Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 novembre 2013

L'allarme dalla Libia: migliaia di profughi in fuga verso l'Italia
Nuova "invasione" annunciata di barconi. Il sindaco di Bengasi: "Aiutateci ad aiutarvi". Bonino e Mauro: alto rischio infiltrazione di terroristi
il Giornale, 20-11-2013
Fausto Biloslavo

Terroristi infiltrati fra i disgraziati che sbarcano in Italia, migliaia di siriani in fuga attraverso la Libia, a Tripoli c'è chi dice diecimila, per tentare la traversata e la richiesta italiana all'Europa di una missione più combat, non solo per soccorrere i profughi, ma per colpire gli scafisti.
E forse pattugliamenti nelle acque territoriali libiche ed operazioni a terra, a patto che si trovi un accordo con il debole governo di Tripoli.
I libici vogliono fare la loro parte, come sostiene il sindaco di Bengasi, in visita a Bologna. «La parte Est della Libia è particolarmente permeabile e quindi è fondamentale una collaborazione sempre più stretta per la gestione dei flussi migratori - sottolinea Mahmed Burziza -. La Libia è la diga dell'Europa. Faremo quanto possibile, ma anche il nostro è un Paese di immigrazione e non solo di transito. Questo significa che dobbiamo affrontare problemi sociali, sanitari e di ordine pubblico sempre più drammatici».
Lunedì a Bruxelles l'Italia ha chiesto un'operazione militare europea sulla falsariga di quella contro i pirati in Somalia che intercetti i trafficanti di uomini e non solo. Il ministro degli Esteri Emma Bonino ed il responsabile della Difesa, Mario Mauro, hanno parlato di «minaccia alla sicurezza». Il sospetto è che elementi della guerra santa internazionale si siano infiltrati a bordo dei barconi, in mezzo ai clandestini, in arrivo dalla Libia. Il loro primo approdo sono le coste maltesi o italiane, ma l'obiettivo è circolare nei 28 Paesi dell'Unione Europea.
«La Libia si conferma un Paese sull'orlo del fallimento, in uno stato di grande fragilità, una specie di canale aperto su cui convergono tutta una serie di traffici, di esseri umani, ma non solo» ha ribadito Bonino a Bruxelles. «È una specie di canale, di collettore fuori da qualsiasi controllo», che attrae traffico di droga, di armi ed elementi sospetti.
L'obiettivo è trasformare in dicembre Mare Nostrum in una missione europea «che non riguardi solo la divisione dei rifugiati» soccorsi in mare. Secondo il ministro Mauro la nuova operazione dovrebbe assomigliare ad Atalanta, la missione antipirateria europea al largo della Somalia, che ha debellato il fenomeno.
Bahia Kanoun partecipa alla visita di questi giorni con il sindaco di Bengasi a Bologna e una delegazione di imprenditori. Secondo la rappresentante del governo libico sull'immigrazione clandestina «è fondamentale un'azione di contrasto più incisiva e condotta nel quadro della cooperazione internazionale, ma resta aperta una questione. I natanti intercettati dove vengono condotti, a Malta, in Italia o in Libia?».
Il ministro della Difesa ha parlato a Bruxelles «dell'uso di grandi imbarcazioni, le cosiddette ?navi madre?, che rilasciano in alto mare migliaia di persone su barchini destinati ad affondare», invocando misure più incisive.
Il 9 novembre la flotta impegnata nella missione Mare Nostrum ne ha individuata una raccogliendo prove grazie ad aerei con sensori speciali e al sommergibile Gazzana. Nave Aliseo ha sparato diversi colpi per fermarla. Alla fine sono stati catturati 16 scafisti e la nave è affondata durante le operazioni di traino. Nave Stromboli ha portato in salvo 176 migranti, tutti siriani.
La nuova missione europea che dovrebbe venir decisa il prossimo mese mira ad accentuare queste operazioni e forse a pattugliare le acque territoriali libiche con a bordo ufficiali di Tripoli. Se ci fosse un accordo con il debole governo libico si potrebbero pianificare operazioni a terra contro le basi degli scafisti.
In questi giorni da Zuara, hub dei trafficanti di uomini, ad ovest di Tripoli, rimbalzano notizie non confermate di diecimila siriani già in Libia o in Egitto, pronti a superare il confine, per imbarcarsi verso l'Italia.
Uno dei problemi maggiori dopo la caduta di Gheddafi sono le frontiere colabrodo. Il sindaco di Bengasi sottolinea che «la Libia è estremamente estesa» e per monitorare i confini ed i flussi illegali «abbiamo bisogno di supporto anche nel campo del controllo remoto e delle nuove tecnologie».
www.faustobiloslavo.eu



