Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 ottobre 2013

Tragedia di Lampedusa, arriva Barroso Proteste in aeroporto: «Vergogna, assassini»
Il presidente della Commissione europea sull’isola con il premier Letta, al vice premier Alfano e al commissario Ue Malmstrom
Corriere.it, 09-10-2013
Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso, il premier Enrico Letta, il vicepremier Angelino Alfano e il commissario Ue degli Affari Interni Cecilia Malmstrom sono atterrati all’aeroporto di Lampedusa dove renderanno omaggio alle vittime del naufragio del barcone con i profughi avvenuto giovedì mattina davanti alle coste dell’isola. Il presidente della Commissione europea ha scritto in un tweet che si trova lì «per onorare le vittime e mostrare solidarietà con azioni concrete»
LETTA SI INGINOCCHIA NELL’HANGAR-OBITORIO - Barroso, Letta, Alfano e Malmstrom sono stati accolti all’aeroporto di Lampedusa dal prefetto di Agrigento Francesca Ferrandino, dal sindaco Giusi Nicolini e dal presidente della Regione Rosario Crocetta. La prima tappa della loro visita è stata l’hangar dell’aeroporto dove sono sistemate le oltre 200 bare delle vittime. Il presidente del Consiglio si è inginocchiato davanti ai feretri bianchi dei bambini che hanno perso la vita nella tragedia, per un minuto di raccoglimento, e, affiancato dal presidente della Commissione Ue e dal ministro dell’Interno, si è nuovamente inginocchiato per deporre un mazzo di fiori sulle prima fila di bare. Finora sono 288 i cadaveri recuperati dai sommozzatori. E le ricerche nel relitto in fondo al mare continuano.
PROTESTE IN AEROPORTO: «VERGOGNA!» - Ma una decina di manifestanti ha contestato i politici appena arrivati. I manifestanti hanno urlato: «Vergogna! Vergogna!» nei confronti dei rappresentanti istituzionali prima che questi entrassero nell’hangar dove sono le bare: «Andate al centro di accoglienza. Andate a vedere come vive questa gente. Assassini!», hanno poi aggiunto i manifestanti.
L’OPERAZIONE «SALVATAGGIO SICURO» - Intanto il quotidiano International Herald Tribune, edizione internazionale del New York Times, dedica questa mattina ampio spazio alla proposta del commissario Ue gli Affari interni - Cecilia Malmstrom - di lanciare nel Mediterraneo una grande operazione Frontex per il «salvataggio sicuro» di chi si trova in difficoltà in mare. Il giornale pubblica in prima pagina un’immagine a quattro colonne di relitti abbandonati sull’isola di Lampedusa, accompagnata da un lungo articolo nelle pagine di cronaca in cui riporta l’annuncio di Malmstrom, che definisce «uno dei più forti appelli» legati alla tragedia di Lampedusa.
FRONTEX: FONDI ESAURITI - «Abbiamo deciso di riallocare due milioni di euro del nostro budget, dando priorità all’Italia e tagliando altre attività, per estendere l’operazione Hermes fino a novembre. Ma per farlo ci siamo rivoltati le tasche. I nostri fondi per il 2013 ora sono esauriti». Lo ha detto all’Ansa il vicedirettore di Frontex Gill Arias in un’intervista. Secondo il vice-dirigente di Frontex l’operazione Hermes (isole Pelagie) si sarebbe dovuta concludere a fine settembre, ma «si è deciso di estendere, dando priorità, perché abbiamo visto che i barconi continuano ad arrivare».



Maxi-piano Ue per salvare i profughi
“Fronte unico da Cipro alla Spagna” e oggi Barroso e Letta a Lampedusa. Proposta della Malmström ai ministri dell’Interno. L’incognita fondi
la Repubblica, 09-10-2013
ALBERTO D'ARGENIO
ROMA — La tragedia di Lampedusa smuove le coscienze dei governi europei e qualcosa a livello di Unione si muove. Nella richiesta di aiuto per evitare nuovi drammi l’Italia è appoggiata dalla Commissione europea. Una sponda politica che di per sé non è però sufficiente, visto che in tema di immigrazione sono le cancellerie ad avere l’ultima parola. Ma il dato che arriva dal Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Unione è confortante, con l’apertura del fronte dei nordici, Germania inclusa. Questa è la lettura di Angelino Alfano che ha partecipato alla riunione nel Granducato. Che qualcosa stia cambiando lo dimostra anche la visita di oggi a Lampedusa del presidente della Commissione Barroso (che sta cercando fondi per annunciare un aiuto europeo all’isola) e del responsabile agli Affari Interni Cecilia Malmstrom accompagnati da Letta e Alfano. E Letta, insieme al ministro Enzo Moavero, sta lavorando per far inserire all’ordine del giorno del summit europeo del 24 ottobre l’immigrazione con l’obiettivo di ottenere una dichiarazione dei leader per l’inizio di un percorso che porti a una «politica organica» dell’Unione sull’immigrazione, la cui realizzazione sarà al centro delle presidenze Ue di Grecia e Italia del prossimo anno.
Ieri a Lussemburgo la giornata si è aperta bene, con la Malmstrom che ha annunciato la richiesta ai ministri dei 28 di «una grande operazione Frontex per il “salvataggio sicuro” dei migranti da Cipro alla Spagna». Un impegno politico in aiuto di Alfano, che entrando al vertice parla di «bel segnale». Già, perché rafforzare la dotazione di navi e aerei in pattuglia nel Mediterraneo per assistere (non respingere) i barconi in arrivo dal Nord Africa è una delle priorità italiane. Con Alfano che chiede «un piano d'azione europeo per il salvataggio di vite umane» e un aumento dei mezzi di fronte alle nostre coste, visto che al momento la Spagna gode di un aiuto superiore al nostro. Al termine della riunione la Malmstrom annuncia la creazione di una «task force tra l’Italia e la Commissione» per mettere a punto la lista di quanto serve a Roma per far fronte all’arrivo dei migranti. Alfano dà una lettura politica della riunione ed esulta perché «per la prima volta ho visto aprirsi un varco di consapevolezza di fronte a questo dramma da parte dei paesi del Nord Europa, compresa la Germania». La Malmstrom però spiega che «è presto per potersi esprimere» su quanto si potrà ottenere. Il punto è che Frontex lavora con mezzi dei governi, non di Bruxelles e quindi serve un accordo tra capitali (al summit di fine mese Letta insisterà proprio su Frontex).
