy, cambia poco. È nel carcere di Benevento a scontare una condanna a tre anni e otto mesi di reclusione per associazione a delinquere con finalità di terrorismo.
Pensava di farla in barba all'Italia, di utilizzare le garanzie democratiche per combatterci. Gli è andata male. Perfino il suo avvocato dice che non si aspettava la concessione del beneficio. Almeno fino a venerdì scorso, quando al suo assistito è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Era solo un atto dovuto, in realtà, esito di un'ultradecennale battaglia legale interna alle istituzioni italiane.
L'egiziano infatti aveva presentato la propria richiesta nel 1995, dopo che gli era ampiamente scaduto il visto turistico con cui era entrato in Italia nel 1993. Nel frattempo AnwarShaaban, il terrorista di Al Qaeda ucciso nel 1995 dalla polizia croata, lo aveva incaricato di prendere il controllo del centro islamico di viale Jenner. E la missione era stata compiuta, per giunta con l'ausilio di un kalashnikov, mentre si apriva il fronte della jihad con la carta bollata. Nel 1997 la Commissione per il diritto di asilo aveva respinto l'istanza di Abu Imad che era ricorso al Tar ottenendo una sentenza favorevole nel 2001. A convincere i giudici amministrativi era bastata una supposizione: il ricorrente potrebbe aver constatato l'impossibilità di rimanere in Italia e temere di essere perseguitato in Patria. Era come se non si fosse tenuto conto che, nel frattempo, sul territorio italiano, la presunta vittima propagandava la guerra santa e reclutava kamikaze da inviare in Iraq e in Afghanistan.
Solo il Viminale non si era rassegnato a rimanere con le mani in mano. Era ricorso al Consiglio di Stato, anche se senza successo. Nel 2001 arriva una conferma provvisoria della sentenza de Tar, finché nel 2005 il ricorso del ministero dell'Interno è definitivamente respinto. Apparentemente non c'è più alternativa: Abu Imad ha vinto e ce lo dobbiamo tenere qui. Ma il Viminale temporeggia fino all'ultimo momento per accogliere la decisione. Attesa premiata perché in zona Cesarmi interviene la Cassazione, rende definitiva la condanna penale di Abu Imad e, allo stesso tempo, fornisce lo strumento necessario per revocare l'asilo politico ormai obbligatorio.
È sollevato il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, che tuttavia osserva che «per l'ennesima volta una parte della magistratura si è mossa in direzione opposta al bene comune, senza giustificare il proprio operato. Ma la lotta al terrorismo funziona solo se ogni articolazione del sistema della sicurezza fa la sua parte. Se qualcuno, invece di basarsi su dati di fatto, preferisce le supposizioni, tutto il lavoro viene vanificato».
Sembrava che dovesse andare così anche stavolta. Poi ieri, all'improvviso, il quotidiano arabo al-Sharq al-Awsat rivela che Abu Imad ha ottenuto lo status di rifugiato. In Italia, quando la notizia rimbalza attraverso Aki-Adnkronos, il
mondo politico si rivolta. Il senatore Riccardo De Corata, vicesindaco di Milano, annuncia un'interrogazione al ministro dell'Interno, Roberto Maroni perché chiarisca l'accaduto: «Un rifugiato», dice, «lo dobbiamo pure mantenere». Ma il governo lo anticipa convocando per oggi la riunione del comitato per l'asilo con un punto all'ordine del giorno: cacciare Abu Imad al più presto. Altrimenti si rischia che faccia proseliti fra i detenuti. Come se non ci fossero già abbastanza terroristi islamici in giro per l'Italia, nelle carceri e a piede libero, pronti a entrare inazione.



Tre italiani fermati in India, è giallo
Due caricatori e 24 proiettili nel condizionatore di una delle stanze d'albergo che avevano occupato

La Stampa, 28-05-2010
VALERIA FRASCHETTI
NEW DELHI Tre italiani, tutti torinesi e dipendenti della società petrolifera malese Petronas, sono stati fermati dalla polizia indiana per il ritrovamento di materiale bellico in una delle stanze del Radisson Hotel di New Delhi in cui avevano alloggiato martedì. A mettere gli investigatori sulle tracce di Giulio Pometto, Giovanni Cecconello e Donato D'Angelo sono stati gli addetti alle pulizie, entrati nella camera 448 dopo che i tre avevano lasciato l'albergo. Insospettiti dal ronzio proveniente dal condizionatore d'aria, avrebbero chiamato un tecnico per verificare la presenza di un guasto. Con l'apertura dell'impianto, nel condotto sono stati trovati 24 proiettili e due caricatori smontati. «Materiale di produzione della svizzera Sig», secondo la squadra criminale di New Delhi. L'agenzia di stampa indiana ANI parla anche di due pistole Mauser.
