Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 aprile 2015

POLVERIERA IMMIGRATI
Panorama, 30-04-2015
Marco Cobianchi
L'unico fuori dal coro è Felice Casson, candidato sindaco di Venezia per il Pd, che a Panorama dice: «Princìpi costituzionali ed etici ci impongono dí esercitare la virtù della solidarietà accogliendo queste persone, meglio se in strutture piccole e diffuse».
Ma se si attraversa l`Italia degli amministratori locali e si pone la domanda: «Lei è disposto ad accogliere altri immigrati oltre a quelli che il suo territorio già accoglie?», la risposta è una sinfonia di distinguo, un concerto di «non ora» e degli assoli di «no», in perfetta sintonia con i risultati del sondaggio di Panorama (vedere la pagina a destra). Secondo Euromedia Research il 60,3 per cento degli italiani pensa che ì migranti che sbarcano in questi giorni sulle nostre coste andranno a ingrossare le fila della criminalità. Sempre la stragrande maggioranza degli italiani, il 67,3 per cento, non darebbe la sua seconda casa per ospitare gli immigrati. E, soprattutto, quasi sette italiani su dieci (nonostante i toni trionfalistici di Matteo Renzi) sentono che l`Europa ci ha lasciati soli a gestire l`emergenza.
Se i risultati del sondaggio possono essere letti come una rappresentazione dell`Italia razzista, intollerante e xenofoba, allora lo sono anche le posizioni degli amministratori locali, compresi quelli del Pd, che hanno a che fare tutti i giorni con l`emergenza. Una prova? Carmelo Stanziola, sindaco Pd del comune di Centola (Salerno) che comprende la frazione di Palinuro dove c`è un centro di accoglienza della Caritas teatro nel 2014 di risse e rivolte, attacca: «Sono andato in Prefettura a dire che se provano a mandarmi anche un solo immigrato in più di quelli che già accogliamo, sarò costretto a reagire. Non farò come il mio predecessore, che ne accolse 120-130: non possiamo riempirci d`immigrati che passeggiano per le strade in attesa che qualcuno gli dia una giornata di lavoro. Noi siamo una località turistica».
Idem Elisabetta Tripodi, sindaco pd di Rosarno, il piccolo comune in provincia di Reggio Calabria dove nel 2010 una clamorosa rivolta d`immigrati sbattè in faccia agli italiani un problema che non si voleva vedere. Qui c`è una struttura d`accoglienza che ospita 150-160 persone ma a pochi chilometri, a San Ferdinando, Comune sciolto per mafia, una tendopoli ne ospita un migliaio, praticamente un campo profughi. «In inverno arriviamo a 2mila immigrati, siamo già al limite» spiega Tripodi. «Io li capisco i sindaci del Pd che dicono no: non si può dire porte aperte a tutti. Li capisco perché lo Stato non c`è e lascia a noi sindaci l`onere di gestire un`emergenza epocale, e contemporaneamente ci taglia il bilancio».
«No, fa peggio» replica Federico Piccitto, sindaco pentastellato di Ragusa, «provoca il razzismo degli italiani. Faccio un esempio: se a Pozzallo sbarca un minore, per legge, lo devo prendere in carico io come Comune, spendendo 60-70 euro al giorno. Ma io quei soldi non li ho e se li avessi e li spendessi per quel minore i miei concittadini direbbero che mi occupo più dei migranti che degli italiani. E avrebbero ragione».
Pozzallo è un piccolo Comune in provincia di Ragusa ed è il Sud del Sud del Sud. Qui c`è un centro di accoglienza, un altro è lì vicino, a Comiso, e intorno altre 4 o 5 strutture «tutte al collasso da anni», spiega Piccitto. «Il nostro centro», conferma il sindaco Pd di Pozzallo Luigi Ammatuna, «è collaudato per ospitare 180 persone, ma spesso arrivano a mille e ogni anno ne transitano 30 mila e nonostante questo la popolazione reagisce bene ma» aggiunge subito «ospitare altre persone è impossibile». Parla da leghista? «La differenza tra noi e loro sa qual è? Un giorno mi ha avvicinato un anziano e, indicando le panchine del porto tutte occupate da immigrati, mi chiede di aggiungere altre panchine così si può sedere anche lui. Un leghista mi avrebbe chiesto di farli sloggiare e basta». Anche per gli stessi servitori dello Stato, il problema è lo Stato. Massimo Lupo è il rappresentante del sindacato di Polizia Coisp di Crotone dove, a Isola Capo Rizzuto (scontri, tafferugli, rivolte e risse per tutto il 2014) c`è un centro di accoglienza, il Sant`Anna, fondato addirittura 18 anni fa: «Ma già allora dicevamo che non c`era sicurezza degli operatori che lavoravano all`interno», avverte. E oggi che ne ospita tra i 1.500 e i 1.600 «ogni settimana c`è una rissa che solo per miracolo non si trasforma in tragedia». E la città come reagisce? «È stata colonizzata». Ma per capire davvero l`aria che si respira bisogna andare a Tor Sapienza, periferia di Roma che, con quattro centri d`accoglienza per immigrati, un paio di campi rom nel quartiere e un paio nel circondario, è diventato un pezzo di Italia dove gli italiani si sentono ospiti. Il meno esagitato dei componenti del Comitato cittadino che si oppone alla presenza di migranti e rom, Roberto Torre, è imbufalito, soprattutto se lo si provoca ricordandogli che il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, ha chiesto a tutti i prefetti di trovare immediatamente altri 6.500 alloggi.
