Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

"Leggi razziali"

Storia di ordinaria discriminazione, lavoratrice russa espulsa dopo di 12 anni in Italia
Storie simili accomunano tantissime persone che abitano in Italia da diversi anni, che lavorano onestamente, pagano le tasse e i contributi, hanno questo benedetto “permesso di soggiorno” e che in un attimo, per un qualunque motivo, viene loro negato. Questa storia potrebbe accadere ad ognuno di noi, potrebbe riguardare tutte le persone che hanno solo una colpa: quella di essere “extracomunitari”, di non avere, cioè, la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. E non importa da quanti anni si abiti in Italia, non importa se si lavora onestamente… Potrebbe sempre arrivare il giorno in cui ti verranno a prendere e a “buttare fuori”. La causa per cui si ripete la stessa storia è una sola: l’esistenza di una legislazione italiana che discrimina gli immigrati. Mi riferisco in particolare alla legge Bossi-Fini e l’approvazione dell’ultimo “pacchetto sicurezza”.
La protagonista della storia che voglio raccontare è Lira Akhmetchina. Nel 2000 riesce a ottenere il primo permesso di soggiorno e, l’anno successivo continua a lavorare in Italia, rinnovando i documenti. Nel febbraio del 2007 Lira invia la domanda per il rinnovo del permesso di soggiorno alle Poste allegando un contratto di lavoro regolare come badante. La signora che assiste risiede a Vasto e la domanda viene inoltrata alla questura di Chieti. Per un motivo incomprensibile la pratica finisce alla Questura di Pescara. Qualche mese dopo Lira trova impiego come cameriera in un bar-ristorante della sua città. Tuttora continua a ricevere la sua busta paga, a pagare le tasse e i contributi. Però non si trova più in Italia.
Nel gennaio del 2009 Lira è costretta a lasciare l’Italia per un mese, per partecipare ai funerali del proprio padre. Ma riesce a rientrare. Passa tutti i controlli della polizia di frontiera e rientra in Italia con la ricevuta del permesso timbrata. Tutta la sua vita si svolge con il ritmo abituale: lavoro nel ristorante, speranza di risparmiare, ecc... Fin quando nel maggio del 2009 viene multata dai carabinieri della stazione di Vasto per un divieto di sosta. Ricevendo la multa, Lira firma anche una ricevuta presentata dai carabinieri. Sicuramente si trattava della ricevuta per la multa, almeno così hanno inteso la signora e un suo amico italiano presente in quel momento. Dopo di allora, la sua vita torna alla quotidianità.
Nei mesi successivi Lira effettua alcune telefonate al servizio informazioni per il rilascio dei permessi di soggiorno, e riceve sempre le stesse risposte: la sua pratica è ferma all’esame della questura di Pescara. Lira combatte con i problemi quotidiani della sua vita e non presta tanta attenzione a questo fatto. Sorvola su questo problema, nella sicurezza di poter continuare la vita quotidiana con la ricevuta del permesso di soggiorno.
La sua tranquillità s’interrompe il 20 gennaio 2010. Gli stessi carabinieri che la multarono nel maggio del 2009, ripetono la sanzione per la stessa auto: questa volta la macchina è parcheggiata con un contrassegno d’assicurazione scaduto. La vettura viene rimossa e Lira arriva alla stazione dei carabinieri di Vasto per i chiarimenti. I militari controllano i suoi documenti e vedono una ricevuta di presentazione del permesso di soggiorno, avvenuta 3 anni prima. La donna torna dai carabinieri la mattina seguente, verso le 9, ma viene trattenuta fino alla sera, senza nemmeno la possibilità di mangiare. In serata viene caricata su un veicolo e spedita al Cie di Roma (il centro di identificazione ed espulsione dove sono detenuti gli immigrati irregolari). Non le permettono di tornare nella sua casa di Vasto per prendere documenti, vestiti, oggetti personali. Spiegano che la Questura di Pescara non aveva rinnovato il suo permesso di soggiorno e che il prefetto di Chieti il 21 gennaio avrebbe emesso un decreto d’espulsione.
La donna rimane nel Cie fino al 2 febbraio del 2010. Il suo datore di lavoro nomina un avvocato che viene a conoscenza che Lira Akhmetchina avrebbe ricevuto un avviso del mancato rinnovo del permesso di soggiorno nel maggio del 2009 (quando lei firmò la ricevuta per la multa emessa dai carabinieri). Non avendo ottemperato a questo ordine ed essendo rimasta in Italia, è diventata automaticamente “clandestina”, contravvenendo al cosiddetto “reato di clandestinità”. Il 2 febbraio la signora viene fatta imbarcare su un aereo che la porta a Mosca, in una città con il gelo da meno trenta, dove non conosce nessuno e che dista 2.500 chilometri dalla sua città natale. Espulsa senza un euro, senza nessuna possibilità di prendere i suoi risparmi, i suoi vestiti, tutto quello che aveva messo da parte nei 12 anni della sua permanenza in Italia, senza possibilità di riscuotere i 10 anni dei contributi INPS, senza possibilità di continuare la sua vita privata…
Questo è il trattamento riservato agli immigrati con le leggi vigenti. Leggi che operano come una specie di leggi razziali, che sono dirette contro tutti gli immigrati, e non contro quei pochi che delinquono. La storia di Lira dimostra anche l’inutilità di queste leggi per la pubblica sicurezza, perché fanno delle persone che onestamente lavorano e vivono in Italia le prime vittime di questo sistema.
Sergiy Sakharov
 
