Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 maggio 2010

II ministro Brambilla e la cittadinanza: solo 6 immigrati su 100 dicono di conoscere bene la nostra cultura
Clandestini, Bagnasco critica la Moratti

Corriere della Sera, 12-05-2010
Paolo Foschini

Il cardinale: spero non sia normale che tutti delinquono. Il sindaco di Milano: non mi pento
MILANO — Pentita? «No». Rinnegherebbe qualcosa? «No». Semmai, dovesse proprio tornare indietro, farebbe una precisazione. Perché, ha detto Letizia Moratti, «il mio era un ragionamento più ampio». E con quella frase, lunedì, in Cattolica («I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono»), il sindaco intendeva «chiedere al governo una riforma del.reato di clandestinità». Nel dettaglio, ha fatto sapere la Moratti, «abbiamo chiesto di prevedere l'espulsione anche nei casi di clandestini con altri procedimenti in corso».
Tutto risolto allora? Non pare. Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, fa netti distinguo: «Spero che non sia normale che gli irregolari delinquano... In ogni modo, da tutte le parti è necessario intervenire nei modi migliori per poter regolare le presenze» degli irregolari «affinché trovino quello che cercano, un futuro migliore», il tutto «nel mantenimento della solidarietà, del rispetto dell'ordine e della sicurezza». L'impegno di chi arriva, l'impegno di chi accoglie.
Ecco, chi accoglie. Facciamo un salto in avanti. Ora, quale sia la percentuale di italiani che conoscono «molto bene» la cultura italiana, o anche «le leggi italiane», magari sarà materia di un prossimo sondaggio. In compenso il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, ne ha commissionato uno per interrogare su questi argomenti chi arriva, gli immigrati stranieri appunto. E ha scoperto che, su 100 di loro, la cultura italiana dichiarano di conoscerla «molto bene» in 6 e «abbastanza» in 40; che in 75 vorrebbero «integrarsi e ottenere la cittadinanza» ma solo a 51 «importerebbe di votare»: «E comunque — dice il ministro -il 41% di loro voterebbe Berlusconi».
La presentazione del sondaggio —700 interviste realizzate dall'Istituto Piepoli su mandato dei Promotori della Libertà—è caduta all'indomani dell'uscita della Moratti. E la conclusione del ministro Brambilla è che «il punto per avere la cittadinanza italiana non sono i dieci anni di residenza, potrebbero bastarne anche meno per chi dimostrasse di condividere i nostri valori e di conoscere la nostra Costituzione, le nostre leggi, la nostra lingua. La cittadinanza non è un timbro, bisogna dimostrare di amare il Paese in cui si vive». In effetti l'8 per cento degli stranieri intervistati ha dichiarato che se potesse voterebbe la Lega di Bossi (25 Bersani, 11 Casini, 9 Di Pietro).
Alcuni osservatori hanno ritenuto di poter leggere nell'iniziativa del ministro una presa di posizione più 0 meno
critica rispetto alla linea che in tema di immigrazione è portata avanti ormai da tempo da Gianfranco Fini, peraltro mai espressamente nominato. Senonché proprio due deputati pdl tra i più finiani di tutti, Fabio Granata e Flavia Perina, sono stati i primi a rallegrarsi con lei: «Le parole del ministro sulla predisposizione dei migranti a votare Berlusconi rappresentano una sorprendente conferma di quanto da anni sostenuto in modo lungimirante da Fini».
«Ma allora perché—è la considerazione di Leoluca Orlando per l'Italia dei Valori — questo governo si accanisce così tanto contro di loro? Oppure il ministro Brambilla considera onesti solo gli immigrati a cui piace il capo del governo?».








Il Dibattito sulla cittadinanza
Sondaggio: è Berlusconi il più «votato» dagli immigrati

il Giornale, 12-05-2010
Guido Mattioni

I Promotori della libertà del ministro Brambilla presentano la ricerca: «Uno straniero su due non conosce le nostre leggi»
Che si chiami Habib, oppure Vassiliy, poco importa. Perché la notizia, ovvero l'uomo che morde il cane -stando ai risultati di un sondaggio presentato ieri a Milano - è che il 42% degli immigrati, una volta diventati italiani a tutti gli effetti, darebbe il proprio voto a Silvio Berlusconi. Secondo, ma sensibilmente staccato (con il 25%), il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. E poi, come diceva Adriano De Zan al Giro d'Italia, «via via tutti gli altri». Ovvero Pierferdy Casini all'11%, Antonio Di Pietro con il 9%, fino a un comunque sorprendente 8% che una volta conquistato il diritto di voto barrerebbe il nome di Umberto Bossi.
I risultati della ricerca, condotta dall'Istituto Piepoli su un campione di 700 tra immigrati regolari e no, per conto dei Promotori della libertà, sono stati esposti dalla presidente della organizzazione «azzurra», il ministro del Turismo Michela Brambilla. Che ha definito i Promotori «la
massima espressione del nostro movimentismo», con lo scopo di attivare su tutto il territorio «migliaia di portavoce del Pdl per portare tutti (dovunque) a conoscenza dell'operato del governo». Nonché - invertendo il senso - per raccogliere il sentiment degli italiani sui più diversi problemi e porlo all'attenzione del'esecutivo.
«Essendo quello degli immigrati e della loro integrazione uno deitemi più sentiti dai nostri connazionali, abbiamo voluto scandagliarlo ricorrendo a una chiave diversa - ha spiegato il ministro -. Andando a sentire proprio il parere degli immigrati, per capire a che punto si trovano in questo loro percorso». Anche perché, a suo avviso, il nodo della questione non è «se occorrano più o meno di dieci anni di residenza per avere la cittadinanza italiana, ma piuttosto il loro poter dimostrare di conoscere la nostra Costituzione, le nostre leggi, la nostra lingua e di condividere i nostri valori».
Su questo fronte, il sondaggio rivela come il quadro non sia granché confortante. Gli immigrati, anche i regolari che hanno all'attivo una permanenza relativamente lunga (la media dei regolari è in Italia da 7,3 anni) ammettono di conoscere poco o nulla non solo delle leggi italiane in generale (52%), ma anche di quelle sui ricongiungimenti famigliari (62%) e sull'ottenimento della cittadinanza (42%). Ovvero proprio quelle norme che dovrebbero stare loro maggiormente a cuore. Non va meglio, limitandosi a chi le leggi le conosce, il loro grado di apprezzamento: a condividerle è appena il 41% degli intervistati.
Il piatto piange anche quando si affronta il livello di conoscenza di lingua e cultura. Solo il 10% sostiene di avere una buona padronanza dell'italiano, mentre il 54% risponde con un generico e non verificabile «abbastanza». Un modestissimo 6% degli stranieri - ma forse più sinceri di quanto sarebbero stati al loro posto gli italiani - ha sostenuto di conoscere a fondo la nostra cultura. Il 40% ha preferito limitarsi ancora una volta a un vago «abbastanza».
Va un po' meglio nelle sensazioni e nelle intenzioni. Il 48% assicura di sentirsi integrato in Italia e il 75% si pone questo obiettivo, collegato com'è all'ottenimento della cittadinanza. Una conquista per ottenere la quale - lo dice un immigrato su tre (37%) - il tempo di dieci anni è da ritenersi giusto e corretto. Decisamente più scarso è invece l'appeal del diritto di voto. Che al di là delle «intenzioni di voto» manifestate per i diversi leader di partito - quelle ricordate all'inizio - pare suscitare l'interesse del 51 % del campione. Percentuale che risulta dalla somma dei «molto» (22%) e degli «abbastanza» (40%). Molti di più (95%) sono gli interessati alla conoscenza della lingua italiana e quelli (92%) che puntano concretamente al sodo: il posto di lavoro. Pur declinando l'invito a commentare - «non ero presente» - la frase espressa l'altroieri alla Cattolica da Letizia Moratti, il ministro Brambilla ne ha di fatto preso le distanze. «Un clandestino che viene nel nostro Paese non è per forza un delinquente - ha detto il ministro - Il punto è aiutarlo a non diventarlo».