«Con tutta l`umanità possibile e con tutto il rispetto per gli immigrati, a Tor Sapienza non c`è posto. Siamo saturi» dice Torre con voce calma. «Pochi giorni fa mi ha chiamato la Protezione civile e mi ha detto che c`è un allarme scabbia; la sera il quartiere continua a essere in mano a ubriachi, scippat ori e drogati. Settimana scorsa a un anziano hanno frantumato una mascella per rubargli 10 euro. Vuol sapere la storia della stazione di Tor Vergata? Nel 2011 è stata saccheggiata, sei mesi fa le Ferrovie hanno finito di ristrutturarla e dopo due giorni l`hanno saccheggiata di nuovo portando via tutto: cavi elettrici, chilometri di rame, lampade, i pannelli delle scale mobili. Le Ferrovie ci hanno detto che non hanno alcuna intenzione di spendere altri soldi per rimetterla a posto, anzi, stanno pensando di chiuderla».
Saliamo verso nord. Mantova ospita 300 immigrati e oggi il candidato sindaco Pd, Mattia Palazzi, vorrebbe toglierli dagli alberghi e «affittare piccoli appartamenti da usare anche per gli italiani in difficoltà» in modo da distribuirli ed evitare la concentrazione in un solo luogo. Ma se gli si chiede se la città sarebbe disposta ad accoglierne ancora, la risposta è esattamente quella dei sindaci del Sud: «No, sono già troppi». Distribuire gli immigrati sembra essere la ricetta del nord per affrontare l`emergenza. È questione di matematica. «In Regione ci sono 579 comuni» spiega Mirco Gastaldon, per dieci anni sindaco di Cadoneghe ín provincia di Padova e ora candidato del Pd alla Regione Veneto, «se si procedesse con un progetto di accoglienza diffusa, ogni comune ne ospiterebbe 2 o 3 e non ci sarebbero problemi».
Facile? No, impossibile. «Perché se í Comuni vicini dicono no» ribatte Francesco Vezzaro, sindaco dell`adiacente Comune di Vigodarzere, «poi finisce che tutti quelli che sono da sistemare li danno a me, e io non voglio fare la fine del vaso di coccio: o diciamo tutti sì o finisce che mi riempiono dí ímmígratí. A questo gioco io non ci sto».
In Veneto l`allarme è ai massimi livelli perché il 24 aprile la prefettura di Verona ha pubblicato un bando per trovare 1.080 nuovi alloggi (al costo di 35 euro al giorno) e una settimana fa il viceprefetto ha fatto visita alla ex caserma di Vigodarzere che il sindaco Vezzaro vorrebbe trasformare in sede per Carabinieri, Protezione civile e varie associazioni. «Non provino a riempirla di immigrati» minaccia allineandosi alla quintessenza del leghismo regionale, il governatore Luca Zaia, che ha escluso l`uso di caserme dismesse. Inutile dire che anche per Zaia «nuovi immigrati» sono inaccettabili, mentre il Friuli Venezia Giulia governato da Debora Serracchiani, vicesegretario Pd, è sospeso tra un timido sì e un risoluto no. Il primo è rappresentato da 34 (su 212) Comuni che accetterebbero nuovi ospiti, il secondo è rappresentato dall`assessore regionale alla Solidarietà Gianni Torrenti che ha fissato in 1.600-1.800 unità il massimo di persone che la Regione può ospitare, la quale Regione oggi ne ospita (per l`appunto) 1.600-1.800.
Perfino le associazioni che si occupano di assistenza ai migranti sono allarmate. Alberto Sinigallia è il presidente della Fondazione progetto Arca che a Milano ospita 275 migranti. I numeri di Sinigallia sono impressionanti: «L`anno scorso sono sbarcate in Italia 150 mila persone, 26 mila delle quali sono passate dal nostro centro. Milano oggi ospita 800 rifugiati politici e qualche migliaio di senza dimora. La città non può accoglierne più di così». L`assessore alle politiche sociali del Comune, Pierfrancesco Majorino, snocciola cifre che, dice, «rendono orgogliosa la città: 58 mila assistiti, 14 mila minori, una rete della Carítas straordinaria, ma...». Ma? «Oggettivamente non abbiamo più posto».
Se perfino un componente della giunta più boldrinaniana d`Italia, quella del sindaco Giuliano Pisapia, giura che «non c`è più posto», allora alla prossima emergenza profughi l`Italia si troverà, davvero, totalmente impreparata.



EUROPA E IMMIGRATI: 10 PUNTI PER CAPIRE
Regolari, clandestini, profughi: così Bruxelles cerca di controllare un fenomeno che riguarda più di 33 milioni di persone. Panorama, 30-04-2015
Anna Maria Angelone
 1 UE ED EXTRA-UE: QUANTI SIAMO?
La popolazione dei 28 Paesi Ue conta oltre 505 milioni di abitanti. I cittadini extra-Ue sono circa 20 milioni, pari al 4 per cento del totale. Le comunità maggiori sono quelle turca (oltre 1,9 milioni di residenti) e marocchina (1,5 milioni). Ma, negli arrivi degli ultimi anni, dominano i cinesi.
