Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 settembre 2010

LO SCONTRO SULLE ESPULSIONI
Bossi copia la Francia: «Via gli immigrati ladri»

il Giornale, 17-09-2010
Francesca Angeli
Al leader della Lega piace la linea Sarkozy sull'emergenza nomadi: «Faremo le stesse richieste a Bruxelles. C'è chi arriva qui e vive di mezzucci. Non va bene, devono rispettare le regole». EMaroni rilancia: «Siamo stati i primi a gestire il fenomeno»
Roma «Sarkozy? Sta facendo bene, anzi benissimo, sulle espulsioni dei rom. E l'Italia farà la stessa richiesta». Da Bruxelles il dibattito infuocato sui campi nomadi e i rom rimbalza nell'agorà politica nostrana dove Umberto Bossi, come prevedibile, non smorza i toni ma anzi li riattizza. Per il leader della Lega la Francia, scegliendo la linea dura con i rom, ha finalmente fatto la cosa giusta e il nostro paese deve imitarlo. «Se uno viene in Italia - dice Bossi - e deve vivere di mezzucci no, non ci stiamo, deve adeguarsi alle regole dell'Occidente. La maggior parte dei furtarelli in casa viene fatta dai rom. Certo non dico che i rom siano il demonio, però se la gente che lavora torna a casa e la trova buttata per aria non è molto allegro».
Ma l'Italia imiterà Sarkozy? Chiederà alla Commissione il via libera alle espulsioni? «Mi pare che Maroni l'abbia già fatto», replica Bossi. Ed è infatti proprio il titolare del Viminale, Roberto Maroni, a chiarire come stanno le cose anche dal   punto di vista legislativo nella Ue e da noi, denunciando prima di tutto quanto sia assurdo paragonare la politica di Sarkozy con le deportazioni messe in atto dai nazisti, come ha fatto la vicepresidente della Commissione, Viviane Reding, che poi infatti ha chiesto scusa.
«Il governo francese ha agito bene - dice il ministro dell'Interno - non c'è stata nessuna deportazione o espatrio di massa, come affermato strumentalmente e demagogicamente da qualcuno, ma una politica di rigore che applica le direttive Ue. Nessuno espelle nessuno. I francesi hanno praticato una politica di rimpatri volontari incentivandoli». E in realtà non c'è alcun bisogno da parte dell'Italia di «imitare» Sarkozy perché la direttiva sui rimpatri volontari, la 38 del 2004, è stata applicata prima dal governo Berlusconi.
«L'Italia non può che essere d'accordo con la Francia - prosegue Maroni - perché abbiamo fatto e facciamo lo stesso anche noi». Per la verità Maroni vorrebbe poter fare di più prevedendo addirittura sanzioni per chi dovesse violare quella direttiva. Comunque, aggiunge il ministro, il governo italiano «sta dalla parte di quello francese perché ha fat¬to qualcosa di assolutamente legittimo per garantire la sicurezza dei cittadini». Nessun bisogno di andar dietro alla Francia dunque, conclude Maroni, l'Italia si è mossa per prima tanto che «non c'è più un'emergenza rom, in quanto la situazione è stata gestita e governata».
Non c'è volontà di discriminazione da parte del governo francese ma la necessità di contrastare chi viola la legge. A pensarla così è il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «La Francia - dice La Russa - ha deciso di cancellare il dato culturale che bisogna chiudere un occhio quando un rom commette un reato. La Francia come l'Italia pensa che sia sbagliato. Non vogliamo contrastare i rom, ma gli atti illegali commessi da alcuni di loro».
Lapolemica sulle espulsioni e la conseguente collera di Sarkozy hanno sicuramente il merito di aver messo l'Europa
di fronte al fatto che si deve trovare almeno un barlume di linea comune sul fronte dell'immigrazione e che la Commissione non può più fare lo struzzo lasciando che le singole nazioni se la cavino come possono, salvo poi bacchettarle quando passano all'azione.
È giunto il momento delle scelte anche per la Uè, dice il ministro per le Politiche Co-munitarie, Andrea Ronchi. «È necessario che l'Europa esca dal torpore e dalle indecisioni - dice Ronchi - e abbracci la linea dei Paesi che invocano la legalità per scongiurare rigurgiti di xenofobia e intolleranza. L'Europa deve sostenere la legalità e l'ordine pubblico». E a chi critica certe scelte parlando di deportazione Ronchi ricorda come siano spesso proprio i sindaci di sinistra a chiedere gli sgombri dei campi rom.
Ma per il leader Pd, Pier Luigi Bersani, Bossi si deve preoccupare di «ladroni più grossi» dei rom. Poi però ricorda che dalle sue parti «quando arrivavano i rom si chiudevano le porte» ma «nessuno li ha mai trattati male».



DIFFICILE INTESA A BRUXELLES
Rom, l'ira di Sarkò sul «capo» della Ue Bossi: sono dei ladri

La Gazzetta Del Mezzogiorno, 17-09-2010
ROMA. Giusto espellere i rom: sono ladri. Non va tanto per il sottile il leader della Lega Nord Umberto Bossi nello spalleggiare la crociata del presidente francese contro i «gitani». «Sì, Sarkozy sta facendo bene sulle espulsioni», dice il senatur ai giornalisti che lo incontrano a Montecitorio mentre a Bruxelles il Consiglio europeo litiga sul giro di vite deciso Oltralpe e non trova ancora un compromesso. E mentre Sarkozy si scontra violentemente con il presidente della Commissione Ue, Barroso, ricevendo sostegno da Berlusconi (i dettagli nel servizio da Bruxelles, a destra, ndr).
La convinzione di Bossi è che i rom siano campioni di ladrocinio e che dunque bisogna intervenire per ragioni di ordine pubblico: «La maggior parte dei furti li fanno i rom. Certo non sono il demonio, però per la gente che lavora, torna a casa e la trova buttata per aria, non è molto allegro», sostiene Bossi. Insomma, i leghisti sono in piena sintonia con il presidente francese e condividono l'appoggio che Berlusconi ha dato all'Eliseo. Non solo Bossi ma anche il ministro dell'Interno Maroni sostiene che Sarkozy «ha agito bene» con le espulsioni, smentendo che equivalgano a una «deportazione di massa come durante la seconda guerra mondiale», tesi della commissaria europea Viviane Redìng che ha mandato su tutte le furie Parigi.
Gli applausi a Sarkozy provengono anche dall'area degli ex An. «In Francia è finita l'epoca del permissivismo», dice il ministro della Difesa la Russa annunciando che anche l'Italia «senza copiare pedissequamente sta studiando dei metodi per contrastare non i rom ma gli atti illegali commessi da alcuni di loro» (anche se Maroni precisa che in Italia «non c'è un'emergenza rom perchè la situazione è stata gestita e governata»). Persino in casa finiana, nonostante la battaglia per l'integrazione e l'accoglienza sia uno dei cavalli dì battaglia del presidente della Camera, si sentono voci di sostegno a Parigi. Andrea Ronchi, ministro per le politiche comunitarie (l'unico ministro targato Fli), sostiene che l'Europa deve «uscire dal torpore», e se la prende con i sindaci di sinistra: «sono quelli che con maggior forza chiedono gli sgombri dei campi rom». Non tutti, però, nel centrodestra, la pensano allo stesso modo. C'è anche chi sì tira indietro, come il repubblicano Francesco Nucara, il regista del nuovo gruppo parlamentare che Berlusconi vorrebbe far nascere per ottenere la fiducia senza i finiani e che ora dice: «Sulla questione dei rom la fiducia a Berlusconi non la voterei».
«Sì, è vero - risponde Bersani al leader leghista -, risulta anche a me che i rom sono ladri. Nel mio paese quando arrivavano si chiudevano le porte, ma non venivano mai trattati male. Bossi invece di prendersela con loro, si occupi di altri ladroni ai quali sono state aperte autostrade con norme approvate in Parlamento». Secondo il segretario del democratico «è una vergogna che una piccola minoranza di nomadi che girano in Europa da mille anni non possano trovare una sistemazione in campi civili».
Tra Sarkozy e la Reding, dunque, l'opposizione non ha dubbi su chi scegliere: «Apprezziamo molto la posizione della commissaria europea, non si può affrontare il discorso dei rom in maniera demagogica per qualche voto in più «, dice il segretario dell'Udc Cesa.



Silvio e Sarko, il bacio della morte

Europa, 17-09-2010
Simone Verde
Berlusconi alleato: grande conquista o bacio della morte? In questo rovello sta parte della strettoia in cui si trova Nicolas Sarkozy. Il quale, agitato da una possibile esclusione dalla corsa alle presidenziali del 2012, sta facendo di tutto pur di recuperare l'elettorato di estrema destra e salire di nuovo nei sondaggi. Strategia prediletta da sempre, le misure contro gli immigrati e lo scontro istituzionale, dentro e fuori la repubblica, per accreditarsi quale eroe nella lotta all' establishment e per il cambiamento. Due assi strategici scatenati contemporaneamente dai rimpatri forzati dei Rom che da giorni stanno arroventando il clima politico   internazionale. Dapprima criticati dal presidente Barroso, poi condannati dal parlamento europeo e dall'amministrazione Obama, infine oggetto di un'inchiesta annunciata a inizio settimana dal commissario alla Giustizia Ue, Viviane Reding. I commenti di Sarkozy non si sono fatti attendere. Stizzito, mercoledì il presidente ha dichiarato: «Non dovremmo rimpatriare i Rom? In tal caso, perché la Reding non se li prende da lei?». Ieri, poi, è stato il momento di una vera e propria aggressione verbale contro Barroso.
Di fatto sempre più isolato nel panorama internazionale, scaricato dalla Merkel e poco apprezzato da Cameron, l'Eliseo, nella sua solitaria battaglia ambiguamente razzista, ha incassato soltanto l'appoggio del presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi. Il quale, mercoledì, si è precipitato a venirgli in soccorso, dichiarando che «sui Rom l'Italia sta con Sarkozy». E ha cercato di evitare comunque lo scontro frontale con l'Ue, aggiungendo che «l'Europa deve trovare una posizione condivisa». A sostenere l'inedito asse tra Roma e Parigi, poi, sarebbe arrivata ieri una lunga intervista di Berlusconi a Le Figaro che titolava, "Io sostengo Nicolas in Europa, al G8 e al G20". Seguiva il riassunto delle polemiche estive con Fini, il ritratto di un esecutivo italiano saldo al suo posto e il vanto delle riforme e delle misure di successo varate dal centrodestra. Poi, la domanda compiacente: «Come pensa di servirsi dei suoi buoni rapporti con Sarkozy per aiutare l'Europa?». La risposta è un elogio della sintonia tra i due paesi come esempio «dell'Europa della gente e del fare», riprendendo le parole d'ordine del sarkozismo della prima ora.
Da qui, il rovello di tanta stampa. La strada intrapresa per assicurarsi la leadership del centrodestra, il bisogno di alzare più che mai i toni per riconquistare un elettorato di estrema destra deluso, i conflitti istituzionali inaugurati, non sono forse destinati ad allontanare l'elettorato moderato? E ancora, l'isolamento internazionale e l'amicizia preferenziale con Berlusconi messa in scena ad arte dalla stampa amica non è forse un elemento di fragilità di fronte all'opinione pubblica francese? Una serie di interrogativi, che in realtà evocano lo spettro temuto da tanti. Ovvero la possibilità che anche in Francia una consolidata democrazia liberale si trasformi in un sistema stabilmente populista sostenuto da imprenditori e finanza, secondo quanto praticato da tempo in paesi come l'Italia e la Russia.
La partita, ovviamente, è rischiosa e mira, per mantenere il potere in una stagione politica carica di aspettative e di ambizioni e povera di risultati, a rompere la gabbia di regole che impedisce un consolidamento del sistema mediatico e populistico congeniale a Sarkozy. E che rischia di riuscire, a fronte di un Partito socialista e di un'opposizione che nel loro insieme non riescono a interpretare i cambiamenti di società in atto e ad attirare su di sé le energie anarchiche liberate dallo sfarinamento della democrazia liberale.