“Servizio civile? Ammessi anche gli stranieri regolari”
La sentenza sottolinea che agli stranieri viene data l’opportunità di «concorrere al progresso materiale e spirituale della società»
Il giudice: così adempiono al dovere costituzionale di difesa della Patria
La Stampa, 20-11-2013

Paolo Colonnello
Milano -Anche i cittadini stranieri, regolari in Italia, possono accedere al servizio nazionale civile come «forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria». Perché «il termine “cittadino” va inteso riferito al soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana».  
Per questo l’Ufficio della Presidenza del Consiglio (che regola l’acceso al servizio civile), dovrà riaprire per 10 giorni il bando «per la selezione di 8.146 volontari da avviare al servizio nei progetti di servizi civili in Italia e all’estero» nel 2013 per permettere a 4 cittadini extracomunitari di poter partecipare al concorso. Così ha stabilito il giudice del lavoro Fabrizio Scarzella sul ricorso presentato dai quattro, tra cui una donna - difesi dalla Onlus “Avvocati per niente” e dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione - che si erano costituiti contro la Presidenza del Consiglio alla quale la sentenza ordina di «cessare il comportamento discriminatorio, di modificare il bando nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza consentendo l’accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia».  
La decisione del giudice ha un precedente in una sentenza simile del 2012 e confermata in Appello, sempre in materia di servizio civile. Ma in questo caso, equiparando il servizio a una forma di difesa della Patria, il giudice, interpretando gli articoli della Costituzione, prefigura la possibilità che un cittadino extracomunitario in regola con i permessi di soggiorno e di lavoro possa anche adempiere al servizio militare visto che la Consulta in una sentenza del 2004 ha stabilito che «il dovere di difendere la patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso dall’Articolo 2 della Costituzione» e dato che «gli apolidi, residenti in Italia in base a una scelta non certo ad essi giuridicamente imposta, godono di un’ampia tutela in tutti i campi diversi da quello della partecipazione politica, come prescritto dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1954 e dalla abbondante legislazione nazionale in materia di rapporti civili e sociali, culminata nell’affermazione di principio di piena parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani».
In sostanza, scrive il giudice, se l’articolo 2 parlando di diritti inviolabili dell’uomo, richiede l’adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto dal legame stretto di cittadinanza e quindi, nell’ambito dei diritti e dei doveri rientrano anche quelli sottoposti ai doveri funzionali della difesa. Tanto più, nota ancora la sentenza, che gli articoli 11 e 52 della Costituzione impongono una «visione degli apparati militari dell’Italia e del servizio militare stesso, non più finalizzata, come in passato all’idea dello “Stato potenza” ma legato invece all’idea della garanzia della libertà dei popoli e dell’integrità dell’ordinamento nazionale». Per ora ci si ferma comunque alla possibilità di accedere al servizio civile permettendo anche agli stranieri «di concorrere al progresso materiale e spirituale della società... tenuto oltretutto conto che gli enti promotori perseguono finalità del tutto estranee al concetto di difesa della patria».  


 
Servizio civile per gli immigrati "Devono poter aiutare la Patria"