 2 CHI ENTRA REGOLARMENTE...
Esistono poi almeno due tipi di arrivi: i migranti per motivi economici e i richiedenti asilo da Paesi in guerra o per altre ragioni (vedi punto 4). Stando ai dati Eurostat, nel 2013 i permessi concessi a cittadini extra-Ue per ricongiungimenti familiari risultavano 6.918.229, quelli per motivi di lavoro 3.115.869, i soggiorni per studio 1.104.243.
 3...E CHI DA CLANDESTINO
Secondo i dati Eurostat, al 31 dicembre 2014 i cittadini irregolari su suolo europeo sono stati 547.335: 128.290 in Germania, 96.375 in Francia, 73.670 in Grecia, 47.885 in Spagna e 25.300 in Italia. Alla stessa data, era stato rifiutato l`ingresso al confine a 260.375 migranti. In questo caso, è la Spagna ad aver attuato più respingimenti: 172.185. E per il 2015? Nello studio The changing face of migration flows, Stefano Bertozzi, senior adviser alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha analizzato gli attraversamenti illegali della frontiera Ue registrati nei primi due mesi di quest`anno: ebbene, rispetto allo stesso bimestre del 2014, sono cresciuti di oltre il 40 per cento nel Mediterraneo centrale, del 123 al confine marittimo fra Turchia e Grecia, del 160 alla frontiera terrestre turco-bulgara e di un astronomico 990 per cento nella rotta dei Balcani occidentali: 26.647 clandestini. Per lo più kosovari, diretti in Germania e Ungheria.
 4 LA SIRIA E LA LIBIA, EMERGENZE INGESTIBILI
La crisi umanitaria in Siria è la più grande dopo la seconda guerra mondiale. Un`emergenza eccezionale ed esplosiva. Secondo l`Unhcr, l`agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, al 7 aprile 2015 i siriani ospiti nei Paesi vicini (in attesa di rientrare nelle loro case) sono saliti a 3.961.704 milioni: più di 1,7 milioni sono in Turchia, circa 1,2 milioni in Libano, 628 mila in Giordania, 247 mila in Iraq, 158 mila nei Paesi nordafricani. Ma le stime Onu parlano di altri 12
 milioni di siriani bisognosi di aiuti dentro il Paese. E la Libia senza soluzione politica è altra benzina sul fuoco.
 5 TANTI ESULI VERSO POCHI PAESI
Le richieste di asilo nell`Ue sono salite a 626.710 al 31 dicembre 2014. In testa ci sono la Germania, che ne ha ricevute 202.815 e la Svezia con 81.325. Seguono Italia e Francia (rispettivamente 64.625 e 64.310) e Regno Unito (31.945). Da soli, questi cinque Paesi Ue sostengono il peso del 71 per cento dei profughi. Siriani, russi e afgani. Quanti hanno i requisiti? Su 358.950 domande esaminate ne sono state accolte in primo grado 161.020 ovvero il 44,8 per cento. Anche in questo caso sono la Germania e la Svezia ad aver contribuito di più (40.560 e 30.650). Ma, al terzo posto, c`è l`Italia con 20.580 esiti favorevoli.
 6 CAMBIARE DI NUOVO LE REGOLE DELL`ASILO?
Il principio base per i richiedenti asilo è che si presenta la domanda nel Paese Ue ín cui si entra (regolamento Dublino III). Questa modifica è stata introdotta nel 2013 per evitare il cosiddetto «asilo shopping» che si verificava in passato, quando gli extra-Ue facevano richiesta di asilo in più di un Paese e, se rifiutati da uno, si rivolgevano altrove. Per questo, il meccanismo prevede l`identificazione dei migranti (anche attraverso le impronte digitali nell`archivio Eurodac). Quindi, chi oggi arriva via mare si trova costretto a chiedere asilo nella costa di approdo, pur volendo andare altrove. E c`è chi torna a ipotizzare una nuova riforma.
 7 LA STRETTA SUI VISTI AIUTA I TRAFFICANTI?
La maggioranza dei clandestini è arrivata nell`Ue via terra o a bordo di un aereo. Si calcola che gli arrivi dal mare siano il 10-12 per cento del totale. Per il resto, gli extra-Ue atterrano in uno degli scali europei con un normale visto turistico ma, dopo í 90 giorni, non tornano indietro. Per contrastare i cosiddetti «overstayer», l`Ue ha ristretto la politica dei visti. Di conseguenza, molti africani - provenienti da aree in guerra o sprovvisti di visto - pagano costosi passaggi su una carretta invece di un biglietto aereo. E i trafficanti lucrano: Frontex stima che il profitto netto per un barcone da 400 migranti sia di un milione di euro.
 8 A STOCCOLMA O A BERLINO
Pur essendosi dotata di un sistema comune di asilo, l`Ue attua ancora politiche molto diverse a livello nazionale. Anche per questo i profughi puntano su alcune destinazioni. Germania, Svezia e Regno Unito sono stati, nel passato, i Paesi più generosi garantendo agli esuli vitto, alloggio e un inserimento nel lavoro. Oggi, in teoria, queste regole si applicano a tutta l`Ue. Ma non tutti i Paesi sono ìn grado di attuarle. Chi riesce a velocizzare le decisioni sull`asilo (entro 6-12 settimane) e dotarsi di buona capacità ricettiva ha meno problemi. Come, per esempio, la Germania che ha dato ai Lànder (d`intesa con i Comuni) il compito di gestire e dislocare gli arrivi, anche facendosi garante per l`affitto delle abitazioni.