Bossi: sono i rom a fare i furti, l'Italia faccia come la Francia

il Sole, 17-09-2010
Luca Ostellino
ROMA.
La Lega Nord sposa senza riserve il giro di vite e la linea del massimo rigore nei confronti dei "gitanes" decisi dalla Francia. Un "invito a nozze" per il leader del Carroccio Umberto Bossi, che non si limita ad appoggiare la crociata del presidente francese, ma la giustifica, nella convinzione che i rom abbiano una "propensione al furto" molto più alta della media e che occorrà così intervenire per ragioni di ordine pubblico. «Sì, Sarkozy sta facendo bene sulle espulsioni», sostiene Bossi. «La maggior parte dei furti - sottolinea il senatur - li fanno i rom. Certo non sono il demonio, però, per la gente che lavora, torna a casa e la trova buttata per aria, non è molto allegro». In casa Lega dunque, e non era molto diffcile prevederlo, c'è completa sintonia con il presidente francese e con Silvio Berlusconi, per l'appoggio dato all'Eliseo dal presidente del Consiglio italiano (che a Bruxelles, però, ha parzialmente corretto il tiro).
Non è solo Bossi a intervenire a sostegno di Nicolas Sarkozy, ma anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni, per il quale, il presidente francese ha agito bene. «Non c'è stata nessuna deportazione o espatrio di massa, come strumentalmente qualcuno ha affermato» (il commissario europeo Viviane Reding, che ha mandato su tutte le furie Parigi), ha detto Maroni. Per il ministro, la Francia ha adottato semplicemente «una politica di rigore, che applica pienamente le direttive
Ue, la 38/2004 e iTrattati». Il governo francese ha fatto qualcosa di «assolutamente legittimo per garantire la sicurezza dei cittadini, praticando una politica di rimpatri volontari, incentivandoli. Nessuno espelle nessuno», assicura Maroni. «Abbiamo fatto e facciamo lo stesso anche noi», aggiunge, spiegando che bisognerebbe integrare la direttiva, prevedendo sanzioni che attualmente mancano». In Italia, comunque, «non c'è più un'emergenza rom, perché la situazione è stata gestita e governata». Anche tra gli ex Ari c'è apprezzamento per la politica francese. «In Francia è finita l'epoca del permissivismo», avverte il ministro della Difesa Ignazio La Russa, annunciando che anche l'Italia «senza copiare pedissequamente sta studiando dei metodi per contrastare non i rom magli atti illegali commessi da alcuni di loro». Tra gli stessi finiani, nonostante la battaglia per l'accoglienza e l'integrazione, con il voto agli immigrati residenti, sia uno dei cavalli di battaglia di Gianfranco Fini, c'è chi plaude all'iniziativa di Sarkozy. Andrea Ronchi, ministro per le politiche comunitarie, (unico ministro in quota al gruppo finiano di Fli) sostiene che l'Europa deve «uscire dal torpore», e se la prende con i sindaci di sinistra: «Sono quelli che con maggior forza chiedono gli sgombri dei campi rom».
L'opposizione, al contrario, attacca Bossi. «Sì, è vero, risulta anche a me che i rom sono ladri. Nel mio paese quando arrivavano si chiudevano le porte, ma non venivano mai trattati male. Bossi invece di prendersela con loro, si occupi di altri ladroni ai quali sono state aperte autostrade con norme approvate in Parlamento», ironizza Pier Luigi Bersani. Per il segretario del Pd «è una vergogna che una picco-la minoranza di nomadi che girano in Europa da mille anni non possa trovare una sistemazione in campì civili».



Berlusconi Sarkozy un patto anti Ue contro l'invasione rom

il Giornale,17-09-2010
Adalberto Signore
II premier a Bruxelles difende la linea dura di Parigi dopo le critiche della Reding. Nicolas a Silvio: «Sei un vero amico»
" Doveva essere un noioso vertice di fine d'estate sul patto di stabilità e la politica estera comune, invece al Consiglio europeo di Bruxelles tiene banco lo scontro sui rom e va in scena un infuocato botta e risposta tra Sarkozy e Bar-roso. Con la Francia che alla fine impone la sua politica sullo smantellamento dei campi illegali e incassa anche una decisa presa di distanze dei big dell'Ue dalle critiche della Reding, la vice-presidente della Commissione nonché commissaria alla Giustizia che aveva paragonato l'iniziativa dell'Eliseo alla deportazione degli ebrei. E con un asse sempre più saldo tra Italia e Francia, visto che anche durante l'acceso pranzo dei 27 Roma sostiene con forza le posizioni di Parigi. Tanto che Sarkozy si congeda dal Cavaliere con un abbraccio e una frase eloquente: «Jen'oublieraijamais. On reconnatt ses amis quand on est dans le besoin ("Non lo dimenticherò mai, gli amici si vedono nel momento del bisogno", ndr)».
Un vertice, insomma, piuttosto sui generis per i sempre molto composti corridoi di Justus Lipsius. Con il presidente francese che non nasconde il disappunto per le critiche «oltraggiose» della Reding, definite un vero e proprio «insulto» alla Francia. Sarkozy, dunque, batte i pugni sul tavolo e dice di ritenere inaccettabile l'ipotesi di una procedura d'infrazione dell'Ue nei confronti di Parigi. «Sono stati già smontati più di 55mila campi nomadi e - spiega il presidente francese - tutto è stato fatto secondo legge». E senza alcuna discriminazione razziale visto che «i rom che vivevano nei 355 campi smantellati erano per i due terzi cittadini francesi».
Berlusconi, come aveva già fatto mercoledì in un'intervista al quotidiano Le Figaro, appoggia la linea dell'Eliseo.
Perché, spiega durante il pranzo, «non si può scaricare il problema sui singoli Stati» ma è necessario «trovare una politica comune». Insomma, Sarkozy «ha ragione». E pure secondo il Cavaliere la Reding è andata oltre illecito, una posizione condivisa anche da Zapatero e dalla Merkel (che però ci tiene a marcare le distanze dalla posizione francese). Così, finisce che la decisione sull'eventuale procedura d'infrazione viene congelata visto che alla questione, fa sapere il presidente del Consiglio Ue Van Rompuy, «sarà dedicato unprossimo Consiglio europeo».
Nel merito, però, Berlusconi preferisce non entrare. E lasciando Justus Lipsius decide di non rilasciare alcuna dichiarazione.   D'altra  parte, che il premier non ami parlare molto in quel di Bruxelles non è certo una novità visto che è ormai un anno che non tiene conferenze stampa al termine dei Consigli Ue. Così, il primo a confermare il sostegno italiano è proprio Sarkozy («Ci siamo parlati e siamo d'accordo», spiega il presidente francese) seguito qualche ora dopo da una nota della Farnesina. Berlusconi, si legge nel comunicato, «ha auspicato l'opportunità di una paziente e dettagliata consultazione con i Paesi interessati prima di adottare iniziative critiche nei confronti degli Stati membri». Un modo educato per prendere le distanze sia dall'ipotesi di aprire una procedura d'infrazione contro Parigi sia dalla Reding. Tanto che durante il pranzo il premier rin-nova l'appello al «silenzio» per commissari e portavoce Ue. «Solo il presidente Barroso - spiega il Cavaliere - dovrebbe fare dichiarazioni per conto della Commissione». Una linea, quella di Berlusconi sui rom, che ha anche riflessi italiani. Il premier, infatti, sa bene che sull'argomento gli elettori sono sensibili, al punto che Sarkozy in due settimane è risalito nei sondaggi dal 38 al 42% nonostante in Francia impazzasse il caso Bettencourt. E non è un mistero che a Palazzo Chigi - tra i punti per rilanciare l'azione di governo dopo la verifica di fine settembre -stia pensando di adottare misure simili anche a casa nostra. Con un ricasco di non poco conto sugli equilibri interni alla maggioranza, visto che sull'argomento la Lega è agguerritissima. Mentre Fini - che ormai s'è decisamente spostato sui temi dell'integrazione - rischierebbe di essere scavalcato a destra. Non solo dal Carroccio ma pure dal Pdl. Una modo per rinsaldare l'asse del Nord e lasciare nell'angolo Fini su un tema che - lo confermano senza incertezza i sondaggi di Euro Media Research - vede la netta maggioranza degli italiani favorevole alla linea della fermezza.



E i francesi che s'incazzano
L'asse Sarkozy-Cav. rintuzza l'euroipocrisia sul rimpatrio dei rom

Il Foglio, 17-09-2010
Il capo dell'Eliseo e José Balioso litigano a tavola durante il vertice dei Ventisette Tutti gli altri dossier finiscono oscurati
"D'accordo con Berlusconi"
Bruxelles. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, non cede alle pressioni dell'Ue e respinge l'attacco contro la sua politica delle espulsioni. Ieri, al Consiglio europeo, ha avuto "uno scambio di battute violento" con il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, come ha riferito il premier bulgaro, Boyko Borissov. Sarkozy ha detto che il suo governo continuerà a smantellare "i campi illegali" e ha ottenuto una dichiarazione di principio dai leader dei Ventisette riuniti a Bruxelles. Il documento comprende quattro punti: ogni stato membro ha il diritto di far rispettare le leggi nazionali e di difendere il proprio territorio; la Commissione ha il diritto e il dovere di verificare     l'applicazione delle leggi europee; allo stesso tempo, le relazioni fra gli stati membri e l'Unione devono essere di reciproco rispetto; la Commissione dissente sul parallelo poco felice di Viviane Reding, responsabile della Giustizia, che aveva paragonato le espulsioni volute dal governo francese alle deportazioni della Seconda guerra mondiale.
Reding ha già chiesto scusa per le parole pronunciate martedì, ma vuole aprire due procedure d'infrazione contro Parigi. Una è per aver violato le garanzie dei cittadini esplusi, l'altra per una circolare con la quale il ministero dell'Interno francese ha deciso che "la priorità è per i cittadini rom". Ieri Sarkozy ha ribadito che i governi nazionali conservano la supremazia sull'Unione, anche dal punto di vista morale. "'L'Europa non può chiudere gli occhi - ha detto il presidente francese - A forza di chiudere gli occhi sulle questioni importanti, si allontanano gli europei dall'Europa''. Secondo il capo dell'Eliseo, questa vicenda marca la distanza tra Bruxelles e la vita vera: "E' perché la Francia ha parlato di questioni che riguardano tutti che l'Europa ha fatto tanti progressi. Noi rifiutiamo le bidonville nelle nostre città".
Dalla fine di luglio, il governo francese ha espulso un migliaio di cittadini rom -che hanno lasciato la Francia in cambio di un contributo economico - e le forze dell'ordine hanno smantellato circa cento insediamenti abusivi. Questa politica ha attirato critiche fra i partner europei. Sarkozy ha detto ieri che la Francia "ha agito e continuerà ad agire nello spirito della direttiva europea", Barroso gli ha risposto che la Commissione "non si lascerà distrarre" e continuerà a "difendere vigorosamente" le regole della libera circolazione dei cittadini, Il caso non era sull'agenda del vertice, ma tutti si aspattevano una replica di Sarkozy agli attacchi del commissario Reding. La risposta del presidente francese ha raccolto consensi fra gli altri leader europei. Compreso quello del cancelliere tedesco, Angela Merkel, che in passato ha avuto diverse occasioni di scontro con l'Eliseo. "II tono e il paragone usati da Reding sono inappropriati -ha detto Merkel - Spero che la prossima volta si riesca a fare meglio". In serata, Sarkozy ha negato in parte le dichiarazioni del premier bulgaro Borisov. "Non c'è stato nessun diverbio - ha commentato -Se c'è qualcuno che ha mantenuto la calma e si è astenuto da ogni commento eccessivo, quello sono io".
All'incontro di Bruxelles ha partecipato il premier italiano. Silvio Berlusconi. giunto in Belgio dopo una sosta forzata a Milano Linate per un problema tecnico al
l'aereo sul quale stava volando. Per Berlusconi. s,erve "una forte politica europea in materia di immigrazione e di circolazione delle persone, improntata al rispetto delle leggi, al principio di solidarietà e a quello di leale collaborazione fra le istituzioni comunitarie e i singoli stati". Secondo fonti riportate dall'agenzia Adnkronos. il capo del governo "ha detto che Barroso dovrebbe essere l'unico a fare di chiarazioni per conto della Commissione e ha chiesto che a tutti gli altri membri dell'organismo, così come ai portavoce, sia impedito di parlare in pubblico". Berlusconi aveva avanzato un suggerimento simile nel settembre del 2009, dopo che un portavoce dell'Ue chiese all'Italia spiegazioni sulla politica dei rimpatri verso la Libia. Il Cav, come Sarkozy, vuole che il tema dei rom resti sull'agenda dell'Ue. Per questo, ha domandato al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rom-puy, un dibattito specifico.



