Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

31 maggio 2010

Inchiesta sulle assicurazioni: gli immigrati spesso pagano premi maggiorati. Anche di 250 euro
Sei romeno? La Rc auto costa di più
la Repubblica, 31-05-2010
Vladimiro Polchi
ROMA Insomma, facciamo più incidenti degli altri o siamo considerati un popolo di truffatori?». Anna non se ne fa una ragione. Mentre prepara i caffè, dietro il bancone del bar in cui lavora, da sfogo alla sua indignazione.
A L MOMENTO del  rinnovo dellapolizza auto — spiega Anna—ho trovato un aumento di 250 euro. L'assicuratore mi ha spiegato che per alcuni stranieri è prevista una sorta di "rischio nazionalità" e che se fossi stata francese o tedesca non ci sarebbe stato nessun aumento, ma essendo romena...». Anna vive e lavora in Puglia, la sua agenzia è la Carige. Ma le "tariffe etniche" vengono applicate su tutto il territorio nazionale. Basta fare un viaggio attraverso call center e siti internet delle diverse compagnie. La Carige Assicurazioni, innanzitutto. L'agenzia di Anna non ha fatto altro che applicare le tariffe interne. Una verifica? Chiediamo un preventivo on-line. Maschio, residente a Roma, nato il 24 febbraio 1973, operaio, dipendente del settore privato, auto immatricolata a febbraio del 2000, benzina, 73 kw. Premio annuale (imposte comprese): 1.962,58 euro. Questo in base al preventivo numero 364857, nel quale ci siamo dichiarati di cittadinanza italiana. Ma se lasciamo tutto invariato e cambiamo solo la cittadinanza del contraente, le cose cambiano. Se siamo romeni, infatti, il premio sale a 2.257,50 euro (preventivo numero 364850). Un caso isolato? No. La Carige non è infatti l'unica ad applicare un rischio legato alla nazionalità. Basta fare un'altra prova, a caso. Chiediamo un preventivo alla Zurich Connect. Contraente maschio, single, residente a Roma, operaio, diplomato, nato il 24.02.1973. Auto Fiat 500 C1.2 Lounge ben-
zina, immatricolata a gennaio 2010, nuova, assicurata per la prima volta. Valore dichiarato: 10.000 euro. Antifurto: assente. Il preventivo (datato 30 maggio 2010) varia a seconda della na-zionalità che indichiamo: 1.040,76 euro se il contraente è italiano, 1.040,76 euro per uno statunitense, 1.251,14 euro per un romeno, 1.251,14 euro se a sottoscrivere il contratto è un marocchino. Insomma, se gli italiani pagano come gli statunitensi, il premio sale di molto per chi proviene dai Paesi tipici dei flussi migratori.
Non tutte le assicurazione, però, applicano tariffe differenziate. Anche in questo caso basta chiedere dei preventivi, prima come italiani, poi come romeni. La Genialloyd e la Milano Assicurazioni (gruppo Fondiaria Sai), per esempio, non fanno distinzioni in base alla nazionalità.
Ma le "tariffe etniche" sono legittime? L'Ania, Associazione nazionale tra le assicurazioni, risponde semplicemente che «non ha né può avere i criteri di personalizzazione tariffaria delle rc auto». L'Isvap, che ha il compito istituzionale di vigilare sulle compagnie assicurative, sollecitata sul problema, preferisce tacere. E le associazioni dei consumatori? «Inbase alla liberalizzazione del '94 — sostiene Ivano Daelli di Altro-consumo — ogni compagnia ha diritto di applicare proprie tariffe, depositandole all'Isvap. La compagnia dunque può anche tariffare in modo diverso in base a una nazionalità, considerandola a maggior rischio. Il cliente deve allora affidarsi alla libera concorrenza».
Di «grave diseguaglianza» parla invece l'avvocato Marco Paggi dell'Asgi (Associazione di studi giuridici sull'immigrazione) , perché «l'articolo 43 del Testo unico sull'immigrazione considera discriminatorio l' accesso differenziato a un servizio, in base alla semplice nazionalità del richiedente». Annuncia battaglia, infine, Eugen Terteleac, presidente dell'Associazione romeni in Italia, contro quella che chiama «una palese diseguaglianza».
Assicurazione auto col "rischio etnico" il romeno paga di più



