Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 novembre 2011

 

NAPOLITANO ADOTTA I CLANDESTINI
Il presidente vuole la cittadinanza per chi nasce in Italia. Un'uscita incomprensibile in questo momento di emergenza. Ma lui ha un piano
Libero, 23-11-2011
MAURIZIO BELPIETRO
Dopo essere stato insediato in tutta fretta per sottrarre il Paese alla bancarotta, del governo dei secchioni si è persa traccia. Il primo Consiglio dei ministri si è concluso con un fondamentale decreto attuativo di Roma Capitale, quindi il premier è partito per un giro nelle altre capitali. Nessuna notizia dai responsabili dei vari dicasteri, i quali, in ossequio al silenzio stampa imposto dal presidente del Consi¬glio, hanno deciso di disertare i talk show, asserragliandosi negli uffici loro affidati. Zitti pure gli esponenti dell'ex maggioranza: dopo aver parlato e qualche volta straparlato, oggi paiono colpiti da mutismo. Una sindrome che non ha risparmiato neppure l'ex opposizione, i cui membri, forse per non disturbare il manovratore, paiono soggetti (...)
(...) a un'improvvisa afonia. Tra tante bocche cucite, a non aver perso la voglia di far sentire la propria voce è il capo dello Stato, cioè il vero comandante in capo dell'esecutivo appena nominato. Il presidente, infatti, anche ieri non ci ha fatto mancare la sua parola e, du¬rante un incontro svoltosi sul Colle, ha dichiarato di augurarsi che in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati  stranieri. «Negarla è un'autentica follia, un'assurdità», ha sentenziato Napolitano. Ora, si può essere favorevoli o contrari alla tesi del capo dello Stato, ma su una cosa si può convenire e cioè che mai come oggi l'argomento pare escluso dall'ordine del giorno.
Come possono una Camera e un Senato commissariati, che solo la crisi ha costretto a dire sì al governo tecnico, discutere di una riforma chiave come quella della cittadinanza? C'è qualcuno che può immaginare un sereno confronto sul tema a un anno e mezzo dalle elezioni? Soprattutto in un momento in cui la gente è preoccupata per la crisi, teme di perdere il proprio posto di lavoro e di peggiorare la propria condizione economica? Il rischio sarebbe una guerra tra poveri, con gli italiani più indigenti che guardano in cagnesco i nuovi arrivati contestandone i diritti.
Non solo: ma con i bambini nati dai clandestini come la mettiamo? Ai piccoli diamo la cittadinanza, mentre i loro genitori li mettiamo alla porta? Oppure ospitiamo le famiglie clandestine fino al raggiungimento della maggior età del bimbo che ha acquisito la cittadinanza italiana? E se fare figli diventa lo strumento per aggirare la legge e il conseguente rimpatrio, che si fa? La materia ovviamente avrebbe bisogno di lunghi approfondimenti, ma gettata nel mezzo del dibattito politico, quando l'opinione pubblica ha i nervi a fuor di pelle perché in pena per i propri risparmi, c'è pericolo di far divampare un incendio.
Perché dunque il presidente, uomo misurato e pignolo, che i cronisti ricordano come attentissimo alle parole, ieri si è messo a discettare di libertà religiosa e di diritti degli  immigrati? Ora che la  Lega è all'opposizione, ha forse ritenuto che si siano allentate le motivazioni che suggerivano di non discutere di certe faccende? A essere sinceri non abbiamo una risposta, ma una sensazione sì. Ovvero, annusando l'aria, ci pare che passando i giorni e dimenticando le origini assai poco popolari del governo presieduto da Mario Monti, il presidente voglia ricordare che l'esecutivo è nelle sue piene funzioni. Altro che ministeri tecnici, cui è stato affidato un mandato a breve, limitato ai temi di competenza economica. Ogni giorno che passa si capisce semmai il contrario e cioè che l'ex rettore della Bocconi non è affatto un premier dimezzato, ma anzi ha intenzione di usare i mesi che lo separano dalle elezioni per dar corso a una serie di riforme benedette dal Colle.
Di quella riguardante il sistema elettorale si è già parlato, sugli immigrati ha provveduto ieri a colmare la lacuna il capo dello Stato, ma non è detto che nei pros¬simi giorni non spunti altro. Più passa il tempo e più si comprende come l'urgenza che ha portato Mario Monti e i suoi ministri a Palazzo Chigi non era economica, ma tutta politica. A noi non piace parlare di complotti e ancor meno ci appassioniamo ai misteri che piacciono tanto a certi cronisti pistaroli. Preferendo stare ai fatti, constatiamo che ci si è serviti della finanza per fare piazza pulita del Cavaliere e dei suoi cari. Obiettivo nobile secondo alcuni: ma c'è qualcuno in grado di spiegarci dove ci vogliono portare i nuovi timonieri?
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"I figli di immigrati nati qui siano italiani"
L'auspicio di Napolitano scatena la Lega: "Pronti alle barricate"
La Stampa, 23-11-2011 
FLAVIA AMABILE
ROMA -E stato chiaro ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Mi auguro - ha detto -che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». A questo punto quella che sembrava solo una possibilità ancora lontana nel tempo diventa una realtà, e anche molto attuale: l'immigrazione sarà il prossimo campo di battaglia. Il Quirinale ci crede davvero e non ne fa mistero. L'aveva detto in piena crisi quando, tra una consultazione e l'altra, aveva ricevuto anche la nazionale azzurra di calcio e, davanti a italiani come Balotelli, aveva ricordato che gli immigrati  sono «linfa vitale» per il nostro Paese. L'aveva confermato con l'inserimento di uno come Andrea Riccardi nella rosa dei ministri, titolare del dicastero della Cooperazione e dell'Integrazione, che a Famiglia Cristiana dichiara: «Gli immigrati contribuiranno al futuro del nostro Paese in modo determinante: l'integrazione è un passaggio importante, che va curato con attenzione. E una grande chance per il domani. Per tutti i cittadini italiani».
Ieri il presidente della Repubblica ha precisato ancora meglio il suo pensiero tornando a parlare della cittadinanza ai figli degli  immigrati nati in Italia che già durante la fiducia aveva suscitato molte polemiche da parte di Lega e Pdl. Napolitano è cautamente ottimista, si rende conto che è impossibile che «in pochi giorni il mare in tempesta sia diventato una tavola. È un po' incrinato, un po' mosso, ma credo ci siano maggiori possibilità di confronto fra gli schieramenti».
A chiarire come stanno le cose ci pensano la Lega e l'area più dura del Pdl. Inizia Roberto Calderoli, ora coordinatore delle segreterie nazionali del Carroccio, giudicando l'ipotesi una «vera follia». La Lega su questa materia - precisa - «è pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze. E non vorrei che questa idea altro non sia che il cavallo di Troia che, utilizzando l'immagine dei poveri bambini, punti invece ad arrivare a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge». Ancora più dure le parole di Roberto Maroni. Secondo l'ex ministro dell'Interno, un intervento per dare la cittadinanza ai figli di stranieri sulla base del principio dello ius soli «sarebbe uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione». E la Lega, aggiunge, «è fermamente contraria».
Più o meno identica la chiusura da parte dei falchi del Pdl. Ignazio La Russa fa calare subito il primo, pesante sbarramento: «Se c'è qualcuno che fa finta di sostenere appassionatamente Monti, ma in realtà vuole già creare le condizioni perché cada subito, ha trovato la strada giusta: quella di proporre che questo governo affronti il tema della legge sulla cittadinanza».
Fabrizio Cicchitto usa un tono ricattatorio: «Il tema è fuori dall'agenda di governo ed è fuori anche dai discorsi che ci ha fatto
Monti. In caso contrario faremo anche noi delle proposte che sono fuori dall'agenda, come la giustizia e le intercettazioni».
All'interno del fronte del si alle parole di Napolitano spicca la posizione di Gianfranco Fini, presidente della Camera e leader di Fli: «Secondo me è giusto parlare di ius soli temperato cioè per ragazzi che sono nati in Italia, hanno completato un ciclo di studi e parlano la nostra lingua. In questo caso è giusto riconoscere la cittadinanza». Fini chiede invece un confronto sullo «ius soli automatico, cioè di quei bambini che nascono solamente in Italia con la madre, magari, che è solo di passaggio».
La posizione di Fini è un po' diversa da quella espressa dal suo movimento che sta anche organizzando una petizione popolare. «Fli condivide in pieno le considerazioni fatte dal presidente in merito al diritto di cittadinanza dei figli di immigrati nati sul suolo italiano», dice l'eurodeputato Potito Salatto, membro dell'ufficio di presidenza nazionale di Fli.
Via libera senza alcuna condizione dal leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. «È un'assurdità e una follia che dei bambini nati in Italia non diventino italiani. Non viene riconosciuto loro un diritto fondamentale». Identica la posizione del Pd. Il senatore Ignazio Marino ieri ha presentato la proposta di legge numero 28 presente in Parlamento per chiedere il riconoscimento dello ius soli. «Le parole del presidente della Repubblica ci spingono a legiferare con urgenza», avverte Dario Franceschini, presidente dei deputati Pd. E anche per Antonio Di Pietro lo ius soli è una «norma di civiltà».
 