ESPULSIONI
Una barbarie che parla alla sinistra

il manifesto, 17-09-2010
Annamaria Rivera
Se almeno a sinistra si fosse capaci di fare esercizio di decentramento, forse si coglierebbero la gravità di ciò che accade in Europa e l'affinità con alcune delle tendenze che condussero alla catastrofe. E allora suonerebbe meno infondato l'allarme delle rare cassandre che da alcuni anni cercano di richiamare l'attenzione sul razzismo di massa che dilaga in Italia e in Europa e sulla temibile saldatura fra razzismo di Stato e razzismo popolare. Quando si prende di mira una minoranza (non una qualsiasi, ma i rom, le vittime storiche, con gli ebrei, della discriminazione, della persecuzione e dello sterminio europei), attribuendole caratteri essenziali - che siano intesi come razziali, sociali o culturali è irrilevante- non si sa mai dove si va a finire. Quando si stigmatizza e si discrimina, si vessa e si perseguita quella minoranza negandole diritti umani fondamentali, in realtà mettendone in dubbio la stessa qualità umana, la
strada è spianata per ogni genere di avventura autoritaria (per non dire totalitaria).
Esemplare è il caso della patria dei Diritti dell'Uomo divenuta terreno delle scorrerie razziste di un mediocre presidente-sceriffo e dei suoi accoliti: ansiosi di sottrarre ai lepenisti lo scettro di difensori di leggee-ordine, convinti di fronteg-giare gli effetti sociali della crisi economica e la perdita di consenso con la frusta strategia del capro espiatorio, in ciò favoriti da chi a sinistra ha spianato loro la strada. Conviene ricordare che il primo disegno di legge «contro il velo islamico», in realtà contro i musulmani, fu presentato da un socialista; e che comunista è il presentatore della legge «contro il burqa», approvata dal parlamento francese pochi giorni fa. D'altra parte, nella sinistra italiana, non sono pochi/e coloro che vorrebbero «fare come la Francia», ignari/e, forse, di quanto veleno razzista ci sia nella coda di quelle leggi proibizioniste. Esse, in realtà, appartengono allo stesso ciclo che ha prodotto il grottesco dibattito sull'identità nazionale, in cui era implicito il disegno di fare «pulizia etnica», di liberare la nazione dalle impurità che la storia le ha lasciato in eredità. Pur di perseguirlo, Sarkozy e i suoi tradiscono la consueta compostezza francese, la lealtà formale verso le istituzioni europee, con uno stile grossolano da par loro, simili come sono ai governanti nostrani, con i quali anche in questa occasione hanno volentieri «giocato di sponda». Non ci sorprende troppo che a ripetere la volgare frase fatta «Se gli piacciono tanto - i 'negri', gli 'extracornunitarf, gli 'zingari'-li accolga a casa sua» sia l'uomo della strada o il Beppe Grillo di turno (nel 2006 rivolse questo invito al ministro Ferrero; più tardi, con coerenza, definì i rom «una bomba a tempo»). Non è banale, invece, che la frase insultante sia indirizzata dal presidente della Repubblica di un importante paese europeo a una autorevole rappresentante delle istituzioni europee. Non è solo una caduta di stile; è il segno che il razzismo a tal punto è stato detabuizzato da divenire forma della politica, per citare Alberto Burgio.
In Italia ciò è avvenuto da più lungo tempo, col concorso decisi-vo di quei «razzisti democratici» che, tra una strage di profughi albanesi e un consiglio di guerra sulla «piaga» dei rom, hanno costruito le tessere che altri hanno composto per farne, appunto, forma della politica. Questa forma non può produrre altro che barbarie. Ed è perciò che la condizione primaria per qualsiasi progetto di ricomposizione della sinistra, o solo di alleanza in difesa della democrazia, è che al primo punto vi siano l'impegno antirazzista e la difesa incondizionata dei diritti dei rom, dei migranti, dei profughi.



Manea: «Persecuzioni razziali? No, non è come sotto il nazifascismo»

Il Mattino ,17-09-2010
Donatella Trotta

L'intervista
Il grande scrittore ebreo rumeno esule a New York crìtica le scelte della Francia: «Antidemocratiche»
Norman Manea, classe 1936, intellettuale e pluripremiato scrittore ebreo rumeno, è stato prima vittima e poi acuto analista di due totalitarismi novecenteschi: il nazifascismo e lo stalinismo. Ha vissuto sin da bambino la condizione di de-portato e di perseguitato razziale sotto le dittature di Codreanu, Antonescu e Ceaucescu; poi, l'orizzonte esistenziale di dissidente espatriato tra Parigi e Berlino e infine l'esperienza di esule negli Stati Uniti dove vive, da circa vent'anni, a New York. E dove continua a scrivere nella linguamadre, il rumeno, opere tradotte in dieci lingue che raccontano l'orizzonte tragico e insieme grottesco di ogni regime.
Come vive, dal suo peculiare osservatorio oltreoceano, l'emergenza Rom che montata Europa?
«Molto male. Mi rendo conto che il processo di integrazione è un'impresa ardua, ma non si può certo pretendere che tutti i compiti siano facili; né tantomeno che le difficoltà del processo legittimino comportamenti razzisti». All'ultimo Consiglio d'Europa ci sono state infatti divergenze tra il presidente francese Sarkozy e il presidente Ue Barroso, Che ne pensa? «Sarkozy sta facendo scelte sbagliate e, secondo alcuni intellettuali francesi, anche stupide. Ritengo sia infatti un errore per una nazione prospera come la Francia, che non è un paese sottosviluppato, attuare politiche di respingimento che contraddicono e tradiscono la sua stessa tradizione democratica. Non solo. La nozione di cittadinanza, in Francia come in tutta Europa [se aspira ad essere davvero una Comunità) dovrebbe prevalere su qualunque altra considerazione». Secondo il Cancelliere tedesco Merkel la Commissione Ue ha diritto e obbligo di verificare se gli stati membri rispettino regole comunitarie, mentre i ministri italiani Bossi e Maroni dicono che la Francia ha fatto bene. «Ribadisco: la politica di Sarkozy è un errore. Madornale. Il problema Rom è sempre esistito, in tutta Europa; ora è riesploso con una certa virulenza. Ma non è mai troppo tardi, prendendo spunto ad esempio dai recenti conflitti in Jugoslavia e in Bosnia, per trarre sagge conclusioni da queste tragedie e dirimere infine situazioni conflittuali che non cessano solo con desideri e buone intenzioni, ma con sforzi concreti». Ma secondo lei c'è un filo rosso tra le epurazioni naziste dei Rom e l'attuale «cacciata dell'huligano»? «Non è proprio la stessa situazione, da un punto di vista storico-giuridico: sotto il nazifascismo i Rom erano fuorilegge
senza diritti, perduti per le leggi razziali funzionali alla discriminazione; ora il razzismo contraddice invece, anziché applicarla, la vigente legislazione europea».
Resta il fatto che nella percezione dell'opinione pubblica, forte dei dati sulla criminalità degli stranieri irregolari che delinquono come gli italiani, si associano i Rom a ladri e stupratori... «L'opinione pubblica in molti Paesi europei non è proprio in empatia con il popolo Rom: ma occorre distinguere la colpa individuale, che va punita, da una colpa collettiva, a torto attribuita a un'intera comunità».
Quali soluzioni suggerisce? «Il primo passo è incrementare un dibattito onesto sul tema: dal punto di vista morale, sociale e giuridico. L'opinione pubblica ha più voce in capitolo di cento anni fa; e la politica non può continuare il suo gioco demagogico di mera propaganda elettorale».