L'immigrato avrà i punti per restare
Il nuovo permesso accoglie l'idea di stranieri non più «ospiti» ma radicati stabilmente

il Sole, 31-05-2010
Ennio Codini
La decisione di dare il vi a libera agli accordi di integrazione è un evento importante. Anzitutto sul piano simbolico. Viene infatti ufficialmente abbandonata l'idea dell'immigrato "lavoratore ospite".
Per anni ai più diversi livelli istituzionali si è immaginato che gli stranieri venissero in relazione a esigenze economiche congiunturali per poi tornarsene nel proprio paese. Con il varo degli accordi di integrazione, invece, si accetta ufficialmente il dato di fatto della tendenza degli immigrati a radicarsi. Anzi; la disciplina configura il radicamento come l'ipotesi normale. La stipula dell'accordo, infatti, non è una facoltà per l'immigrato, bensì un obbligo; il che ha senso solo se si assume come normale che l'immigrato resterà per molti anni se non per sempre in Italia e qui crescerà i suoi figli.
Sul piano degli effetti concreti il mutamento non sarà immediato. Dopo il varo, il regolamento non entrerà in vigore subito ma solo 120 giorni dopo la pubblicazione nella «Gazzetta ufficiale». Quindi, nella migliore delle ipotesi si cominceranno a stipulare accordi non prima del prossimo inverno.
Inoltre la cosa non riguarderà tutti gli immigrati ma solo i nuovi. Stipuleranno l'accordo, infatti, solo coloro che verranno a soggiornare in Italia, o sane-ranno la propria posizione in virtù dei decreti flussi, dopo l'entrata in vigore del regolamento. Facile prevedere che, complice la crisi economica, nei primi mesi se non nei primi anni gli immigrati coinvolti saranno poche migliaia.
Però il mutamento sarà importante: l'accordo di integrazione inciderà infatti in misura rilevante sulla vita dei nuovi immigrati.
Gli accordi di integrazione saranno uguali per tutti e di durata biennale. Il primo obbligo per l'immigrato sarà di partecipare, entro un mese dalla stipula, a una «sessione di formazione civica e di informazione sulla vita civile in Italia». Si tratterà di uno o più incontri - per un totale di non meno di cinque e non più di dieci ore -presso lo Sportello unico.
Il secondo riguarderà l'apprendimento della lingua: in due anni l'immigrato dovrà acquisire una conoscenza dell'italiano parlato almeno al livello Ai di cui al quadro comune europeo. Alla scadenza dell'accordo dovrà poi disporre di almeno 30 "crediti" calcolati secondo quanto stabilito dal regolamento. Per averli potrà bastare aver seguito con impegno la sessione formativa e aver raggiunto il livello A2 in italiano. Però alcuni illeciti comporteranno un decurtamento dei crediti che andrà compensato. Non dovrebbe essere difficile; dovrebbe bastare un po' di impegno. Il raggiungimento di un livello B1 di conoscenza dell'italiano e la scelta del medico di base potranno ad esempio dare una decina di crediti capaci di compensare anche un grave illecito amministrativo o tributario o una condanna a pena detentiva inferiore all'anno; anche la condanna a pena detentiva superiore all'anno potrà essere compensata guadagnando crediti ad esempio con attività di volontariato o corsi di integrazione linguistica e sociale.
Infine, l'immigrato con figli soggetti all'obbligo scolastico dovrà dimostrare che nel biennio essi hanno frequentato la scuola.
I nuovi contratti di integrazione saranno utili? Nell'insieme la disciplina è ragionevole. I comportamenti previsti sono utili all'integrazione e d'altra parte oggi gii immigrati anche dopo anni di soggiorno mostrano talora carenze nella conoscenza dell'italiano o nell'educazione civica per non parlare della piaga dell'evasione scolastica.
Considerando invece nel dettaglio il testo sorgono alcune perplessità. Colpisce lo scarso garantismo in materia penale: è previsto che si perdano crediti anche per una sentenza di condanna non definitiva. Sembra invece irragionevolmente morbida la previsione che consentirebbe allo straniero di essere considerato adempiente all'accordo anche ove i figli non frequentassero la scuola dell'obbligo: basterebbe dare prova di essersi "adoperato" perché andassero a scuola!
Non si capisce poi l'utilità di una formazione civica tutta entro un mese dalla stipula dell'accordo quando si pensa a uno straniero che avrà bisogno di due anni per raggiungere un livello A2 di conoscenza della lingua. Già con un livello A2 è difficile trarre profitto da ore di spiegazioni circa la democrazia o i diritti civili; al di sotto del livello A2 poi non si va al di là di poche frasi d'uso comune, a che possono servire allora 10 ore di educazione civica?
Non sarebbe meglio consegnare del materiale informativo (anche video) istruttivo rispetto ad alcuni punti chiave della vita in Italia per poi collocare le "sessioni dì formazione" alla fine del percorso biennale? Poiché il provvedimento tornerà all'esame del Governo si può sperare che su questi e altri punti siano apportati miglioramenti.
Fondazione Ismu