I Promotori della libertà in campo contro Fini
La Brambilla smonta le politiche sull'immigrazione dell'ex leader di An: il 42% degli stranieri voterebbe Silvio

Libero, 12-05-2010
FRANCESCO SPECCHIA   

Prima o poi doveva accadere: arrivano i nuovi Templari di Silvio.
Ci sono due letture all'astuta, non originale ma ben lubrificata conferenza stampa che Michela Vittoria Brambilla ha tenuto ieri per la presentazione dei suoi "Promotori delle Libertà", sotto un cielo milanese in burrasca come il suo partito. La prima lettura è che Berlusconi è vivo e combatte insieme a noi, dato che per il sondaggio qui presentato all'Istituto Piepoli «il 42% degli immigrati voterebbe Silvio. Bersani si è fermato al 25%, seguono Casini all'11%, Di Pietro al 9% e, pensate (pensate!) Bossi all'8%» , afferma la Brambilla. E dunque, i "Promotori" di Silvio saranno la "guardia scelta" in tutt'Italia: piccoli tasselli di un grande mosaico politico che si richiamano al mantra della famosa lettera berlusconiana: "non abbiate timore, sfidate a viso aperto l'arroganza della sinistra, impegnatevi, datevi da fare, scendete in campo, sensibilizzate le forze sane del Paese"; se prendete un Promotore a caso lo recita a memoria. Dunque, il ministro del Turismo lancia qui il movimentismo. «Questo è il movimentismo ufficiale del Pdl. Io sono il coordinatore nazionale delle attività movimentiste, mentre il ministro Bondi è responsabile della formazione, per fare in modo che il Popolo delle Libertà si radichi nel territorio", dice Brambilla attenta a pesare le parole e introducendo il tema dell'immigrazione. Ora, ancora non si sa né quanti siano i Promotori. Noi non li abbiamo visti, né abbiamo avvertito le presenze spettrali degli ex circolisti delle Libertà. Ci spiega la Brambilla: «i promotori sono alcune migliaia., adesso sul numero esatto non so, mi coglie impreparata... comunque vengono dal nord al sud, obbligatoriamente iscritti al partito: è come se il Pdl invece di avere un portavoce ne avesse migliaia». Sarà contento Capezzone.
Ora, non è chiaro neanche quale sia il compito dei promotori suddetti: «Gireranno l'Italia per capire come la pensano i nostri elettori, casalinghe tra casalinghe, dentisti tra dentisti...». Non è chiaro ma, intanto, essendo movimentisti, i Promotori si movimentano. Però, anche se il sondaggio di Piepoli non è dei migliori (è fatto solo su 700 immigrati, regolari e irregolari e un po'cozza con l'altro recente della Bocconi e con i dati sull'immigrazione del Viminale...), il fatto che, in questo momento, la Brambilla abbia avuto carta bianca su temi - l'immigrazione e l'integrazione, appunto- tradizionalmente lasciati alla Lega o all'ultimo Gianfranco Fini ha una valenza politica. E qui siamo alla seconda lettura del caso.
Solo pochi giorni fa Michela Brambilla si sarebbe ben guardata dal pronunciare frasi come «gran parte degli immigrati regolari vogliono la cittadinanza più per ottenerne i privilegi che per voler integrarsi, conoscere la cultura e le leggi del nostro Paese. Si dovrebbero creare delle strutture per insegnare loro la nostra lingua e cultura», senza sentire la posizione in materia -chessò- del ministro degli Interni.
Eppure, oggi, Roberto Maroni, con la Lega e tutta la polemica sullo ius sanguinis e ius soli, viene scavalcata a destra; e il Pdl, sotto le sembianze della Brambilla comincia a cavalcare un argomento inedito. Certo, il primo fine è arginare Fini che con le sue Farefuturo e Generazione Italia chiede la cittadinanza breve. Ma nulla vieta di pensare che i Promotori -appoggiati apertamente dal "formatore" Bondi e da Alfano- possano, in modo lento e sistematico, scavalcare nella moral suasion le varie Magna Carta, Nuova Italia, Il Predellino, Club della Libertà, e le varie associazioni larussiane, cicchittiane, think tank nelle grazie del capo...









ItaliaOggi anticipa il regolamento messo a punto da Sacconi. Patto di integrazione stato-immigrato
Una pagella per diventare italiani