 
 
«Cittadinanza ai figli degli immigrati» Napolitano spacca la politica veneta
Il Carroccio contro tutti: «Non sono queste le priorità del Paese». Soltanto nella nostra regione ci sono 45 mila bambini nati da genitori stranieri
Corriere della Sera, 23-11-2011
Alessio Antonini
VENEZIA - Nuovo governo, nuovo clima politico e naturalmente nuovi italiani. Meglio ancora: nuovi veneti. Perché ormai sono circa centocinquantamila i figli di stranieri che vivono nella nostra Regione di cui quasi un terzo è nato sul nostro territorio. «Mi auguro che in parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza per i bambini nati in Italia da immigrati stranieri - ha detto ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sottolineando che una più adeguata normativa sullo ius soli permetterebbe all paese di acquisire nuove energie per far fronte al progressivo invecchiamento della popolazione -. Negare questo diritto è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». E se forse i circa cinquantamila bambini nati nel profondo del nostro territorio sono ancora troppo piccoli per manifestare il loro desiderio di sentirsi veneti in tutto e per tutto, la questione sollevata nell’ultimo numero di Nuovi Veneti, l’inserto mensile del Corriere del Veneto torna tra quelli che si affacciano alla maggiore età che hanno deciso di dare vita a una serie di iniziative - una per tutte la rete G2-Seconde Generazioni - per sensibilizzare il governo e le amministrazioni locali in vista di una modifica della legge sulla cittadinanza. Eppure ormai è di origine straniera il 20 per cento dei bambini nati nella nostra regione e il 12 per cento degli studenti che popolano le classi delle scuole elementari e medie di tutto il Veneto.
Stranieri che parlano dialetto come i loro coetanei e che spesso non sanno nulla dei loro paesi di origine, terre straniere in cui al massimo vivono zii e cugini. Secondo i dati del rapporto Caritas Migrantes di quest’anno infatti si parla di circa 3500 nati all’anno che vivono nel nostro territorio senza i diritti e i doveri dei cittadini italiani. «Ancora una volta il presidente Napolitano ha dimostrato saggezza e una grande sensibilità su temi fondamentali per il futuro del nostro Paese», interviene il vicepresidente dell’Anci e sindaco di Padova Flavio Zanonato che tra i primi ha aderito alla campagna per il diritto di cittadinanza degli stranieri e ha lanciato nella sua città la consulta degli immigrati in attesa che tutti i residenti possano partecipare alle elezioni amministrative. La legge attuale infatti prevede che i figli di stranieri nati e cresciuti in Italia rischiano se non trovano un lavoro o non continuano gli studi di essere trattati come clandestini di fronte alla legge. «La Costituzione norma con chiarezza tutta questa partita della cittadinanza - interviene il presidente della Regione Luca Zaia - penso che ci si debba fermare lì».
A criticare Napolitano però questa volta non c’è solo il leader regionale del Carroccio ma anche il sindaco di Verona Flavio Tosi ultimamente in linea con le dichiarazioni del capo dello Stato. «Non credo che questa sia la priorità del paese - dice Tosi - non penso sia una preoccupazione per gli stessi immigrati che hanno ben altri». Per Tosi infatti «se ai genitori scadesse il permesso di soggiorno il figliosarebbe italiano ma i genitori dovrebbero andarsene e ci troveremmo di fronte a un grave problema giuridico». «Questa è la solita demagogia della sinistra che cerca di allargare il suo bacino elettorale - rincara la dose il parlamentare della Lega e sindaco di Cittadella Massimo Bitonci - La cittadinanza si acquisisce in dieci anni e si suppone che chi è nato in Italia e compie diciotto anni abbia dei genitori che nel frattempo hanno chiesto la cittadinanza italiana. Non vedo questo grande problema». «Mi sorprende che il presidente della Repubblica definisca assurde e folli le leggi italiane - aggiunge il senatore leghista Paolo Franco - La legge sulla cittadinanza consente a chi è nato in Italia da genitori stranieri di scegliere, al raggiungimento della maggiore età, tra la cittadinanza del paese di origine e quella italiana. E’ un’opportunità che non ha nulla di scandaloso, mentre costringere il nuovo nato alla cittadinanza italiana è, al contrario, un arbitrio» Ma i leghisti questa volta sono isolati. A loro infatti si contrappongono il Pd, l’Udc, Fli e perfino una parte del Pdl. «Oltre ad essere fuori dalla storia e a non voler vedere la realtà, la Lega dimentica di aver votato nei giorni scorsi lo statuto del Veneto, che all’articolo 6 dice che per i minori non ci può essere alcun elemento di differenziazione», attacca il consigliere regionale Piero Ruzzante (Pd). «La vera follia sarebbe cedere ai facili approcci populisti della Lega. Quello che serve è un dibattito serio», conclude Antonio De Poli dell’Udc.
 
 
 
Lega  e Pdl si ribellano al Colle
Maroni: «Sarebbe uno stravolgimento della Costituzione». Critiche anche dai «falchi» azzurri
Libero, 23-11-2011
Enrico Paoli
Francamente non se lo aspettavano, soprattutto i leghisti, visto che il tema dell'immigrazione non fa parte dell'agenda del governo. Almeno per ora, poi si vedrà. Certo, se scegli di stare all'opposizione quando la maggioranza è traversale i rischi sono inversamente proporzionali. Ma il nodo sono gli scarti di lato da parte del capo dello Stato, diventato il dominus dell'attuale fase politica, che il Pdl vorrebbe dover registrare come evento straordinario, non ordinario. Detto ciò la Lega di lotta, quel che aveva di governo lo ha già riposto nell'armadio, si dice «pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze».
A squadernare la posizione del Carroccio è stato l'ex ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli. «La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius soli e non sullo ius sanguinis», dice l'esponente leghista, «come prevede la legge». Insomma, la paura del Carroccio è che si «punti ad arrivare a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge». Un timore sottolineato anche dall'ex ministro dell'interno, Roberto Maroni, che dall'alto della sua recente esperienza rincara la dose. «L'idea di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia», afferma l'ex titolare del Viminale, «è uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione». Un modo, nemmeno tanto velato, per dire che maroni non è affatto d'accordo con Napolitano.
Nessuna apertura di credito, o margine di trattativa, la si registra fra i cosiddetti "falchi" del Pdl, altrettanto spiazzati dall'uscita del capo dello Stato. «Non si possono affrontare le leggi sulla cittadinanza a spallate e con semplificazioni che francamente rischiano di complicare e non di semplificare la vicenda», sostiene il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, «non è una follia che in Italia sia in vigore il principio dello ius sanguinis e non quello dello ius soli. È così in tante parti del mondo. Ci si può confrontare, si può discutere ma siamo in tanti a ritenere assolutamente inopportuno passare al regime di ius soli, riconoscendo la cittadinanza a chiunque nasca in Italia. Questa sì che sarebbe una scelta assurda, che il Parlamento non farà». Del tutto simile la posizione dell'ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «Se c'è qualcuno che fa finta di sostenere appassionatamente Monti, ma in realtà vuole già creare le condizioni perché cada subito ha trovato la strada giusta», dice l'esponente del Pdl, «quella di proporre che questo governo affronti il tema della legge sulla cittadinanza». Lapidario anche Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. «Il tema della cittadinanza è fuori dall'agenda del governo», sostiene l'esponente azzurro, «e ci auguriamo che non ci siano forzature perché altrimenti anche noi proporremo altri temi come la giustizia e le intercettazioni che sono fuori dall'agenda economica del governo».
Se il capo dello Stato voleva trovare una connessione fra Pdl e Lega c'è riuscito perfettamente.
 