Alfano non ha voluto affrontare il tema dell’abolizione della Bossi-Fini, limitandosi a dire che non era al centro della riunione di ieri: «Non indeboliamo il fronte nazionale dividendoci in polemiche interne». Il vicepremier ha però riconosciuto che c’è stato «un mutamento delle cause delle migrazioni che oggi in prevalenza non hanno più ragioni economiche, si tratta di gente che fugge dalle guerre». La Malmstrom, pur non potendo intromettersi in un dibattito interno, ha fatto capire cosa ne pensa: «È una questione politica italiana e non sta a me commentare, ma ho sempre sostenuto l’apertura verso l'immigrazione e quindi spero che il dibattito porti a un buon risultato». Come dire, non ho poteri per imporlo, ma la Bossi-Fini va abolita.
Ieri ad Alfano non è invece andata bene sull’aggiornamento delle regole Ue sui rifugiati. La Germania ha bocciato la richiesta di modificare il regolamento di Dublino, ovvero ha detto di no a una distribuzione obbligatoria dei rifugiati tra i paesi europei. Il ministro dell’Interno Friedrich ha parlato di richiesta «incomprensibile » visto che «la Germania è il Paese che ne riceve di più, più di 100mila con un rapporto di 946 per un milione di abitanti,
in Italia sono 260 per milione ». La Germania è stata appoggiata da Svezia e Danimarca. Alfano ha insistito affermando che l’Italia porterà avanti «una grande battaglia culturale per cambiare le regole». Non si tratta solo di collocare i rifugiati, ma anche di avere assistenza Ue (fondi e mezzi) nella loro gestione dopo gli sbarchi. Altro tema centrale è quello di accordi con i paesi di partenza per limitare le partenze: l’Italia chiede che siano stipulati a livello Ue per avere maggiori fondi per l’assistenza e più capacità contrattuale, ma tra Egitto e Libia è difficile trovare governi in grado di chiudere accordi e garantirne il rispetto. Proprio ieri però c’è stata una prima intesa tra Roma e Tripoli: i guardacoste libici, formati dalle forze di polizia italiane, pattuglieranno le proprie coste entro tre miglia.



L’isola della rivolta, dai migranti all’Onu
Rabbia nel centro di accoglienza di Lampedusa
Il protocollo della visita di Barroso non prevde il campo profughi
Le critiche di Unhcr e Save The Children
il Fatto, 09-10-2013
Enrico Fierro
Mentre si aspetta l’arrivo dell’Europa e del governo italiano, nel centro di accoglienza di Lampedusa scoppia la rivolta. Dopo giorni di pioggia, le decine di profughi costretti a dormire di notte all’aperto sotto capanne fatte con i materassi di spugna e i sacchi neri dell’immondizia, esplodono. Ci sono le telecamere fuori dai cancelli, un gruppo di giornalisti è stato autorizzato a entrare all’interno della struttura e i profughi vogliono raccontare a tutti come vivono.
Usano i materassi di spugna per fare una specie di barricata e impedire l’uscita dei pullman usati per trasferire altri migranti, i più fortunati, in Sicilia. Urlano, si lanciano verso le telecamere per dire la loro finalmente. “Non ne possiamo più di vivere in queste condizioni, mandateci via, fateci uscire. Mangiamo male e dormiamo peggio”.
LA TENSIONE dura per un’ora, poi la protesta rientra. Il centro di accoglienza dell’isola scoppia ed è già un caso che indigna le organizzazioni internazionali dei diritti umani. “Da sei giorni – denuncia Raffaella Milano, di Save the children – i minori sopravvissuti vivono in condizioni indecenti, in promiscuità con gli adulti respirando un clima di tensione e disperazione” . Parole nette, meditate dopo giorni di osservazione e di indagine del-l’organizzazione umanitaria, una denuncia che dovrebbe far vergognare le autorità politiche italiane.
Durissima è anche l’Unhcr, l’organizzazione dell’Onu che si occupa dei rifugiati. “La situazione di estremo degrado in cui versa al momento il centro di accoglienza, con intere famiglie costrette da tre giorni all’addiaccio sotto la pioggia battente, è assolutamente inaccettabile”.
Cono Galipò, l’amministratore di “Lampedusa accoglienza”, la società che gestisce il centro, prima nega, giustifica, solleva fumo parlando dell’abnegazione e dei sacrifici del personale che lavora all’interno, infine perde la pazienza e attacca i giornalisti. “Siete voi che giudicate invivibili le condizioni del centro, la vostra è una deformazione mentale”.
Poi, però, davanti alle telecamere del Fatto Quotidiano.it  , ammette che sì, molti profughi dormono all’aperto o in macchine e vecchi autobus.
PER OGNI MIGRANTE ospitato nel centro in queste condizioni, lo Stato italiano paga 29 euro al giorno. Sarà per questo scandalo tutto italiano che fino a tarda sera, nel protocollo della visita che oggi Manuel Barroso, Gianni Letta e Angelino Alfano faranno a Lampedusa, non era prevista una visita al centro di accoglienza. L’Europa non deve vedere. Forse Barroso incontrerà una delegazione di profughi, soprattutto dei superstiti del naufragio di giovedì scorso, nella sede dell’Aeronautica militare.
Insieme a Letta e Alfano renderà omaggio alle bare delle vittime, che con i ritrovamenti di ieri sono salite a 289, sistemate nell’hangar dell’aeroporto civile, ma i vivi no, non si deve vedere come l’Italia li sta trattando. Barroso sarà accolto da una protesta dei pescatori che al suo arrivo suoneranno le sirene dei loro pescherecci. “Vogliamo far sentire la nostra voce, dire che Lampedusa non è solo un puntino geografico ma che è anche territorio d’Europa e come tale deve essere considerato e protetto", dice Salvatore Martello, presidente del Consorzio dei pescatori.