I NEMICI DEL DIRITTO EUROPEO

La Stampa, 17-09-2010
Barbara Spinelli
In un'intervista concessa al Figaro, Silvio Berlusconi ha preso ufficialmente le difese di Sarkozy, sull'espulsione dei Rom che divide il governo francese dall'Unione, e ha detto una cosa significativa, che probabilmente ha ripetuto ieri al vertice europeo di Bruxelles e che vale la pena esaminare. Credendo di comportarsi da uomo saggio, esperto in prudenza e tatto, ha criticato le parole pronunciate dal commissario alla Giustizia contro Parigi spiegando che «la signora Reding avrebbe fatto meglio a trattare la questione in privato con i dirigenti francesi, prima di esprimersi pubblicamente come ha fatto». Ha lasciato poi intendere che l'Italia conosce problemi simili a quelli francesi e che anch'egli, come Sarkozy, non tollererà ingerenze esterne nella politica italiana.
Non è la prima volta che il presidente del Consiglio si mostra infastidito quando le istituzioni europee rendono pubblici i loro pensieri, le loro inquietudini, le loro regole.
fastidio si è più volte tramutato in collera, durante la crisi economica ini-ziata nel 2007, e l'invito a  privatizzare la politica europea, che oggi torna a .formulare chiedendo che le dispute tra Stati e Unione avvengano nelle tacite camere delle cancellerie, indica una visione precisa dell'Europa, della sua influenza sugli Stati che la compongono, del diritto sovrannazionale da essa esercitato. Quella che viene negata, nella sostanza, è la preminenza di tale diritto - con le sue direttive, con la Carta dei diritti fondamentali incorporata nel Trattato di Lisbona - sulle condotte e le leggi degli Stati nazione. È il nòmos europeo, il diritto europeo, che tanto disagio suscita nei singoli governi, e che pur rimanendo legale viene corroso, delegittimato, creando conflitti gravi tra legalità formale e legittimità sostanziale.
Tutto questo viene corroso in nome di sovranità nazionali che certo non scompaiono, ma che in alcuni ambiti appartengono al superiore potere comunitario. Il nòmos europeo non è formalmente confutato (non potrebbe esserlo) ma in cambio si vorrebbe vederlo camuffato, occultato, come Tartuffe che nella commedia di Molière implora, per nascondere le proprie libidini: «Coprite quel seno, che io non devo vederlo. Simili oggetti feriscono le anime, e fanno sorgere pensieri colpevoli». Il silenzio omertoso, le trattative segrete fra Bruxelles e gli Stati, il rifiuto di uno spazio dove pubblicamente siano discussi drammi come quello dei Rom, popolo ormai comunitario a tutti gli effetti: come nella Francia di Molière e Luigi XIV, esiste oggi in Europa una «cabala di devoti» nazionalisti secondo cui il diritto europeo è valido ma va dissimulato, come il bel seno della servetta Dorine. Quel che i devoti vogliono a tutti i costi tenere in piedi è la finzione di Stati assolutamente sovrani, liberi di decidere come meglio loro piace senza interferenze di Bruxelles. Sono gli stessi devoti che vituperano, quando fa loro comodo, il «deficit democratico» d'Europa e delle sue burocrazie taciturne e scostanti.
L'ipocrita messinscena è una specialità francese, fin dal dopoguerra, e Sarkozy la perpetua. È la finzione di uno Stato che si sente talmente superiore, dal punto di vista etico, da non sopportare alcun tipo d'ingerenza. «In quanto patria dei diritti dell'uomo non riceviamo lezioni da nessuno» ammoniscono in questi giorni, sussiegosi, i ministri di Sarkozy; in particolare Pierre Lellouche, segretario di Stato agli Affari europei, secondo cui la Francia «è un grande Paese sovrano che non è consentito trattare come un ragazzino». Berlusconi e la Lega sono ben felici di nascondersi, in cerca di tutele, dietro tanta regale sicumera.
Ma c'è qualcosa di più nella vicenda dei Rom, che il fronte franco-italiano rivela. Di quest'Europa troppo schietta e comunicativa nel parlare e ammonire, né i governanti francesi né quelli italiani sembrano ricordare la ragion d'essere, sempre che la conoscano. Quel che evidentemente hanno dimenticato, è che nel dopoguerra la Comunità nacque proprio per questo: per creare un nuovo diritto sovrannazionale, grazie al quale gli Stati non possono più compiere misfatti nel chiuso delle piccole patrie sovrane. Per vietare discriminazioni di popoli giudicati estranei alle piccole patrie, per fede o etnia o scelta di vita: per sostituire parte delle vecchie norme nazionali con norme più vaste, plurali, di stile imperiale.
Non stupisce che Viviane Reding, commissario democristiano, abbia denunciato martedì il pericolo di un ritorno al passato, alle persecuzioni di ebrei e zingari durante l'ultima guerra. Sono parole forti di cui si è scusata e che molti hanno giudicato eccessive, ma che restano un memento ineludibile: memento di come l'Unione si fece dopo il '45, e perché. L'Europa è la promessa, fatta da ciascuno a se stesso, che alcune cose non si faranno più, grazie alla messa in comune delle sovranità nazionali sino a ieri assolute. Non ha senso altrimenti istituire giorni che commemorano i genocidi. La frase che ingiunge «Mai più!» è pura menzogna se non vale qui, ora, come impegno continuamente rinnovabile e per tutte le etnie o religioni.
Da quando l'Unione si è estesa a Est, dove vive il maggior numero di Rom, il diritto europeo tutela anche queste genti, nomadi o sedentarie che siano. La direttiva europea 2004-38, concernente la libera circolazione nella Comunità, stipula che nessun cittadino dell'Unione può esser espulso dal territorio in cui si trova, a meno che «non sussistano ragioni di ordine pubblico, di sicurezza e di salute pubblica»: ragioni valutabili «caso per caso», mai applicabili a un'etnia. Se l'Unione aprirà contro Parigi una procedura d'infrazione, è perché riterrà violata questa legge. Una circolare governativa francese del 5 agosto parla di «espulsione dei Rom», e rappresenta già un'infrazione. In gran fretta, nel frattempo, è stata riscritta.
Ieri a Bruxelles l'Europa si è divisa sui Rom: alcuni parlano di «scontri violenti» fra Barroso e Sarkozy. Anche se la Germania non è innocente (numerose sono le espulsioni di Rom verso il Kosovo), il cancelliere Merkel difende la Commissione, e il suo diritto a imporre superiori leggi e valori. Lo stesso fa il governo belga. Gli innocenti sono rari, ma l'unico a sostenere esplicitamente l'Eliseo, sul Figaro di ieri, è il governo di Roma. È anche l'unico a far propria l'immagine che Sarkozy si fa della Commissione: quando invita la lussemburghese Reding ad accogliere i Rom nel suo Paese, l'Eliseo tratta la Commissione come assemblea composta di rappresentanti nazionali, non di rappresentanti l'interesse comune europeo.
Può darsi che la linea del silenzio omertoso finisca col passare. Il presidente della Commissione Barroso ha una fierezza istituzionale discontinua, e ci sono governi (Spagna, Repubblica Ceca) gelosi della propria sovranità. Resta che il patto del silenzio è stato provvidenzialmente rotto, che su questioni essenziali si dibatte in pubblico: che esiste, sui Rom come a suo tempo sull'Austria di Haider, un'agorà europea. L'esecutivo di Barroso avrebbe obbedito alla politica privatizzata, se il Parlamento europeo non avesse condannato le pratiche d'espulsione con voce alta, il 9 settembre.
Diceva uno dei grandi federalisti, Mario Albertini, che la vera Unione sarebbe nata il giorno in cui il federalismo sarebbe «sceso al livello della lotta politica di ogni giorno (... affinché) l'uomo della strada sappia che, come c'è il socialista, il democristiano e il liberale, così c'è anche il federalista europeo». È quello che sta succedendo dall'inizio di quest'estate, grazie ai Rom e alla lotta politica che essi hanno suscitato attorno alla ragion d'essere dell'Europa.



Immigrazione: Francia e Paese dell'Ue

Lab il socialista, 17-09-2010
Luigi Iorio
La Francia è uno dei paesi fondatori della UE. Sul motto "libertè, fraternité, legalité" si sono basate tutte le comunità alle quali era impedito l'esercizio dell'autodeterminazione (compresa la nostra nel Risorgimento).E' per eccellenza il paese del melting pot europeo, della integrazione a tutti i livelli; ed è sempre stata molto dura nel condannare gli altri Stati, quando accennavano a qualche politica discriminatoria. Ebbene proprio questa Francia di Sarkozy sta ponendo in essere delle procedure di espulsione di massa dei cittadini Rom, che pure sono cittadini comunitari. La UE ha subito aperto una procedura di infrazione nei confronti di Parigi in quanto"la discriminazione basata sulla razza o l'origine etnica, non ha alcun posto nella Unione Europea". A tutto ciò si sono aggiunte le bugie di due ministri francesi, i quali hanno pubblicamente negato che esistessero delle circolari interne al Governo, che prevedessero questo raccapricciante documento. Infatti è venuta a galla, pare attraverso Internet, una circolare del 5 agosto 2010, rivolta a prefetti, capi della polizia e della gendarmeria, che prevede che: "Trecento accampamenti illeciti, in primo luogo quelli dei Rom, dovranno essere sgomberati nei prossimi tre mesi". In questo modo viene palesemente violata la direttiva europea che consente tra i 27 Stati la libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi; concetto questo collaudatissimo nel diritto internazionale e risalente al vecchio "atto unico" del 1987. In particolare all'interno della UE si è distinta Viviane Reding, commissario europeo alla giustizia e ai diritti umani, affermando che questa è stata una vera e propria disgrazia. I francesi si sono detti sbalorditi, ma intanto i rimpatri continuano.Tale controversia oltre che politica è anche giuridica, in quanto si contesta a Parigi la mancata ricezione delle nonne europee che assicurano a tutti i cittadini comunitari le garanzie viste. Naturalmente anche la Corte di giustizia europea ha contestato in particolare la non ricezione nel diritto francese delle norme europee che vietano la applicazione della regola sulla libera circolazione su base discriminatoria. Tutta la vicenda ha scatenato una violenta e giustificata campagna anti_Sarkozy, che sconta con un fortissimo calo di consensi la sua politica, sulla base del fatto che egli sembra non aver capito che una cosa è affrontare il problema dei Rom e cercare di regolamentarlo, altra è quella di sbattere fuori dal proprio paese queste comunità, e cosi sia.



Meglio Sarko oggi o Le Pen domani?
Il problema rom c'è, il presidente vuole risolverlo per scongiurare il peggio

Il Foglio, 17-09-2010
C?è qualcosa d'intimidatorio nell'accerchiamento cui è sottoposto il presidente Nicolas Sarkozy nella sua battaglia per normalizzare la presenza degli euroimmigrati sul suolo di Francia. Di là dalle questioni procedurali, di là dagli infortuni letterali presenti nella circolare - già accartocciata - con cui il ministero dell'Interno parigino ha disposto che le espulsioni delle ultime settimane riguardassero "in particolare i rom", si percepisce una sproporzione tra l'iniziativa di Sarkozy e le accuse che gli vengono mosse dall'Unione europea e dalla turba dell'umanitarismo militante. L'accostamento con le deportazioni naziste - azzardato dalla commissaria Ue  alla Giustizia, Viviane Reding, che però ha ammesso l'enormità - suona oltraggioso per un leader europeo dal rotondo curriculum democratico e con un pedigree da figlio di migrante (con sangue ebreo). Ma suona anche come una stonatura nella capacità di decrittare il fenomeno delle migrazioni e dei conflitti etnici.
L'interventismo di Sarkozy, appoggiato dall'Italia ma abbastanza isolato nella Dieta di Bruxelles, obbedisce a una logica semplice: avocare dall'alto la potatura energica del noma-dismo illegale, prima che il malanno sociale finisca per "risalir li rami" dalla periferia al cuore del paese, magari sotto l'urto di qualche xenofobo. Il piano di Sarkozy è criticabile quanto alla sua esecuzione materiale o, quando ci saranno, alla luce degli effetti prodotti. Ma la censura ideologica europea assomiglia all'imprudenza di chi, negando l'esistenza di un materiale infiammabile, avverte come lontani e sfocati molti focolai il cui spegnimento immediato finirà per rimpiangere.



le reazioni italiane
Bossi applaude: «I furti li fanno loro» Bersani: «Si occupi di altri ladroni»

Avvenire, 17-09-2010
Pier Luigi Fornari
Roma- Ricaduta tutta italiana dello scontro nel vertice europeo sui Rom. Umberto Bossi applaude alle espulsioni avvenute in Francia. «La maggior parte dei furti li fanno i Rom - accusa il leader leghista -. Certo non sono il demonio, però per la gente che lavora, torna a casa e la trova buttata per aria, non è molto allegro». Il ministro delle Riforme non ha dubbi sul fatto che l'Italia seguirà la stessa procedura. «Mi pare che Maroni l'abbia già chiesta», assicura. «Bossi - ribatte il segretario del Pd,
Pier Luigi Bersani - invece di prendersela con loro, si occupi di altri ladroni ai quali sono state aperte autostrade con norme approvate in Parlamento». Per il leader del maggior partito di opposizione è «una vergogna che una piccola minoranza di nomadi che girano in Europa da mille anni non possano trovare una sistemazione in campi civili». «Berlusconi, la Lega e il Pdl -rincara Fabio Evangelisti per l'Idv -stanno alimentando un clima da pogrom». Nello scontro in corso tra il vice presidente della Commissione Ue, Viviane Reding e la Francia, l'Udc non ha dubbi su dove schierarsi. «L'Europa ha varato delle norme molto chiare, se ci sono dei Rom che non rispettano le regole vengono espulsi singolarmente. Non si possono fare delle espulsioni di massa», commenta il segretario dei centristi, Lorenzo Cesa. Di parere opposto il ministro dell'Interno, il leghista Roberto Maroni: «Sto dalla parte del governo francese: ha fatto qualcosa di assolutamente legittimo per garantire la sicurezza dei cittadini». Perché quella attuata a Parigi è «una politica di rimpatri volontari» in applicazione delle direttive europee. «Noi riteniamo - sottolinea Maroni - che si debba fare di più, cioè prevedere sanzioni nei confronti di chi risiede stabilmente nel nostro Paese senza soddisfare le condizioni richieste». Ma è convinto che «in Italia non c'è più un'emergenza Rom, in quanto la situazione è stata gestita e governata». Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, anche l'Italia fa bene a studiare metodi «per contrastare non i Rom, ma gli atti illegali commessi da alcuni di loro». «È necessario che l'Europa esca dal torpore», concorda il ministro per le Politiche europee, il finiano Andrea Ronchi.