la Repubblica, 20-11-2013  
ZITA DAZZI
MARYANA Todyrenchuk, ventenne nata in Sri Lanka ma residente in città da quando aveva dieci anni, potrebbe diventare il primo obiettore di coscienza di colore in servizio al Comune di Milano. Ieri, infatti il tribunale civile ha accolto il suo ricorso assieme a quello di altre tre ragazzi cingalesi residenti in Lombardia, che avevano chiesto di partecipare al bando per il servizio civile, finora riservato ai soli Cittadini italiani. Nel 2012 un ricorso simile, patrocinato come quest' anno dagli avvocati dell'Asgi (àssociazione studi giuridici sull'immigrazionë), era stato accolto dal giudice e poi ritirato per evitare che venisse annullata la partenza di migliaia di giovani già in corso in tutto il Paese. Quest'anno, il bando per trovare 8.146 volontari è stato chiuso il 4 di novembre, ma verra riaperto per due settimane per consentire l'iscrizione dei giovani migranti, in tempo utile perché anche essi vengano selezionati. Il giudice Fabrizio Scarzella, de- finendo «discriminatoria» l'esclusione dei ragazzi non italiani, ha ordinato, «all'Ufficio nazionale per il servizio civile presso la Presidenza del consiglio dei ministri» di consentire «l'accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia», i quali devono poter «aiutare la patria». Un diritto — si legge nell'ordinanza — che «è un diritto/dovere che va al di là del vincolo giuridico di cittadinanza: tutti hanno il diritto di adempiere il dovere della solidarietà e quindi hanno anche il diritto di cooperare —attraverso il servizio civile— alla crescita e alla difesa della comunità ter-ritoriale nella quale vivono». Gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri spiegano che «l'ordinanza è immediatamente esecutiva e il ministero non potrà cercare di sottrarsi nuovamente, come ha fatto lo scorso anno, alla sua esecuzione. Va modificato il bando riconoscendo agli stranieri un termine di almeno 10    giorni per presentare le domande agli enti. Poi ripartiranno le selezioni».
Il ministro Cecile Kyenge precisa che il bando di quest'anno «è stato aperto nel rispetto delle leggi» e ora «vedremo gli sviluppi di questa decisione del giudice di Milano». Ma è sembrata soddisfatta della notizia: «È un bel passo per me, vuol dire che si riconosce l'importanza di un certo percorso. Al di là della riforma del servizio civile, un tribunale si è pronunciato e questo verra sicuramente guardato con attenzione dal mio ministero».
 


Immigrazione, la Kyenge rivela: "Per sei anni ho fatto la badante"
È arrivata dal Congo clandestinamente, per pagarsi gli studi ha lavorato come badante e come babysitter: "Ho anche seguito una persona non autosufficiente"
il GIornale, 20-11-2013
Sergio Rame
Il padre Kikoko è il capo tribù di un intero distretto del Katanga, nella Repubblica democratica del Congo. Lei, Cècile Kyenge, ha invece deciso di lasciare quella famiglia composta da trentotto fratelli e un lungo stuolo di mogli ed è entrata clandestinamente in Italia, per sua stessa ammissione.
Il ministro all'Integrazione Cecile Kyenge a Che tempo che fa
Nel Belpaese ha lavorato come badante accanto agli anziani e come babysitter. Un po' alla volta il ministro all'Integrazione ci tiene a sbandierare ai quattro venti il suo processo di integrazione.
Intervenendo alla presentazione del video-reportage Badami, la Kyenge ha raccontato di aver lavorato assistendo le persone anziane per pagarsi gli studi nel primo periodo di permanenza in Italia. "Anch’io per sei anni sono stata dietro a quel lavoro", ha detto, a sorpresa, il ministro rivelando di aver seguito per un anno una signora 90enne e per altri due anni una donna non autosufficiente. In questo periodo si sarebbe occupata anche di alcuni bambini. "In questo modo mi pagavo gli studi", ha spiegato la Kyenge che oggi è medico oculista. Commentando il contenuto del video della regista Mariangela Forcina, che racconta le storie di tre badanti romene, il ministro all'Integrazione ha ammesso di essersi commossa perché ha rivissuto una parte della sua storia. "Per un anno, nei fine settimana, andavo da una signora di 90 anni - ha raccontato - le dicevo che avevo bisogno di lei per non sentirmi sola. Lei, a 90 anni, era completamente autonoma e cucinava anche per me. Non voleva aiuto ma aveva solo bisogno di parlare. E io mi portavo dietro i miei libri e studiavo".
Il ministro ha, poi, raccontato di aver seguito anche una persona non autosufficiente. "Se c’è un aiuto della tecnologia, si riesce a stabilire un contatto e a uscire dalla medicalizzazione", ha continuato ammettendo che si è trattato di un periodo difficile della sua vita. "Oggi bisogna cercare di rafforzare la formazione di queste persone, che spesso hanno bisogno di un grande sostegno psicologico - ha continuato il ministro - per pochi mesi ho assistito dei malati terminali in Oncologia, ho visto le persone che assistevano questi malati e che non si lamentavano mai, lo facevano con amore. Queste persone vanno sostenute". Parlando a margine dell’evento, la Kyenge ha infine spiegato che al centro di tutto dev'esserci sempre il rispetto della persona: "La cittadinanza si rafforza con la quotidianità, con gesti piccoli. Che non vengono mai valorizzati, ma dietro quei lavori ci sono dei volti, delle storie. Sono persone che non chiedono mai niente in cambio, semplicemente perchè sono al servizio dell’altro. Devono essere valorizzate di più e bisogna capirle di più. Ma soprattutto cercare di porre questa diversità come un momento importante per rafforzare questa cittadinanza".