Ma i sopravvissuti hanno anche bisogno di assistenza legale. Sono accusati di immigrazione clandestina, Antonio Ingroia, l’ex pm palermitano, è disposto a difenderli insieme a un pool di legali siciliani, campani e liguri da tempo impegnati in questa battaglia di diritti civili. “Voglio difendere i profughi dalla vergogna della legge Bossi-Fini. Voglio portare all’attenzione della Corte costituzionale e della giustizia europea l’assurdità delle nostre leggi in materia di immigrazione e asilo”.



Lampedusa, le cose da fare dopo la strage Tre richieste di Amnesty all' Italia e all'UE
In occasione dell'arrico nell'isola siciliana del presidente della commissione europea Barroso, Amnesty International chiede all'Unione europea (Ue) e ai governi degli stati membri di agire per cambiare le politiche dell'accoglienza e prevenire ulteriori perdite di vite umane nel Mediterraneo e proteggere i diritti umani di migranti e rifugiati
la Repubblica.it, 09-10-2013
ROMA - In vista della riunione del Consiglio giustizia e affari interni e della visita del presidente della Commissione europea Barroso a Lampedusa, Amnesty International ha chiesto all'Unione europea (Ue) e ai governi degli stati membri di agire in modo determinato per prevenire ulteriori perdite di vite umane nel Mediterraneo e proteggere i diritti umani di migranti e rifugiati. L'ultimo naufragio sotto la costa di Lampedusa ha messo in evidenza quanto le politiche europee sull'immigrazione abbiano del tutto mancato di porre al loro centro i diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati. In questi anni, le risorse sono state destinate in misura sempre crescente al controllo della frontiera esterna dell'Ue piuttosto che a proteggere e a salvare vite umane.
Costretti a scegliere le rotte più rischiose. L'Ue e i suoi stati membri dovrebbero rivedere il modo in cui affrontano le questioni migratorie e avviare una valutazione circa l'impatto sui diritti umani delle attuali politiche destinate al contrasto dell'immigrazione irregolare. Conflitti, violazioni dei diritti umani, instabilità politica e una profonda ineguaglianza sono i fattori chiave che incoraggiano le persone a migrare o a fuggire da ogni parte del mondo. Le politiche migratorie restrittive, volte a impedire gli ingressi in Europa, non dissuadono le persone ma le obbligano unicamente a seguire rotte più rischiose e a mettersi nelle mani di contrabbandieri e trafficanti.
E' giunto il momento che l'Ue e i suoi stati membri riconoscano le loro responsabilita'. Amnesty International li sollecita ad agire rapidamente, dando seguito alle sue richieste nelle seguenti tre aree:
1. Operazioni in mare coordinate da Frontex
L'Ue sta attualmente discutendo le regole per le operazioni d'intercettazione in mare condotte da Frontex, l'agenzia europea delle frontiere. Queste regole mirano a rafforzare gli obblighi in tema di soccorso e ricerca nelle operazioni coordinate da Frontex e a migliorare le salvaguardie per i migranti e i richiedenti asilo intercettati in mare durante tali operazioni. Gli stati devono rapidamente approvare queste nuove regole, in modo da porre in essere modalità di soccorso efficaci e coordinate a livello dell'Ue e garantire che tali operazioni siano condotte pienamente in linea con le norme e gli standard del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto dei rifugiati, così come degli obblighi di diritto marittimo.
2. Cooperazione con paesi terzi in materia di controllo dell'immigrazione
L'Ue e i paesi europei stanno cooperando con paesi terzi in materia di controllo dell'immigrazione, chiudendo un occhio sulle violazioni dei diritti umani subite in quei paesi da migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Nonostante le prove disponibili a riguardo, l'Ue e stati membri come l'Italia stanno cooperando con la Libia per contrastare i flussi migratori verso l'Europa. Amnesty International ha ripetutamente sollecitato l'Ue e gli stati membri a non cooperare con la Libia in materia d'immigrazione fino a quando questo paese non avrà dimostrato di rispettare i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, istituendo anche un sistema adeguato per esaminare le richieste d'asilo. Più in generale, i diritti umani dovrebbero essere il punto di riferimento di ogni forma di cooperazione in materia di controllo dell'immigrazione tra l'Ue e i paesi terzi; tutti gli accordi dovrebbero essere trasparenti, prevedere standard adeguati sulla protezione delle persone e rispettare in pieno i diritti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.
3. Solidarietà internazionale
Occorre creare vie sicure d'accesso all'Europa, attraverso programmi significativi di reinsediamento, di ammissione umanitaria e di abolizione delle restrizioni ai visti per i rifugiati. L'Ue non sta assumendo la sua giusta parte di responsabilità verso i rifugiati nel mondo. Il numero dei rifugiati invitati in Europa dev'essere di molto superiore rispetto a quanto prevedono gli attuali, deboli programmi di reinsediamento. Dev'esserci un impegno serio a reinsediare migliaia, e non numeri esigui, di rifugiati.
Le richieste di Amnesty. Infine, il dibattito sulle necessarie modifiche da apportare alle politiche europee in materia d'immigrazione deve essere parte integrante dell'azione dell'Ue di rafforzamento dei diritti umani e dello stato di diritto al suo interno. Amnesty International ha rivolto tre richieste anche all'Italia:
1 - Le autorità italiane devono garantire il trasferimento rapido sulla terraferma delle persone arrivate a Lampedusa e assicurare che tutte le strutture ricettive siano operative e adeguatamente dotate per fornire assistenza ai migranti e ai richiedenti asilo, con particolare attenzione ai gruppi vulnerabili, come le donne e le bambine a rischio, gli anziani e le persone sopravvissute alla violenza e alla tortura. Tutte le persone che raggiungono le coste italiane devono ricevere assistenza in centri aperti.