 
 
Il Colle: cittadinanza ai nati in Italia. La Russa: addio Monti
PDL E LEGA CONTRO L'APPELLO DEL PRESIDENTE AL PARLAMENTO PER FARE UNA NUOVA LEGGE
Corriere della Sera, 23-11-2011
Luca De Carolis
Il Quirinale ha aggiunto un altro punto all'agenda di Monti, ricordando un'urgenza, sociale ed etica. Ma tradurre l'auspicio in norme sarà complicatissimo, perché la Lega minaccia le barricate e dal Pdl lanciano avvertimenti sulla tenuta del governo. Reazioni alle parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ieri è stato chiarissimo: negare la cittadinanza ai bimbi nati in Italia da immigrati stranieri "è un'autentica follia, un'assurdità". E allora bisogna rimediare, in fretta: "Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza, i bambini hanno questa aspirazione". Frasi molto simili a quelle pronunciate la scorsa settimana da Pier Luigi Bersani, durante la dichiarazione di fiducia al governo Monti: "Abbiamo centinaia di migliaia di figli di immigrati che vanno a scuola e parlano italiano, e che non sono né immigrati né italiani. È una vergogna". Un intervento che aveva provocato copiose contestazioni dai banchi della Lega e parecchie polemiche da parte del Pdl. Pochi giorni dopo, è stata la volta di Napolitano. Duro, contro la legge 91 del 1992, che concede la cittadinanza italiana in base allo ius sanguinis, imperniato sulla discendenza e sulla filiazione, e non allo ius soli, per il quale basta essere nati sul territorio di un Paese per diventarne un cittadino a tutti gli effetti. "È assurdo che i bimbi nati in Italia non diventino italiani, cosi vengono privati di un diritto fondamentale", sostiene il capo dello Stato. Preoccupato, per il futuro degli oltre 572 mila bimbi nati da genitori stranieri. Ma sulla strada verso una legge diversa c'è il fuoco di sbarramento dei leghisti e del Pdl. Ostacolo pesante come una montagna, per un governo che non può fare a meno dei voti del partito di Berlusconi. Lo stesso partito che sta cercando di tenere in piedi l'alleanza con la Lega, e che proprio non può permettersi concessioni su un tema rovente come quello della cittadinanza agli immigrati. Pena, la rottura con il Carroccio: in rivolta contro il richiamo di Napolitano.
LA REPLICA più rumorosa arriva da Roberto Maroni, che pure da ministro dell'Interno si era costruito la fama di uomo in sintonia con il Quirinale. Ma ieri, su Radio Padania, ha ve¬stito i panni del leader con la
camicia verde: "L'idea di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia è uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione. La Lega è radicalmente e totalmente contraria, perché vorrebbe dire che alla prossima ondata immigratoria che arriverà dal Nordafrica tutti coloro che arrivano e nascono qui diventano di colpo cittadini italiani". Roberto Calderoli sceglie toni bellici: "La Lega è pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze. Non vorrei che questa idea sia il cavallo di Troia con cui si punti a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge". Dal Pdl, avvertimenti in serie. In prima fila il coordinatore del partito, Ignazio La Russa: "Se c'è qualcuno che finge di sostenere il governo Monti, ma in realtà vuole creare le condizioni perché cada subito, ha trovato la strada giusta:
proporre che l'esecutivo si occupi della legge sulla cittadinanza". Sulla stessa linea Maurizio Gasparri: "Sosteniamo il governo, ma se si mettessero in agenda temi come la cittadinanza tutto si complicherebbe seriamente". Risposte a Napolitano, ma anche al Pd, che ha subito raccolto l'invito del Quirinale. Anna Finocchiaro, capogruppo dei Democratici in Senato, assicura: "Grazie anche alla sollecitazione di Napolitano, in Parlamento ci sono le condizioni per l'approvazione entro la fine del 2011 di un ddl sulla cittadinanza ai figli degli immigrati. Il testo, firmato da 113 senatori, lo ha presentato Ignazio Marino, che spiega: "Il ddl afferma un principio semplice: un bambino che nasce in Italia è italiano, punto".
A FAVORE di una nuova legge si schierano tanti altri partiti: Idv, Sel e Udc, per arrivare ai Radicali e al Pdci, sino al Fli di Gianfranco Fini, che due anni fa aveva chiesto il diritto di voto per gli immigrati. Molti i consensi dal mondo cattolico (Acli, Caritas). Dal governo, nessun commento. E si capisce perché.
 
 
 
UNA SAGGIA INIZIATIVA
il manifesto, 23-11-2011
Enrico Pugliese
Poco meno di una decina di anni addietro il manifesto titolò la foto di copertina che presentava un gruppo di immigrati con un «Non ci posso credere!». Il tìtolo si riferiva alla imprevista dichiarazione dell'on. Gianfranco Fini sull'opportunità di concedere il voto agli immigrati.  In effetti non si capiva bene cosa avesse in mente Fini e cosa intendesse proporre. Era da poco stato approvato quel pacchetto di emendamenti al Testo Unico delle leggi sull'immigrazione che va sotto il nome di legge Bossi-Fini e la dichiarazione risultò sorprendente anche e soprattutto perché contrastava con il carattere persecutorio di alcune delle norme presenti in quel testo.
La proposta fu salutata da noi - e da pochi altri - oltre che con sorpresa, anche con scetticismo. E infatti non se ne fece nulla. Diverso è il caso della proposta lanciata ieri dal presidente Napolitano di estendere la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da famiglie di immigrati. Ciò sia per la figura di chi ha avanzato la richiesta, che per la sua urgenza e per il contesto nel quale cade. Il presidente è persona notoriamente cauta e moderata, gode di autorevolezza e fiducia con pochi precedenti. Inoltre in passato ha operato nell'ambito della politica migratoria in direzione dell'integrazione. Fu sua la legge di un solo articolo che, nel 1996, permise (con l'attivazione di una norma contenuta in un decreto decaduto) a 270 mila immigrati di non perdere la regolarizzazione appena ottenuta. Fu sua, giustappunto, la legge Turco-Napolitano del 1998 che - pur zeppa di norme repressive, a cominciare dall'istituzione dei Cpt (ora Cie, insomma i lager per immigrati) - era piuttosto avanzata sul piano delle politiche sociali.
Il secondo governo Berlusconi, nato dopo la sconfitta del centrosinistra nel 2001, già condizionato dagli orientamenti xenofobi della Lega Nord, non cancellò la legge: si limitò a peggiorarne gli aspetti di controllo e repressivi mentre, per quanto attiene alle politiche sociali, decise semplicemente di garantirne la non applicazione soprattutto non finanziandole. Ma qualcosa tuttavia rimase: penso all'art. 18 sulla protezione delle persone vittime della tratta di esseri umani, all'estensione - sulla base del principio universale del diritto alla salute - del godimento dell'assistenza sanitaria anche per gli immigrati  non regolari. E penso ai ricongiungimenti familiari, che hanno permesso l'ingresso in Italia di centinaia di migliaia di bambini e di persone in età fertile.
Questi bambini ora vanno a scuola e, se sono cinesi nati in Toscana nel distretto del cuoio, si chiamano Vanni, Marzia o Chen. Se sono indiani si chiamano Simona come la figlia dei miei amici Metha di Piadena, i quali però hanno anche un figlio che si chiama Hani, dato che la multiculturalità è una cosa complessa. Per questo rimando allo splendido libro con le foto di Giuseppe Morandi (e testi, tra gli altri, di Peter Kammerer e Ivan della Mea). Comunque è certo che questi bambini vanno a scuola e parlano italiano: non anche italiano ma soprattutto italiano. Hanno tutti un forte accento e non un accento straniero, bensì quello del paese dove abitano e sono nati: strettamente partenopeo se nel distretto dell'abbigliamento nell'area vesuviana, romano se nell'area di Piazza Vittorio, dove Flavio, Tse e Tsiao sono tutti all'apparenza cinesi. Si vada a vedere alla scuola elementare Di Donato di via Bbrio, per averne un esempio lampante.
Di questo mi pare che abbia preso saggiamente atto 0 presidente della Repubblica. Ha indicato che, in base alla nuova realtà dell'immigrazione, i processi di integrazione hanno bisogno di un'ulteriore iniziativa istituzionale, insomma che lo stato riconosca la nuova realtà multiculturale dell'Italia.
Qualche razzista del Pdl si è già unito al coro della Lega, lamentandosi del fatto che si passa dalla nostra tradizione di cittadinanza fondata sullo ius sanguinis a un modello fondato sullo ius soli. Ma siamo nel 2011 : «diritto di sangue» (che pure ha caratterizzato alcune improvvide iniziative legislative recenti del repubblichino on. Tremaglia) non suona molto bene. Tanto è vero che nei paesi d'Europa più avanzati, che hanno questa stessa nostra eredità, si va verso un suo superamento, sia pure spesso parziale.
Infine, si sente spesso dire che in Italia cinque milioni di cittadini stranieri  immigrati sono troppi. Sono assolutamente d'accordo: in molti paesi europei solo una parte di questi cinque milioni di immigrati sarebbero ancora «cittadini stranieri». Gli altri - un quarto o un quinto - sarebbero già cittadini nazionali. Un cauto adeguamento a una più civile situazione europea mi pare il senso dell'iniziativa del presidente Napolitano.
 