Quando Veltroni ottenne il decreto anti-Rom

il Riformista, 17-09-2010
Jacopo Matano
NOVEMBRE 2007. Dopo l'omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, il sin-daco chiese al governo Prodi un decreto d'urgenza per le espulsioni.
? Berlusconi, Bossi, La Russa, Maroni. Che Sarkò abbia ragione, nella maggioranza, l'hanno detto tutti: l'Europa chiude gli occhi di fronte al problema di sicurezza e non si fa carico della questione dei Rom, quindi ben vengano le espulsioni. Che abbia torto, invece, a sinistra non l'ha detto (quasi) nessuno. Perché allontanare gruppi di cittadini comunitari da paesi altrettanto comunitari non ha colore politico. La memoria torna al 2007, quando le città governate dal centrosinistra erano alle prese con 1 "'emergenza sicurezza" causata dall'apertura delle frontiere con la Romania. Quell'estate, per Roma e per il suo sindaco, Walter Veltroni, fu caldissima: quattro aggressioni, una colpì il regista Tornatore, un'altra costò la vita al ciclista Luigi Moriccioli. Il 30 ottobre l'omicidio di Giovanna Reggiani, moglie di un ufficiale della Marina seviziata e uccisa a Tor di Quinto, fece tremare la giunta capitolina. Veltroni - contestato ai funerali della donna - parlò di «un'espressione di violenza che da qualche mese ha cominciato a manifestarsi in questa città e che testimonia che c'è stato un cambiamento di clima». Una violenza che richiedeva provvedimenti urgenti sul piano legislativo: «I prefetti devono poter espellere i cittadini comunitari che hanno commesso reati contro cose e persone».
La stessa sera, dopo un Consiglio dei ministri straordinario convocato da Romano Prodi, alle norme sulla sicurez-za urbana contenute nel pacchetto sicurezza (che stava seguendo l'iter parlamentare) fu data immediata applicazione con un decreto. La riforma dava così, in poche ore, il potere ai prefetti di «allontanare dal territorio nazionale di cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza». Motivi «imperativi», quando il comportamento del comunitario «compromette la dignità umana o i diritti fondamentali della persona», oppure «compromette l'incolumità pubblica rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza». Le pezze d'appoggio c'erano già: la direttiva 2004/38, la stessa cui si appella oggi Sarkozy, che prevede anche la possibilità di allontamento per «mancanza di mezzi di sussistenza». E il di 30/2007, che applicava la direttiva, e che fu rafforzato dopo
l'omicidio Reggiani.
«Fu Veltroni a imporre quel decreto», ricorda Clemente Mastella, che il provvedimento lo firmò da ministro della Giustizia. «Dopo quell'aggressione ricevemmo fortissime pressioni dall'opinione pubblica e dalla politica», continua l'europarlamentare, che rivendica la scelta perché «il problema della sicurezza tocca sempre chi governa».
I prefetti, le espulsioni, le fecero. Ma poche. A nulla valsero gli annunci di Antonio Manganelli, fresco di nomina al vertice della Ps, che parlò di «alcune migliaia di cittadini comunitari» da allontanare a breve: a due settimane dall'omicidio Reggiani, i provvedimenti nei confronti dei romeni ordinati dal prefetto di Roma erano soltanto undici. A seppellire le espulsioni di sinistra, poi, ci pensarono le elezioni.



Né D'Alema né Prodi sollevarono il problema quando l'Ue aprì a Romania e Bulgaria
A sinistra nessuno si accorse che i rom ci avrebbero invaso
ItaliaOggi, 17-09-2010
PIERO LAPORTA
Ha fatto male Silvio Berlusconi ad attendere che la Ue moderasse i toni, per manifestare solidarietà a Nicolas Sarkozy. Tali prudenze non sono da statista e non consola che peggio sfigurino Madrid, Atene e Lisbona, sull'attenti per i diktat della lontanissima Commissione europea che non vuole comprendere il disagio sociale che i rom creano nel meridione dell'Europa.
Romania e Bulgaria furono invitate nella Ue nel dicembre 1999. Al governo era Massimo D'Alema, agli esteri Lamberto Dini. Nessuno sollevò il problema rom nel corso del negoziato. Il 1° gennaio 2007, al governo Romano Prodi, alla Farnesina Massimo D'Alema, Sofìa e Bucarest entrarono in Europa. Alla fine del 2006 erano poco più. di mille i detenuti stranieri con passaporto della Ue, nelle carceri italiane. Divennero limila nel 2007, lo certifica l'Istat. Il già fragile sistema carcerario italiano sprofondò. Erano tutti rumeni, salvo un decimo di bulgari, il cui diritto di libera circolazione non era stato in alcun modo condizionato. Ovvio che se n'avvalessero rom o delinquenti. Saturarono le carceri; non abbastanza tuttavia, come testimoniano le tragedie di quei mesi. I rom dilagavano già dall'apertura del negoziato, allargandosi le maglie al confine orientale, com'ebbi modo di constatare nel 2000, viaggiando in treno da Budapest a Trieste, dove una marea di nomadi clandestini sbarcò indisturbata: pulizia etnica in Romania e invasione dell'Italia. «Ripulire» le città rumene dalle etnie indesiderate dava valore aggiunto alle speculazioni immobiliari, avviatesi nel 1999 a Bucarest e Sofia con l'apertura del negoziato con la Ue. In Italia la magistratura espropriava i figli alle famiglie povere italiane, incurante dei rom sfruttatori di bambini. Nei comitati della sicurezza, fino all'arrivo dei sindaci Giovanni Alemanno a Roma e Letizia Moratti a Milano, non fu assunta alcuna decisione per ripulire i campi abusivi. Analoga espansione a macchia d'olio dei rom si registrò in Grecia, Francia, Spagna e Portogallo. Il paese tuttavia più colpito è tuttora l'Italia, grazie a leggi inefficaci o inapplicate, interessi di gruppi organizzati, scarso controllo del territorio, specie nelle periferie. Le tolleranti società latine e il mite clima mediterraneo sono i più adatti agli insediamenti nomadi. A Berlino o Stoccolma è impossibile immaginare spettacoli come quelli cui si assiste nei campi rom della capitale, con cloache a cielo aperto. I furti, le devastazioni? È un problema dell'Europa meridionale e la fredda Europa settentrionale finge di curare solo le implicazioni politically correct, come ha tentato la lussemburghese Viviane Reding, commissario europeo, finché Sarkozy le ha posto la domanda che l'ha messa in riga con tutta la UE:«Quanti campi Rom pup ospitare il Lussemburgo?». È bene che il governo italiano s'accinga ad analoghe domande in Europa e a casa nostra, cominciando dalla Conferenza episcopale italiana.



CASO NOMADI DOVE C'È INTEGRAZIONE
L'altra faccia dei rom italiani
Oltre le nostre paure Vi raccontiamo quattro storie di zingari orgogliosi di essere diventati «cittadini modello"
La Stampa, 17-09-2010
FRANCESCA PACI
POMA - Un giorno al centro dell'attenzione e un giorno invisibili. Anche se vivono da decenni in Italia, i rom - una minoranza non riconosciuta dalla legislazione - finiscono sui giornali solo quando sono al centro di storie di cronaca nera o quando si discute di cacciarli o sgomberarli. Il 50 per cento degli italiani li considera «una minaccia alla sicurezza». Ma siamo sicuri di conoscerli? E perché non si parla quasi mai degli zingari che si integrano? Ecco quattro storie che rompono i nostri stereotipi.
Debora «Tutti in fila per il mio pane»
Quando era una scolaretta delle elementari, Debora Spinelli detestava le feste di compleanno. «Invitavo i miei compagni di classe ma non veniva nessuno, anche se sono nata qui e vestivo uguale a loro dicevano che ero la figlia dello zingaro», racconta, incartando una pagnotta calda calda per la signora che ascolta distratta come fosse una storia della tv. Oggi, 40 anni e due figli adolescenti a cui nessuno rinfaccia più l'origine gitana, è la fornaia più gettonata di Lanciano, ma davanti alla porta ha deciso di scrivere Panetteria Console, il cognome del marito, un marchio senza passato. Non si sa mai.
Capigliatura corvina, sguardo tagliente, brillantino al naso, Debora tiene al collo la medaglietta con la foto di papà Angelo che non c'è più: «Mi ha insegnato a lavorare a sei anni, magari adesso sarebbe un reato, io però ne sono sempre stata fiera. Insieme agli altri sei fratelli e sorelle attaccavamo ai VHS le macchinette con cui si potevano vedere Grisù e Paperino e poi le vendevamo. Le battutacce delle amiche mi facevano male, ma le difendevo, soffrivo di una specie di sindrome di Stoccolma». Crescendo, ha visto i film di Kusturica, ha ascoltato la musica di Bregovic, capisce la lingua degli avi, il romani. Eppure ai cantori eccellenti della cultura rom preferisce la routine, l'esempio quotidiano: «Siamo noi i primi a doverci accettare. Ai genitori dei compagni dei miei ragazzi spiego subito che sono rom in modo da lasciarli liberi di venire o meno alle feste di compleanno». E quelli vanno.
Carmine «Ora sono l'infermiere migliore»
i ricordo quando con mamma, papà e fratelli giravamo con le bighe e i cavalli, ci spostavamo da un paese all'altro seguendo le fiere, era divertente ma appena facevo amicizia con qualcuno dovevo ripartire». Oggi il cinquantunenne Carmine Di Rocco non può allontanarsi da Pescara salvo scatenare le proteste dei pazienti del distretto sanitario di Montesilvano, riluttanti a privarsi dell'infermière modello. E non conta che Carmine abbia sangue rom: da 20 anni è in prima linea al pronto soccorso, in sala operatoria, tra i tossicodipendenti del Sert.
«Ho studiato al liceo artistico, volevo fare l'architetto», racconta prendendo sulle spalle il piccolo Christian, il minore dei quattro figli. Dopo il corso da infermiere ha archiviato le ambizioni grafiche, riservando l'estro creativo alla batteria, dietro cui trascorre il tempo libero: «Da ragazzo mi è capitato di essere scartato a un colloquio di lavoro per il mio nome, inconfondibilmente rom. Ma da quando indosso il camice non mi sono mai sentito diverso, in ospedale siamo davvero tutti uguali».
Le notizie che arrivano dalla Francia lo rattristano. «Non è accettabile, cacciare quei poveracci è una forma di deportazione». Ma in Italia, dice, riesce a capire la diffidenza: «La cultura rom è cambiata. Una volta c'era un'etica, rubare per mangiare era accettato ma per arricchirsi no. Inoltre era impossibile trovare uno che spacciasse droga». Anche l'integrazione ha un prezzo, per tutti.
Guido «Con la boxe salvo i ragazzi difficili»
ripensarli adesso i mille round di cui Guido Di Rocco porta i segni sul volto sbieco da pugile sono i pioli della sua scalata sociale. «Lo sport è stato la mia chance, quella grazie a cui sono riuscito a farmi accettare nonostante fossi rom», racconta Guido, 55 anni portati da campione, passeggiando nella palestra di boxe dove allena una trentina di ragazzi «difficili» del quartiere disagiato di Rancitelli, il Bronx di Pescara. Anche lui all'inizio tirava pugni di rabbia, ammette mostrando il nome Margherita sul bicipite: «Sono stato in prigione... mi sono tatuato a mano perché allora non c'era mica l'ago... Dopo però tutto è cambiato». Un paio di foto in bianco e nero appese alle pareti ricordano il passato aureo, gli anni in cui si allenava con il Pescara Calcio. «Ho conosciuto Tom Rosati, Cade, Angelillo» continua. Per strada era il figlio dello zingaro, in campo dribblava da furetto. Sul ring faceva scintille: «Ho vestito la maglia della nazionale, ho tenuto alto il nome dell'Italia».
Destro dopo destro, Guido ha dimenticato d'essere stato additato come «nomade» da ragazzino e si è sentito italiano. Straitaliano: «Mi dispiace quando si parla male dei rom, ma penso che la gente ha problemi con quelli nuovi, gli stranieri, e se la prende anche con noi che siamo nati qui e non abbiamo mai creato guai». Squilla il telefono. La voce si addolcisce: è il figlio Moreno, quello che studia medicina all'università di Chieti.
Gianni «Il mio cantiere premiato dall'onestà»
Per quanto si sgobbi è difficilissimo scardinare l'immagine del rom a bordo della Bmw scassata», osserva Gianni Bevilacqua e si accende una Marlboro. «Per carità, anche a me piace la Bmw», scherza indicando il duetto parcheggiato accanto alla Mercedes E220 nel cortile della villa a San Vito Chietino, sulla costa adriatica. Ha lavorato 20 anni per diventare l'imprenditore edile che oggi vanta 300 condomini in manutenzione, 60 cantieri, il restauro appena ultimato di una chiesa del vicinato e cinque operai di fiducia, nessuno dei quali in nero. Una personalità nella zona.
Ma non è stato sempre così. L'impresa più faticosa? «Vincere i pregiudizi», risponde senza pensarci. Quella di Gianni, 42 anni, polo arancione e jeans alla moda, è storia vissuta: «Ho avuto un'infanzia da nomade, senza una casa. Mio padre? Faceva il borseggiatore, doveva crescere un mucchio di figli e quando non c'è da mangiare non si può pensare al resto». Lui è venuto su senza guardare indietro, testa alta e rimboccarsi le maniche, la lezione che ripete ai due bambini: «Fatico da quando sono piccolo. Nessuno mi ha mai regalato niente, ho ottenuto fiducia in cambio d'onestà». Per questo racconta la sua esperienza, ma preferisce non essere fotografato: «Entro nelle case, il mio nome è una garanzia. Ma che succederebbe se l'associassero a un volto rom?». Impossibile distinguere la sua da quella dei concittadini. Eppure, chissà: «Sono italiano, un imprenditore italiano».