La sentenza. Tribunale di Bari
Reato di riduzione in schiavitù per il «caporale»

il Sole, 31-05-2010
Stefano Rossi

Integra il reato di riduzione in schiavitù approfittare dello stato di bisogno di un immigrato, sfruttandone le prestazioni lavorative. Se poi, oltre alle false promesse di una migliore prospettiva di vita, si aggiunge la minaccia di saldare il debito con chi ne ha agevolato l'immigrazione, la vittima sarà caduta in quella «posizione di vulnerabilità» indicata dalla decisione quadro dell'Unione europea del 19 luglio 2002 - attuata in Italia con la legge n. 228/03 ~ sulla lotta alla tratta degli esseri umani. Ad affermarlo il Gup del tribunale di Bari con una sentenza dell'8 aprile scorso.
Coinvolti nella vicenda diversi cittadini rumeni, a cui veniva proposto un lavoro dignitoso. Disattese le aspettative, gli immigrati, isolati in un vecchio casolare di campagna (privo di corrente elettrica, servizi e acqua corrente), erano costretti a lavorare anche per otto ore al giorno nei campi, dietro un compenso irrisorio. Non solo, chi ne sfruttava l'operato si rifiutava perfino di consegnare loro i documenti d'identità fino a quando non avessero, essi stessi, pagato le spese di viaggio.
Il tribunale barese giunge, così, a una sentenza di condanna per il reato di riduzione in schiavitù, soffermandosi, principalmente, sul concetto di «approfittamento dello stato di bisogno» della vittima. Al riguardo, richiamando le affermazioni della Cassazione (sentenza n. 2841/06) si ribadisce che «la situazione di necessità della vittima, quale presupposto della condotta approfittatrice dell'agente, deve essere intesa co me qualsiasi situazione di de bolezza o di mancanza mate riale 0 morale del soggetto pas sivo, adatta a condizionarne la volontà personale».
In altri termini, il concetto di schiavitù - riscritto dalla legge n. 228/03 _ è più ampio rispetto alla previgente formulazione legislativa della «condizione analoga alla schiavitù» in base all'articolo 600 del Codice penale. Infatti, si legge in sentenza, «la schiavitù non può più essere considerata in senso ottocentesco come privazione totale della libertà... la realtà attuale, come detto, è molto più complessa e più elevato è il livello di difesa della dignità umana: a tutte le persone, di qualsivoglia razza, religione, estrazione sociale e colore della pelle vanno garantiti i diritti essenziali della persona, in primis proprio quello di essere riconosciuto come persona, con la garanzia dei suoi diritti essenziali». Ed è proprio alla luce di tale nuovo concetto che il magistrato afferma la responsabilità penale del«caporale». In effetti, nel caso concreto, l'approfittarsi dello stato dibisogno si è realizzato ampiamente. E non solo con la falsa prospettiva di un posto di lavoro, di un reddito o di un alloggio, ma anche mediante il soggiogamento degli immigrati, la sottrazione dei loro documenti, e lo stipendio minimo concesso a fronte di una non indifferente prestazione lavorativa. Vicenda ancor più grave, conclude il tribunale, laddove si pensi alla situazione di totale estraneità del contesto in cui risultano inseriti, alla mancata conoscenza della lingua e all'ignoranza dei luoghi in cui sono stati isolati e costretti a vivere.



Il libro. Censite già 32 esperienze
Mediatori culturali: l'integrazione passa dai musei