2 - Tutti devono avere accesso a procedure eque ed efficaci d'esame delle richieste d'asilo. Vanno poste in essere garanzie effettive per assicurare che, secondo quanto previsto dal diritto internazionale dei diritti umani e dal diritto dei rifugiati, le persone non siano espulse collettivamente o altrimenti allontanate prima che sia data loro la reale possibilità di contestare, qualora vogliano farlo, la decisione di allontanarle. Occorre abolire la normativa che prevede il reato d'ingresso o permanenza irregolare nel territorio italiano.
3 - E' urgente incrementare l'efficacia delle operazioni di ricerca e soccorso in mare.
In occasione della visita del presidente della Commissione europea Barroso a Lampedusa, Amnesty International Italia, Medici Senza Frontiere, Progetto Melting Pot Europa e Zalab organizzano a Roma  (cinema Alcazar, via Cardinale Merry del Val 14, alle ore 11) una proiezione-stampa di Mare chiuso, (GUARDA IL VIDEO) il documentario realizzato nel 2012 da Andrea Segre e Stefano Liberti sulla vicenda di un gruppo di rifugiati provenienti da Somalia ed Eritrea (come molte delle vittime dell'ultimo naufragio di Lampedusa) e respinti dall'Italia verso la Libia.
 


Maxi piano Ue per gli sbarchi Ma strappiamo solo promesse
Bruxelles lavorerà a fianco dell’Italia. Ma a Roma cresce la tensione sulla Bossi-Fini: la sinistra vuole cambiare il diritto d’asilo. Oggi Alfano, Barroso e Letta a Lampedusa
il Giornale, 09-10-2013
Emanuela Fontana
A sei giorni dalla strage di Lampedusa, è il momento dell’autocritica dell’Europa sull’immigrazione. Tutto è partito dal presidente del parlamento Europeo, Martin Shultz, che ha ammesso come è «una vergogna che la Ue ha lasciato così a lungo sola l’Italia».
Ieri, durante la riunione dei ministri dell’Interno europei, è stato deciso che il pattugliamento Frontex deve cambiare e necessita di più fondi e di una totale ristrutturazione: «Tutti gli Stati membri hanno detto che Frontex può essere usato in modo diverso e può fare di più ­ ha commentato il commissario agli Affari Interni Cecilia Malmstrom - Dobbiamo parlare con Frontex, sentire ciò di cui hanno bisogno e poi torneremo a parlare con gli Stati membri ».L’Europa avvierà una task force con l’Italia, una grande operazione che coinvolgerà anche Spagna e Cipro, si è definito finalmente a Lussemburgo, riportando così il problema immigrazione dalle coste del Mediterraneo all’Europa intera.
«L’Italia ha ottenuto che Frontex cambi registro e sia più efficace nella sorveglianza della frontiera marittima - conferma il ministro dell’Interno Angelino Alfano ­«Inoltre la Commissione si occuperà dei costi maggiori che affrontiamo nel contrastare l’immigrazione clandestina per via marittima. Soprattutto ha ottenuto il dato di consapevolezza comune che la questione di Lampedusa e del Mediterraneo è europea». E per la prima volta si è «aperto un varco di consapevolezza forte, un presa di coscienza da parte dei Paesi del Nord», finora i più ostili agli aiuti all’Italia.
Ma in Italia ormai il dibattito è tutto incentrato sulla riforma della legge Bossi Fini sull’immigrazione, in particolare sulla riforma del diritto di asilo, quando in realtà è stata proprio la legge 189 del 2002 a definirne i principi(e non leggi di centrosinistra) con l’istituzione di un fondo speciale per i rifugiati. A palazzo Chigi si sta già lavorando per la revisione.
Mentre in Italia, dopo il lutto per l’immensa tragedia di Lampedusa, si torna quindi a litigare, oggi voleranno insieme nell’isola il premier Letta, il vice Alfano e il presidente della commissione europea Josè Manuel Barroso.
L’invito ad allargare il campo delle critiche e delle idee a tutta la Ue è stato rilanciato ieri da Alfano da Lussemburgo: «Non indeboliamo il fronte nazionale dividendoci in polemiche interne ». I più solleciti ad accogliere il richiamo del presidente della Repubblica Napolitano sulla necessità di una riforma in materia di asilo sono stati gli esponenti del Pd. Il capogruppo Roberto Speranza ha annunciato una proposta di legge «che dà finalmente completa attuazione all'articolo 10 della Costituzione». In realtà fu proprio la Bossi Fini a colmare un vuoto legislativo che i governi di centrosinistra non erano riusciti a riempire. La legge del 2002 firmata dagli ex ministri di centrodestra introdusse la possibilità di un riesame dell'eventuale decisione negativa in prima istanza della Commissione di asilo e introdusse la protezione umanitaria per gli immigrati che necessitano di una forma di «protezione sussidiaria», perchè in fuga da guerre o da violenze, con un «Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell' asilo». In questi anni l’Italia ha poi recepito tre direttive europee sull’asilo. Risponde alle critiche un ex ministro dell’Interno, Bobo Maroni: «Le normative italiane ci sono e recepiscono quelle europee, non capisco questa voglia matta di modificare leggi che ci sono e vanno applicate ». È tutta «una fuga dalle responsabilità: la colpa è di chi non ha fatto i pattugliamenti».
L’Italia è però ora sottogli occhi del mondo. Il centro di Lampedusa è sovraffollato all’inverosimile e l’Alto commissariato per i rifugiati chiede «soluzioni rapide. Gli standard di accoglienza sono inadeguati e non conformi agli standard europei ».



“Abrogate la Bossi-Fini”, già 15mila firme ci sono anche Camusso, Fo e Cacciari
Boom di sottoscrizioni all’appello lanciato da Repubblica   
la Repubblica, 09-10-2013
ENRICO BELLAVIA
ROMA — Migranti e profughi, sopravvissuti alle stragi nel Mediterraneo, mai più criminali per legge. Sono quindicimila in poche ore le adesioni alla petizione di
Repubblica che chiede l’abrogazione immediata della Bossi-Fini. L’appello lanciato da Stefano Rodotà, raccoglie subito il sì della Cgil e di Sel. Si mobilita il mondo della cultura e del volontariato. Sottoscrivono il Nobel Dario Fo, il filosofo Massimo Cacciari, il papà del commissario Montalbano, Andrea Camilleri e Gino Strada, fondatore di Emergency. Fa sentire la propria voce anche la Chiesa con la firma del vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero.