 9 QUANTI SOLDI DALLA UE?
Due sono i fondi europei espressamente dedicati Ila gestione di asilo e immigrazione. Per il periodo 2014-2020, l`Ue ha stanziato 3,1 miliardi di euro per il primo e 3,8 per la seconda, ovvero 6,9 miliardi in tutto (meno di un miliardo all`anno). L`assegnazione per Paese, però, vede in testa alla classifica proprio l`Italia (524 milioni di euro) seguita da Spagna (507 milioni) e Grecia (447). A questi si aggiungono gli stanziamenti per Frontex (vedi punto 10) e il budget di Triton, salito da 3 a 9 milioni di euro.
 10 FRONTEX, AGENZIA INCOMPIUTA
La Ue conta 7.702 chilometri di confine terrestre, 41.915 chilometri di coste e 644 aeroporti. Un`area troppo vasta per il budget di Frontex (98 milioni nel 2014, metà usati per le attività operative). L`agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne ha le armi spuntate, visto che agisce sulle regole d`ingaggio del Paese teatro della missione. Panorama ha calcolato che dal 2006, anno del primo intervento, ha compiuto 35 operazioni congiunte negli aeroporti, 58 alle frontiere di terra, 59 in mare, con 184 voli di rimpatrio..



Sbarchi, la soluzione c'è ma costa
Avvenire, 30-04-2015
Riccardo Redaelli
Dire la verità. Non facile e, si crede spesso, neppure utile in politica, soprattutto se vi sono delle elezioni alle porte e il tema è di quelli che agitano le opinioni pubbliche. Così, stretti fra l’arrivo continuo di migranti e le periodiche stragi in mare, politici e governanti danno in pasto a un continente europeo sempre più incline ad ascoltare populisti e xenofobi slogan di facile presa. Ecco quindi l’idea di un «blocco navale», che evoca la costruzione di un rassicurante «muro» lungo il Mediterraneo a protezione della fortezza Europa, o la geniale trovata di «bombardare le navi degli scafisti».
Soluzioni così agevoli da chiedersi perché non siano state adottate prima. Peccato che, se le si analizza da un punto di vista tecnico, più che semplici queste sembrino bugiarde. Slogan elettorali e poco più. I primi a frenare, lo si legge nelle interviste di questi giorni, sono proprio i militari. Perché sanno bene che per creare un blocco navale lungo migliaia di chilometri di costa, con litorali bassi come quelli libici che permettono di prendere il mare senza passare dai porti, occorrono decine di navi. Un ammiraglio ha fatto un calcolo approssimativo di 150 unità navali, necessarie per poterne schierare 50 in prima linea continuativamente. Soprattutto, non si capisce quali siano le regole di condotta delle nostre marine: bloccare le navi e rimorchiarle lungo le coste provocherebbe infatti naufragi a ripetizione, dato che ci si confronta con imbarcazioni fatiscenti e stracariche, con nuove stragi e continui salvataggi d’emergenza.
Oltre a presentare dubbi profili di legalità internazionale, dato che ributterebbe nelle mani di criminali schiavisti decine di migliaia di profughi e migranti che hanno già pagato il viaggio e che quindi non sono più utili ai loro aguzzini. Quanto ai bombardamenti delle imbarcazioni, sappiamo tutti che si ridurrebbero a una partita a rimpiattino, possibile solo con la presenza attiva di nostri uomini sul campo per individuare gli obiettivi. La verità è che bisognerebbe essere intellettualmente onesti e spiegare a questo continente europeo terrorizzato ormai da ogni cambiamento della storia - ossia il modo peggiore di vivere il cambiamento inevitabile - che dinanzi a problemi complessi occorre dare risposte complesse. Per dirla in modo tecnico, bisognerebbe pensare a una gigantesca Peacebuilding Hybrid Operation di Human Security.
Definizione indigesta, non riducile a un slogan a effetto e che, dunque, non aiuta a catturare i consensi, ma che rappresenta probabilmente l’unico modo serio di affrontare il problema. Si tratterebbe di una operazione prolungata di costruzione di condizioni di pace (peacebuilding), «ibrida», perché svolta da enti e istituzioni diverse, mettendo a matrice obiettivi differenti, e tesa a raggiungere una "sicurezza umana", ossia che metta al centro la tutela delle popolazioni e non solo quella delle frontiere. Beninteso, di tutte le popolazioni: sia quelle che migrano, sia quelle che si trovano a subire gli arrivi incessanti (anche negare che questo sia un problema non facilita la soluzione, anzi, rischia di aizzare gli istinti peggiori dei cittadini).