ItaliaOggi, 12-05-2010
Luigi Chiarello

Cittadinanza a punti agli stranieri. Contano lingua e senso civico
Il governo accelera sulla cittadinanza a punti. Il cittadino straniero, che arriverà in Italia dovrà seguire un percorso di integrazione sancito da un vero e proprio accordo siglato con lo stato, con tanto di pagellina contenente crediti e debiti legati al senso civico e al rispetto delle leggi. Il «contratto» verrà siglato in questura al momento della richiesta del permesso di soggiorno; firma che sarà vincolante per il rilascio dello stesso. Il patto durerà due anni (prorogabili), nel corso dei quali lo straniero dovrà impegnarsi per mettere assieme un gruzzolo di trenta punti. Al termine del periodo di prova verrà rilasciato un attestato, che sarà decisivo ai fini della concessione della cittadinanza. La bozza di regolamento è stata esaminata ieri dal preconsiglio dei ministri e andrà al vaglio dell'esecutivo nelle prossime settimane. Il provvedimento - che vale solo per gli stranieri tra 16 e 65 anni, giunti in Italia dopo la sua entrata in vigore - realizza un'idea annunciata nelle scorse settimane dal ministro del welfare, Maurizio Sacconi. I crediti saranno assegnati agli stranieri in base ai titoli acquisiti e alla documentazione da loro presentata nel periodo di durata dell'accordo di integrazione. E in assenza di attestati idonei a certificare la conoscenza della lingua italiana, della cultura civica e della vita civile in Italia, sarà un test a decidere i punteggi. Esame, che sarà effettuato dallo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura competente. Le penalizzazioni, invece, scatteranno se l'immigrato commette reati o è soggetto a misure di sicurezza personale. Lo score dei crediti calerà più o meno vertiginosamente, in base agli accertamenti di ufficio attivati presso il casellario giudiziale e il casellario dei carichi pendenti. Mentre, in relazione agli illeciti amministrativi e tributari, alle sanzioni si accompagneranno penalità sui crediti, inflitte in proporzione alla documentazione acquisita.
La stipula dell'accordo di integrazione. Avverrà, come detto, contestualmente alla presentazione dell'istanza di permesso di soggiorno. Il modello per la definizione di quello che si configura come un vero e proprio contratto tra stato e immigrato è già pronto, in allegato alla bozza di regolamento. E in allegato ci sono anche le griglie per l'assegnazione dei punteggi. Lo straniero da parte sua dovrà impegnarsi ad acquisire una sufficiente conoscenza: della lingua italiana parlata pari al livello A2; dei principi fondamentali della Costituzione e del funzionamento delle istituzioni italiane e «della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola-, dei servizi sociali, del lavoro e agli obblighi fiscali». Infine, dovrà «garantire l'adempi-mento dell'obbligo di istruzione da parte dei figli minori». Per altro, per essi, l'accordo di integrazione al momento della stipula sarà sottoscritto anche dai genitori o da chi esercita potestà genitoriale e soggiorna regolarmente in Italia.
Lo stop agli ammalati e ai disabili. Nel testo compare una norma, che potrebbe entrare in conflitto con i principi costituzionali e con la convenzione sui diritti dell'uomo. Essa recita: «Non si fa luogo alla stipula dell'accordo e, se stipulato, questo si intende risolto, qualora lo straniero sia affetto da patologie o da disabilità tali da limitare gravemente l'autosufficienza o da determinare gravi difficoltà di apprendimento linguistico e culturale, attestati mediante la documentazione di cui all'articolo 3, comma 4, del decreto del presidente della repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 o, altrimenti, mediante una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale».
I punteggi per fasce. Lo schema di regolamento dispone tre fasce di risultato. La prima prevede l'estinzione dell'accordo per adempimento e il rilascio (da parte del prefetto) del relativo attestato, per gli immigrati che hanno raggiunto o superato i 30 crediti finali, hanno conseguito il livello A2 di conoscenza della lingua italiana e dimostrato un livello sufficiente di conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia. La seconda fascia è per coloro che hanno totalizzato crediti finali superiori a zero e inferiore a 30. Per costoro lo schema di dpr prevede la proroga di un anno dell'accordo di integrazione, alle medesime condizioni del biennio trascorso. Infine, la terza e ultima fascia riguarda gli immigrati con crediti finali pari o inferiori a zero.
Per questi è decretata dal prefetto la risoluzione dell'accordo, che «determina la revoca del permesso di soggiorno o il rifiuto del suo rinnovo e l'espulsione dello straniero dal territorio nazionale, previa comunicazione, con modalità informatiche, dello sportello unico alla questura».


Cosa dà Crediti-
-Conoscenza della lingua italiana
- Conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia
- Percorsi di istruzione per adulti, corsi di istruzione secondaria superiore
o di istruzione e formazione professionale           
- Percorsi degli istituti tecnici superiori o di istruzione e formazione
tecnica superiore        
- Corsi di studi universitari o di alta formazione in Italia
? Conseguimento di titoli di studio aventi valore legale in Italia
Attività di docenza
- Corsi di integrazione linguistica e sociale Crediti riconoscibili {*)
- Onorificenze e benemerenze pubbliche, conferimento di onorificenze della
Repubblica italiana, conferimento di altre benemerenze pubbliche   
Svolgimento di attività economico-imprenditoriali,
Scelta di un medico di base iscritto nei registri AsI
- Partecipazione alla vita sociale, svolgimento di attività di volontariato
presso associazioni iscritte nei pubblici registri   
- Sottoscrizione, registrazione e ove prescritto trascrizione di un contratto di locazione
- Corsi di formazione nel Paese di origine, partecipazione con profitto a programmi di formazione all'estero

E cosa li toglie...
- Condanna anche non definitiva alla pena dell'arresto inferiore a tre
mesi o al pagamento di una ammenda non inferiore a IO mila euro;
condanna anche non definitiva alla pena dell'arresto superiore a tre
mesi; condanna anche non definitiva alla pena della reclusione inferiore
a tre mesi o. al pagamento di una multa non inferiore a 10 mila euro;
condanna anche non definitiva alla pena della reclusione non inferiore
a tre mesi, condanna anche non definitiva alla pena della reclusione
non inferiore ad un anno; condanna anche non definitiva alla pena della
reclusione non inferiore a due anni; condanna anche non definitiva alla
pena della reclusione non inferiore a tre anni    ___^___
- Applicazione anche- in via non definitiva di una misura di sicurezza
personale    ___r___
- Irrogazione di una sanzione pecuniaria definitiva di importo non inferiore a
10 mila euro; irrogazione di una sanzione pecuniaria definitiva di importo non
inferiore a 30 mila euro; irrogazione di una sanzione pecuniaria definitiva di
importo non inferiore a 60 mila euro; irrogazione di una sanzione pecuniaria
definitiva di importo non inferiore a 100 mila euro       









I migranti nell'Italia dei reati In testa giovani e scapoli
Ma il tasso di criminalità è dipoco superiore al nostro