«La legge Bossi-Fini, come il reato di clandestinità — dice il leader della Cgil Susanna Camusso — sono razzismo trasposto in termini legislativi, sono l’idea che l’altro, il diverso da te, non sia una persona da accogliere, una cultura da comprendere, un mondo da scoprire, ma un nemico da respingere o incarcerare, un corpo pericoloso e dannoso da allontanare ». Camusso insiste per «il riconoscimento dello ius soli assieme alle tutele per i lavoratori migranti e a una nuova legislazione di accoglienza».
«Sono contro la Bossi-Fini — spiega Dario Fo — e anche contro Bossi e contro Fini che hanno fatto un regolamento senza conoscere la realtà e i problemi dei migranti. Grazie ai migranti lo Stato italiano incassa 13 miliardi di euro ». Un gettito spesso senza contropartita, nota il premio Nobel. «Pagano qui le tasse, poi magari decidono di cambiare Paese per trovare più possibilità di lavoro e perdono tutto. E lo Stato che fa? Li ripaga accusandoli del reato di immigrazione clandestina, anche quando sono morti per arrivare da noi».
Per Fo sono i cosiddetti centri di accoglienza a rappresentare l’immagine più vivida della criminalizzazione di chi arriva. «Io prenderei i firmatari della legge e li manderei in un centro di accoglienza per vedere come sono costretti a vivere questi uomini, donne e bambini. E ce li lascerei dentro».
Firmano l’appello l’ex leader Cgil e parlamentare europeo, Sergio Cofferati, il presidente di Idv, Antonio Di Pietro.
Fanno arrivare la loro adesione i premi Strega Paolo Giordano, Melania Mazzucco e Margaret Mazzantini.
E i registi Paolo Sorrentino, Roberto Andò — «Eliminando questa legge si ripristina anche in Italia il senso di una civiltà vera: accogliere il fratello. Abolirla lo considero un atto riparatorio » — e Cristina Comencini: «Una legge che induce a denunciare invece che ad accogliere in modo dignitoso chi fugge dalla guerra e dalla disperazione non è degna del nostro Paese». L’attore e regista Alessandro Gassman, impegnato con Amnesty definisce la Bossi-Fini «una vergogna». «È tempo — aggiunge — che si approvi lo ius soli: a prescindere dalla nazionalità, chiunque nasca nel
nostro Paese e paga le tasse deve avere la nazionalità italiana. Anche se oggi come oggi, visto quello che succede, avere la nazionalità italiana non è un bel regalo. Tra un po’ ce la tireranno dietro».



La legge di Antigone e le colpe dell’Europa
la Repubblica, 09-10-2013
Barbara Spinelli
INUTILE parlare di Europa madrepatria della democrazia, e proclamare nella sua Carta dei diritti che siamo «consapevoli del suo patrimonio spirituale e morale», dei suoi «valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà », quando tutto in noi pare spento: tutti i miti che fanno la nostra civiltà, assieme ai tabù che la sorreggono. E tra i primi forse il mito di Antigone, senza il quale non saremmo chi siamo. Oppure la solenne legge del mare, che obbliga a salvare il naufrago, quasi non esistesse peggiore sciagura delle acque che si chiudono mute sull’uomo. Il mare è senza generosità, scrive Conrad: inalterabile, impersona l’«irresponsabile coscienza del potere».
Sono uniti, i due miti, dalla convinzione che fu già di Sofocle: la norma superiore cui Antigone ubbidisce – fissata da dèi arcaici, precedenti gli abitanti dell’Olimpo – il re di Tebe non può violarla, accampando la convenienza politica e le proprie transeunti idee di stabilità. È norma insopprimibile, e Creonte che antepone il diritto del sovrano, ilnomos despòtes, paga un alto prezzo. Così la legge del mare.
Quando sfoggia vergogna, l’Europa suol cantilenare, come dopo Auschwitz, una sua frase inane ma contrita: «Mai più!» Inane perché contempla il passato, non il presente. Ma almeno è contrita. Oggi nemmeno questo: il «mai più» neanche è pronunciato, la violazione è attribuita a cieca fatalità e si esibisce impudica. Un ministro – si chiama Angelino Alfano, già ignorò il diritto d’asilo nell’affare kazako – sta sul bordo del mare e dice che i 232 morti sottratti alle acque di Lampedusa non saranno gli ultimi: «Non c’è ragione per pensare e per sperare che sarà l’ultima volta».
Colpisce il divieto di pensare, più ancora di quello di sperare. Neanche pensare possiamo, che l’Europa sia qualcosa di diverso da un fortilizio militarizzato. Che stiamo lì per difendere non solo un muro di cinta, ma gli esseri umani che disarmati provano a valicarlo. Per il ministro, ben altra è la questione amletica: dobbiamo sapere «se l’Europa intenda difendere la frontiera tracciata dal trattato di Schengen. Uno Stato che non protegge la sua frontiera semplicemente non è. L’Europa deve scegliere se essere o non essere».
Quattro considerazioni, a questo punto.
Primo: l’Europa è sì davanti a un bivio esistenziale, ma non quello che con porte bronzee nega l’idea stessa del bivio. Deve decidere se vuol essere all’altezza delle norme che professa, e che da tempi immemorabili le prescrivono di accogliere i fuggitivi, i supplicanti, oltre che di tutelare i confini da assalti stranieri. Né l’emigrazione economica clandestina né la fuga da guerre o dittature (spesso sono la stessa cosa) sono equiparabili a attacchi esterni. Vengono equiparati invece, e per questo è lecito parlare di guerra nel Mediterraneo. Il fuoriuscito stipato con i suoi nei barconi è trasformato in nemico. In homo sacer, come scrive Giorgio Agamben: vita nuda, soggetto non legale, bandito pur appartenendo agli Dèi: uccidibile. Entra in Europa e «vive in orbita», dice la lingua burocratica. La legge antichissima si spense, quando nel 2004 l’Unione creò Frontex (Agenzia che gestisce le frontiere esterne). Frontex coordina le misure di polizia, pattuglia coste, garantisce il rimpatrio dei clandestini. La protezione dei diritti umani è un obiettivo residuale, un ornamento.