Tradotto in iniziative concrete, significa innanzitutto guardare al problema in modo olistico, non concentrandosi solo sugli effetti finali: quindi non cercare di bloccare centinaia di migliaia (e nei decenni prossimi probabilmente di più) di persone che cercano di sfuggire da una vita senza speranze nell’ultima parte del loro tragico viaggio, ma intervenendo in ogni "fase" della migrazione, partendo dalle cause. L’Africa sub-sahariana è squassata da decenni da crisi di ogni tipo; in particolare oggi dilaga una follia omicida legata a una visione jihadista dell’islam, si tratti delle bande degli al-shabaab somali o degli altrettanto truci assassini e rapitori di Boko Haram.
Contro di essi e contro la situazione di degrado politico, sociale ed economico di quella regione la società internazionale ha fatto e sta facendo troppo poco. Se bisogna mostrare i muscoli e usare le armi (una scelta estrema, che da sola non è mai sufficiente, ma che a volte a precise condizioni – come quelle richiamate, ieri, proprio su "Avvenire" dal teologo moralista don Mauro Cozzoli – è ineludibile), è qui che bisogna farlo, agendo con efficacia e maggiore determinazione contro questi movimenti criminali.
E bisogna nello stesso tempo rilanciare l’impegno per una cooperazione allo sviluppo più mirata, per ridurre fame, povertà estrema, degrado, mancanza di opportunità, cercando nel contempo di agire su quelle storture dell’economia internazionale che hanno favorito uno "sviluppo non-sostenibile" e un sistema economico-finanziario spesso punitivo per il continente africano. Il che significa anche mettere mano al portafogli, incrementando le risorse per gli aiuti allo sviluppo, e adottare modelli economico-finanziari più bilanciati. Rafforzando, nel contempo, le attività di aiuto d’emergenza e incrementando le capacità di "screening" dei rifugiati da parte di agenzie ad-hoc delle Nazioni Unite (come l’Acnur, Alto commissariato per i rifugiati, che svolge, quando può, un lavoro encomiabile).
Nello stesso tempo vanno coinvolte maggiormente le autorità nazionali e locali dei Paesi attraverso cui i migranti viaggiano, spesso in condizioni di rischio estremo o nelle mani di gruppi criminali che fanno dei traffici illeciti (la droga che viene dall’America Latina, le armi, la benzina, gli esseri umani, e ogni altro bene commerciabile) il loro business. Significa aumentare lo sforzo per il controllo delle frontiere nel deserto del Sahara, in particolare di quelle libiche, ora inghiottite dal marasma dell’anarchia di quel Paese.
Subito dopo la caduta di Gheddafi erano stati fatti piani per metterle in sicurezza: tecnologia occidentale (radar, satelliti, droni), a sostegno di forze militari nazionali e con il coinvolgimento indispensabile delle tribù locali, in particolare dei Tuareg. Bisogna ripartire da lì, mettendo ogni attore dinanzi alle proprie responsabilità: noi occidentali per aver gestito in modo pessimo il dopo-guerra, le milizie libiche che hanno preferito distruggere il Paese piuttosto che trovare un accordo, le tribù locali. Le quali, da che mondo e mondo, praticano il contrabbando e altre attività illecite. Dobbiamo agire presso di loro per far capire che certe cose le possono anche fare (il contrabbando locale di certe merci), altre no (il traffico di droga e soprattutto di esseri umani). E che siamo disposti a "inserirli" (leggi: pagarli) per un’attività di controllo e sostegno alla lotta allo schiavismo, così come la Comunità internazionale sarà pronta a punirli se faranno il contrario.
Ma è fondamentale agire con decisione per evitare la frammentazione statuale e l’anarchia, che è la pre-condizione per il dilagare di questa piaga. Non possiamo arrenderci all’idea di una Libia come buco nero geopolitico, vanno quindi sostenuti gli sforzi Onu per arrivare a un governo di unità nazionale. Ma dobbiamo anche far arrivare un messaggio chiaro alle milizie che si ingrassano con il traffico di esseri umani (quelle islamiste in primis, ma non solo loro): sappiamo bene quello che stanno facendo; se vogliono essere considerate come degli interlocutori legittimi della Comunità internazionale, tutto ciò deve cessare.
Nel 2012 erano stati avviati programmi di re-training (riaddestramento e recupero alla legalità) dei miliziani libici, poi naufragati insieme al paese. Un accordo interno ne favorirà la ripresa, ma facendo capire con chiarezza che l’ambiguità non sarà tollerata e, in ogni caso, non pagherà. Questo "progetto ibrido" suona ambizioso? Senza dubbio lo è. Costoso? Certo. Elettoralmente sconveniente? Probabilmente sì, almeno all’inizio. Ma è altrettanto probabile che le opinioni pubbliche, a poco a poco, capiscano. Anche perché l’alternativa è continuare a illudersi che esistano soluzioni semplici a un problema difficile e complesso. E, allo stesso tempo, continuare a contare gli sbarchi, i morti o a leggere sui "post" dei social network chi inneggia alle stragi del mare. Rinunciando a essere cittadini maturi nel primo caso, e svilendo la nostra dignità umana nel secondo.



«MA NOI SIAMO PRONTI A PRENDERNE 2 MILA»
Il governatore pd della Basilicata, Marcello Pittella, fa un annuncio in piena controtendenza: «Dateci il doppio dei migranti previsti» dice a Panorama. «Qui li faremo lavorare e riusciremo a integrarli».