Un primo piccolo successo contro il reato di clandestinità.
Luigi Manconi
“Oggi  il Giudice di pace di Agrigento, competente a giudicare gli immigrati imputati del reato di clandestinità, che sbarcano sulle coste della Sicilia, ha accolto le diverse eccezioni di costituzionalità sollevate dall’ Avvocato Ernesto Maria Ruffini e dall’avvocato Danika La Loggia per conto dell’associazione A Buon Diritto.

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Ti punisco per ciò che sei

Luigi Manconi e Federica Resta

La definizione di Dario Franceschini (“leggi razziali”) a proposito di alcune norme, già approvate o contemplate dal disegno di legge sulla sicurezza, ha suscitato scandalo. Alle reazioni furibonde del centrodestra (“vaneggiamenti”) si è accompagnato un qualche imbarazzo nel centrosinistra: forse si esagera un po’, signora mia. E invece, se l’evocazione storica può risultare problematica, le implicazioni giuridiche e sociali di quelle norme non lo sono affatto. Sì, siamo in presenza di “leggi razziali”. Nel senso che si tratta di norme che discriminano tra i cittadini in base alla loro identità etnica. Basti pensare alla cosiddetta “aggravante di clandestinità”. Essa si applica a qualunque reato, per il solo fatto di venire commesso da un migrante irregolare, anche in assenza di alcuna relazione con la condotta a lui contestata e con il bene giuridico protetto leso da quel reato. Non meno discriminatoria la norma che qualifica come fattispecie penale quello che oggi è un mero illecito amministrativo, ovvero il soggiorno e l’ingresso irregolari nel territorio dello Stato. Si tratta di una norma in primo luogo inefficace (perché non fa che gravare i tribunali di processi destinati a concludersi con la prescrizione o con l’espulsione): e, soprattutto, dotata di una fortissima valenza culturale e simbolica. Ciò che viene punito, infatti, non è un comportamento, ma la circostanza tutta soggettiva di essere straniero e non in regola: responsabile soltanto, magari, di non aver rinnovato il permesso di soggiorno in tempo utile. Si consideri poi che la norma si applica anche ai minori ultraquattordicenni imputabili, che peraltro - non potendo essere espulsi - saranno tra i pochi a subire un processo. Come si vede queste due norme hanno un tratto comune. In spregio al principio garantista e liberale che concepisce il diritto penale come diritto del fatto e non dell’autore, si incrimina non un (o si aggrava la pena non per un) comportamento ma si sanziona uno status amministrativo, quale appunto la condizione di regolarità. Se non sono “leggi razziali”, queste, cos’altro sono? Né più né meno che altrettanti meccanismi di produzione di intolleranza per via istituzionale.
P.s. A proposito: ma perché mai tutti, proprio tutti (dal Tg1 ad AnnoZero) utilizzano il termine “clandestino” per definire chi, almeno finora, è semplicemente non regolare? A furia di stigmatizzare il “politicamente corretto”, è fatale che si caschi nella trivialità dei concetti, oltre che delle parole.








 


 

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