 
 
CITTADINANZA • Le proposte dei giuristi dell'Asgi. Parlano Zorzella e Trucco
«Diritto, non necessità»
il manifesto, 23-11-2011 
Eleonora Martini
Minori nati in Italia, ricongiunti, arrivati soli e presi in carico da progetti educativi italiani, bambini trovati soli sul suolo italico, rifugiati, minori arrivati per adozione internazionale, figli di coppie miste. Parlare degli italiani di origine straniera non è facile, figuriamoci esserlo. E per averne un'idea basta fare un giro tra i post del forum della rete G2, seconde generazioni. Secondo i dati Istat, al primo gennaio di quest'anno i minori (figli di immigrati regolarmente residenti nel nostro Paese erano 993.238, il 9,7% del totale, di cui 572 mila nati in Italia. Andando a spulciare invece i dati del Miur, alla stessa data erano circa 711 mila gli alunni con cittadinanza non italiana (il 7,9% del totale), di cui 255 mila della scuola primaria. Quando si parla di cittadinanza si pensa principalmente a loro, ai minori. Anche se ogni anno almeno 50 mila ragazzi di seconda generazione raggiunge la maggiore età. E sono più dolori che gioie.
«Il presidente Napolitano definisce un'assurdità il fatto che i bambini nati in Italia non diventino automaticamente italiani? Era ora». L'avvocata Nazzarena Zorzella dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, esperta di diritto di cittadinanza, tira quasi un sospiro di sollievo. Lei che ogni giorno riceve nel suo studio di Bologna - come il suo collega, il presidente dei giuristi dell'Asgi, l'avvocato Lorenzo Trucco di Torino - persone alle prese con la legge italiana che definisce «quasi nazista». Con entrambi parliamo dei principi - ius sanguinis o ius soli- di acquisizione di quello che «dovrebbe diventare - dice Zorzella - effettivamente un diritto con cui si esprime una propria volontà, una scelta di libertà, e non una necessità. E una terribile corsa ad ostacoli».
Avvocato Trucco, se paragoniamo l'Italia al resto d'Europa?
Beh, siamo uno dei paesi più arretrati, da questo punto di vista. A quanto mi risulta, per esempio, il tempo per la naturalizzazione - da noi sono richiesti 10 anni di residenza e di svolgimento di attività lavorativa - è il più lungo in Europa. Negli altri Paesi europei ci sono forme mediate tra ius soli e ius sanguinis, tranne in Francia dove la legislazione è decisamente sbilanciata sul principio del diritto di suolo, men-tre al contrario la persona che nasce sul territorio italiano ha l'unico vantaggio di poter richiedere al diciottesimo anno di età e entro i 19 anni la cittadinanza italiana, ma bisogna poter dimostrare la presenza ininterrotta in Italia, con tutti i permessi di soggiorno e l'iscrizione anagrafica dalla nascita. E senza nemmeno un buco di qualche mese nella ricostruzione documentale. Succede infatti, soprattutto per la popolazione Rom - ed è uno degli scandali più grossi-, che in moltissimi casi si arriva addirittura alla terza generazione senza riuscire ad ottenere la cittadinanza italiana.
Avv. Zorzella, siamo fermi al 1992?
La legge sulla cittadinanza risale al 1912 ed è stata riformata nel 1992. Ferma da vent'anni, non tiene conto delle trasformazioni sociali. D'altronde certe norme del 1912, come quella della perdita di cittadinanza da parte delle donne che sposavano un cittadino straniero, sono rimaste in vigore fino agli anni '80, quando c'è stata la riforma del diritto di famiglia e la Consulta le ha dichiarate incostituzionali. Secondo la legge del '92, la cittadinanza si acquista da genitori italiani o se un bambino viene trovato solo nel nostro Paese e non si possa risalire all'identità dei genitori. Una certa interpretazione della legge sulla sicurezza del 2004, che ha modificato il testo unico sull'immigrazione, rendeva poi perfino più difficile denunciare la nascita di un bambino - figuriamoci l'iscrizione all'anagrafe - se i genitori erano privi di permesso di soggiorno. Oggi c'è una grandissima discrezionalità nella richiesta della certificazione e la cittadinanza non è un vero diritto soggettivo. Quindi pochi ragazzi nati in Italia, al compimento della maggiore età riescono a diventare italiani. Trucco, lei per l'Asgi - insieme all'Arci e a Lunària - ha messo a punto i due progetti di legge di iniziativa popolare sulla cittadinanza depositati a settembre in Cassazione e per i quali da un mese circa state raccogliendo le firme con la campagna «L'Italia sono anch'io». Perche anche le vostre proposte non si basano solo sullo ius soli? Riteniamo giusto un minimo di riferimento alla vita sul territorio, per evitare abusi. Nei nostri progetti il diritto è garantito se uno dei due genitori di chi è nato, in Italia è soggiorna regolarmente qui da almeno un anno. Ma c'è anche un'ipotesi di ius soli secco, quando almeno uno dei due genitori è nato in Italia. Questo per evitare appunto le situazioni classiche di molti Rom provenienti perlopiù dall'ex Jugoslavia, in cui addirittura i nipoti di chi è nato in Italia non riescono ad avere cittadinanza. È una proposta molto diversa da quella di Sarubbi e Granata: il nostro è quasi uno ius soli completo e i minori che nascono in Italia o che frequentano tutte le scuole qui possono ottenere la cittadinanza entro i 10 anni d'età. La naturalizzazione, poi, si può ottenere dopo 5 e non 10 anni. Zorzella, perché non fare come negli Usa dove vige il principio del suolo? Se avessimo una legge sull'immigrazione buona, umana, razionale, normale, la cittadinanza potrebbe essere un diritto che esprime una libera scelta e non una necessità come rischia di essere adesso, con la pessima legge che abbiamo. Una legge quasi nazista.
 