Panorama, 30-04-2015
Laura Maragnani
La Basilicata dovrebbe accoglierne mille, ma siamo pronti a prendercene 2 mila». La voce del governatore Marcello Pittella, del Pd, è la più stupefacente tra quante si levano in questi giorni. Perché non solo non si rifiuta di ospitare i migranti, ma al Vimínale ne chiede addirittura il doppio. Pura solidarietà? Macché. La Basilicata ha già fiutato il business, come spiega Pietro Simonetti, responsabile dell`ufficio migranti della Regione: «Basta trasformare la criticità in un`opportunità». Traduzione: è un affare che qui potrebbe valere, a occhio e croce, 24 milioni di euro.
Com`è possibile, governatore?
Premesso che l`Italia e l`Europa non possono voltare la testa davanti alle tragedie del Mediterraneo, con i barconi della speranza trasformati in bare galleggianti e i cadaveri buttati in pasto ai pescecani, e che non si può nemmeno, come propone qualcuno, chiudere a doppia mandata la porta dell`accoglienza...
Premesso questo?
L`accoglienza non è solo un dovere morale, ma anche un valore economico. Il nostro Mezzogiorno è diventato il front-office italiano dell`accoglienza ai migranti. Bene. Può guadagnarci occupazione, vantaggi e sviluppo.
E come si compirebbe questa magia?
Lo Stato paga 32-33 euro al giorno per ogni persona ospitata. Ma è un business gestito spesso, come abbiamo visto con Mafia Capitale, da gente senza scrupoli: strutture lager, alberghi falliti, conventi fatiscenti, è stato riciclato di tutto per ospitare disperati che, dopo essere stati sfruttati, sono stati abbandonati a se stessi.
E voi in Basilicata invece cos`avete fatto?
Qualcosa di completamente diverso. Noi abbiamo distribuito sul territorio piccoli gruppi di persone, 20-30 per ogni paese, utilizzando appartamenti sfitti nei nostri centri storici. Abbiamo decine di paesini spopolati, senza giovani, che stanno morendo: i migranti invece riportano vita, occasioni di incontro e di scambio sociale, di amicizia. E anche di lavoro.
Per chi?
Mille migranti significano 300 posti di lavoro per i nostri giovani e le nostre cooperative: operatori sociali, mediatori linguistici, insegnanti. Ma c`è anche il lavoro che noi possiamo offrire ai nostri ospiti: per cominciare, potrebbero aiutarci in quei piccoli lavori di pubblica utilità che i Comuni non hanno i soldi per fare, dal tagliare l`erba nei giardini delle scuole al ridipingere le strisce pedonali. Sarebbe un modo d`inserirsi meglio nella vita del Paese. E poi ci sono le campagne che non hanno più contadini, vecchi mestieri che spariscono...
E voi sperate che un ingegnere siriano si metta a fare il falegname a Rionero in Vulture?
Lui forse no. Ma tanti ragazzi che vengono dal Chad o dal Mali, senza preparazione scolastica o prospettive pratiche, potrebbero integrarsi bene e decidere di rimanere. Con vantaggi per tutti.



Migranti, Juncker sta con l’Italia: “Sbagliato fermare Mare Nostrum”
Il 13 maggio le proposte della Commissione Ue: sì alle quote di rifugiati per Paese
La Stampa, 30-04-2015
MARCO ZATTERIN
«Risposte immediate, ma insufficienti». Si riassume in una frase di Jean-Claude Juncker il giudizio della Commissione, e della maggioranza abbondante degli eurodeputati, sul vertice straordinario sull’immigrazione svoltosi a Bruxelles una settimana fa. Il Parlamento è deluso, anche se approva la trasformazione di fatto della missione di vigilanza Triton in una nuova «Mare Nostrum». Allo stesso tempo, però, invita a guardare oltre l’emergenza, a «fissare quote vincolanti per la ripartizione dei
richiedenti asilo fra tutti i paesi» e invoca finanziamenti per i programmi di reinsediamento. Questione di dignità, si sottolinea. Oltretutto, chiosa lo stesso Juncker, «è stato un errore lasciar sola l`Italia e smantellare Mare Nostrum».
«Più accessi legali»
Nello spazio di una mattinata, nelle tre ore di dibattito in aula a Strasburgo sul dramma delle migrazioni nel Mediterraneo, la soddisfazione disseminata dai leader europei giovedì scorso è svanita come un cubetto di ghiaccio al sole. «Si parla troppo di sicurezza e poco di accoglienza - ha avvertito il capogruppo socialista, Gianni Pittella -. Noi siamo più avanti dell`egoismo degli Stati». Il problema è proprio questo, e la Commissione cercherà di risolverlo con le proposte dell`Agenda per l`Immigrazione in arrivo i113 maggio. Juncker annuncia idee che faranno rizzare parecchi capelli: «Occorre agire sull`immigrazione regolare e aprire le porte per evitare che degli sfortunati entrino dalla finestra: l`accesso legale fa parte della soluzione a medio termine. Qui bisogna agire».
Nel suo documento, la Commissione proverà a impostare uno schema di azione globale. La direzione di Dimitri Avramopoulos lavora sulle quote con tre chiavi. L`approccio di breve termine ruota intorno all`utilizzo strutturato dei meccanismi esistenti di redistribuzione dei migranti su base volontaria, per i quali esistono già dei fondi comunitari: la «relocation», in questo caso, potrebbe riguardare da subito alcune nazionalità, i siriani ad esempio. Guardando al medio e lungo periodo, si ragiona sulla revisione della direttiva per la protezione temporanea, nella quale si potrebbero introdurre gli schemi di ripartizione legati a criteri come popolazione e Pil.