Seconda considerazione: l’Europa ha sue responsabilità, ma l’Italia non ne ha di minori. Il reato di clandestinità, introdotto nel 2009 dal governo Berlusconi, definisce un crimine in sé l’esodo senza permessi anticipati. Di qui la parentela con la guerra: come se il clandestino fosse un combattente irregolare e specialmente insidioso, perché non combatte a viso scoperto, indossando l’uniforme, ma conduce una sorta di guerriglia che si confonde e confonde. Ecco la legge di Tebe che si sovrappone alla norma di Antigone. La sicurezza e la stabilità– quest’ultima è addirittura eretta da Enrico Letta a «valore assoluto » , nuovo non negoziabile articolo di fede – esigono sacrifici e morte. Il migrante, bollato, è un pericolo sociale. La Corte Costituzionale s’oppose (sentenza n. 78/2007), escludendo che lo stato d’irregolarità siasintomo presuntivo di pericolosità sociale; ma il reato appena ritoccato (scompare la pena detentiva) resta. Fin dal 2002 la legge Bossi-Fini preparò il terreno: ingiungendo il respingimento immediato del migrante (poco importa se restituito o no alle dittature cui scampava) e rendendo impraticabili le procedure di concessione di asilo.
Di qui il pervertirsi della norma instaurata prima ancora che Cristo nascesse –Soccorrereè un dovere, non soccorrere è un reato — iscritta nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati come nella Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione (art. 18). Non soccorrere è peccato di omissione, e più precisamente crimine di indifferenza. Che senso ha dire «mai più», se non vediamo che il delitto di clandestinità per forza incentiva l’omissione di soccorso. Chi aiuta il naufrago incorrerà in processi e pene per favoreggiamento del reato, e preferirà voltare lo sguardo altrove. È già successo. Nei paesi occupati dai nazisti, in Polonia ad esempio, chi tendeva la mano all’ebreo rischiava la morte.
Terza considerazione: parole come vergogna andrebbero abolite, nel lessico della politica. Nascono dall’emozione, dalla scossa introspettiva, non necessariamente osano l’aperto, l’agorà dove si disfano e si correggono le leggi positive. Dette dal Santo Padre hanno un senso, ma in politica conta l’azione, non l’emozionarsi e il compatire. Lo Stato sociale e la politica di asilo sono nati per sostituirsi alla carità, che è grandiosa e non si vanta e non si gonfia, ma è affidata al singolo o alla Chiesa.
Infine la quarta considerazione: le guerre da cui evadono i “migranti” il più delle volte ci vedono protagonisti. Le abbiamo attizzate noi, pretendendo di portare ordine e creando invece caos e Stati disfatti: in Africa orientale, Afghanistan, Iraq, Somalia e Eritrea, Siria. I confini siriani che scatenano conflitti, fu l’Europa coloniale a disegnarli. Gli esodi hanno a che vedere con noi.
Qualche tempo fa, in una trasmissione della radio tedesca (Südwestrundfunk, 26 giugno 2008, il titolo era:Guerra nel Mediterraneo), venne intervistato un alto dirigente della Guardia di Finanza italiana, Saverio Manozzi, arruolato nell’agenzia Frontex. Difficile dimenticare quello che ammise. Più che salvare, i guardiani delle mura erano chiamati alla caccia, alle retate: «Ho avuto a che fare con ordini secondo cui il respingimento consisteva nel salire a bordo dei barconi o delle navi, e nel portar via i viveri e il carburante affinché i transfughi non potessero continuare il viaggio, e facessero marcia indietro».
Salvataggi e aiuti sono considerati un azzardo morale,perché fomentano sempre nuovi immigrati. Meglio dissuaderli con l’arma ultima: quasi 20.0000 affogati nel Mediterraneo, dal 1988. Si muore anche appesi ai fili spinati di Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole sulle coste del Marocco. O nelle acque del fiume Evros, ai confini fra Turchia e Grecia. In Francia, respinti sono i Rom.
Di azzardo moralesi parla molto in questi anni di crisi. È l’assillo dei moderni Creonte. Gli Stati indebitati dell’Unione non vanno troppo aiutati: la solidarietà (welfare compreso) incita i viziosi a rammollirsi, a peccare ancora e ancora. Se assicuri la casa dal fuoco, non baderai più ai fiammiferi che accendi: ti rilasserai. La logica della polizza assicurativa si fonda sul sospetto, non sulla promessa e il dover- essere di Antigone. Se cadi disteso per terra o nel fondo marino qualche colpa ce l’avrai. Come dice Kafka: stramazzando susciterai ribrezzo, paura, perché dal tuo corpo emanerà il «puzzo della verità ».



Lampedusa - Aprite quella porta
Confini - Rubrica a cura di Paolo Cuttitta, Vrije Universiteit di Amsterdam
Melting Pot, 08-10-2013
Paolo Cuttitta
L’ultima tragedia consumatasi nel mare di Lampedusa, con la coda delle due petizioni aperte alla firma (una per candidare Lampedusa al premio Nobel per la pace, l’altra per l’apertura di un corridoio umanitario), fornisce lo spunto per una riflessione sul ruolo della retorica dell’umanitarismo e dei diritti umani nelle politiche migratorie.
Si tratta, in effetti, di un ruolo importante; in primo luogo perché criteri umanitari sono alla base delle distinzioni canoniche tra profughi e migranti economici, tra migrazione forzata e migrazione volontaria. L’umanitarizzazione di una categoria – il riconoscimento del diritto di determinati individui all’asilo – finisce quindi per tradursi nella condanna più netta degli altri, di quelli ai quali i criteri umanitari non si applicano. La linea del confine tra “profughi” e “clandestini”, insomma, è tracciata con la matita umanitaria (una matita, in effetti, e non l’inchiostro, perché i confini di status degli stranieri sono per definizione effimeri, devono potersi cancellare e ridisegnare continuamente). L’esigenza di tutelare i diritti umani dei migranti – individuando chi ha diritto all’asilo, in modo da garantirglielo – può quindi essere utilizzata per giustificare misure più restrittive nei confronti di chi a tale diritto non può aspirare, fino a legittimare la stigmatizzazione dei “clandestini”. È il principio tante volte affermato dai nostri governanti: accoglienza per i meritevoli di protezione, pugno duro per gli irregolari.