Corriere della Sera, 12-05-2010
M.Antonietta Calabro

ROMA—In matematica si potrebbe dire che la relazione tra i due insiemi non è biunivoca. Affermare che l'8o per cento degli stranieri denunciati per aver commesso un reato è costituito da clandestini non equivale a dire che l'8o per cento degli stranieri irregolari o clandestini commette quel reato.
Detta così, può sembrare una banalità, ma molti degli equivoci e delle polemiche politiche che ruotano intorno al nesso di causa-effetto esistente tra criminalità ed immigrazione sono originati da questo errore di prospettiva e di matematica.
Sono i numeri a dire che gli immigrati non delinquono più degli italiani. Secondo i dati dell'Istat, il tasso di criminalità degli immigrati regolari, in Italia (4 milioni e mezzo secondo i più recenti dati della Caritas Migrantes e dell'Ismu, cioè il 7,2 della popolazione residente), è «solo leggermente più alto» di quello degli italiani (tra l'1,23% e l'1,4%, contro lo 0,75%) ed è addirittura inferiore a quello degli italiani nella classe d'età di coloro che hanno oltrepassato i 40 anni.
Sono gli stessi numeri a dire però che la stragrande maggioranza dei reati commessi da stranieri in Italia è opera di immigrati irregolari, anche se in proporzione molto diversa a seconda del tipo di reati. «Una quota più alta tra i cosiddetti reati strumentali, cioè i furti, gli scippi, lo spaccio di droga, e una quota inferiore per i cosiddetti reati di «tipo espressivo», come gli omicidi, le risse e le lesioni che sono influenzati meno dallo status giuridico della persona e più dalla situazione del momento», spiega Asher Colombo, ricercatore dell'Istituto Cattaneo.
Il tutto con grandi differenze territoriali tra Nord e Centro-Sud. «I responsabili di reati di criminalità diffusa — ha spiegato il capo della polizia Antonio Manganelli illustrando le cifre contenute nel «Rapporto sulla criminalità in Italia» del 2007, redatto dal ministero dell'Interno, che è il testo-base per tutti gli studi sulla criminalità — si atte*
stano al 30% nel rapporto immigrati clandestini-cittadini in Italia, ma al Nord si tocca il 50-60%». A titolo di esempio si possono prendere i cinque delitti che creano maggiore allarme sociale: su 11.378 arrestati 0 denunciati per omicidio consumato e tentato, violenza sessuale, furto, rapina in casa, 4.405 sono clandestini. Più di due clandestini al giorno sono fermati come colpevoli di stupro (817 nel 2006 su un totale di 3.381).
I dati disponibili del 2007 confermano questa tendenza: una violenza alle donne su quattro viene commessa da stranieri, in più della metà dei casi irregolari. C'è però subito da aggiungere che chi subisce i reati commessi da immigrati sono prevalentemente altri immigrati, e tra loro in particolare le donne. Parliamo soprattutto dei reati più gravi, i reati violenti e di sangue, gli omicidi e gli stupri. Tutto questo non può portare a concludere che la maggioranza degli irregolari siano delinquenti o per lo meno propensi a delinquere. Secondo il professor Colombo, che, è uno dei ricercatori che sta per pubblicare una Rapporto specifico sull'argomento su incarico della Fondazione Icsa, il fenomeno dei reati commessi dai clandestini, invece, «sembra essere influenzato anche da altri fattori, più propriamente demografici, che possiamo ritenere ricorrono maggiormente nella popolazione irregolare 0 clandestina».
Pochi sanno infatti che le statistiche criminali sono influenzate quasi più dal sesso e dall'età che dalla nazionalità. Delinquono infatti soprattutto i maschi giovani e non sposati. E naturalmente si può ritenere che questa porzione sia particolarmente rappresentata tra gli immigrati in particolare irregolari, la cui consistenza numerica per definizione sfugge alle statistiche, ma che presuntivamente si può stimare — secondo l'Ocse — tra i 300 mila e i 700 mila. Anche se Franco Pittau, responsabile del Dossier statistico della Caritas, che ha elaborato un'apposita ricerca sulla criminalità degli immigrati, pubblicata qualche mesi fa, nell'ottobre 2009, ha quantificato in circa 1 milione gli stranieri in tale situazione. Le statistiche ci dicono tuttavia che la stragrande maggioranza di essi, oltre il 60 per cento, sono entrati con un regolare visto di ingresso nel nostro Paese, cioè sono overstayers e che si guadagnano da vivere lavorando — sia pure in nero — nelle famiglie (come badanti 0 babysitter), nell'edilizia e nell'agricoltura e non commettendo crimini. Per tutta questa serie di fattori, secondo il sociologo Marzio Barbagli, autore del volume «Immigrazione e sicurezza in Italia», affermazioni come quelle del sindaco di Milano, Letizia Moratti,(«che pure è persona responsabile e moderata»), «non sono sostenibili, non rispondono alla realtà».









I guerrieri delle banlieue giovani, stranieri e soli

la Repubblica, 12-05-2010
JENNER MELETTI

PER un anno ha camminato nelle strade romane di Tor Pignattara, è entrata nei palazzi e nei negozi.«Secondo la nostra ricerca questo quartiere è fra quelli più a rischio. C'è un pericolo banìieue perché c'è una seconda generazione di immigrati che è alla ricerca di una propria identità. Sono giovani che subiscono angherie e prima o poi reagiranno. Il disagio si sente, si tocca, e può diventare una polveriera».
STEFANIA Della Queva è una delle ricercatrici che ha lavorato per la facoltà di sociologia dell'università Cattolica di Milano per studiare «processi migratori e integrazione nelle periferie urbane». Dopo avere letto questa ricercali ministro Roberto Maroni ha annunciato il rischio-banlieue per l'Italia. Nella relazione presentata dal professor Vincenzo Cesareo si rileva anche che le periferie critiche possono diventare «recruitment magnets», calamite di reclutamento, «ovvero luoghi di incubazione e progettazione di eventi eversivi».
Tor Pignattara è una delle sei aree studiate dai sociologi della Cattolica. «Dal 1997 al 2007 — dice Stefania della Queva — in questo quartiere gli immigrati sono aumentati dell' 81 %. In alcune strade vedi quasi soltanto bengalesi con negozi alimentari e internet point e cinesi con ristoranti elaboratori. Meno visibili i romeni, impegnati nei cantieri. La tensione è pesante. «Non siamo più a casa nostra», dicono gli italiani, che accusano soprattutto i bengalesi di sporcare la città, di fare chiasso fino a notte fonda davanti ai loro negozi, di infestare i condomini con gli odori di aglio e altre spezie... Ci sono stati assalti ai negozi di stranieri. Finora i giovani bengalesi, in gran parte nati in Italia, non hanno reagito, ma c'è il pericolo che una scintilla provochi l'esplosione. Per i bambini la scuola funziona, anche se la percentuale di stranieri alle elementari Pisacane (l'82,2%) è la più alta d'Italia. Alle medie Pavoni è del 28,5%. I problemi iniziano dopo, quando i giovani non trovano   più   un luogo  dove incontrare gli altri
giovani del quartiere e si riuniscono in gruppi etnici».
L'Italia non è la Francia ma i segnali di allarme non mancano. «Le banlieue parigine — racconta Rita Bichi, docente di metodologia della ricerca sociale — hanno la loro ossatura nei palazzoni periferici di edilizia popolare anni '50 poi occupati da chi arrivava dalle ex colonie. Là c'è stata una ghettizzazione pesante. Da noi le banlieue sono a pelle di leopardo, occupano pezzi di periferia e anche centri storici. Ma ciò che manca, anche in Italia, è quella che noi sociologi chiamiamo mixité, mescolanza, quella voglia di conoscenza reciproca che caccia gli stereotipi e abbassa le paure. Nel 2005 in Francia protagoniste della rivolta sono state le seconde e terze generazioni di francesi che non si sentivano francesi.
Da  noi  queste   generazioni stanno crescendo adesso».
Due le zone di Milano sotto inchiesta: via Padova e San Siro —Gratosolio. «Uno dei problemi più seri—dice il ricercatore
Davide Scotti che ha seguito via Padova — è rappresentato dagli adolescenti che arrivano qui tramite il ricongiungimento familiare. Sognano di trovare la ricchezza e si trovano in case fatiscenti, magari con una famiglia per stanza, nelle quali non se la sentono di invitare i compagni di scuola italiani. Qui le tensioni sono soprattutto fra le diverse etnie, in particolare fra magrebini e sudamericani. I rapporti fra italiani e immigrati in questi ultimi mesi sono meno tesi che in passato. Dopo gli incidenti, tutti hanno interesse a tenere un profilo basso. La tensione nasce dalla coabitazione non governata di persone arrivate da tutto il mondo. Qui l'edilizia è soprattutto privata e i privati affittano badando soltanto al denaro. Non ci sono custodi sociali, come nelle case comunali. Un'azienda svizzera affitta stanze in ex albergo. L'hotel degradato è diventato il rifugio dei transes-
suali. Il presidente della zona 2, che voleva visitare il palazzo, è stato accolto con il lancio di wc dai balconi. Il nuovo si costruisce quando si capisce che l'integrazione non può essere un obiettivo  ma una conseguenza. Faccio  un esempio: non si organizza un "torneo di calcio per l'integrazione" ma un torneo aperto a tutti. Se va bene, potrà nascere la scintilla giusta».
I ricercatori hanno lavorato anche lontano dalle metropoli. «Qui ad Acerra— dice Emiliana Mangone — sarà difficile arrivare ad una integrazione fra italiani e immigrati perché c'è divisione anche fra gli italiani. Siamo poco lontano da Napoli e in sette anni la popolazione è aumentata del 19,8%. Migliaia di napoletani sono venuti ad abitare qui e c'è ancora una distinzione netta fra loro e gli acerrani doc. La periferia è cresciuta in modo abnorme, causa "immigrazione" dal capoluogo e anche perché il centro storico, davvero malridotto, è stato abbandonato dagli acerriani. Nei "bassi" ora ci sono soltanto immigrati dell'Est, soprattutto donne, e magrebini. Gli africani sono nelle campagne, pronti a lavorare per pochi euro al giorno. Anche questa potrà diventare una banlieue, quando gli immigrati chiederanno una vita migliore. E anche perché le tensioni della città sono arrivate da noi, ad esempio con la trasferta dei gruppi disoccupati organizzati».
Sesta e ultima inchiesta nella città di Chieri, sulle colline piemontesi. «È stata scelta quasi a caso—spiega Paolo Parrà Saiani—per capire cosa succede in una città "normale". Abbiamo studiato i numeri e fatto tante domande. Questa sembra davvero un'isola felice. Non c'è un'alta criminalità, non ci sono ghetti. Ma i residenti doc e gli stranieri arrivati da 70 paesi diversi vivono in mondi paralleli e separati. Lo straniero è arrivato anche qui. La convivenza ancora no».