Le munizioni sono per armi di calibro superiore a quello consentito per uso civile dalle leggi indiane. Pertanto, con il sospetto di possesso di materiale bellico, ieri notte sono scattati gli ordini di fermo per i tre italiani che lavorano nella sede nazionale della Petronas, a Villastellone, nel torinese. Giulio Pometto, 52 anni, è stato catturato all'aeroporto di Mumbai, poco prima che si imbarcasse sul volo per l'Italia. Cecconello e D'Angelo, rispettivamente di 45 e 43 anni, sono stati fermati a duecento chilometri, nella città di Pune. Insieme con loro sono stati arrestati anche due cittadini indiani, Balraj Singh Rajendra Suri e Rajesh Ramesh Shetye, che lavorerebbero per la stessa compagnia petrolifera Petronas.
Una fonte diplomatica dell'ambasciata italiana ha dichiarato che i tre connazionali «stanno bene» e sono assistiti legalmente. In India stavano seguendo la realizzazione di alcuni impianti della Petronas, nota per la costruzione delle «Petronas Twin Towers» di Kuala Lumpur e le sponsorizzazioni in Formula 1.
Squadre speciali dell'antiterrorismo hanno perquisito l'Hotel Radisson e interrogato lo staff dell'albergo. Nonostante il personale abbia ricevuto l'ordine di non commentare la vicenda, un'indiscrezione è emersa. Secondo le agenzie di stampa locali, al momento dell'arrivo degli italiani nell'hotel lo scanner all'ingresso avrebbe individuato, nella borsa del computer portatile di uno dei tre, tracce dei materiali poi ritrovati     nel     condizionatore d'aria. Se confermato, quest'elemento non solo renderebbe i sospetti sugli italiani più consistenti, ma dimostrerebbe la negligenza dei controlli di sicurezza negli alberghi di lusso, diventati all'apparenza molto rigorosi dopo gli attentati di Mumbai del 2008.
Proprio a Mumbai il console italiano Giampaolo Cutillo sta aspettando di incontrare la polizia per capire «quali siano i reali elementi esistenti». Ovvero, se ci sono gli estremi per trasformare i fermi in arresti. Qualora ci fossero, i tre sarebbero trasferiti a New Delhi, dove il caso è seguito.



IL DOVERE  DELL'ACCOGLIENZA

la Repubblica, 28-05-2010
DIONIGI TETTAMANZI

Vi è un'icona evocativa da cui vorrei partire per questa mia riflessione sull'ospitalità. Un'icona che illustra bene anche l'etimologia del nostro vocabolo ospite, che deriva da due radici delle lingue indoeuro¬pee: la radice hos/hostowero «pellegrino, forestiero» e la radice pa-Ipaticioè «sostenere, proteggere». L'ospite sarebbe dunque «colui che sostiene o dà da mangiare ai pellegrini, ai forestieri».
L'ospitalità di Abramo
L'icona biblica che ci svela il senso profondo e insieme originale e affascinante dell'ospitalita si trova nel capitoloXVIII di Genesi, do¬ve Abramo viene presentato nella sua generosità di ospite (Gn 18,1-8).
Nell'ora più calda del giorno Abramo vede passare tre personaggi sconosciuti. Corre loro incontro, si prostra e li accoglie con tutte le premure nella sua tenda.
Dal momento che i tre acconsentono di fermarsi da lui, Abramo organizza l'ospitalità. Alla moglie Sara dà ordini di cuocere il pane, all'armento corre egli stesso e prepara un vitello prelibato che offre agli ospiti con panna e latte fresco.
Dopo aver mangiato, il personaggio - che rimane senza nome -fa questa promessa ad Abramo: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Quel figlio dovrà essere chiamato Isacco.
La singolarità e la bellezza della pagina di Genesi stanno proprio nell'incontro, nella fusione di questi due motivi: l'ospitalità e la promessa di un figlio, l'accoglienza dell'altro e il dono che si riceve, come a dire che la "fecondità" è il frutto dell'ospitalità.
I due motivi e il loro intrecciarsi avranno una singolare eco nel seguito della rivelazione biblica, giungendo sino alla loro straordinaria interpretazione cristologica: con l'ospitalità il discepoloe in un certo senso ogni uomo-accoglie Cristo stessa.