Le ciabatte dei superstiti
Un terzo passo di complemento, spiegano fonti a conoscenza del dossier, potrebbe consistere nella revisione degli accordi detti «di Dublino», anche qui con la ripartizione non volontaria. «È possibile - rileva una fonte diplomatica - se ci sarà davvero la volontà politica». La decisione, chiesta da Strasburgo, dipende nuovamente dalle ventotto capitali.
Non è così per l`effettiva possibilità che la missione Triton attiva nel Mediterraneo possa ampliare il suo campo d`azione da 30 a 50 miglia marittime, in modo da replicare l`opera compiuta sino all`autunno da «mare Nostrum». Qui la politica serve solo da cornice. Il «search and rescue» lo impone la legge del Mare, salva chi può e deve. Se l`Italia, capofila della missione, ritiene che lo spettro della vigilanza debba essere ampliato, deve chiederlo a Frontex. La delibera finale può essere presa dal direttore esecutivo board. Il rischio è il «fattore di attrazione». Ma a Roma e Bruxelles non lo vedono.
I deputati, come i cittadini, attendono che i governi facciano il loro lavoro. Con voci diverse. Il leghista Salvini capovolge i giochi e accusa la sinistra di essere «razzista», i grillini hanno ammesso che la posizione di Juncker è digeribile, Renato Soru (Pd) ha parlato con in mano le ciabatte di due immigrati, i popolari sono compatti per Mare Nostrum e le quote. Tutto richiede verifiche: il vertice europeo, le accuse, le belle idee. Perché le menzogne, davanti ai morti, sono peggio del silenzio.



MA LUI CON UN TWEET SI SALVERA
Panorama, 30-04-2015
Giorgio Mulè
Che cosa è successo dopo l`ultima ecatombe di migranti? Quale reale cambiamento è avvenuto nell`approccio all`enorme problema dell`esodo dai paesi africani? Fummo, ahimé, facili profeti una settimana fa quando in seguito alle mirabolanti promesse del nostro governo scrivemmo: «Vedrete il risultato: l`invio di qualche inutile nave in più nel mar Mediterraneo e l`avvio di una "discussione" o di un "monito raggio" per verificare in via preliminare la possibilità di un eventuale impegno militare nei Paesi dove partono i barconi. Fuffa allo stato puro».
Ebbene: il «gigantesco passo avanti» contrabbandato da Matteo Renzi dopo il vertice straordinario europeo si è rivelato (come hanno ben capito gli italiani, vedi i risultati del sondaggio a pag. 49) un gigantesco bluff visto che l`unico impegno europeo preso è stato, appunto, di mandare qualche nave in più (si contano sulle dita delle mani) a raccogliere cadaveri e naufraghi. Ritte le opzioni più o meno sensate e percorribili per gestire davvero l`emergenza - blocco navale, affondamento dei barconi, addirittura l`impiego di droni direttamente in Libia - allo stato sono rimaste degli slogan e niente più per l`incapacità dell`Italia e del suo governo di essere determinanti in politica internazionale.
Il giorno dopo la tragedia, Matteo Renzi proclamava: «Dobbiamo dichiarare guerra agli scafisti» e indicava la strada maestra nell`affondamento dei barconi nei porti. Ventiquattro ore dopo l`Alto commissario Ue Federica Mogherini raccoglieva l`indicazione del premier e rilanciava: «Distruggeremo le barche dei trafficanti». Subito il ministro dell`Interno, Angelino Alfano, chiosava: «Affondiamo i barconi degli scafisti». Tutti questi bei propositi da schiena dritta avevano il presupposto che avremmo «costretto» l`Onu a muoversi e a legittimare un intervento di questo tipo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, è arrivato in Italia e ha fatto un giretto a favore di telecamere accanto a Renzi su una nostra nave nel Mediterraneo e ha pronunciato una frase storica in perfetto stile renziano: «L`Italia non può fare tutto da sola». Detto questo, Ban Ki-moon ha escluso ogni ipotesi di un impegno militare sotto l`egida delle Nazioni Unite e, tornato sulla terra, ha sillabato: «Distruggere le barche non è la strada giusta», escludendo ogni velleità governativa.
Mentre l`Italia si presenta al mondo con l`inaugurazione dell`Expo di Milano (e che Dio ce la mandi buona) quale immagine prevarrà all`estero? Quella dell`Esposizione universale che si spera non sia acciaccata o quella del «mare mortuum» che continua a inghiottire cadaveri? Macché, vista da Renzi, l`Italia alla quale si aggrapperà è quella della riforma dell`Italicum. Preparatevi a questo tweet: «Con approvazione dell`#italicum fine degli inciuci e nuova legge elettorale seria. Il coraggio paga, le riforme vanno avanti. #lavoltabuona». Capite quante fesserie si possono scrivere in appena 140 caratteri?