La Moratti: non rinnego le parole sui clandestini Ma il cardinale Bagnasco prende le distanze

la Repubblica, 12-05-2010

MILANO — «Non mi sono pentita». Il sindaco di Milano Letizia Moratti non fa marcia indietro dopo le polemiche suscitate dalle sue parole sui clandestini («senza lavoro normalmente delinquono»). Intanto il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, prende le distanze dal sindaco: «Spero proprio che non sia normalmente, anzi speriamo che non sia mai — ha commentato — Pur nel rispetto delle leggi è necessario anche intervenire nei modi migliori per poter regolare queste presenze affinché loro trovino un futuro migliore».







em.ma

Il Mattino, 12-05-2010

Letizia Moratti, sindaco di Milano, ha detto che gli immigrati clandestini «di nonna, delinquono». Il governo ha varato una legge die ha elevato a reato l'immigrazione clandestina, la quale non è proprio clandestina. Negli Usa uno Stato che ha proposto una legge analoga ha provocato una vasta indignazione e l'intervento del presidente Obama. Ma chiedo alla Moratti: chi «usa» nella-casa, nelle fabbriche, nelle campagne, nei servizi gli immigrati «clandestini» delinque o no? E se delinque va in carcere conte i clandestini? Ipocriti,








Ameur, 24 anni travolto dal mezzo. La Procura di Agrigento indaga: soccorsi in ritardo? -> La rivolta Gli immigrati incrociano le braccia, protesta in municipio: più sicurezza
Muore schiacciato dal trattore Tunisini in rivolta negli aranceti

l'Unità, 12-05-2010
Domenico Valter Rizzo

Aveva 24 anni, Ameur era uno dei tanti immigrati che faticano nella raccolta delle arance a Ribera, in provincia di Agrigento. È morto schiacciato dal trattore, forse troppo carico. Sciopero e proteste degli immigrati.
Questa volta è toccata ad un tunisino Ameur Ghrairi, fare salire l'indecente statistica dei morti sul lavoro. Aveva ventiquattro anni e lavorava a Ribera nella raccolta delle arance. Aspettava che finisse la stagione per spostarsi a Pachino, nel sud est della Sicilia dove per tutta l'estate gli extracomunitari rappresentano la principale forza lavoro nella raccolta dei pomodori.
Era arrivato da circa otto mesi a Ribera, un grosso centro agricolo in provincia di Agrigento. Lavorava nei campi ed era benvoluto da tutti. I suoi compagni lo descrivono come un ragazzo tranquillo, con la testa sulle spalle. Uno che lavorava sodo e non aveva grilli per la testa. Era venuto in Italia per mettere da parte un po'di soldi e costruirsi un domani in Tunisia o forse anche in Italia.
Per Ameur Ghrairi non ci sarà nessun domani. E'morto schiacciato dal trattore che stava guidando. Il mezzo carico di frutta si è ribalta-
to e il giovane è rimasto sotto. Forse il carico era eccessivo, forse qualcosa non andava nel mezzo. Tutti interrogativi ai quali dovrà dare risposta l'indagine condotta dai carabinieri su delega della Procura della  Repubblica di Sciacca. Da capire anche quanto possa aver influito la rapidità dei soccorsi. Quando è arrivato in ospedale, portato da alcuni compagni di lavoro, per Ameur non c'era più nulla da fare. Non è ancora chiaro se sia morto sul colpo, oppure se un intervento più rapido dei soccorsi avrebbe potuto salvargliela vita. Il giovane infatti era solo al momento dell'incidente e ci si è accorti del dramma solo dopo qualche tempo. A dare una risposta a questo quesito fondamentale sarà il risultato dell'autopsia disposta sul cadavere della vittima dall'autorità giudiziaria.
LA REAZIONE
A Ribera la notizia della morte di Ameur Ghrairi ha scatenato in brevissimo tempo la reazione degli extracomunitari che lavorano nelle campagne della zona. A Ribera, nella valle del fiume Verdura, si coltiva una particolare varietà di arance a maturazione tardiva molto apprezzate dal mercato. Per la raccolta ogni anno arrivano centinaia di lavoratori extra comunitari, in larga parte tunisini e rumeni, molti di loro sono in regola con il permesso di soggiorno, ma ciò nonostante sono impiegati in condizioni non sempre ottimali sia sul piano della retribuzione che su quello
dei contratti e della sicurezza. E proprio la richiesta di sicurezza e di migliori condizioni di lavoro ha portato lunedì mattina, subito dopo la diffusione delle notizie sulla morte di Ameur, i lavoratori extra comunitari ad incrociare le braccia in uno sciopero spontaneo. I lavoratori si sono riuniti sotto il Municipio e non sono mancati alcuni momenti di tensione. Oltre a gridare la rabbia e il dolore per la morte del loro giovane conna¬zionale, i lavoratori extracomunitari hanno protestato duramente, chiedendo migliori condizioni di lavoro, più sicurezza e una maggiore integrazione nel tessuto sociale del paese. Come accade spesso in quasi tutti i centri agricoli che impiegano manodopera stagionale straniera, anche a Ribera gli extra comunitari dopo il lavoro massacrante nei campi sono tenuti al margine e non hanno alcuna occasione di integrazione con il resto del paese. A sera questi uomini che si sono spaccati la schiena per l'intera giornata diventano dei fantasmi. Molti vorrebbero che finito il lavoro semplicemente non esistessero.
A Ribera subito dopo il dramma è anche arrivato Hedi Snoussi un funzionario del Consolato di Tunisia, che si è incontrato con gli amministratori e gli investigatori e quindi ha rassicurato i suoi connazionali sull'accuratezza delle indagini e sull'impegno delle autorità per assicurare migliori condizioni sul lavoro e una maggiore sicurezza.?