L’umanitarismo basato sul rispetto dei diritti fondamentali, però, serve anche a occultare politiche che di umanitario hanno ben poco. Nel periodo 2006-2008, per esempio, la trasformazione di Lampedusa da base per i respingimenti verso la Libia a luogo di accoglienza e smistamento dei migranti verso altre strutture italiane, e la partecipazione di organizzazioni umanitarie alla gestione degli sbarchi, determinano un cambiamento netto: sull’isola i diritti fondamentali dei migranti sono sostanzialmente garantiti. Poiché Lampedusa funge ormai da tempo da palcoscenico principale per lo spettacolo delle politiche migratorie, la situazione umanitariamente accettabile instauratasi sull’isola finisce per assolvere le politiche migratorie nel loro insieme. Ma si tratta di quelle stesse politiche che, dietro le quinte del palcoscenico lampedusano, vedono il governo Prodi porre le basi per violazioni tanto atroci quanto invisibili all’opinione pubblica. Lo stesso governo che umanamente gestisce gli arrivi a Lampedusa garantendovi il rispetto dei diritti umani si profonde infatti in sforzi estremi, rafforzando la cooperazione con i regimi tunisino e libico, per evitare che le persone partano dalle coste nordafricane, lasciando che siano i carcerieri libici a violare i diritti dei migranti. Sarà così più facile impegnarsi a non violare quelli di quei pochi che arrivano a Lampedusa.
Un altro uso strumentale dell’umanitarismo è il riferimento non al rispetto dei diritti umani dei migranti da parte degli attori dei controlli ma alle violazioni dei diritti umani dei migranti commesse da chi i controlli cerca di eluderli. Quante volte abbiamo sentito i nostri governanti puntare l’indice contro le organizzazioni criminali che lucrano sulla pelle dei migranti organizzando i viaggi e poi sequestrando i migranti, sfruttandoli, derubandoli, ricattandoli, e infine mandandoli a morire nelle traversate! Quante volte abbiamo sentito dire che, per evitare tutto ciò, bisognerebbe intensificare la lotta alle migrazioni irregolari, e quindi ai trafficanti! L’umanitarismo, in questo senso, giustifica i controlli non solo perché i controlli sono svolti (almeno apparentemente) nel rispetto dei diritti umani, ma anche perché i controlli prevengono violazioni dei diritti dei migranti da parte di terzi. Da Pisanu ad Amato, da Berlusconi a Maroni, tutti hanno fatto ricorso a questo argomento, dimenticando due particolari. Il primo è che il rapporto tra queste politiche di controllo delle frontiere e il business dei viaggi irregolari non è come quello tra l’uovo e la gallina. Qui è evidente che sono le politiche proibizioniste ad avere creato le condizioni perché si sviluppasse l’offerta di attività irregolari. Il secondo particolare è che i migranti sono spesso ben consapevoli dei rischi che corrono, come testimoniano tante storie individuali di persone che, dopo essere state respinte dall’Europa al di là del Mediterraneo, non esitano a riprovarci (e a volte trovano la morte alla seconda, terza o quarta traversata).
Tutti questi sono esempi di un umanitarismo esplicitamente legato ai diritti umani, che si potrebbe definire “legalistico”. Oltre a questo, però, c’è anche un altro umanitarismo, che si potrebbe definire “extralegalistico”, poiché collocabile al di là della legge. Essendo meno evidente, esso rischia di risultare più ambiguo del primo.
Nel 2004, per esempio, è assegnata al comune di Lampedusa e Linosa la medaglia d’oro della Repubblica al merito civile. Nelle motivazioni per il conferimento dell’onorificenza si legge: “l’amministrazione comunale affrontava ed offriva un lodevole contributo al superamento delle innumerevoli difficoltà legate all’ondata degli sbarchi clandestini di cittadini extracomunitari, impegnando i propri apparati socio-assistenziali e considerevoli risorse economiche. La popolazione tutta dava testimonianza dei più elevati sentimenti di umana solidarietà ed accoglienza verso gli immigrati, riscuotendo l’incondizionata ammirazione e gratitudine del paese”. Qui non si parla di diritti umani. Qui si parla di sentimenti di umanità, di solidarietà: ciò che abitanti e istituzioni di Lampedusa hanno dimostrato in tante occasioni, anche al di là delle innumerevoli operazioni di salvataggio (che più volte hanno coinvolto anche pescatori dell’isola).
Un altro esempio è la “Porta d’Europa”, il monumento realizzato da Mimmo Paladino e installato nel 2008 a Lampedusa per commemorare le migliaia di persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Il simbolo utilizzato – una porta – può apparire beffardo e fuori posto, con il suo richiamo all’idea di apertura e accoglienza, nel luogo in cui tanti non sono mai riusciti ad arrivare o sono arrivati solo da morti, e in cui tanti altri hanno subito violenze e abusi o sono stati imbarcati a forza su aerei che li hanno riportati in Libia o in Tunisia. Il monumento, tuttavia, finisce – al di là delle migliori intenzioni di chi lo ha voluto e realizzato – per rispecchiare il lato umanitaristico di politiche di controllo delle frontiere essenzialmente sicuritarie.
Sia la medaglia, sia il monumento sono simboli di un umanitarismo che prescinde dai diritti umani nel senso che va oltre, al di là di essi. Questo umanitarismo dell’accoglienza che trascende la sfera giuridica rischia, per ciò stesso, di finire per giustificare i controlli tout court, anche prescindendo dal rispetto dei diritti umani. Le manifestazioni di questo umanitarismo non esprimono esplicitamente una critica radicale delle politiche di controllo, un tentativo concreto di cambiare lo stato delle cose. Di questo stato delle cose, di queste politiche, esse sembrano quasi volere riscattare il peso con un gesto simbolico, una penitenza volta a pulire le coscienze, un’Ave Maria recitata in fretta all’uscita del confessionale. È l’esistenza stessa dei controlli, insomma, che finisce per essere giustificata – a prescindere dal rispetto della legge.