il Sole, 31-05-2010
Carlo Giorgi
Vita dura per i minori extracomunitari in visita ai musei italiani: all'inizio di maggio, tre ragazzi serbi di una scolaresca di Vicenza, sono stati costretti a pagare il biglietto d'ingresso completo agli Uffizi di Firenze, mentre i loro compagni italiani entravano gratis. L'episodio, avvenuto nel più prestigioso museo italiano, è stato vissuto come una discriminazione da parte dei ragazzi stranieri. Il ministero dei Beni culturali lo ha spiegato come un « disguido organizzativo», dovuto alla mancata prenotazione della visita da parte degli insegnanti e all'applicazione puntuale di un decreto del 20 aprile 2006, che consente l'ingresso gratuito ai musei, ai minori comunitari (ma non agli extracomunitari). Dal canto loro, docenti e curatori museali lanciano un allarme rispetto all'accessibilità dei nostri musei da parte dei giovani immigrati.
«L'episodio degli Uffizi è paradossale - afferma Silvia Mascheroni, storica dell'arte contemporanea e responsabile della commissione Educazione e Mediazione di Icom, Comitato italiano per la difesa e lo sviluppo della professione museale -. Non è mai positivo quando una norma viene utilizzata per escludere e non per includere. Soprattutto in un museo, che dovrebbe essere un luogo e una risorsa utile all'integrazione e alla coesione sociale. Ancora più paradossale se si pensa che il 2010 è stato nominato dall'International Councils of Museums di cui fa parte anche l'Italia, l'anno dei "musei per l'armonia sociale" ».
Fare di un museo un luogo di integrazione per gli immigrati è possibile: la fondazione Ismu ha censito 32 esperienze, e il dato è in continua crescita, di mediazione culturale nei musei italiani. Il master in servizi educativi per il patrimonio artistico
dell'università Cattolica prevede un modulo specifico proprio sulla mediazione museale; ed è stato da poco pubblicato da Franco Angeli il volume «Patrimoni in migrazione» che censisce e racconta le migliori esperienze di mediazione museali italiane.
«Esistono molte esperienze virtuose in Italia - continua Mascheroni - quello che manca ancora è il riconoscimento da parte di politici e amministratori del fatto che la fruizione consapevole dei musei è strategica per la costruzione della cittadinanza. Il ministro Gelmini ha introdotto, con la legge n. 169 del 2008, un nuovo insegnamento nelle scuole, dal titolo "Cittadinanza e Costituzione". Se l'educazione al patrimonio culturale diventasse uno dei contenuti di questo nuovo insegnamento, potrebbe servire di certo a costruire nuovi cittadini».
La Gamec, Galleria di arte moderna e contemporanea di Bergamo, è stata una delle prime istituzioni italiane a formare mediatori museali stranieri per coinvolgere i visitatori immigrati. «Prima di essere formata non ero un'esperta d'arte - spiega Alzira Da Cosa Baia, brasiliana e mediatrice di Gamec -. Mi sono avvicinata al progetto perché mi piaceva l'idea che l'arte potesse aiutare gli immigrati a entrare in luoghi come i musei, da cui di solito si sentono esclusi. Dopo la visita, ci dicono, si sentono più accolti e più cittadini».



Prigioneri delle navi fantasma

La Stampa, 31-05-2010
Abbandonati dagli armatori, gliequipaggi vengono dimenticati per anni: un dramma in crescita
Navi fantasma. Marinai fantasma. Più di 500 cargo dal 1999 al 2007. Almeno mille anime, considerato un equipaggio medio di 20 persone. Circa 45 navi l'anno. Ma da quando il mondo è entrato in crisi le cifre vanno riconsiderate per difetto. Il fenomeno è globale, Italia compresa. Sono una ventina le unità «dimenticate» nei nostri scali. Come il «Fortuna II», cargo di un armatore norvegese e bandiera (ritirata) della Moldavia, che è stato lasciato ad arrugginire contro una banchina di Pozzallo dalla fine del 2008. O l'«Alfonsito», cargo ucraino, fermo da un anno a Livorno. E ancora, il «Nesibe E», che giace dal dicembre di due anni fa a Livorno.
A censirle è stato il Comitato nazionale per il welfare della gente di mare, un'organizzazione nata per volontà del Comando generale delle Capitanerie di porto, il sindacato internazionale Itf e la federazione della Stella Maris, espressione della Fondazione Migrantes della Cei. Un dos¬sier che nasconde decine di storie disperate. Quelle dei marinai che sono stati abbandonati, come le loro navi, da armatori senza scrupoli. Marmai senza paga, senza viveri, senza denaro per pagare il gasolio, linfa vitale per la nave perché alimenta dalle strumentazioni al riscaldamento. Marinai prigionieri delle loro stesse navi. Nuovi servi della gleba.
Perché accade? Tecnicamente queste unità si «arenano» sotto i colpi di un sequestro, eseguito per motivi di sicurezza o per le inadempienze dell'armatore. Quest'ultimo non paga i lavori per la manutenzione, imposti per ottenere il nulla osta a riprendere il mare; oppure, non paga «tout court»: spedizionieri, fornitori, banche. Arriva al punto che è più conveniente per lui abbandonare la nave piuttosto che onorare i debiti.
È una pratica d'affari. Gli inglesi parlano di «viable business decision», una valida scelta operativa. Per il proprietario è meglio abbandonare la nave e «sparire». Per poi ricomparire, magari, nel momento in cui sarà messa all'asta, sgravata di gran parte dei debiti, e partecipare alla gara dietro il paravento di una società di comodo. Armatori spregiudicati, che fanno navigare navi al limite, «carrette» che ottengono l'autorizzazione a prendere il mare da Stati di convenienza, bandiere «ombra». Anelli di una catena di operatori senza scrupoli, alla quale appartengono broker e istituti di credito, che si è allargata con la deregulation dei mari, dove più che le regole conta il profitto. Armatori che, oltretutto, per l'«abbandono» non sono nemmeno perseguibili penalmente.
Il tutto ha dei costi. Quelli di una nave abbandonata gravano sulla collettività, vale a dire il porto dov'è arenata. E poi ci sono gli equipaggi. I «fantasmi» a bordo, stretti con una catena al loro armatore, pur se dileguato: se la-sciano la nave perdono i diritti maturati. Vale a dire gli stipendi arretrati. Così, restano per mesi, per anni costretti in quelle carceri galleggianti, nell'indigenza. E alcuni, che provengono da Paesi difficili, pure col divieto di scendere a terra, perché si trasformerebbero in clandestini.
Casi limite, tra quel milione e mezzo di marittimi che solcano i mari, ogni anno, su 50 mila navi. Uomini in difficoltà, che spesso stanno davanti agli occhi di tutti, senza che qualcuno li veda veramente. Anche perché lo sguardo è deformato da un vuoto normativo, che non fa carico della loro assistenza a nessuno. Nel 2006 a Ginevra è stata varata una Convenzione che dovrebbe introdurre un welfare per questi «fantasmi», a cominciare dall'obbligo di rimpatrio. Ma finora non è applicata.
Così, in Italia, sono nati degli «angeli del mare». Volontari, che sotto l'egida del Comitato nazionale del welfare della gente di mare, hanno cucito le maglie di una rete di assistenza in quasi tutti i porti italiani. Personale delle Capitanerie che distribuisce viveri. Cappellani ed ex marittimi che li aiutano: a volte è preziosa anche una scheda telefonica per chiamare casa. Sindacalisti che li sostengono nelle cause di lavoro. Una rete senza fondi pubblici, che permette di scoprire «con occhi nuovi - dice il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco - queste presenze di oltre 5 milioni di transiti di marittimi che sfiorano le coste come cittadini a ore».