Forza Nuova: “Migranti criminali, via di qua”
A Pozzallo dopo la manifestazione di piazza c’è chi reagisce alle offese
il fatto, 19-11-2013
Veronica Tomassini
Ragusa Su cala Brigantina, i neri guardano verso la cima del molo, fissando i cumuli di alghe putride o un punto qualsiasi che sfugga le grate del Cpo (Centro di prima ospitalità). I capannoni sporgono a lato del porto, costruiti apposta per loro, i neri. L’interregno sorge a ridosso del cantiere navale, accanto al piazzale dei Tir che aspettano di ripartire con il catamarano, per Malta. Questi sono i neri che fanno paura, che hanno cagionato la veemenza e le invettive degli irriducibili di Forza Nuova.
GLI ADEPTI di Forza Nuova a Pozzallo saranno tre quattro al massimo, il quartiere generale disponeva da Ragusa, città storicamente di estrema destra. É il presidio di Ragusa ad aver deciso sul corteo tristissimo, 70 militanti appena, il sabato sera, radunando quel che hanno potuto; sul palco i capipopolo hanno ringhiato a una platea interdetta, qualcuno tra i passanti giura di aver udito promettere con parole definitive: “sono criminali, stupratori, se ne tornassero a casa”. I neri non c’erano, i neri sono anche siriani, pochi oramai, con gli occhi chiari e i capelli ambrati. Ma sono neri comunque. Nei capannoni rimangono i gambiani perlopiù, scivolano da un Cara all’altro, da un Cpo all’altro, prove di equilibrio, non hanno perfezionato la tempra, sono giovani, ragazzini spesso, hanno incassato il trauma, si ammalano presto e nessuno se ne accorge, la loro malattia si chiama spaesamento.
Nel cortile del Cpo, i ragazzi giocano al pallone, le camionette blindate della polizia sono sentinelle taciturne, i panni sono stesi sui muri di cinta, infilati tra le grate, una specie di zoo dove si compie l’esperimento empirico più inutile e audace, la consumazione di un’identità, di una razza. A Pozzallo le rivoluzioni si esauriscono ogni mezzo secolo, e occorre il sacrificio di un outsider, necessitano persecuzioni e liberazioni, tradimenti e resurrezioni. Come è stato un tempo per il trascinatore, il socialista, l’insegnante carismatico, il partigiano inchiodato alla schizofrenia e all’ignominia, Rino Giuffrida, il pozzallese che rompeva le righe, ecco chi era.
La storia torna con i medesimi tradimenti, i medesimi perseguitati: Enzo Inì ha intitolato il suo caffè a Rino Giuffrida. E in quel caffè si spiega la medesima vicenda di riscatto, non solo perché Enzo Inì ha affermato se stesso, la propria identità di omosessuale in un paese tremendamente conservatore, il caffè è diventato il luogo del melting pot, la sostanza stessa dei neri dei capannoni. Il cambiamento accade a piccole dosi, spiega Enzo, seduto al tavolo del suo caffè, indicando una sala in special modo, la sala del cerchio, dove i ragazzi del Cpo e del paese possono perfezionare i loro talenti. Un giorno si presentò Ybrahim, veniva dal nulla dei capannoni, era agitato: sto impazzendo, sto impazzendo, ripeteva, battendosi il petto.
YBRAHIM ERA un musicista, aveva smarrito la conta dei giorni, nel centro sorvegliato dalla polizia. Sentiva voci disumane lacerare le sue tempie, il suo naufragio non lo mollava mai. Cominciò a frequentare il caffè, seguiva i corsi di batteria, di teatro, di lingua, la rivoluzione per Enzo Inì ancora una volta ebbe il sapore della salvezza. Non è mai facile fare le rivoluzioni. Quando i ragazzini dei capannoni – i neri - tornavano a essere ragazzi e basta, in quel caffè-bottega di giovani pacifisti, la loro identità scivolava via di nuovo dentro un Cara, nel purgatorio dei profughi, per non uscirne mai veramente. Davanti ai capannoni, il siriano Abdosbahi saluta i compagni con una mano sul petto. Scrive sul palmo: 120. Sono 120 giorni di campo, dice in arabo. Viene da Dar’a. I suoi occhi sembrano vetro. Anche lui è nero.