La sfida «etnica» degli immigrati

il Sole, 12-05-2010
di Karima Moual

Le comunità preferiscono puntare sull'importazione ma i prodotti italiani stanno assumendo una importanza crescente
«La semola per il cuscus? Sono anni ormai che compro quella del marchio Barilla. Per spezie e altri ingredienti ho il mio negozio marocchino di fiducia, dove compro carne e aceto halal, la menta e la Shiba per il tè marocchino e prodotti alimentari che arrivano direttamente dal mio paese». Khadija è marocchina, ha 65 anni ed è in Italia da 35, con i figli e il marito. Come in molte famiglie straniere, è lei che come donna, è portata per forza a divenire il simbolo delle tradizioni e della cultura di origine ed è colei che ha più responsabilità per la continuità delle radici del paese d'origine. E la cucina è una di quelle. È anche grazie alle donne e madri come lei che si vive la doppia cittadinanza, e dalla numerosa presenza di negozi di alimentari etnici, un dato diventa certo: nelle case delle famiglie straniere, oltre alla pasta e alla pizza a farla da padrona è la propria cucina tradizionale. La casa attraverso la cucina tradizionale, diventa un luogo di ritrovo per quelle radici che seppur lontane si possono sentire vicine con sapori ed odori.
Con l'aumento della presenza straniera, alla pari va anche la domanda per l'alimentare etnico. Tuttavia a rispondere a questa domanda sono stati soprattutto gli stessi immigrati, una fetta di quei piccoli imprenditori stranieri.

Ma il business dell'alimentare etnico inizia a fare gola non solo ai piccoli imprenditori stranieri ma anche alle grandi imprese italiane. E la sfida sarà: riusciremo in Italia a produrre alimenti etnici di qualità per competere con quelli che arrivano direttamente dai paesi di origine e conquistare le comunità straniere? Qualcuno ci ha già provato e con successo. Per fare qualche esempio: la semola del cuscus e il latte fermentato prodotto dalla Abit, sul mercato con il nome Shawia, che ha già conquistato le tavole delle comunità arabe in Italia.

Solo qualche mese fa invece c'è stata l'inaugurazione del primo reparto di carni halal alla coop di Roma. Ma la sfida non è così semplice: «Ahmad, pakistano, sulla zucchina pakistana non vuole stare a compromessi? Preferisco comprarla al mercato di Piazza Vittorio e pensare che arrivi direttamente dal mio paese. Se fosse prodotta in Italia per me non avrebbe il sapore della mia terra». E sui prodotti halal, altra merce che fa gola a molti imprenditori, perché consumati dalla seconda comunità religiosa in Italia, c'è chi sta già pensando al futuro e in grande. È stata fatta una commissione all'interno della grande moschea di Roma che si occuperà della creazione di un marchio halal italiano. Che sia riconosciuto anche dai paesi islamici e che possa favorire l'esportazione di prodotti italiani halal all'estero. Attualmente ci sono vari marchi halal ma riconosciuti solo da singole associazioni islamiche. Non c'è un vero e proprio sistema di controllo che garantisca la certificazione halal come invece avviene per la certificazione kosher.
E molte macellerie islamiche ricorrono ancora all'importazione dalla Francia e dal Belgio. «Per quanto mi riguarda se le imprese italiane producessero alcuni alimenti etnici qui in Italia sarebbe veramente un passo in avanti - dice El Hasane al khayat proprietario ad Aosta di una macelleria islamica dove all'interno si possono trovare anche prodotti alimentari che arrivano direttamente dal Marocco - avremmo meno difficoltà di importazione così come si eviterebbe di tradurre ogni volta dall'arabo all'italiano i prodotti. Perché miei clienti non sono solo musulmani ma anche molti italiani».









Stop a prediche integraliste Ora arriva l'imam di Stato

il Giornale, 12-05-2010
Manila Alfano

Il governo apre il dialogo con i musulmani e lancia corsi universitari «certificati». E in Parlamento passa il primo voto per vietare il burqa
Sarà l'imam certificato: formato nelle università, negli atenei laici, dove la teologia si mescola all'educazione civica, in nome della trasparenza, della sicurezza. Sarà questo il destino per i religiosi musulmani che vorranno predicare in Francia. A partire dal prossimo anno accademico in due università pubbliche, e quindi laiche, quella di Aix-Marseille e di Rennes, si studierà per diventare ministri di culto islamico. Loro, le guide spirituali, potranno così studiare storia, conoscere meglio e in modo più approfondito le radici della cultura e della società francese. L'idea è arrivata direttamente dal governo, l'annuncio è stato dato ieri da Eric Besson, il ministro dell'Immigrazione, proprio quando in Parlamento si sta discutendo la legge che dovrebbe vietare il burqa, «contrario ai valori della nazione».
La coincidenza non sembra casuale. Il dibattito sul velo integrale sta esasperando la comunità musulmana francese. Il burqa viene utilizzato da una minoranza di donne, sarebbero solo duemila quelle che scelgono di indossarlo, rispetto ai 6 milioni di musulmani presenti in Francia. Eppure arrivare a fare una legge che lo vieti espressamente proprio non piace. E la tensione sale di giorno in giorno. Il Consiglio francese del culto musulmano si è più volte detto sì contrario agli estremismi, ma si è dichiarato altrettanto insofferente rispetto a questa proposta di legge. Così, l'imam nelle università rappresenta la mano tesa del governo, il ramoscello di pace che arriva direttamente dal governo, insomma, il tentativo di aprire il dialogo con
l'islam. Ci saranno corsi di formazione per aspiranti religiosi finanziati con i fondi pubblici; studieranno le regole. Dall'altra parte si promette tolleranza zero verso chi infrange la legge. E il burqa è contro le regole. Come ha già deciso il Belgio. Ieri l'Assemblea nazionale francese ha fatto il primo passo: ha votato all'unanimità la risoluzione che vieta l'uso del velo integrale. È solo il primo gradino verso il bando generale che dovrebbe essere discusso a partire da luglio e votato a settembre. Il governo di Sarkozy d'altronde lo aveva già fatto capire circa un mese fa, quando una donna di Nantes, completamente velata, era stata multata dalla polizia. Era stato il primo avvertimento. Nessuno escluso, neppure le ricche turiste dei Paesi arabi in vacanza a Parigi. Ieri mattina Besson era all'Institut catholique di Parigi, dove già dal 2008 si tengono cicli di studi su religione e laicità, aperti ad una ventina di futuri imam e finanziati in parte dal governo. Ma il carattere religioso dell'istituzione non convinceva molti musulmani. Quest'anno quindi sarà la prima volta che due università pubbliche - e quindi laiche - faranno corsi di formazioni agli imam.
Per il momento solo due atenei, Aix-Marseille e Rennes, avrebbero accettato, mentre altre università parigine avrebbero rifiutato di accogliere studenti religiosi, «in nome della laicità». Secondo il sociologo Olivier Bobineau, autore del libro «Former des imam pour la Republique», oggi solo il 20 per cento dei 2.000 religiosi che lavorano in Francia sono francesi e solo il 2 per cento di loro è nato in Francia. La maggior parte degli imam sono formati all'estero. Troppo lontani dal nostro Occidente.