La testimonianza
«Cacciati tre volte, siamo sempre tornati»

Corriere della sera, 17-09-2010
Maria Serena Natale
«Ormai non abbiamo niente da perdere, però l'ultima volta che abbiamo parlato con un giornalista è arrivato l'avviso, una coincidenza... ma meglio che non scriva i nomi». Non è «il viaggio» a farle paura. Con il marito e il figlio Michaela è tornata «a casa» già tre volte, «in vacanza» nel villaggio della Romania occidentale dal quale arrivò a Strasburgo tre anni fa. Sono i colpi all'alba a darle il batticuore, gli agenti della prefettura che bussano alle porte della roulotte mentre il campo ancora dorme, «sempre più aggressivi». Le domande sui nuovi arrivi, la consegna dell'avviso di espulsione, vite spaesate e sotto controllo ai confini della legalità.
Secondo le ultime dichiarazioni del ministro francese dell'Immigrazione Eric Besson «tra il 28 luglio e la fine di settembre saranno stati rimpatriati circa 1.700 cittadini romeni e bulgari in situazione irregolare». Gli abitanti del campo vicino allo stadio sono cittadini romeni, non conoscono nei dettagli le leggi comunitarie e molti non leggono né scrivono ma sarino di avere il diritto di libera circolazione entro i confini dell'Unione. «Quando riceviamo l'avviso, non aspettiamo di essere messi sull'aereo, ce ne andiamo da soli in autobus e tornare ci costa più di metà dei nostri risparmi — dice al Corriere Michaela —. In Romania ci sentiamo discriminati, e dal governo niente sussidi, solo 40 leu (circa dieci euro, ndr) a famiglia per mandare i bambini a scuola. Qui nei campi vive gente da più di vent'anni, non neghiamo i problemi, ma nei ristoranti e nelle fabbriche i rom non li assumono. La verità è che non siamo cittadini europei come gli altri. Pensavamo di dare un futuro ai nostri figli, non l'abbiamo trovato». «Dalla cintura di Strasburgo finora sono partiti venti caravan, ne abbiamo rivisti sei — spiega Aurora Ailincai, responsabile del programma educativo per i bimbi rom del Consiglio d'Europa — queste persone si sono abituate alle continue intrusioni delle forze dell'ordine nelle loro vite, ma i bambini così non mettono radici». Nell'accampamento di Michaela abitano cinque famiglie. La corrente elettrica viene dai generatori, la richiesta di collegamento alla rete fognaria non ha avuto risposta. Gli uomini non hanno impiego, alcuni lavorano in nero e le donne chiedono l'elemosina, lo Stato assicura ad ogni famiglia sussidi per cento euro al mese. Ci sono sette bambini di età compresa tra i due e i tredici anni, il più grande è A. Frequenta la scuola media, parla perfettamente romani, romeno e francese, per tutti gli insegnanti è un alunno brillante. Ha cominciato a studiare l'inglese e sogna di fare l'interprete. «Vorrei essere sicuro di poter restare in Francia — dice —, se tornassi in Romania perderei l'occasione di fare qualcosa di importante nella vita, ancora non so dov'è la mia casa».



IN VISITA ALL'ELEMENTARE MULTIETNICA PISACANE
Marsilio: «I figli di immigrati nati in Italia non sono italiani»
Corriere della Sera, 17-09-2010
L'assessore alla scuola: «Sbagliato considerarli non stranieri, non è solo un fatto anagrafico, ma una questione culturale». Alemanno: «Si è espressa male»
ROMA - «Anche se questi bambini sono nati in Italia è sbagliato considerarli non stranieri. Non è solo un fatto anagrafico ma è una questione culturale. È bene che questi bambini possano convivere con quelli di origine italiana perché così si favorisce un sentimento di appartenenza». Lo ha detto l'assessore capitolino alla Scuola Laura Marsilio durante la sua visita alla scuola elementare multietnica «Carlo Pisacane», in occasione dell'apertura dell'anno scolastico. Marsilio rispondendo all'intervento di una delle docenti presenti, ha affermato che considerare italiani i bambini stranieri nati in Italia, «è un'idea sbagliata di integrazione. È grave pensarla così».
NO A UN PLESSO SOLO PER STRANIERI - «È aberrante - ha concluso Marsilio - l'istituzione di un plesso con solo stranieri, perché l'integrazione significa scambio e non solo isolamento in una scuola». Sul tema è intervenuta anche il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: «Dal prossimo anno queste situazioni non si verificheranno più». La scuola di via dell'Acqua Bullicante, oggi parte dell'istituto comprensivo Laparelli, è da anni al centro del dibattito politico per l'altissima percentuale di bambini iscritti di origine straniera ma in gran parte nati sul suolo italiano. È d'accordo con l'affermazione della Marsilio, Flora Longhi, la preside dell'istituto comprensivo Laparelli: «Ha ragione, i figli degli stranieri, anche se nati in Italia, hanno alle spalle un contesto d'origine diverso da quello italiano, mentre invece i figli degli italiani respirano una cultura italiana. È la legge a decidere quando considerarli cittadini italiani. Diverso è il caso dei bimbi stranieri adottati da italiani, che respirano una cultura italiana», ha spiegato la preside, che da quest'anno dirige anche la scuola Pisacane.
«SI E' ESPRESSA MALE» - Subito sono piovute accese critiche alle parole dell'assessore da parte dell'opposizione e da più parti si chiede al sindaco di ritirare le deleghe alla Marsilio. «L'assessore Marsilio si deve dimettere - dice Marco Miccoli coordinatore del Pd Roma -: Alemanno deve ritirarle immediatamente le deleghe. Chi pensa che i bambini nati in Italia da genitori non italiani siano degli stranieri è fuori da ogni civiltà. Roma non merita di essere amministrata da chi rasenta ideologie razziste». Ma allo stesso Alemanno non sono piaciute quelle frasi: «L'assessore Marsilio si è espressa male in chiave istituzionale e legislativa: in Italia non esiste diritto di cittadinanza in base alla nascita ma voglio sottolineare con chiarezza che i bambini che nascono nella nostra città sono un patrimonio per Roma e non mi sento di definirli stranieri». Ha poi però ribadito la sua stima alla Marsilio: «L'assessore Marsilio si è sempre distinta per un grande impegno a favore dell'integrazione delle comunità emigrate e dell'inclusione scolastica dei figli degli immigrati. Sono decine le iniziative che ogni anno vengono messe in atto dall'assessorato in questo senso - precisa il sindaco - e quindi nessuno si può permettere di strumentalizzare l'equivoco di una frase per mettere in discussione un'attività politica e amministrativa fortemente contrassegnata dall'assoluto rispetto di tutte le persone umane e, soprattutto, di tutti i bambini che vivono nella nostra città».
I DATI IN ITALIA - Il Ministero dell’Istruzione non considera stranieri i figli degli immigrati nati Italia, perchénon li ha inseriti nell’insieme preso in considerazione per determinare il «tetto» del 30% di stranieri nelle classi. Al contrario, in questo insieme il Miur ha calcolato solo i ragazzi con cittadinanza non italiana, il cui numero cresce costantemente al ritmo di almeno 50mila unità l’anno. Ma nell’ultima rilevazione l’incremento è stato più limitato: secondo il servizio statistico del Miur, nel corso dell’anno scolastico 2008/09 il numero di alunni con cittadinanza non italiana ha raggiunto quota 629.000, il 9,6% in più rispetto a 12 mesi prima, quando la loro presenza dietro ai banchi si era fermata a 574.000 (con un incremento annuo del 14,5%). Il dicastero di viale Trastevere, secondo cui il «rallentamento generalizzato dell’incremento» sarebbe strettamente collegato alla «crisi economica mondiale», l’aumento «maggiore si è registrato nella scuola dell’infanzia, con il 12,7%, seguito da quello della scuola secondaria rispettivamente con il 10,8% per il primo grado e il 9,3% nel secondo grado, mentre nella scuola primaria l’incremento è stato soltanto del 7,6%». In generale, la presenza degli alunni stranieri, registra un’incidenza pari al 7% del totale degli studenti, raggiungendo in valore assoluto le 629.360 unità, rispetto ad una popolazione scolastica complessiva di 8.945.978 unità. Non ha subìto flessioni, invece, il fenomeno degli alunni stranieri nati in Italia, che raggiungendo nel 2008-09 le 233.003 unità, con un incremento percentuale annuale pari al 17%, ha evidenziato la «contrazione del flusso migratorio».