 
 
I VANTAGGI DI UNA RISORSA TRASCURATA
Nel momento in cui molti sono in tensione, aspettando di vedere se e quanto le prossime manovre toccheranno stipendi, case o pensioni, il Presidente Napolitano ci stimola ad alzare lo sguardo.
Corriere della Sera, 23-11-2011
IRENE TINAGLI
Ci invita, finalmente, a pensare anche agli «altri». Alle minoranze religiose, culturali, e, in particolare, a tutti quei bambini nati in Italia da stranieri che l'Italia si ostina a non voler considerare suoi cittadini. E così facendo Napolitano ci fa riflettere su cosa significa essere comunità inclusiva, che accoglie, che cresce senza discriminazioni e senza chiusure. Una riflessione importante non solo per il suo lato profondamente umano e valoriale, ma anche per il suo aspetto sociale ed economico.
Da sempre chiusura e protezionismo, tanto nelle società quanto in economia, portano isolamento e regressione. L'apertura non solo porta al proprio interno nuove energie, nuove idee e più dinamismo, ma proietta all'esterno l'immagine di una comunità forte, attrattiva, che non teme il confronto e le influenze esterne, ma che le integra e si alimenta di esse. E' stata questa, per esempio, la grandissima forza degli Stati Uniti nei due secoli passati. Un Paese che ha accolto milioni di immigrati spesso senza che nemmeno conoscessero la lingua inglese. E questo contributo ha reso gli Stati Uniti non solo un'economia più forte, ma un riferimento per milioni di persone nel resto del mondo. E oggi, anche se molti dei vecchi immigrati parlano ancora i loro dialetti di origine, l'inglese è diventato la lingua passepartout di tutto il mondo. Una sorta di divertente contrappasso, non avvenuto per caso.
Ma per capire il valore che gli possono portare in una società non c'è bisogno di guardare alla storia e al passato degli Stati Uniti: basta aprire gli occhi e saper vedere l'Italia di oggi. Gli immigrati  rappresentano ormai una componente fondamentale della nostra economia e della nostra società, molti settori crollerebbero senza di loro. Come ci dicono i dati dell'Istituto Tagliacarne, che assieme a Unioncamere monitora il contributo degli stranieri alla nostra economia, ci sono settori, come quello delle costruzioni, in cui addirittura un quarto del valore aggiunto prodotto è dovuto agli stranieri. Sempre secondo le stime del Tagliacarne, il contributo complessivo degli stranieri al valore aggiunto prodotto in Italia è stato, nel 2009, di oltre 165 miliardi di euro, il 12,1% del totale.
Non solo, ma attraverso il loro lavoro gli immigrati contribuiscono anche ai nostri servizi e alle nostre pensioni. Pochi sanno che i contributi versati dagli immigrati all'Inps ammontano a sette miliardi e mezzo di euro, ovvero il 4% di tutte le entrate dell'Inps, una cifra altissima soprattutto se si considera che sono pochissimi gli immigrati che, invece, beneficiano di pensione dallo Stato italiano. E sono pochi non solo perché molti devono ancora maturarla, ma perché sono tanti quelli che dopo alcuni anni tornano poi nel loro Paese di origine lasciandoci in dote i loro contributi. Questo significa, come ben documenta l'ultimo libro di Walter Passerini e Ignazio Marino («Senza Pensioni», Chiarelettere), che gli immigrati stanno supportando in modo sostanzioso anche il nostro sistema di welfare sociale oltre che economico. E possiamo immaginare quanto maggiore potrebbe essere tale contributo se riuscissimo finalmente ad affrontare questo tema con meno foga ideologica e meno paure, aiutando molti stranieri ad integrarsi, cominciando dal rendere i loro figli, che di fatto sono italiani, cittadini a tutti gli effetti.
Le conseguenze di un'apertura di questo genere sarebbero molto importanti, e non solo in termini economici. Pensiamo a cosa possa significare per una famiglia, e soprattutto per dei bambini e dei giovani, sentirsi parte integrante della società in cui vivono e lavorano, sentirsi portatori degli stessi diritti e doveri di chi gli sta intorno. L'emarginazione genera rancore, odio, rende inevitabilmente arrabbiati contro chi ti esclude. L'integrazione, quella piena e sincera, dà e genera fiducia, coesione, identità collettiva. E questo aiuta a prevenire malesseri sociali, conflitti, criminalità. E aiuta a fare fronte comune contro i problemi e le crisi, in nome di un Paese che non è soltanto di quelli che in qualche modo se lo sentono nel sangue, ma di tutti quelli che lo hanno scelto con passione, determinazione e amore.
 
 
 
Quando Bossi sbarcò in America  
L’emigrante Napolitano Giorgio sbarcò ad Ellis Island nel 1922, tredici anni dopo Bossi Umberto. Cinque anni dopo erano americani.
Quell'omonimo di Umberto Bossi sbarcato nel 1935 a Ellis Island Ogni anno 100 mila nati da un genitore straniero, come si può tenerli fuori? 
Corriere della Sera, 23-11-2011
GIAN ANTONIO STELLA
I loro omonimi attuali, però, la pensano assai diversamente sulla cittadinanza agli immigrati. E se il presidente della Repubblica è convinto che debba essere riconosciuto come italiano ogni bambino che nasce in Italia, il Senatur e la Lega restano bellicosamente ostili.
Nei registri monitorati dalla «Fondazione Agnelli» diretta da Maddalena Tirabassi, di immigrati che di cognome facevano Napolitano, dal 1892 al 1924, ne sbarcarono a Ellis Island esattamente 2.613. Altri 1.882 Napolitano sbarcarono dal 1882 al 1960 in Argentina. Altri ancora si sparpagliarono per il Brasile, la Francia, il Belgio, la Germania… E tutti i loro figli (come tutti i figli dei Bossi e dei Maroni e dei Castelli emigrati) sono diventati americani, argentini, brasiliani, francesi, belgi, tedeschi… 
Il capo lo Stato non lo dimentica. E dopo avere qualche giorno fa ricordato l'importanza dei ragazzi nati in Italia durante l'incontro con la Nazionale italiana e in particolare il bresciano di pelle nera Mario Balotelli, è tornato ieri sul tema sottolineando come sia ormai maturo il passaggio dallo «ius sanguinis» allo «ius soli». Vale a dire dal diritto al passaporto legato alla nazionalità dei genitori a quello legato al luogo di nascita: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità». 
Immediata rivolta a destra. A partire da Maurizio Gasparri («Ma si vuole facilitare o complicare la vita del nuovo governo? Noi lo sosteniamo con lealtà, ma se si mettessero in agenda temi come la modifica della legge sulla cittadinanza…») fino a Roberto Calderoli, che minaccia barricate: «La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius soli e non sullo ius sanguinis. Non vorrei che questa idea altro non sia che il “cavallo di Troia” che, utilizzando l'immagine dei “poveri bambini”, punti invece ad arrivare a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge». 
Un'obiezione antica. Nata dalla convinzione che gli immigrati siano tendenzialmente portati a votare «a sinistra». E che dunque un'irruzione di voti freschi possa aiutare chi oggi sta con Bersani, Di Pietro e soprattutto Vendola. Chi studia l'emigrazione, in realtà, sa che generalmente succede l'esatto contrario. L'immigrato che si è inserito tende spesso a essere conservatore e più rigido verso i nuovi immigrati che non i cittadini originari. Perché li vede come possibili «concorrenti». Perché teme che possano destabilizzare la situazione in cui loro sono già inseriti. Perché via via si sono immedesimati nella nuova realtà al punto che desiderano dimostrare a tutti gli altri di essere diventati «dei loro». 
È sempre andata così. In America, in Australia, in Francia… Chi riesce a togliersi dall'ultimo gradino della scala sociale trova spesso naturale voltarsi indietro appena è salito sul penultimo per sputare su chi ha preso sotto il suo posto. I nostri nonni hanno fatto le spese di tutto questo: pochi sono stati razzisti con gli italiani quanto gli irlandesi che fino a poco prima erano stati discriminati. E al linciaggio di undici siciliani a New Orleans, il 15 marzo 1891, non a caso parteciparono migliaia di neri. Volevano affermare un principio: noi siamo più americani di voi.
Al di là di queste polemiche e dei ruoli diversi che spettano al governo Monti, chiamato a risanare i conti, e al Parlamento (dove 133 senatori democratici, dipietristi e del Terzo polo trascinati da Ignazio Marino hanno presentato una proposta per dare il passaporto italiano a ogni bimbo nato qui a prescindere da quello dei genitori), il tema della cittadinanza si è fatto ormai ineludibile. 
Basti dire che ogni anno, come spiegano nel loro libro Cose da non credere l'economista Guglielmo Weber e il demografo Gianpiero Dalla Zuanna, nascono in Italia circa 100.000 bambini che hanno almeno un genitore straniero. Di più, nel loro saggio Una classe a colori Vinicio Ongini e Claudia Nosenghi dicono che già un paio di anni fa su circa 58.000 scuole quasi 15.000 avevano più di un alunno su 10 straniero, in 500 la percentuale superava il 50% e in 24 toccava o oltrepassava l'80%. 
Come al plesso scolastico «Pestalozzi», nella zona Monte Rosa, a Torino. Dove nel 2010 gli scolari con il cognome straniero sono stati 118 contro 65 italiani. Ma fino a che punto quei bambini sono «stranieri», se ben 105 sono nati a Torino o comunque in Italia, tifano Juventus o Milan, crescono guardando i cartoni animati della «Valle incantata» e studiano sui sussidiari le avventure di Giuseppe Garibaldi? Ha senso ospitare centinaia di migliaia di bambini e di ragazzi che si sentono italiani, si vestono come i loro coetanei italiani, parlano fra di loro in italiano, fanno soffrire i loro genitori legati al Paese di provenienza rivendicando la loro italianità; ha senso tutto questo senza riconoscere loro il diritto al passaporto italiano?
Quei bambini di cognome straniero ma nati a Torino, se fossero nati in Francia sarebbero francesi, negli States statunitensi, in Brasile brasiliani, in Argentina argentini, in Germania tedeschi. Proprio perché in quei Paesi da un paio di secoli, o più di recente, si sono resi conto di un punto centrale: è difficile chiedere alle persone di essere dei buoni cittadini se non sono pienamente cittadini.
Proprio a proposito dei figli, vale la pena di ricordare cosa risposero le autorità scolastiche di Boston alla giornalista e sociologa italoamericana Amy Bernardy che nel 1909, compiendo un'inchiesta sugli emigrati italiani negli Stati Uniti, aveva chiesto di sapere quanti fossero gli scolari del Massachusetts di origine italiana. La replica fu secca. Spiacenti, ma nessun dato: «Noi siamo del parere che in questo Paese tutti sono americani e non desideriamo incoraggiare alcuna ricerca tendente a differenziare gli americani di una discendenza, dagli americani di discendenza diversa».
Del resto, 2.200 anni fa, in Cina, il celeberrimo Libro del Maestro di Huainan spiegava già tutto: «Quando presso gli Êrmâ, i Di o i Bodi nascono bambini, urlano tutti allo stesso modo. Ma una volta cresciuti non sono in grado di capirsi neppure con l'interprete. (...) Ma prendete un bimbo di tre mesi, portatelo in un altro Stato e in futuro non saprà neanche quali costumi esistono nella sua patria…». 
 