«L'unica speranza arriva dai volontari»
domande    a Raimondo Pollastrini Ammiraglio

La Stampa, 31-05-2010
Ammiraglio Raimondo Pollastrini, lei è comandante generale delle Capitanerie di porto e presidente del Comitato del Welfare della Gente di Mare: qual è la sua stima sui tempi perché trovi finalmente applicazione la Convenzione internazionale che tutelerà  i marittimi delle navi abbandonate? «Il testo della Convenzione è stato già ratificato dal 40% degli Stati membri dell'International Labour Organization. La firma italiana do¬vrebbe essere imminente. Ritengo, dunque, che la Convenzione potrebbe avere applicazione in Italia già entro quest'anno».
Questo accordo prevede, tra le altre cose, l'obbligo del rimpatrio per il marittimo abbandonato. E l'introduzione dell'obbligo di assicurazione per i
rischi di abbandono. E' sufficiente?
«In realtà, il capitolo che riguarda tale assicurazione è rimandato in alcuni emendamenti successivi, per la cui   attuazione  ritengo   ci
vorranno altri due anni».
Dunque, nell'attesa resta il vuoto normativo. Come si colmerà?
«Sì, ma almeno in Italia tale vuoto normativo è stato coperto in anticipo. Il Comitato nazionale del Welfare della gente di Mare è
stato costituito nel 2006 e nel giro di appena due anni ha generato 21 analoghi comitati territoriali. Una rete di assistenza che si regge sulla volontà di tanti, pur in assenza di una cornice giuridica e di fondi ad hoc, e che sta funzionando bene».    [F.POZ.]