Caro Bonolis, i Filippini sono tutt'altra cosa!
Loren Balmores, una giovane lettrice di Akoaypilipino.eu, interviene sulla gag del conduttore di "Avanti un altro!" che ha fatto infuriare la comunità. "Ribrezzo per quell'orrenda imitazione. Chiediamo rispetto"
stranieriinitalia.it, 19-11-2013
Loren Balmores
19 novembre 2013 - "Mi chiamo Loren. Sono una ragazza Filippina, nata a Libia e cresciuta a Firenze. Vorrei condividere il mio ribrezzo verso l'orrenda imitazione di Paolo Bonolis sul programma "Avanti un Altro" del "tipico filippino". Lo so che non dovrei essere così permalosa, è "solo" un imitazione, si fa per ridere. Ma a me sembra che qui stiamo generalizzando un pò troppo.
Io sto terminando i miei studi universitari in Lingue. Mia madre è infermiera. Mio padre è un architetto. Un mio amico si è laureato recentemente a Firenze con la lode. Il ragazzo filippino della mia cugina è ingegnere.
Milioni di filippini qui in Italia sono laureati, ma vuoi per ragioni economiche, vuoi per raggiungere sogni ed illusioni, hanno deciso di fare altri lavori.
 In caso gli altri non lo sapessero, non siamo solo "filippini", siamo molto di più. Siamo persone piene di sfumature, ci piace mangiare, stare insieme, ci piace ridere, sorridere. Abbiamo una cultura vasta, lunga, profonda, antica. Abbiamo conservato grandi valori oramai rari come il rispetto per la famiglia, per la persona più anziana, il valore del duro lavoro, della lealtà ed onestà.
Per noi, caro Bonolis, l'inno nazionale non è una semplice canzone, non è un motivetto che deve essere cantato prima di una partita importante. Ha un significato più profondo, è segno del nostro amore per la patria, della nostrà identità comune, serve per ricordarci che abbiamo lottato per la nostra indipendenza, lo cantiamo per non dimenticare chi siamo.
Non è la prima volta che sento chiamare una PERSONA che si occupa delle faccende domestiche "Filippino". "Ci pensa il filippino", "Domani deve venire il Filippino".
Mi piange il cuore sentir parlare una persona in questo modo. Mi duole pensare che nel 2013 ancora esistono persone che non riescono ad andare al di là delle etichette sociali, delle proprie chiusure mentali.
Vorrei che si dimostrasse il fatto che il termine "Filippino" non è sinonimo di "domestico" che non riesce a parlare correttamente, ma che per una volta, anche solo una, si potesse vedere in noi lo spirito di sacrificio per la famiglia, i valori della nostra cultura e società, l'amore e devozione quando noi, "filippini", curiamo i VOSTRI genitori, diamo loro da mangiare, li puliamo, li laviamo, gli diamo l'amore che altrimenti molti non sarebbero in grado, o non riuscirebbero, a dare ai propri cari. Ma di nuovo, siamo forse bravi a fare solo quello?
Caro Bonolis, care persone che ridete innocentemente sulla sua imitazione, sul suo modo di parlare che teoricamente dovrebbe riflettere il nostro accento, siete sicuri di fare la cosa giusta? Siete sicuri di strappare sorrisi a tutti coloro che vi guardano?
Noi paghiamo le tasse. Lavoriamo duramente, senza lamentarci, a testa bassa. Siamo regolarmente soggiornanti in questo paese, rispettiamo i doveri ed i diritti presenti all'interno della costituzione Italiana. A nome di tutti i filippini in Italia, mi pare doveroso chiedere un minimo di rispetto anche nei nostri confronti
Sopratutto in questo periodo, dove le FIlippine stanno combattendo per rialzarsi dal tifone Yolanda, da quella botta che ha colpito fortemente e violentemente la nostra terra, vorrei che qualcuno facesse capire che generalizzare troppo può ferire un'intera Nazione, che non è il momento, che non riflette chi noi veramente siamo, la nostra essenza. Quando la gente si mette a ridere, mi fa male, perchè è come se tutti cominciassero a mettersi in testa che si, siamo buoni solamente a pulire il bagno, che ai VOSTRI occhi sembriamo stupidi, che non sappiamo parlare, che abbiamo in mano il cencio per pulire.
Fateci un favore, ridete della vostra politica."

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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