Quando l’immigrazione è conflitto tra culture

Libertiamo, 12-05-2010

- L’arresto pochi giorni fa di un padre magrebino in Puglia per maltrattamenti nei confronti dei figli troppo “occidentalizzati” ripropone, sulla scia di fatti analoghi verificatisi nei mesi scorsi, la questione dell’immigrazione vista anche come momento di contatto e di conflitto tra culture diverse.
L’immigrazione in Italia è in larga prevalenza determinata da fattori economici, cioè dalla prospettiva di trovare nello Stivale un lavoro e migliori condizioni di vita. Questo è vero, in particolar modo, per chi proviene da paesi significativamente più poveri del nostro.

Dunque, nella maggior parte dei casi, la ragione primaria che porta a trasferirsi oggi in Italia non è l’adesione alla cultura ed ai valori del nostro paese. Non è, tanto per intenderci, il sentimento del ricco inglese che sceglie di passare la vecchiaia in Toscana o dell’ebreo che fa “alyah”, né quello dell’esule istriano che voleva restare italiano o del tedesco dell’Est che che fuggiva all’Ovest.
Questo non vuol dire, certo, che l’immigrazione motivata da ragioni economiche debba essere considerata di per sé meno nobile o meno dignitosa: anzi, la scelta di muoversi per andare a vivere lontano è una scelta coraggiosa, a suo modo “imprenditoriale” ed in molti casi preferibile alla mera attesa che sia il lavoro a spostarsi ed a materializzarsi nel paese o magari nella città natale.

Tuttavia chi legittimamente varca le frontiere per trovare un lavoro altrove non può esimersi dall’adeguarsi al sistema normativo e culturale del paese ospitante.
In primo luogo è necessario che l’immigrato che arriva in Italia accetti completamente il framework legale del nostro paese e di conseguenza rispetti le leggi scritte.

In questo senso non è pensabile alcuna tolleranza nei confronti di atti violenti ed aggressivi, pena il venir meno di alcuni capisaldi della nostra società. Non si dovrà abbassare la guardia contro la violenza domestica, contro le mutilazioni genitali femminili, così come contro l’incitamento all’odio di alcuni imam più o meno improvvisati. Il rispetto per gli immigrati onesti e produttivi – che contribuiscono in modo importante alla nostra economia – deve convivere con il massimo rigore nei confronti di chi infrange la legge e solo sulla base di questo principio il processo migratorio può essere correttamente inquadrato.

Ma la semplice adesione alla legge formale da parte degli immigrati può non essere sufficiente a garantire prospettive di efficace integrazione, in quanto la convivenza civile è assicurata non solamente dalla legislazione, ma da un insieme di norme non scritte che sono parte dell’esperienza comunitaria.
Non si può pretendere necessariamente una condivisione intima dei principi, dei valori e delle convenzioni sociali del nostro paese – quanti italiani, del resto, supererebbero un test “intimo” di italianità? – ma senza dubbio un loro riconoscimento ed una loro accettazione da parte del nuovo venuto non è prescindibile.
In effetti se l’immigrato porta con sé un’identita culturale forte e impermeabile questo necessariamente innesca dinamiche conflittuali rispetto alla popolazione locale.

Molto spesso i liberali sono portati ad ignorare questo tipo di tematiche ed in generale a sottovalutare la rilevanza delle convenzioni sociali e culturali, in nome del principio del diritto soggettivo alla scelta.
In realtà nel mercato l’individuo non è un’entità che si muove in modo astratto rispetto al contesto che lo circonda. L’individuo persegue i propri obiettivi attraverso un rapporto costante con altri individui e quindi con il resto della società.
Di conseguenza il grado di accettazione sociale di una persona è una variabile importante per il successo o meno delle sue interazioni.
Tanto maggiore è la distanza di un individuo dai canoni medi del contesto in cui vive e opera, tanto più probabilmente egli genererà antipatia,  pregiudizio e ostilità. Questa è una considerazione che ha una valenza assolutamente generale e che può riguardare tanto un aspetto troppo trasandato, quanto un lusso fastidiosamente ostentato, quanto l’esternazione eccessiva di preferenze politiche o religiose.

Così gli immigrati hanno tanto più possibilità di avere “successo” quanto più si sforzano di diminuire la “varianza” rispetto all’orientamento culturale medio della comunità in cui vivono.
Viceversa quegli immigrati che si pongano in contrapposizione con la cultura autoctona sono inevitabilmente destinati ad essere “rigettati” dal sistema economico e sociale che li ospita.

La “gestione politica” dell’immigrazione dovrà di conseguenza darsi l’obiettivo di incoraggiare comportamenti virtuosi ed al tempo stesso scoraggiare atteggiamenti distruttivi e autoreferenziali.
La capacità del nostro paese di selezionare nei prossimi anni la “qualità” della sua immigrazione influenzerà in modo rilevante le prospettive di crescita economica e di tenuta sociale.