E' quanto afferma il vangelo di Giovanni: «Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglierne, accoglie colui che mi ha mandato» [Gv 13,20). E, prendendo come esempio il "nulla" in cui era considerato il bambino piccolo nella cultura di quel tempo, il vangelo di Marco afferma: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome,accoglieme;echi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,37).
A questo punto possono sorge¬re molte domande: come questi e tantissimi altri riferimenti alle Scritture possono rispondere alle problematiche dell'ospitalità che tanto inquietano e impegnano oggi la nostra società e i nostri territori?
Sono consapevole della vastità e della complessità del fenomeno dell'immigrazione oggi, che genera non pochi problemi di ordine pubblico, di risorse, di integrazione... Mi domando: sta davvero qui il cuore della questione? Per la nostra società gli immigrati sono un problema solo perché sono troppi? Oppure ci fanno paura in quanto " stranieri"? Confessiamolo: quanti italiani teniamo ai margini perché in qualche modo " stranieri", diversi da noi? Penso ai malati gravi, ai carcerati, ai barboni, ai portatori di handicap, agli anziani... Circa queste persone la Bibbia ha una parola preziosa e ci aiuta ad andare alla radice: l'immigrato è per noi un problema perché è uno "straniero"!
Una lettura più penetrante delle sacre Scritture ci sospinge nello spazio della coscienza morale, dell'ethos inteso come intenzionalità, sentimento, adesione alla verità e ai valori veramente e pienamente umani. E' a questo livello più profondo e più personale e personalizzante che ci rimandano le Scritture e così esse diventano, anche per noi oggi, un richiamo originale e forte alla "norma fondamentale", quella che sta alla base di tutti i comportamenti di una ospitalità che vuole e deve essere coerente con la persona umana.
Questa norma riposa: 1) sulla dignità personale di tutti gli esseri umani e di ciascuno di essi, dappertutto e sempre; 2) sulla relazionalità come DNA strutturale-dinamico-finalistico della persona, quale "io" aperto al "tu" nel duplice senso dell'essere "con" e "per" l'altro;3) sulla moralità secondo le esigenze della giustizia e della carità.
Una simile norma trova la sua illuminazione compiuta nella rinnovata lettura che proviene dalla rivelazione biblica e dalla fede cristiana: la dignità personale è quella propria della persona come "immagine di Dio"; la relazionalità interpersonale si radica e fruttifica sulla comunione che esiste in Dio, nel mistero della sua Unità e Trinità; la moralità è quella che riposa sulla "carità", sulla partecipazione cioè mediante lo Spirito all'amore stesso che Dio in Cristo ha per noi.
E' con questa "anima" che siamo chiamati a costruire una società ospitale, ossia aperta, accogliente, disponibile al dono, armonica nelle diversità, capace di fraternità e di amicizia, solidale, civile, veramente e pienamente democratica.
Il migrante
Come mai oggi non avviene più questo prodigio: che un viaggiatore che giunge da lontano, come Ulisse ai piedi di Nausicaa (Odissea VI, 201-222), si trasformi in un prossimo che ha bisogno di aiuto e per il quale si diventa subito ospiti, ovvero «sostegno dei forestieri»?
Vi fu un tempo in cui il viaggiatore tormentato dalla sorte, il naufrago appeso ai resti di una imbarcazione, suscitava pietà, curiosità, accoglienza... Per rimanere ancora nell'ambito delle Scritture vorrei ricordare il tragico naufragio dell'apostolo Paolo e dei suoi compagni di viaggio, che si concluse con un gesto di grande ospitalità da parte della gente di Malta.
Nella cultura antica, il forestiero e l'ospite diventavano subito un prossimo che ha bisogni concreti: dargli una mano voleva dire muovere subito le mani in suo aiuto. Il viaggiatore giungeva sì da lontano, ma si trasformava subito in vicino: oggi questo "prodigio" non avviene più.
Anche l'Italia, guardando alla storia degli ultimi anni, fino a poco tempo fa accoglieva gli stranieri più da visitatori che da immigranti. La diversità destava stupore e permetteva di imparare qualcosa di nuovo.
Oggi gli immigranti giungono per mare su imbarcazioni che sono praticamente relitti. Tuttavia, vengono sempre meno percepiti come viaggiatori e sempre più come invasori. Con la nuova immigrazione l'Occidente, che temeva di divenire apatico dopo la fine delle ideologie e la scomparsa del
Muro di Berlino, ha scoperto il centro emotivo di una nuova politica e una ragione per edificare nuovi muri.