"I figli degli stranieri nati qui? È sbagliato considerarli italiani"

La Stampa, 17-09-2010
Flavia Amabile
Bufera sull'assessore alla Scuola di Roma Laura Marsilio Alemanno si dissocia
ROMA -I bambini nati in Italia sono stranieri oppure no? Secondo Laura Marsilio, assessore alla scuola del comune di Roma, lo sono. «Anche se questi bambini sono nati in Italia è sbagliato considerarli   non    stranieri. Non è solo un fatto anagrafico ma è una questione culturale. È bene che questi bambini possano convivere con quelli di origine italiana perché così si fa-vorisce un sentimento di appartenenza», ha detto durante la sua visita alla scuola elementare multietnica «Carlo Pisaca-ne», in occasione dell'apertura dell'anno scolastico. Insomma considerarli italiani «è un'idea sbagliata di integrazione. È grave pensarla così».
Anche per questo motivo l'assessore considera «aberrante l'istituzione di un plesso con solo stranieri, perché l'integrazione significa scambio e non solo isolamento in una scuola».
Il riferimento è alle classi dell'istituto Pisacane dove si arriva anche al 97% di stranie ri fra gli alunni. «Dal prossimo
anno queste situazioni non si verificheranno più», ha avvertito il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini.
Flora Longhi, il dirigente scolastico della scuola, è d'accordo con l'assessore e con il ministro. «Ha ragione, i figli
degli stranieri, anche se nati in Italia, hanno alle spalle un contesto d'origine diverso da quello italiano». Con lei si schiera il comitato delle mamme. Ma le docenti la pensano diversamente.
E non sono le sole. Persino il sindaco Gianni Alemanno non se l'è sentita di appoggiare le parole del suo assessore. «L'assessore Marsilio si è espressa male in chiave istitu-zionale e legislativa: in Italia non esiste diritto di cittadinanza in base alla nascita ma voglio sottolineare con chiarezza che i bambini che nascono nella nostra città sono un patrimonio per Roma e non mi sento di definirli stranieri». Dal suo punto di vista però si è trattato di un semplice equivco e ha ribadito la sua stima alla Marsilio: «Si è sempre distinta per un grande impegno a favore dell'integrazione», e quindi «nessuno si può permettere di strumentalizzare l'equivoco di una frase per mettere in discussione un'attività politica e amministrativa fortemente contrassegnata dall'assoluto rispetto di tutte le persone umane e, soprattutto, di tutti i bambini che vivono nella nostra città».
Dall'opposizione arriva la richiesta di dimissioni, dall'Idv al Pd mentre lei, l'assessore si stupisce del polverone creato. «Ho usato il termine stranieri verso i figli di immigrati senza voler dare nessuna accezione negativa a questo termine e non comprendo come sia potuto avvenire questo equivoco. Ho utilizzato semplicemente le parole della normativa vigente nel nostro Paese».



"Stranieri i figli degli immigrati nati a Roma' '

la Repubblica, 17-09-2010
GIOVANNA VITALE
ROMA — Doveva essere un gesto di pace la visita dell'assessore alla Scuola Laura Marsilio alla ele¬mentare Pisacane, l'istituto più multietnico della capitale che la giunta di centrodestra ha sempre tentato di "normalizzare" imponendo un tetto agli alunni immigrati, come poi sancito dal ministro Gelmini. Si è trasformata in una sorta di dichiarazione di guerra, tanto più clamorosa perché pronunciata in una scuola dove un'intera classe è composta da trenta studenti tutti extracomunitari per mancanza di piccoli romani.
«Anche se questi bambini sono nati in Italia è sbagliato considerarli non stranieri», ha detto ieri l'esponente del Pdl inaugurando lelezioni. «Non è solo un fatto anagrafico, ma una questione culturale», la sentenza. Subito bollata
dalle opposizioni come «inaccettabile e razzista»,dacuituttaviaha preso le distanze pure il sindaco Gianni Alemanno: «L'assessore si è espressa male in chiave istituzionale e legislativa», l'ha smentita al termine di una burrascosa telefonata. «Sappiamo che in Italia non esiste il diritto di cittadinanza in base alla nascita»,ha insistito,«ma voglio dire con chiarezza che tutti i bambini che nascono qui sono un patrimonio per la città e quindi non mi sento di definirli stranieri». Una presa di posizione netta, sebbene corretta qualche ora più tardi per arginare le polemiche, allorché l'assessore capitolino travolta dagli attacchi si è schermita parlando di un equivoco:«Ho usato il termine "stranieri" verso i figli di immigrati senza nessuna accezione negativa», ha precisato Marsilio, sottolineando di aver «utilizzato le parole della normativa vigente nel nostro Paese che non conferisce automaticamente la cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati in Italia». Giustificazione vana. «L'assessore si dimetta» ha tuonato il Pd. «È una razzista, Alemanno le ritiri le deleghe e la cacci senza indugio»,hamtimato il coordinatore di Sel Claudio Fava. Un gragnola durata tutto il giorno.
«Chiedo che il sindaco venga subito in aula a riferire su quali siano le linee dell'amministrazione sull'integrazione», esorta il consigliere comunale del Pd Paolo Masini, mentre il collega Daniele Ozzimo opta per l'ironia: «Il pensiero della Marsilio ricalca quello del Carroccio: non sapevo che Bossi fosse ormai così egemone rispetto al Pdl da riuscire a imporre un assessore leghista nella giunta capitolina». Duro il deputato Jean-Léonard Touadi, secondo cui quelle dichiarazioni mostrano «il vero volto di una destra che nessuna cura di Fiuggi è riuscita a cambiare. È la destra del "sangue" e della "razza" così lontana da un'idea moderna di cittadinanza». Tant'è che il senatore idv Stefano Pedica annuncia ricorso «agli organismi di Bruxelles e Strasburgo, Parlamento Europeo e Cedu per sanzionare una politica, quella della giunta Alemanno, che riassume il peggio del razzismo leghista e della xenofobia di Sarkozy». Ma il Pdl fa quadrato. Minimizza la governatrice del Lazio Renata Polverini («Sicuramente si è espressa male, spero si corregga») mentre il sindaco Alemanno definisce «penose» le polemiche dell'opposizione. Aggressiva la lezione «ai farneticanti esponenti della sinistra» che dovrebbero «rinunciare alla cittadinanza italiana per mancata conoscenza delle nostre leggi e del nostro vocabolario» impartita dal deputato Fabio Rampelli: «In Italia vige lo "ius sanguinisi per cui è considerato cittadino italiano solo chi ha genitori italiani».



BUFERA SU ASSESSORE A ROMA
«Stranieri i figli di immigrati nati in Italia»

il Sole, 17-09-2010
«I figli nati in Italia da immigrati stranieri non sono da considerare italiani». Poche parole pronunciate dall'assessore alla Scuola del Comune di Roma, Laura Marsilio, ma quanto basta per scatenare una bufera sul Campidoglio. E a storcere il naso, cercando di correggere il tiro, è lo stesso sindaco di Roma Gianni Alemanno, mentre l'opposizione capitolina ha parlato di «ideologie razziste», chiedendo le dimissioni dell'assessore.



Quel falso buonismo giocato sulla pelle dei bambini

il Giornale, 17-09-2010
Salvatore Scarpino
Polemica a Roma, l’assessore capitolino Marsilio: "I figli degli immigrati nati qui sono stranieri". La sinistra insorge e fa la solita demagogia
Il tema dell’immigrazione e della cittadinanza agli stranieri continua a suscitare polemiche e tempeste di carta dibattiti spesso inutili e fuorvianti. Ieri l’assessore alla scuola del comune di Roma, Laura Marsilio, visitando una scuola in cui è alta la presenza dei bambini stranieri ha dichiarato: «Anche se questi bambini sono nati in Italia, è sbagliato considerarli non stranieri. Non è solo un fatto anagrafico, è una questione culturale. È bene che questi bambini possano convivere con quelli di origine italiana perché così si favorisce un sentimento di appartenenza». La Marsilio ha anche detto che è sbagliato pretendere istituti separati riservati solo agli stranieri. La preside di un istituto che comprende alunni di diverse etnie si è detta sostanzialmente d’accordo con l’assessore. Ma l’opposizione è insorta, in nome del «politicamente corretto» e della solidarietà retorica che ignora storia, bisogni, necessità. Una strumentalizzazione, insomma, di fronte alla quale il sindaco Alemanno ha fatto il pesce in barile affermando che l’assessore Marsilio si è «espressa male» e che «sarebbe sbagliato definire stranieri i figli di immigrati nati in Italia».
Ci risiamo, risuonano le accuse di razzismo per chi ribadisce verità elementari, l’attacco propagandistico sovrasta la realtà della questione. È una vecchia querelle: alcuni Paesi europei seguono il cosiddetto «diritto del suolo» in base al quale appartiene allo Stato in cui ha visto la luce il nuovo nato. Altre società fra cui l’Italia seguono il «diritto del sangue» secondo cui il figlio di stranieri è straniero, fino a quando non matura il diritto alla cittadinanza. La seconda teoria è più rispettosa dell’identità delle persone che non sono quadrupedi da incorporare immediatamente nelle stalle del re.
Possono considerarsi italiani bambini che quasi sempre succhiano la cultura della famiglia d’origine rifiutando ogni avvicinamento ai princìpi della società che li ha accolti?
Pensiamo ai bambini che vivono in veri e propri ghetti culturali con regole di costume che non accettano i temi ispiratori della nostra società. Per chi viene da lontano, anche se è nato qui l’italianità non è un fatto anagrafico, è una partecipazione civile e morale che matura negli anni. Pensiamo all’esperienza inglese: cittadini di sua maestà si sono rivelati più stranieri degli afghani tribali pur essendo nati e cresciuti a Londonistan in famiglie di cittadini formalmente inglesi. Basta nascere in un ospedale di Roma o Milano per acquisire la cittadinanza italiana? Non è più giusto pretendere che questi ospiti respirino almeno lingua e cultura di questo Paese slabbrato? Non pretendiamo che gli antenati dei nuovi cittadini italiani abbiano combattuto a Magenta o sul Carso. Ci accontentiamo che abbiano un’idea almeno della loro nuova Patria senza chiudersi sdegnosamente nel rispetto di tradizioni che non ci appartengono. Laura Marsilio ha detto chiara e forte una verità. Che a certi politici non piace, ma resta comunque una verità testimoniata dalle attuali condizioni del Paese.