 
 
GLI OBBLIGHI DI UNA GRANDE NAZIONE  
IL Gazzettino, 23-11-2011
EDOARDO PITTALIS
Ieri notte a Napoli nello stadio San Paolo giocava un italiano nuovo, nero, figlio di immigrati, cittadino italiano a tutti gli effetti dopo aver compiuto 18 anni. Eppure contro di lui s'alzano nelle curve cori razzisti che gridavano: "Non esistono italiani neri".
Mario Balotelli neppure per un momento ha pensato di non essere italiano. Si comporta come tale in Inghilterra dove gioca e vive. Lo fa con la maglia della Nazionale. E' uno degli italiani della seconda generazione, ma è il nostro il Paese nel quale è cresciuto, si esprime nella nostra lingua. Qual è il problema? E' naturale che un bambino nato in Italia, cresciuto nei nostri asili, istruito nelle nostre scuole, curato nei nostri ospedali si senta italiano. Anche se è figlio di un immigrato che non ha la cittadinanza. Quel bambino non ha dubbi. E' qui che si è guardato attorno e ha riconosciuto la sua patria, senza dimenticare la terra d'origine. Siamo noi italiani che dobbiamo capirlo. E quel giorno non dovrà essere lontano.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha detto cose quasi ovvie, ha ribadito un diritto. Forse è sbagliato il momento perché il Paese ha un governo tecnico che si è caricato sulle spalle l'inadeguatezza dell'intera classe politica e ha margini ristretti per affrontare problemi così dirompenti, che rischiano di dividere, di far alzare barricate ideologiche. Abituati da anni a guardare storto il diverso, sembra quasi che sia diventato naturale dire sempre di no. Ci siamo appena fatti rimproverare perfino dalla Germania sui diritti umani e sui rifugiati. Napolitano si è limitato a metterci di fronte ai doveri di una nazione che si vanta di essere tra i Grandi del mondo, che si irrita a ragione se tedeschi e francesi ridono di noi. Ma che davanti ai problemi gira la testa dall'altra parte.
L'immigrazione esiste, la popolazione venuta da fuori ormai è una parte consistente dell'Italia, si avvicina sempre di più al dieci per cento. Vogliamo ancora tenerla ai margini? 0 peggio, buttarla a mare quando non serve più per lavorare? Essere un grande paese impone degli obblighi, il rispetto dell'altro è tra questi. E vale la pena di ricordare che in cento anni si è costituita un'altra Italia sparsa in ogni angolo del mondo. Ventisette milioni di italiani emigrati, diffusi ovunque a zappare, a scavare, a costruire, a lucidare le scarpe, anche a dirigere, anche a delinquere. E quattro milioni e mezzo di veneti che se ne sono andati fin da quando il Veneto veniva chiamato nei trattati scientifici la "Calabria del Nord". Non c'è niente di cui vergognarsi di quell'emigrazione, c'è da esserne orgogliosi. Come di quelli che hanno bonificato l'Agro Pontino o pezzi di Sardegna. E nessuno di loro, in Argentina o in Brasile o nel Lazio, si è mai sentito non italiano o non argentino.
Così capita oggi ai nostri nuovi concittadini. Dobbiamo scegliere in tempo e con coraggio che paese diventare e coinvolgere nel nostro futuro anche i nuovi cittadini. Non ci sono scorciatoie, ma non ci possono essere alibi.
Gli uomini raramente oggi possono decidere dove nascere e dove morire. C'è una bella canzone di Endrigo: "Come vorrei essere un albero che sa dove è nato e dove morirà". La vita spesso li costringe a lasciare la loro terra, a inseguire un sogno, una speranza, la libertà, il lavoro. E spesso affogano su barche messe in mare da schiavisti senza scrupoli. 0 riempiono il cimitero di Lampedusa.
Se vogliamo diventare un'Italia che ha storia, civiltà, consapevolezza del proprio passato e, soprattutto, memoria non dobbiamo avere paura delle parole. Essere cittadini significa appartenere a una nazione. Vale ieri quanto oggi. Vale per i vecchi, deve valere per chi nasce e che può sognare da italiano di giocare un giorno al San Paolo.
 
 
 