Muri vecchi e nuovi
È davvero strano che il nostro tempo tecnologico segni il primato delle spese legate all'immigrazione per una realtà inventata ancor prima della scrittura: il muro. Sì, il muro!
È interessante che, mentre nel mondo di internet, nei social network non esistono barriere che
impediscono l'incontro e la relazione virtuale tra persone di etnie e culture differenti, nel mondo reale si costruiscono dei muri per ìmpedire ai vicini di incontrarsi.
I muri creano separazioni non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Non solo nella geografia, ma anche nella storia. Ma soprattutto il muro non solo «chiude fuori» il forestiero e il meno fortunato, il muro «chiude dentro» il privilegiato e lo condanna all'asfissia. Proprio come l'avaro, che muore d'inedia per non consumare a
vantaggio di tutti e anche a vantaggio proprio quei beni che possiede. Quanto è vero ciò che diceva Hans Magnus Enzensberger (1929): «Quanto più un paese costruisce barriere per "difendere i propri valori", tanto meno valori avrà da difendere».
Distanza del prossimo, vicinanza del lontano
Gesù chiede di dilatare a tutti l'atteggiamento dell'inclusione e amplia questo principio sino all'estremo. Infatti, a quel dottore della Legge che voleva giustificarsi: «E chi è mai il mio prossimo?», egli -dopo aver raccontato la parabola del buon Samaritano -, conclude: «Sii tu il prossimo di chi incontri» (Lc 10,29-37).
Così ai tempi di Gesù, così anche ai nostri giorni. Con gioia possiamo rilevare che sono molti quelli che si impegnano nelle più diverse forme di aiuto per gli altri. C'è però il rischio di un fraintendimento nel nostro modo di impegnarci per gli altri. Siamo molto coinvolti e commossi per quanto i media ci fanno ascoltare o vedere e siamo disposti ad aiutare le sfortunate vittime di una qualche catastrofe. Ma la notizia diventa presto una semplice «informazione» e velocemente invecchia. Il punto allora è quello di mantenere «cal¬do» il coinvolgimento emotivo insieme al coraggio di decisioni mo-rali capaci di trasformare la nostra vita nel quotidiano. Si tratta di riconoscere nella persona viva che mi si fa incontro il prossimo da aiutare. La tentazione cui siamo oggi esposti è quella dì distanziare il prossimo rendendolo "lontano" e di avvicinare il lontano rendendolo "prossimo" solo emotivamente, fintanto che egli non diventi davvero un insopportabile "vicino".
E' perlomeno antistorico nel terzo millennio pensare di interrompere la libera comunicazione e lo spostamento delle persone. I nostri giovani, viaggiando, arricchiscono la loro cultura e l'esperienza di vita, sempre più considerano il mondo loro casa. E noi oggi vogliamo costruire argini al migrare delle persone?
In particolare i flussi di stranieri che bussano alle porte delle società occidentali sono mossi soprattutto dalla povertà e dalla persecuzione politica. Cosa capiterà-provo ad immaginare - quando non saranno più gli immigrati poveri a bussare alle nostre porte? Cosa capiterà quando saranno tra noi molti immigrati in condizione di "forza" (lavorativa, economica, culturale, scientifica...) e ci chiederanno di confrontarci con loro? Corriamo il rischio di smarrirci nella nostra identità se non ci educhiamo al confronto, al dialogo, alla relazione profonda con lo "straniero".
E' tempo di vivere sempre più le nostre radici cristiane: quando so-no autenticamente nutrite dalla sapienza biblica ci sospingono a vedere l'altro come risorsa e dono e ci rendono capaci di affrontare
anche i non piccoli problemi che ogni confronto porta con sé.
Desidero concludere queste mie riflessioni invitando all'ascolto della parola del papa Benedetto XVI che rientra nel breve discorso all'Angelus del 10 gennaio di quest'anno. Ricordando "il caso della condizione dei migranti, che cercano una vita migliore in paesi che hanno bisogno, per diversi motivi,
della loro presenza", il Santo Padre ci richiama ad alcune consapevolezze e responsabilità fondamentali: "Bisogna ripartire dal cuore del problema!.Bisogna rìpartire dal significato della persona! Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell'ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell'ambito delle condizioni concrete di vita.
La violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano! Invito a guardare il volto dell'altro e a scoprire che egli ha un'anima, una storia e una vita e che Dio lo ama come ama me".






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