Flussi. Ok a 13 mila ingressi per lavoratori stagionali. Ecco il decreto
Manca solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ecco chi potrà arrivre in Italia. Dal 5 maggio si preparano le domande
stranieriinitalia, 30-04-15
Roma – 30 aprile 2015 – L’Italia sta finalmente per riaprire le porte ai lavoratori stagionali extracomunitari, manodopera “a tempo” sì, ma indispensabile per la nostra agricoltura e per il settore turistico alberghiero.
Il decreto flussi che autorizza 13 mila nuovi ingressi è stato registrato una settimana fa dalla Corte dei Conti e a breve verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ecco il testo, firmato il 2 aprile dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio.
Solo dopo la pubblicazione del decreto le imprese potranno inviare online le domande per far entrare in Italia e assumere i lavoratori. Intanto, però possono farsi trovare preparate: da martedì 5 maggio sarà già possibile registrarsi sul sito del ministro dell’Interno, compilare le domande e salvarle in attesa dell’invio.
Le frontiere non sono aperte ai lavoratori dei seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bosnia-Herzegovina, Corea del Sud, Egitto, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Marocco, Mauritius, Moldavia, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Ucraina e Tunisia.  Indipendentemente dalla cittadinanza, potranno però arrivare anche lavoratori che sono stati qui negli anni passati.
Il decreto riserva 1500 ingressi a lavoratori stagionali che in passato sono già entrati in Italia per almeno due anni consecutivi. Per loro i datori di lavoro potranno chiedere dei nulla osta al lavoro pluriennali, in modo da poterli far arrivare nei prossimi anni senza dover aspettare la pubblicazione dei decreti flussi.
Come ogni anno, le 13 mila quote verranno presto distribuiti tra le diverse provincie a seconda delle esigenze. Intanto,i ministeri dell’Interno e del Lavoro hanno diffuso una circolare congiunta in cui illustrano il contenuto del decreto e spiegano la procedura per la presentazione e l’esame delle domande.
 


Francia, una scuola vieta la gonna lunga alle studentesse musulmane
Dopo il divieto di indossare il velo, stabilito per legge, adesso in alcune scuole
anche gli abiti troppo «coprenti» sono ritenuti «un segno religioso ostentatorio»
Corriere della sera, 30-04-2015
Stefano Montefiori
Dopo il velo proibito dalla legge, in alcune scuole francesi sembra diffondersi la prassi di vietare la gonna lunga, giudicato «un segno religioso ostentatorio» anche se non è previsto esplicitamente dalla norma del 2004. Il caso è scoppiato dopo che a Charleville-Mézières (Ardennes), una studentessa 15enne, Sarah K, è stata rifiutata per due volte, il 16 e il 25 aprile, all’ingresso in classe: si è scoperta il capo ma restava la gonna lunga nera, che l’insegnante e il preside hanno considerato un segno di appartenenza alla religione musulmana.
«Una provocazione di gruppo»
Va detto che il rifiuto della scuola non è nato per caso. Sembra che la ragazza avesse deciso di presentarsi con la gonna nera assieme ad altre compagne come forma di rivendicazione, un gesto contro il divieto di entrare in classe portando il velo islamico. L’insegnante ha interpretato quella gonna come una provocazione e ha chiesto alla ragazza di tornare a casa e di ripresentarsi con un altro indumento, cosa che lei - su consiglio del padre - non ha fatto.
Non solo Islam
La vicenda di Sarah K, resa nota dal giornale locale L’Ardennais, ha fatto emergere un fenomeno più ampio. Secondo il Collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF), nel 2014 sono stati circa 130 i casi di studenti respinti a scuola per indumenti ritenuti «ostentatori», cioè in contrasto con la regola della laicità. Un’altra ragazza con gonna nera è stata rifiutata a scuola il 30 marzo a Montpellier. La legge del 15 marzo 2004 indica esplicitamente come oggetto del divieto il velo islamico, la kippa ebraica, il turbante sikh o una croce cristiana molto visibile. Il resto è affidato alla valutazione caso per caso degli insegnanti, specie dopo una contesta circolare che raccomanda di vegliare su eventuali aggiramenti della norma.
Il parere dei sociologi
Il sociologo Jean Baubérot, uno dei maggiori studiosi francesi sul tema della laicità, era stato consultato dalla «commissione Stasi» che poi ha deciso di raccomandare l’approvazione della legge. «La scuola raccoglie quel che semina», dice oggi alla Afp. «Qualsiasi cosa può diventare un segno religioso, in questo modo rischiamo di entrare nel gioco stupido del gatto e del topo, sospettando di continuo gli allievi. Se volessimo spingere i ragazzi verso l’estremismo, non potremmo trovare sistema migliore. Se si perseguitano le ragazzine che portano le gonne lunghe, il risultato sarà che i padri le metteranno nelle scuole private».
La solidarietà su Twitter
Su Le Monde, il sociologo François Dubet denuncia «un eccesso di attenzione sulla religione musulmana». Come comportarsi con la gonna a pieghe blu, che in Francia è spesso segno di appartenenza alla religione cattolica? E con le barbe di tanti ragazzi del liceo? Moda hipster, o ostentazione islamica? Su Twitter grande successo dell’hashtag #JePorteMaJupeCommeJeVeux, «Io porto la gonna come mi pare», in solidarietà con la ragazza di Charleville.





 

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