Savona: 2937 immigrati accolti nel corso del 2009

Savona news, 31-05-2010
Il servizio immigrazione della Fondazione diocesana ComunitàServizi onlus, nel corso del 2009 ha incontrato 2937 persone: circa il 15% della popolazione straniera residente in provincia di Savona e circa il 37% di quella presente nei Comuni della diocesi di Savona-Noli. Queste persone hanno effettuato 7946 passaggi con una media di 2,7 passaggi a persona e con una media di 33 passaggi giornalieri. Coloro che sono passate una sola volta rappresentano il 48,6% del campione. I dati sono stati resi noti nell’ultima Newsletter della Caritas diocesana.
L'83,6 % del campione è in possesso di un regolare permesso di soggiorno e il 10,3% è in attesa del rilascio; solo il 5,1% ne è sprovvisto. “Il nuovo sistema di raccolta dati iniziato nel corso del 2008 e andato a regime nel 2009 - spiega Alessandro Barabino, responsabile dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas - non permette molti confronti con gli anni precedenti. L'unico dato effettivamente confrontabile riguarda il numero di persone passate per la prima volta: negli ultimi tre anni abbiamo assistito ad una diminuzione di circa il 13%. Il 53% delle persone sono di genere femminile. Il 56,1% si tratta di persone coniugate, e il 36,9% sono celibi. Tra le persone coniugate il 33,4% non convive con il coniuge. L'età si colloca attorno al valore medio di 39,9 anni”.
Per la maggior parte si tratta di persone occupate (65,0%), il 14,7% sono disoccupati, 11,5% sono casalinghe, il 6,2% studenti e anche una piccola parte di pensionati (1,3%).  Il 65,3% vive in nucleo con propri familiari o parenti, mentre il 25,4% vive presso conoscenti o soggetti esterni alla propria famiglia. “Assistiamo ad un tendenziale incremento dei cittadini marocchini, egiziani e del Bangladesh, mentre sono in diminuzione gli albanesi e gli ecuadoriani. Questi ultimi, pur essendo in diminuzione come primo arrivo al servizio immigrazione, rappresentano la nazionalità principale: circa il 20% di tutto il campione. Questo dato sembra indicare che probabilmente ci troviamo alla fine della grande ondata arrivata negli ultimi cinque anni, ma che molti sono restati e necessitano di un accompagnamento nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno o nei ricongiungimenti familiari. Le persone rappresentate da queste sette cittadinanze rappresentano circa il 65% del campione a fronte di 64 nazioni rappresentate da tutto il campione”.
I dati Istat, aggiornati al 1° gennaio 2008 rilevano che in provincia di Savona le nazionalità maggiormente rappresentate sono l'Albania (30,5%), il Marocco (13,4%), la Romania (12,7%), l'Ecuador (6,4%), l'Egitto (4,2%) e l'Ucraina (3,5%). “Con i dati del servizio immigrazione - conclude Barabino – si può verificare una distribuzione non omogenea delle diverse nazionalità sul territorio provinciale dovute soprattutto all'offerta lavorativa e alle professionalità legate alla provenienza. Quindi i cittadini ecuadoriani presenti soprattutto nel territorio del Comune di Savona o dei Comuni limitrofi, congiuntamente al fatto di essere di recente immigrazione, sono la prima cittadinanza presente al servizio immigrazione con 547 persone. Al contrario di quanto accade per i cittadini albanesi, che pur essendo anche loro presenti soprattutto nell'area savonese, ma da molti più anni, per loro la presenza al servizio immigrazione è molto ridotta, perché molti hanno acquisito il diritto alla carta di soggiorno a lungo termine che consente di non dover rinnovare i documenti ogni due anni”.



OPERAI CINESI IN NERO IN FABBRICA-LAGER, ARRESTATO TITOLARE

AGI, 31-05-2010
Citta' di Castello (Perugia), 31 mag. - All'interno del capannone, sequestrato, le Fiamme gialle hanno trovato - oltre a 25 macchine per cucire e ad altre attrezzature impiegate nella produzione - numerosi piccoli ambienti che servivano da dormitorio, bagno, dispensa e cucina, tutti maleodoranti ed in pessime condizioni igieniche: precario anche lo stato di conservazione degli alimenti trovati nel vecchio freezer.
Le mura divisorie erano state realizzate con dei pannelli provvisori assemblati alla meglio mentre disseminate sul pavimento c'erano sporcizia e rifiuti, trappole per topi, servizi igienici maleodoranti ed insalubri: un ambiente buio e fatiscente al cui interno gli operai lavoravano in turni dal primo pomeriggio e fino alle 5 del mattino successivo. I finanzieri, dopo aver identificato tutti i lavoratori presenti nella struttura, hanno accertato che 10 di loro non avevano alcun documento che ne giustificasse la presenza sul territorio nazionale. In particolare, tre sono risultati gia' colpiti da provvedimenti di espulsione emessi da altrettante autorita' di pubblica sicurezza: per loro e' scattato l'arresto immediato ed il giudizio per direttissima. Il titolare della ditta - M.Z., 34 anni, da oltre dieci anni trapiantato nella cittadina - e' stato arrestato perche', "al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalita' degli stranieri, favoriva la loro permanenza nel territorio dello Stato in violazione della legge sull'immigrazione". Gli investigatori hanno avuto un'ulteriore conferma del "modus operandi" delle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento di manodopera illegale che, "nella maggior parte dei casi, viene regolarizzata all'ingresso nel territorio nazionale per svolgere servizi di utilita' sociale (badanti, colf) salvo poi essere dirottata verso altri impieghi ben piu' remunerativi" per i reclutatori: gran parte delle lavoratrici risultavano in Italia con attestazioni di regolarizzazione come badanti in localita' lontane dall'Umbria, soprattutto nel nord-It