Quei ragazzi nel limbo
la Repubblica, 23-11-2011
CHIARA SARACENO
INSTANCABILMENTE il presidente Giorgio Napolitano richiama la classe politica al dovere della responsabilità in tutti i settori cruciali per il futuro del Paese, quindi necessariamente anche per le condizioni in cui si trovano a crescere e operare le nuove generazioni, inclusi i bambini e adolescenti legalmente stranieri. Stranieri ma di fatto italianissimi per autoidentificazione ed esperienza quotidiana. A due riprese nel giro di pochi giorni, il Presidente ne ha denunciato con nettezza lo status di cittadini dimezzati, che li colloca in una sorta di limbo del diritto, di persone senza territorio e senza appartenenza.
I  minori nati in Italia da genitori entrambi stranieri e residenti nel nostro Paese sono oltre mezzo milione. Il loro numero è raddoppiato dal 2000, quando erano 277 mila. Costituiscono ormai quasi il 14% dei bambini che nascono ogni anno in Italia. In un Paese che invecchia rapidamente a causa della bassissima fecondità, si tratta di numeri importanti e di una risorsa umana preziosa. Tuttavia il nostro ordinamento continua a considerarli con indifferenza, quando non ostilità. Insieme ai bambini e ragazzi che sono nati altrove, ma stanno vivendo tutta la loro infanzia e adolescenza nel nostro Paese, condividendo lingua e abitudini con i loro coetanei autoctoni, i minori "stranieri" nati in ltalia, infatti, vivono in una sorta di condizione sospesa per quanto riguarda la cittadinanza e i diritti ad essa connessi. La legge italiana li costringe in uno statuto di apolidi difatto, se non di principio, con tutte le restrizioni che questo comporta. Se per qualche motivo i loro genitori perdono il diritto di soggiorno, ne seguono il destino, anche se l'Italia è l'unico paese che conoscono e in cui sono cresciuti. Ed è meglio che non passino lunghi periodi fuori Italia, per uno stage formativo o per stare con parenti rimasti nel paese d'origine, se non vogliono rischiare di perdere il diritto a chiedere la cittadinanza. Mentre a un giovane nato e cresciuto all'estero da genitori italiani che magari non hanno mai vissuto in Italia bastano due anni di soggiorno ininterrotto in Italia per ottenere la cittadinanza, ne occorrono diciotto ad uno figlio di stranieri nato e vissuto nel nostro paese, di cui ha frequentato le scuole, conosce la lingua e acquisito lo stile di vita e le norme di convivenza sociale. Sono i paradossi dello jus sanguinis, che concepisce la nazionalità come una sorta di gene che si trasmette per via ereditaria e non per partecipazione quotidiana ad una società.
Sospesi tra due mondi, i bambini e adolescenti stranieri che nascono e crescono nel nostro Paese non appartengono a nessuno dei due: uno nonio conoscono, l'altro non li riconosce. L'esperienza di essere straniero nel loro caso è estrema; perché non c'è patria cui si possano sentire pienamente appartenenti. Si tratta di un'esperienza difficile anche per un adulto, ma che per una persona impegnata nella definizione della propria identità e nella individuazione del proprio posto nel mondo costituisce un handicap inutilmente gravoso. Può anche innescare processi di rifiuto, di estremizzazione difensiva della propria non appartenenza, con grave danno per tutti.
Sono ormai anni che si discute di una riforma della legge del 1992 sulla cittadinanza, in particolare, anche se non esclusivamente, per quanto riguarda chi è nato in Italia o comunque vi ha frequentato le scuole. Chissà se il Parlamento, liberato dalla necessità di discutere di provvedimenti di legge ad personam, troverà il tempo e il senso di responsabilità per approvare finalmente norme più civili e lungimiranti nei confronti dei ragazzi che crescono tra noi e con noi e che, con i nostri, sono il presente e il futuro del Paese. Solo se smettiamo di considerarli stranieri di passaggio, e anzi investiamo su di loro e sul loro desiderio di appartenenza, possiamo aspettarci da loro, come da tutti, che si impegnino lealmente per il nostro comune Paese. A differenza di quanto fanno i leghisti, per i quali l'appartenenza nazionale è solo un' arma da giocare contro gli immigrati, ma da rifiutare per tutto il resto.
 
 
 
Altro che «risorsa» L'Irpef degli immigrati vale appena 2 miliardi
Libero, 23-11-2011
Gilberto Oneto
Schiacciata fra Borsa e Spread, la Repubblica rischia la bancarotta e - per fronteggiare gagliardamente la crisi - pensiona la democrazia parlamentare e mette i propri destini nelle capaci mani di Monti con la stessa fiducia gonfia di speranza con cui nell'antichità ci si affidava al dictator prò tempore e, in tempi più recenti, a volitivi "salvatori della Patria": non stona perciò scoprire che gli ultimi a nominare ministri ammiragli e prefetti siano stati Mussolini e Badoglio. Oggi tutto si svolge sotto la regia bonaria e oculata del nonno della Patria che è anche il suggeritore dei provvedimenti più urgenti ed efficaci. In meno di una settimana il duo Monti-Napolitano ha assestato alla malizia dei mercati internazionali due colpi decisivi: Roma Capitale e la promessa di dare la cittadinanza ai figli degli immigrati entro Natale. Siccome la regola del "non c'è il due senza il tre" vale anche per i miracoli, ecco comparire prodigiosamente l'assegno per gli zingari.
Già la scorsa settimana l'uomo del Colle aveva ricevuto premuroso una delegazione di giovani stranieri aspiranti alla posizione di "nuovi italiani" e aveva sentenziato che gli immigrati: 1) «rappresentano una grande fonte di speranza», 2) «sono la linfa vitale per il Paese», 3) «servono anche loro a sostenere il fardello del debito pubblico». Ieri ha ribadito severo che il Parlamento si deve fare carico della questione e che «negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». E - si sa - nella Repubblica Montessori ai bambini non si deve mai negare nulla.
Tutto si basa sull'affermazione che gli immigrati  siano una risorsa, siano il sole dell'avvenire per un paese malato di senilità: sola parte - quest'ultima - su cui non è più lecito dubitare.
È interessante la convergenza di affettuosi sensi fra il Quirinale e gli stranieri, fra chi pesa di più sulla comunità e chi contribuisce di meno alle casse comuni. La Corte costa ai contribuenti italiani circa 235 milioni di euro l'anno: 4.000 euro al metro giardini compresi, solo di gestione. È il posto più caro della terra. Per mantenerlo va - per rendere l'idea -tutto il gettito fiscale sottratto in un anno a
una città come Spoleto. Per contro gli stranieri più che a sostenere - come generosamente e incautamente dice il Presidente - il debito pubblico, aiutano con vigore a farlo crescere. Tutti assieme i foresti presenti in Italia - fra regolari, clandestini, espulsi non espulsi, rom ed esuli - pagano circa 2,2 miliardi di Irpef: come dire che più di un decimo di tutto quello che l'intera comunità straniera dà a quella che li ospita basta appena per mantenere il Quirinale. C'è da ragionare su questa alleanza che sa di antico fra il sovrano e i "lazzari" contro i ceti produttivi, soprattutto in un momento di profonda crisi economica di uno Stato che corrisponde perfettamente alla definizione che ne ha dato Frédéric Bastiat: «la finzione secondo la quale tutti credono di poter vivere alle spalle di tutti gli altri». La cima della piramide ha trasformato la finzione in una certezza che può conservare solo cercando nuovi diseredati da illudere e da contrapporre a tutti gli altri che non ne vogliono più sapere di barattare risorse sicure per vuote assicurazioni patriottiche. Certi "vecchi italiani", così affezionati alla Patria e allo Stato, offrono questo modello deforme ai "nuovi italiani" per continuare a opprimere quelli che cominciano a non voler più essere italiani, né vecchi né nuovi.
 
 
 
La Padania: se ne fregano della crisi, danno voto agli immigrati
Stoccata a Colle dal quotidiano leghista: "ispiratore e regista" dell'operazione Monti
Roma, 23 nov. (TMNews) - "Se ne fregano della crisi, danno il voto agli immigrati". E' questo il titolo della "Padania" di oggi che si scaglia così contro l'ipotesi modificare la legge sulla cittadinanza, come sollecitato da Giorgio Napolitano. Eloquente anche l'occhiello che recita: "La priorità dopo Roma Capitale".
"Un governo pro-immigrazione. La preoccupazione che il nostro giornale ha avanzato all'indomani del via libera a Mario Monti - si legge - si è trasformata in certezza. L'esecutivo non ha ancora deliberato alcunché, ma l'input nella direzione di una modifica della legge sulla cittadinanza è arrivato, forte e chiaro, dall'ispiratore e regista dell'operazione che ha portato il presidente della Bocconi a palazzo Chigi".
 
 
 
Castelli, frasi Colle a limite costituzionalita'
Esponente del Carroccio scrive a Capo Stato
ANSA, 22-11-2011
ROMA - "Egregio presidente, leggo che lei ha definito follia negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Ne deduco che chi, come me, non la pensa in questo mondo, è da lei considerato un folle. Le devo confessare che non mi sento affatto tale". Lo scrive Roberto Castelli che aggiunge "ritengo la sua esternazione al limite della costituzionalità" e ricorda che "la Costituzione prevede precisi strumenti per comunicare con le Camere e non è previsto che Lei dia indicazioni di natura politica".
"Aggiungo - scrive l'esponente del Carroccio - che la sua mi sembra una posizione anche anti libertaria nei confronti di quei bambini e di quei genitori stranieri a cui lei fa riferimento, che si vedrebbero privati della libertà di una scelta. Onestamente, se io avessi dovuto vivere all'estero per esempio per lavoro e lì fossero nati i miei figli, non avrei assolutamente voluto che essi diventassero cittadini, che so, brasiliani o statunitensi. "Ritengo pertanto, anche in nome della libertà individuale, che gli stranieri nati in Italia debbano avere il diritto di essere cittadini del loro Paese d'origine" conclude Castelli.
 