Francia, il burqa e il voto per i «valori repubblicani»
Socialisti e radicali insieme al centrodestra

Corriere della Sera, 12-05-2010
Massimo Nava

PARIGI — In Francia, l'«attaccamento ai valori repubblicani» mette d'accordo tutti o quasi. E infatti ieri pomeriggio una risoluzione preliminare al dibattito sulla legge per il divieto del «burqa», presentata dalla maggioranza di centrodestra, ha trovato anche il sostegno dell'opposizione socialista e radicale e la neutralità dei deputati comunisti e verdi che hanno lasciato l'aula al momento del voto. Il sostanziale consenso sui principi (va ricordato che la questione del velo integrale fu sollevata a suo tempo dal deputato comunista André Gerin, presidente della commissione parlamentare creata ad hoc) non può tuttavia essere già considerata una sorta di semaforo verde all'approvazione di una legge e tantomeno alla sua messa in pratica. Se Francois Copé (il capogruppo dell'Ump), che ha condotto la battaglia in prima linea, è convinto di poter varare la legge entro l'estate, proprio i socialisti e non pochi deputati della stessa maggioranza sono decisi a fissare limiti ben precisi alla normativa, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti di applicazione e le eventuali sanzioni amministrative e penali. L'obbiettivo del divieto totale, sempre e comunque, si scontra infatti con il parere del Consiglio di Stato espresso nelle scorse settimane e, in ultima analisi, contro il buon senso. Che cosa si intende infatti per «spazio pubblico d'interdizione»: i soli servizi pubblici (uffici, scuole, trasporti, ospedali, ministeri, eccetera) o lo spazio pubblico fisico, quindi anche un mercato piuttosto che un cinematografo e alla fin fine la strada? La maggioranza, per volontà di Copé, che è riuscito a convincere su questa strada anche il presidente Sarkozy, inizialmente più prudente, è per la prima ipotesi e in questo senso verrà discusso il prossimo 19 maggio il progetto d'iniziativa del governo, che sarà portato in Aula a giugno. Il gruppo socialista, che ha presentato un proprio progetto, propende invece per un divieto circoscritto agli «spazi civici», conforme alla raccomandazione del Consiglio di Stato. I giudici avevano infatti messo in guarda il legislatore dall'approvare una normativa di difficile applicazione, con il rischio di scontrasi con altri sacri valori della République: la libertà di coscienza, i diritti dell'individuo, compreso quello di vestirsi liberamente.
Controversa anche la questione delle sanzioni. C'è chi propone di non punire le donne che portano il velo integrale, bensì coloro che obbligano le donne a portarlo. In questo caso, si affermerebbe lo spirito del progetto di legge, teso a difendere innanzitutto i diritti delle donne e il principio della parità uomo-donna. In questo senso, i socialisti propongono un approccio pedagogico: 150 euro di multa, che salirebbe a 300 in caso di rifiuto della mediazione sociale, e ben 15 mila euro per mariti e uomini che obbligano le donne a portare il burqa.
La sinistra è anche preoccupata per gli effetti sociali di una legge che (come fu quella sulla laicità della Repubblica, voluta dall'ex presidente Chi-
rac) rischia di essere interpretata a senso unico, cioè contro i musulmani che, in Francia, sono oltre cinque milioni. Una delegazione del Ps ha incontrato i rappresentanti del Cfem (il consiglio del culto musulmano). Secondo il capogruppo del partito, la comunità musulmana non è favorevole alla legge, ma comprende il «dovere del legislatore di assumersi responsabilità».
La legge vedrà la luce probabilmente dopo l'estate, ma è già previsto un periodo «pedagogico» di sei mesi. Il tutto, si ricordi, per un fenomeno che riguarda poco più di duemila donne in tutta la Francia, compresi i territori delle ex colonie. La legge vuole essere soprattutto un segnale politico. Ben più ampio il fenomeno della poligamia che, oltre ad essere contrario ai valori della République, è un peso per le Stato e le municipalità che devono caricarsi il costo degli alloggi e dei servizi sociali. Ma per affrontarlo non basterebbe un semplice divieto di polizia.








STATI UNITI, INUTILE L'APPELLO DELLA CASA BIANCA A MODIFICARE LE RECENTI MISURE CONTRO L'IMMIGRAZIONE ILLEGALE
Effetto-Arizona: "No ai clandestini"

La Stampa, 12-05-2010
Maurizio Molinari

Dal Colorado all'Oklahoma, altri dieci Stati chiedono leggi più dure
Sfidata da proteste di piazza e boicottaggi turistici, bersagliata dai sospetti di razzismo sollevati da Hillary Clinton e alle prese col duro braccio che la oppone al ministero della Giustizia, l'Arizona non si sente affatto isolata a causa della nuova legge anticlandestini perché piace alla maggioranza degli americani e almeno altri dieci Stati si accingono a emularla.
A descrivere la popolarità delle rigide norme che da luglio entreranno in vigore in Arizona - imperniate sulla possibilità che la polizia chieda a chiunque prova della residenza legale, pena l'arresto - è quanto sta avvenendo in un numero significativo di altri Stati. A partire dal Colorado, dove il candidato repubblicano alla poltrona di governatore Scott Mclnnis, si è detto a favore di «applicare anche qui le stesse leggi» riscuotendo un immediato rafforzamento nei sondaggi. La tesi di Mclnnis è che «se il governo federale non fa ciò che serve, tocca a noi rimediare». E qualcosa del genere pensano anche i legislatori dell'Oklahoma dove il Congresso sta per approvare rigide pene per «gli immigrati illegali trovati in possesso di armi». In South Carolina invece sta per diventare crimine «assumere operai che sostano sul ciglio della strada» al fine di stroncare il fenomeno dei clandestini con contratti a tempo. E ancora: Utah, Missouri, Texas, North Carolina, Maryland e Minnesota vedono i rispettivi Congressi impegnati a varare leggi destinate a rendere più difficile la vita agli immigrati illegali.
Già nel 2004 l'Arizona fu uno Stato-battistrada contro i clandestini, quando gli vietò di ricevere benefici pubblici, ed adesso il fenomeno si ripropone. «Stiamo assistendo ad una tendenza nazionale - spiega Ira Mehlman, portavoce della Federazione per la riforma dell'immigrazione - gli americani stanno perdendo la pazienza nei confronti di un governo che non pone rimedio alla questione degli illegali».
La decisione del presidente americano, Barack Obama, di rimandare la riforma dell'immigrazione dando priorità a quella delle finanze, ha rafforzato l'insoddisfazione facendo apparire l'Arizona al grande pubblico come l'unico luogo dove i politici hanno deciso di dare una risposta all'emergenza dei clandestini. Da qui gli esiti convergenti di tre recenti sondaggi: per Gallup oltre il 75 per cento degli americani «è al corrente della legge dell'Arizona» e il 51 per cento di questi «è favorevole», secondo Angus Global Monitor il 71 per cento degli intervistati condivide la possibilità che «la polizia chieda i documenti di residenza in presenza di un ragionevole sospetto di illegalità» e una ricerca di Zogby è arrivata alla conclusio-
ne che ben il 79 per cento dei cittadini «non è d'accodo con l'assegnare ai clandestini gli stessi diritti e le stesse libertà dei cittadini americani».
Fra i sostenitori della riforma c'è un misto di delusione e preoccupazione: «La gente è arrabbiata e confusa perché consapevole che qualcosa di negativo sta avvenendo» ammette Jonette Christian, fondatrice dei gruppi pro-legalizzazione nello Stato del Maine. «Se siamo arrivati a questa ondata anti-illegali in America -aggiunge Jack Pitney, politologo del college Claremont Mc-Kenna in California - è perché gli attacchi lanciati dall'amministrazione Obama contro l'Arizona si sono trasformati in un boomerang, giovando alla popolarità della governatrice Jan Brewer» che nelle ultime 36 ore si è tolta anche la soddisfazione di veder fallire la raccolta di firme per promuovere due referendum popolari nello Stato a favore dell'abolizione della legge anticlandestini.








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