Salute, donne islamiche dal medico? Solo se dà il consenso il loro imam

il Giornale, 30-05-2010
Francesco De Remigis
L’idea choc è promossa dal coordinatore sanitario degli immigrati in Toscana, ma la pratica è già diffusa da anni
Se a Firenze vuoi fare prevenzione tra le donne musulmane, devi passare dalla moschea. È il coordinatore sanitario degli immigrati in Toscana a promuovere questa dinamica; spiegando che, senza il placet dei leader religiosi, non si riesce a portare le donne islamiche negli ospedali. Dunque, anziché avvicinare le donne al sistema sanitario italiano, alla gratuità di alcuni suoi servizi fondamentali, come la prevenzione dalle malattie che colpiscono in modo particolare le anziane, agevolare il confronto con altre donne italiane, in autonomia e senza distinzioni religiose, favorendo l’integrazione, meglio riconoscere legittimità agli imam e accrescere il loro potere di veto. «È molto importante coinvolgere i capi e i leader delle comunità, perché senza di loro non puoi muovere niente», spiega Omar Abdulcadir, che spesso raggiunge la moschea per cercare di avere dalla sua parte i capi religiosi, come lui stesso li definisce. Ma c’è di più: Omar Abdulcadir, che dirige anche il Centro regionale per la prevenzione e cura delle complicanze legate alle mutilazioni genitali femminili, ammette di aver ceduto alla moschea di Firenze una parte dei finanziamenti ottenuti dalla Regione Toscana. Quei soldi sarebbero dovuti servire alla struttura sanitaria per fare prevenzione tra le donne immigrate, indagare la presenza di carcinomi o patologie individuabili soltanto con un esame medico.
Una parte di quel finanziamento è finito invece nelle casse di guide spirituali e associazioni islamiche, a cui il medico somalo Omar Abdulcadir ha «commissionato» una sorta di promozione del servizio di prevenzione: «Io vi do i soldi che ci ha dato la Regione, voi mi fate questo servizio nella moschea», ha sintetizzato in un seminario di formazione a porte chiuse a cui Il Giornale è riuscito a prendere parte. «Certe figure possono influenzare», dice alla platea il medico di origine somala. Dunque ben venga l’autorità degli imam di decidere se e quando una donna musulmana può recarsi in ospedale per una visita di controllo. Stando alla testimonianza di Abdulcadir, questa sembra essere una prassi diffusa in Toscana, tanto che lui stesso suggerisce agli operatori sanitari intervenuti al seminario sulla “Salute Interculturale”, che si è tenuto a Teramo questa settimana, di assumerla come un valido modello per poter svolgere il lavoro di medico che incontra sul suo sentiero una comunità di immigrati: «Attingere a queste fonti è una nostra responsabilità – dice – perché molti problemi possiamo risolverli senza usare il manganello». Abdulcadir è lo stesso medico che nel 2004 propose la possibilità di praticare, previa l’applicazione di pomata anestetica, una puntura di spillo sul clitoride delle ragazze africane che vivono in Toscana per far uscire qualche goccia di sangue.
Ad uno ad uno aveva convinto i «rappresentanti» delle immigrate africane ad accettare la sunna rituale in nome di una «identità culturale» a suo dire «molto importante per vivere in sintonia»; limitando forse il danno provocato dall’infibulazione – in Italia vietata per legge – ma di fatto riconoscendo un’usanza tribale contro cui le istituzioni nazionali si sono battute per anni, continuando a promuovere il superamento di questa pratica anche nei Paesi africani. Vedi l’impegno di Emma Bonino, che del tema si occupa dal ’99 e ha contribuito alla firma del Protocollo di Maputo, il documento che si prefigge l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili entro il 2020. A suo tempo, Bonino definì il tentativo di Abdulcadir un «frutto dell’ignoranza», spiegando che sarebbe «come parlare di pena di morte discutendo se sia meglio la ghigliottina o l’iniezione letale». A distanza di anni, il medico somalo non sembra aver cambiato approccio e il fatto che promuova i gestori dei centri islamici o delle moschee al rango di capi comunità, riconoscendogli il ruolo di leader quando la maggior parte degli immigrati musulmani non è neppure praticante, dovrebbe far riflettere. Soprattutto perché le sue teorie continuano ad essere proposte nei seminari «di formazione» promossi dalle Asl. E non si capisce in che modo un’affermazione quale: «Nelle società poligamiche ci sono meno disturbi a livello di menopausa e sterilità», possa aiutare gli operatori sanitari che partecipano ad incontri sulla mediazione culturale in ambito sanitario a migliorare il proprio lavoro in Italia.