 
 
Napolitano ai partiti: «Follia il no a figli di immigrati»
l'Unità, 22-11-2011
«Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Giorgio Napolitano è netto sulla questione dei figli di seconda generazione, come dichiara ricevendo oggi al Quirinale i rappresentanti delle chiese Valdesi e di altre comunità di fede italiane. 
«Non credo che il mare tempestoso» di queste ultime settimane «sia diventato una tavola. È ancora un po' mosso, ma credo vi siano le condizioni per una maggiore obiettività e serenità nel confronto fra le forze politiche», annota il presidente. «Forse ora è possibile affrontare temi» come quelli di una legge quadro sui rapporti fra le minoranze religiose e lo Stato e il diritto di cittadinanza di chi vive in Italia ed è nato da immigrati. «Ora si apre un campo di iniziative anche maggiore che nel passato», ha detto Napolitano riferendosi anche alla «differenziazione fra il governo e il parlamento». Una situazione in cui le Camere hanno «campi a sé riservati» per agire. Inoltre 
RICCARDI MINISTRO FA BEN SPERARE 
Il capo dello Stato vede come elemento favorevole la nomina di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, a ministro della Cooperazione internazionale e dell'integrazione sociale: significa «la possibilità di riprendere le politiche di integrazione che hanno uno sviluppo ormai lontano», commenta Napolitano citando il precedente della sua riforma (la Turco-Napolitano risalente al '98). «Credo che sarà uno stimolo. Molto rimane da fare in Parlamento e nel dibattito, anche civile, nel Paese».
 
 
 
Ma per i discendenti la corsa al passaporto è facile 
Corriere della sera, 23-11-2011
Rocco Cotroneo
RIO DE JANEIRO — A causa della stessa legge, la 91 del 1992, e secondo il medesimo criterio giuridico — il cosiddetto ius sanguinis — l'Italia nega la cittadinanza ai figli degli immigrati mentre sulla carta la concede a milioni di stranieri che non parlano italiano, non sono mai stati nella Penisola né hanno alcuna intenzione di viverci. 
Sono gli effetti paradossali di una scelta, quella appunto di definire un criterio rigido legato al sangue e non al luogo di nascita — altrimenti chiamato ius soli — che fa parte della nostra tradizione di Paese esportatore di anime piuttosto che meta di immigrati, quale in effetti eravamo fino a pochi decenni fa. Scelta rafforzata all'inizio degli anni Novanta con la legge 91, che aprì la corsa degli oriundi al recupero di cittadinanza e in seguito alle norme sul diritto di voto e alla creazione delle speciali circoscrizioni estere (la prima volta fu nelle Politiche del 2006). Fortemente volute dall'allora destra missina, le leggi a favore dei discendenti hanno sempre incontrato in Parlamento un forte appoggio bipartisan, passando con maggioranze schiaccianti sia nella Prima sia nella Seconda Repubblica. Quasi nessuno invece si è mai preoccupato delle conseguenze, dei costi e dei molti abusi che ne sono seguiti.
Secondo stime senza alcun criterio scientifico, esisterebbero almeno 100 milioni di discendenti di italiani sparsi per il mondo, ed è ovvio che il numero va crescendo geometricamente man mano che gli anni passano. Il criterio dello ius sanguinis pone pochi limiti al recupero di cittadinanza e alla conquista del nostro passaporto: un australiano o un brasiliano possono diventare italiani anche dopo 5 generazioni. Basta affrontare la burocrazia, non aver fretta e spendere un po' di soldi per rintracciare i documenti degli antenati. Dal 1992 ad oggi la trafila è stata percorsa con successo da almeno un milione e mezzo di persone, con picchi in Argentina e Brasile. All'inizio dello scorso decennio, a causa della crisi economica che colpì il Sudamerica, ci fu un'impennata di richieste che costrinse la Farnesina a rafforzare lo staff dei consolati per smaltire domande arretrate da anni. Erano i tempi dei pernottamenti notturni fuori dal consolato italiano a Buenos Aires con tende e banchetti per la cena. Soltanto tra il 2001 e il 2004 in America del Sud vennero concesse 200.000 cittadinanze: come se l'Italia avesse guadagnato in tre anni una città delle dimensioni di Trieste.
Il numero complessivo più affidabile è quello in mano al ministero dell'Interno, che in occasione dei referendum dello scorso giugno spedì all'estero 3,3 milioni di certificati elettorali. Con i minorenni la cifra sfiorerebbe i 4 milioni. È questo dunque il numero dei «vecchi italiani», che godono di tutti i diritti oggi invece negati ai «nuovi». Qui e là, negli anni scorsi, si sono levate voci nel mondo politico a favore di correzioni alla normativa, tendenti soprattutto a introdurre limiti ed evitare abusi. La magistratura si è occupata di recente anche di casi di truffe vere e proprie, attorno al gran mercato internazionale della «fabbrica di passaporti» permessa dalla legge 91. Ma le proposte non sono uscite dai cassetti. Già nel 2005 Massimo D'Alema si chiedeva «perché la moglie di Lula debba poter votare per il nostro Parlamento mentre la tata dei miei figli, che paga le tasse, e vive a casa nostra da dieci anni, no...». Marisa Leticia, moglie dell'ex presidente brasiliano, è nipote di emigranti e da allora ha trasmesso la cittadinanza italiana ai suoi figli e probabilmente già ai suoi nipotini. Piccoli italiani crescono oltremare. E continueranno a crescere.
 
 
 
Cancellieri: il piano rom una priorità
Corriere della sera, 23-1-2011
D. Mart.
ROMA — Ha confermato il capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, il capo dell'ufficio legislativo, Elisabetta Belgiorno, e per i suoi primi passi al Viminale si è affidata allo storico capo ufficio stampa del ministero, Felice Colombrino, presentandosi come una collega prefetto «che è stata chiamata dal professor Monti a svolgere un servizio per lo Stato». E al Viminale le hanno riservato un'accoglienza più che cordiale dopo l'epoca Maroni che aveva portato con sé una robusta squadra di collaboratori esterni. Il neo ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri — che vanta una lunga esperienza alla prefettura di Milano fin dagli anni in cui si è occupata delle famiglie delle vittime del terrorismo — ha nella sua agenda alcune priorità ma avverte: «Questo non sarà il governo degli annunci». E tanto per non smentire la sua fama di donna pratica, il prefetto Cancellieri dice che se tutti gli italiani saranno costretti a fare i sacrifici anche i ministri potrebbero fare la loro parte accettando di essere pagati a fine mese in Bot e Btp dello Stato. Il ministro — che venerdì sarà a Palermo — ha già una grana da risolvere: il Consiglio di Stato ha appena bocciato il decreto del 21 maggio 2008, uno dei primi atti del governo Berlusconi, che dichiarò lo stato di emergenza per i rom e che consentì ai prefetti di Roma, Milano e Napoli (Mosca, Lombardi e Pansa) di diventare commissari. In base a quella norma i sindaci Moratti e Alemanno, ma anche la Iervolino, concordarono con i prefetti sgomberi, rimozione di interi campi, schedature con impronte digitali. E oggi che quel decreto viene meno tutto ricade sulla scrivania del ministro dell'Interno. «Con il capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli, mi lega un profondo rapporto di stima e di amicizia», ha detto Anna Maria Cancellieri. Eppure, ora, lei ha già invitato per un caffè gli ex ministri (Scotti, Mancino, Bianco, Scajola, Pisanu, Amato, Maroni) per ricevere suggerimenti. Sulla riduzione delle scorte ha semplicemente risposto: «Lasciateci lavorare». Mentre dovrà attendere per avere un'auto di servizio italiana (come ha chiesto Monti) perché al Viminale l'unica Lancia Thesys blindata è troppo vecchia e quindi inadeguata agli standard di sicurezza.
 
 
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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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