I deliri del politicamente corretto
E l'assessore non può dire che gli immigrati sono stranieri

Libero, 17-09-2010
FILIPPO FACCI
L'assessore capitolino Laura Marsilio, ieri, ha fatto delle dichiarazioni che sarebbero suonate normali in un mondo normale, ma che sono deflagrate come anormali (...)
(...)nelmondo della politica. L'assessore ha visitato la Carlo Pisacane di Roma - una scuola dove tutti gli italiani d'origine italiana se ne sono progressivamente andati, e sono rimasti solo italiani d'origine straniera - e ha fatto la seguente considerazione, prego leggere bene: «Anche se questi bambini sono nati in Italia è sbagliato considerarli non stranieri. Non è solo un fatto anagrafico, ma è una questione culturale. È bene che questi bambini possano convivere con quelli d'origine italiana perché così si favorisce un sentimento di appartenenza». Ergo, un plesso di soli stranieri (intesi come italiani d'origine straniera) secondo l'assessore è «aberrante» perché «integrazione significa scambio e non isolamento in una scuola».
Ora: che cosa non va in queste frasi? Non si capisce, perché se la lingua italiana ha un significato (e sei giornalisti sanno ancora riportarla) Laura Marsilio ha detto che se i genitori di un bambino sono del Bangladesh è inutile fingere che siano di Cuneo, è inutile e sbagliato ignorare la matrice culturale che probabilmente avrà contraddistinto la sua educazione e che oltretutto può essere fonte di confronto e ricchezza; un conto è l'integrazione, cioè, e un altro l'assimilazione. Mentre un altro conto ancora, peggio, è la separatezza che una scuola senza italiani (d'origine italiana, cioè) trasformerebbe soltanto in un crogiolo indistinto e privo di baricentro. Questo su un piano strettamente logico, retaggio delle persone normali.
Poi c'è il piano politico, che appartiene agli anormali. E non si parla, attenzione, soltanto di quei mentecatti (serve nominarli, visto che non hanno altro obiettivo?) i quali hanno definito l'assessore esplicitamente «razzista» e «fuori da ogni civiltà», o meglio ancora intrisa di «subcultura retrograda sconfitta dalla storia ma strisciante in ambienti della destra», «giunta Alemanno vergogna d'Europa» e altra roba detta così, slogan automatici d'opposizione. Il problema è che ieri hanno parlato anche altri che nel centrodestra sono stati catturati a loro volta dal clima generale, limitandosi a gettare acqua sul fuoco e a girare attorno alle questioni vere, ciò di cui si parlava. Ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno: «L'assessore Marsilio si è espressa male in chiave istituzionale e legislativa : in Italia non esiste il diritto alla cittadinanza in base alla nascita ma voglio sottolineare con chiarezza che i bambini che nascono nella nostra città sono un patrimonio». Ha detto la presidente della Regione Renata Polverini: «L'assessore Marsilio sicuramente si è espressa male, mi auguro che si corregga, il patrimonio di queste città, di questa regione e di tutto il Paese, dal punto divista demografico, è do-vuto ai tanti bambini che per fortuna nascono qui da genitori immigrati». Dei piccoli mantra, quelli di Alemanno e della Polverini, che parlavano semplicemente d'altro. Travestiti da difesa della Marsilio, parevano degli inchini al politicamente corretto.
Chiunque non venga dalla luna sa bene che oltre alla verità, soprattutto se c'è di mezzo la politica, esiste l'opportunità o meno di dirla e le parole più o meno giuste per farlo: può darsi che l'assessore Laura Marsilio abbia sbagliato qualcosa, e però le sue parole, da sole, paiono ineccepibili perlomeno a noi. Forse è un problema nostro. Entrando nel merito stretto, pare assurdo che possa esserci una prima classe formata esclusivamente dal alunni provenienti da paesi stranieri (benché nati in Italia, magari) per via di scelte didattiche e ideologiche palesemente disgraziate: essere italiani non può essere ridotto a un riconoscimento formale della cittadinanza, ma comprende - o dovrebbe - una qualche relazione tra la cultura altrui e i principi che sono alla base della nostra Costituzione, delle leggi e degli usi e consuetudini. Creare dei piccoli ghetti non fa certo l'interesse dei bambini d'origine straniera e oltretutto fa scappare tutti gli altri. È la verità, è lo sanno tutti, è logico: ma appartiene, questa logica, a un mondo sempre più distante dai codici del linguaggio politico.



NUOVI ITALIANI: CHE POSIZIONE HA IL PDL?
Idee divergenti sulla Pisacane: l'onda leghista condiziona anche la politica romana...

Secolo, 17-09-2010
Federico Locchi
Alla fine peggio di tutti va al povero Carlo Pisacane, già patriota ed eroe nazionale il cui nome è destinato a essere trascinato in beghe politiche che poco hanno a che fare con il bene comune a cui pure il rivoluzionario campano aveva dedicato la propria vita. Quando a dettar legge è una forza che ha in odio il tricolore, come la Lega Nord, può accadere questo e altro. "Carlo Pisacane", però, è in questo caso il nome della scuola romana che, a causa dell'altissima percentuale di alunni di origine non italiana, sta spaccando il Pdl. Ad accendere la miccia - facendo così emergere tutte le contraddizioni del Popolo delle libertà in materia -è stata Laura Marsilio,   assessore   alla Scuola per il Comune di Roma.  Visitando proprio l'istituto "incriminato",     l'esponente del Pdl capitolino ha spiegato: «Anche se questi bimbi sono nati in Italia è sbagliato considerarli non stranieri. Non è solo un fatto anagrafico, ma è una questione culturale. È bene che  questi  bambini nati in Italia possano convivere con quelli di origine italiana. Si
favorisce un sentimento di appartenenza se a loro viene data l'opportunità di stare anche con gli italiani». Non si poteva essere più chiari: anche se nati in Italia, per il Pdl, i figli di stranieri restano sono stranieri. Anzi no. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno, infatti, si è affrettato a smentire l'esponente della sua giunta. «L'assessore Marsilio - ha detto - si è espressa male in chiave istituzionale e legislativa: in Italia non esiste il diritto alla cittadinanza in base alla nascita ma voglio sottolineare con chiarezza che i bambini che nascono nella nostra città sono un patrimonio per Roma e non mi sento di definirli stranieri». Anche il governatore del Lazio, Renata Polverini, ha preso le distanze: «L'assessore Marsilio - ha detto -sicuramente si è espressa male. Mi auguro che si corregga». E a correggersi ci ha pure provato, l'assessore. Senza però tornare sui suoi passi: «Ho usato il termine "stranieri" verso i figli di immigrati senza voler  dare  nessuna accezione negativa a questo termine e non comprendo come sia potuto avvenire questo equivoco. Ho utilizzato semplicemente le parole della normativa  vigente   nel nostro Paese che non conferisce automaticamente la cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati in Italia». Al che anche il sindaco è tornato sulla questione, vantando i meriti della Marsilio «a favore dell'integrazione delle comunità emigrate» e parlando di un «equivoco di una frase» che non va strumentalizzato. Insomma, par di capire che ognuno la vede a modo suo. Che cento fiori fioriscano, diceva il presidente Mao: forse chi ha definito il Pdl "stalinista" ha solo sbagliato declinazione del marxismo-leninismo. Sta di fatto che sul tema dell'immigrazione, della cittadinanza e dell'integrazione è grande la confusione sotto il cielo del Pdl.
Ed è paradossale che persino la politica più strettamente romana debba risentire dell'egemonia politica e culturale leghista, in una gara a chi la spara più grossa. Insomma, talora sembra che si finisca con l'essere più realisti del re, entrando in contraddizione con gli stessi esponenti del proprio partito. Ma poiché il caos politico stavolta non genera alcuna nietzschiana stella danzante ma solo un bel po' di confusione, fra i berluscones urge ritrovare l'unità. E allora ci pensa il consigliere comunale del Pdl e presidente della commissione capitolina alla Cul-tura, Federico Mollicone ad agitare lo spettro che farà rientrare tutti nei ranghi: «Ricordiamo a tutti e a noi stessi - ha spiegato - che proprio la differenza di posizione tra chi sosteneva lo ius sanguinis, tra cui lo stesso sindaco Alemanno, e chi lo ius soli, come ad esempio il presidente Fini, ha contraddistinto il dibattito parlamentare degli ultimi mesi». Insomma: Alemanno, non dire così, che poi diventi finiano. Futuro e libertà diventa a questo punto una specie di "convitato di pietra", l'ospite muto in una diatriba tutta interna al Pdl.
Ovvero la pietra di paragone per valutare chi è "dentro" e chi è "fuori". Hanno fatto tutto da soli, ma hanno bisogno dello spauracchio futurista per dirimere la questione. Se non altro stavolta hano tirato in ballo direttamente Fini, senza ricorrere al solito Fabio Granata. Il quale, tuttavia, ci ha tenuto a fare chiarezza sulla questione. «Siamo convinti sostenitori - ha spiegato - della nuova cittadinanza ai nuovi italiani. Questa posizione politica e culturale è in perfetta armonia con i valori della destra politica e della nostra cultura per la quale la cittadinanza ha valenza politica e non etnica. È per questo che abbiamo denunciato l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega e una sorta di complesso di inferiorità nei confronti della loro impostazione».
Granata ha poi aggiunto che «anche per questo abbiamo dato vita a una destra nuova eppure profondamente italiana, in quanto affonda le sue radici nella Roma antica, dove la cittadinanza era di coloro che si sentivano romani. Allo stesso tempo oggi l'Italia deve essere degli italiani e di coloro che si sentono tali e vogliono diventarlo. E in questo senso penso anche ai minori stranieri nati in Italia che per noi sono italiani a tutti gli effetti». Pisacane, c'è da giurarci, sottoscriverebbe.



Alla Pisacane lo straniero è il Pd

Il Tempo, 17-09-2010
Susanna Novelli
La Marsilio: "Non basta nascere qui per essere italiani". L'opposizione: si dimetta. L'assessore capitolino in visita alla scuola di Tor Pignattara, emblema dell'integrazione fallita.
La scuola Carlo Pisacane «Anche se questi bimbi sono nati in Italia è sbagliato considerarli non stranieri. Non bastano l'anagrafe o parlare la lingua per essere italiani, occorre innanzitutto un'integrazione culturale. Il sentimento di appartenenza si favorisce se ai bambini stranieri viene data la reale opportunità di stare e di crescere con i coetanei italiani». Sono queste le parole che l'assessore capitolino alle Politiche scolastiche, Laura Marsilio ha pronunciato all'interno del cortile della Carlo Pisacane che per la prima volta a Roma ha formato una classe composta di soli stranieri o, per essere precisi, figli di immigrati.
E sarà per il luogo, la scuola di Tor Pignattara trasformata in «ghetto» di piccoli immigrati, o per la spiccata sensibilità a senso unico della sinistra, ma le parole della Marsilio sono risuonate come un trillo di battaglia contro l'immigrazione e l'integrazione. «Cultura razzista e fascista» è soltanto uno dei proclami dell'opposizione che da Sinistra e Libertà al Pd invoca a gran voce le dimissioni dell'assessore. Per cosa di preciso, al di là di un sentimento squisitamente politico e dunque di parte, resta incomprenibile. A chiarire ulteriormente è poi la stessa preside della Pisacane, Flora Longhi che ieri ha accompagnato l'assessore alla visita dell'stituto per l'inaugurazione dell'anno scolastico: «La Marsilio ha ragione - dice -. I figli degli stranieri, anche se nati in Italia, hanno alle spalle un contesto d'origine diverso da quello italiano, mentre i figli degli italiani respirano una cultura italiana. È la legge poi a decidere quando considerarli cittadini italiani».
E se il Pdl del VI Municipio, così come il Campidoglio fa quadrato intorno all'assessore, anche Alemanno che in un primo tempo aveva commentato: «la Marsilio sbaglia, i bambini che nascono a Roma sono un patrimonio per la città e non mi sento di definirli stranieri», ha poi corretto il tiro: «L'assessore ha chiarito, giudico penoso il tentativo di attaccarla continuando a giocare sull'equivoco». Peccato che la strumentalizzazione politica abbia offuscato ancora una volta il diritto di quei bambini stranieri (o figli di immigrati poco importa), che ieri mattina hanno suonato e cantato nel cortile che verrà presto ristrutturato grazie a 1,5 milioni di euro stanziati dall'assessore Ghera. Un'attenzione umana e didattica attraverso la quale quegli stessi piccoli alunni potranno sentirsi davvero italiani, burocrazia a parte.



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