Legalità e sicurezza, ecco come la casbah è diventata chic

il Giornale, 30-05-2010
Manila Alfano

Il sindaco decide di investire sul centro storico in rovina abitato solo da immigrati: le case si rivalutano e il turismo rinasce
nostro inviato a Mazara del Vallo (Tp)
La scommessa di Mazara del Vallo è una casbah che non fa più paura. Il mare, le barche, il porto, le case. Il Maghreb è dall’altra parte, qui lo senti ogni volta che arriva lo scirocco. Ed è come vivere sulla stessa terra, vista da due finestre diverse. Qui i maghrebini sono arrivati da sempre, ma prima erano solo stranieri. Ora, regolari, da italiani, stanno ridando un’anima ai vecchi vicoli abbandonati, alla rocca, alla città vecchia. L’idea è venuta al sindaco una notte di primavera in un ristorante a pochi passi dalla città vecchia, lì dove nessuno voleva passare. «Tutti facevano giri infiniti piuttosto che attraversare il centro. Eppure nelle città di tutta Europa il centro è da sempre la zona più bella, più viva. Mazara meritava di essere riconsegnata alla sua storia». Nicola Cristaldi è un sindaco sognatore, parla di dirigibili che attraversano la Sicilia, di percorsi enogastronomici, di nuove strade per sviluppare il turismo, per cancellare scempi come quello a Termini Imerese. «Noi del sud dobbiamo smettere di pensare come se volessimo essere il nord. Abbiamo altre risorse, il nostro futuro non è in una fabbrica di automobili».
Cristaldi guarda l’Europa; Mazara come Mentone, quando anni fa era partito il progetto di riqualificazione delle zone del centro abitate da immigrati. L’idea era piaciuta a tutti, a francesi e immigrati che da quel momento iniziarono a sentirsi meno stranieri. «Il principio qui a Mazara è lo stesso. La nostra è da sempre una città multietinica, dove la gente è sempre arrivata per cercare lavoro. Abbiamo voluto dare loro una casa più degna, con le strade sicure e illuminate, abbiamo ripristinato l’illuminazione pubblica dove c’era solo buio, costruito una rete fognaria che prima non c’era, fatto arrivare l’acqua corrente negli appartamenti. In cambio chiediamo il rispetto delle regole».
È così che anche qui, a Mazara, i concetti di tolleranza e integrazione vengono superati dall’idea di uno scambio tra culture diverse. «Gli immigrati hanno salvato il settore della pesca e quindi la nostra economia. Salvare il nostro centro storico significa rivalutare il valore intero della città. Quelle che erano zone da evitare ora sono diventate strade dove aprire bar e locali serali. Quelle che erano baracche stanno diventando belle case, dove la gente da fuori ha già iniziato ad investire». Il progetto è ancora in corso, i fondi non sono molti, per il momento è stato ultimato un primo itinerario di vicoli inaugurato con una grande festa che ha coinvolto tutti. In piazza Mahdia per esempio, convivono sette nazionalità diverse. Jamila, immigrata dalla Tunisia quasi trent’anni fa, da quando le hanno risistemato la casa e il cortile, non sta più nella pelle. Fuori ha messo vasi di fiori. I suoi figli sono nel cortile a giocare, lei è fuori con scopa e paletta: «Ci tengo che resti tutto perfettamente in ordine, tutti i mazaresi devono vedere come siamo fatti noi tunisini, ci piace la pulizia. Siamo commossi che il sindaco abbia deciso di investire proprio qui, che fino a poco tempo fa era considerata la terra di nessuno, dove di notte si vedevano solo cani randagi e spacciatori». Oltre a lei in quella piazzetta si affacciano famiglie di ucraini, cinesi, marocchini, bengalesi. Tutti in regola, a lavorare giù al porto o con le bancarelle. «Oggi la gente può passeggiare e scoprire la bellezza del centro storico, i palazzi del ’700, le atmosfere di una città con un passato arabo. È il nostro tesoro, lo abbiamo riscoperto».
Una rivista di turismo arriverà settimana prossima per un servizio su Mazara. Il rinascimento secondo Cristaldi inizia da qui.
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