Oggi, a Lampedusa, ritroviamo i motivi classici dell’umanitarismo “legalistico”. In primo luogo, i superstiti non sono stati criminalizzati, perché provengono da zone di conflitto: non sono “clandestini” da rispedire indietro quanto prima ma profughi da accogliere nel rispetto dei diritti umani (non dimentichiamo tuttavia che il trattamento riservato ai richiedenti asilo in Italia è ancora ben al di sotto di standard accettabili, e che le violazioni dei loro diritti rappresentano più la regola che l’eccezione). In secondo luogo, il ministro dell’interno Alfano si è affrettato a dichiarare che per impedire il ripetersi di queste tragedie sarà necessario inasprire la lotta ai trafficanti e rafforzare i controlli lungo le coste nordafricane, al fine di prevenire le partenze.
Allo stesso tempo, però, Alfano ha anche sostenuto la candidatura di Lampedusa al premio Nobel per la pace, per la quale il settimanale L’Espresso ha avviato una petizione. Se mai Lampedusa dovesse farcela, il capitale che l’isola – e l’Italia tutta – si troverebbe a disposizione sarebbe, indubbiamente, formidabile. Ma molto, poi, dipenderebbe dalla capacità di sfruttare i soldi e la visibilità, dai modi scelti per farlo da chi ne avesse la responsabilità. Il rischio che anche il Nobel finisca per essere nient’altro che una nuova medaglia al merito, un’ennesima Ave Maria autoassolutoria, sarebbe concreto. La certificazione di bontà e umanità dei lampedusani potrebbe servire a nascondere le pesanti responsabilità imputabili a quelle politiche che non solo aprono spazi ad attività illecite, ma permettono anche l’incriminazione di chi salva vite umane, finendo così per alimentare l’indifferenza di chi va per mare rispetto all’obbligo imperativo di soccorso verso chiunque si trovi in difficoltà. Non dimentichiamo che i morti di Lampedusa sarebbero vivi se un peschereccio non avesse voltato loro le spalle in mare aperto, abbandonandoli al loro destino.
Per questo non basta candidare Lampedusa al Nobel per la pace ma bisogna invece modificare radicalmente le leggi italiane e aprire un corridoio umanitario per consentire ai profughi di giungere in Europa in sicurezza. Queste, sì, sarebbero scelte umanitarie che dichiarano apertamente il loro obiettivo di trasformare lo stato delle cose. Per quanto anche il corridoio umanitario avrebbe poi bisogno di regole, e le regole possono sempre essere buone o cattive, è verosimile che esso possa intanto rappresentare una rottura netta nella retorica umanitaria: un conto è costruire una porta finta, un altro è aprirne una vera.



Lo schiaffo tedesco: «In Italia pochi migranti»
Sui rifugiati la Germania guida il fronte della fermezza con Danimarca e Svezia
Friedrich: «Da voi pochi rifugiati». Alfano: «Dalla Ue presa d’atto»
l'Unità, 09-10-2013
Umberto De Giovannangeli
Al massimo, un potenziamento di Frontex». Ma per quanto riguarda una modifica della Convenzione di Dublino, la risposta è: nein. Il ministro degli Interni tedesco, Hans-Peter Friedrich, ha affermato ieri mattina a Lussemburgo che «non è vero quello che racconta l’Italia, di essere sovraccarica di rifugiati». Friedrich ha parlato al suo arrivo a Lussemburgo, dove nel pomeriggio si è svolta la riunione del Consiglio Affari interni dell’Unione europea, che ha discusso anche delle conseguenze da trarre dalla tragedia di Lampedusa. «È del tutto incomprensibile afferma il ministro tedesco – che il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e altri politici sostengano che la Germania debba accogliere più rifugiati», quando si tratta del Paese «che ne riceve di più in tutta l’Ue: nel 2012 ne abbiamo accolti 80.000 e quest’anno saranno più di 100.000, pari a 946 per milione di abitanti».
ROMA SOTTO ESAME
In Italia, invece, sottolinea Friedrich, il rapporto «è di appena 260 rifugiati per milione, e questo dimostra che quello che racconta l’Italia, di essere sovraccarica di rifugiati, non è vero». Dunque, ha concluso Friedrich, «non c’è alcuna necessità di rivedere il regolamento di Dublino», che fissa il principio secondo cui ogni Stato membro gestisce i rifugiati di Paesi terzi che entrano nel suo territorio, anche quando intendono recarsi in altri Paesi dell’Ue.
Berlino non è da sola a sostenere questa posizione. Perché a Lussemburgo, si è riproposto un «fronte del Nord», formato da quei Paesi che sono considerati dall’«esercito» dei migranti come terminali del loro viaggio della speranza. E così, a Lussemburgo l’Europa, al di là delle dichiarazioni di circostanza e misure di rafforzamento di Frontex (l’Agenzia dell’Ue per il coordinamento delle azioni di controllo delle frontiere esterne) ha riproposto una divisione Nord-Sud che l’immane tragedia di Lampedusa ha forse ammorbidito ma non certo superato. A fianco del collega tedesco, si schierano apertamente il ministro degli affari interni svedese Tobias Billstrom e quello danese Morten Bodskov: il regolamento di Dublino non si tocca. In sostanza, spetta al Paese europeo in cui arrivano i profughi valutare le domande di richiesta di asilo. «L’Ue ha tutti gli strumenti necessari per far fronte» alla situazione, rimarca Bodskov, mentre Billstrom rincara la dose: «Tutti gli Stati membri dovrebbero fare bene come la Svezia e la Germania» in materia di asilo. L’austriaca Johanna Mikl-Leitnen, ricordando il peso che sopporta il suo Paese, al sesto posto nella Ue quanto a rifugiati (mentre l’Italia è settima), chiede una «ripartizione più giusta». A luglio, durante la discussione del regolamento di Dublino, su 28 Stati membri, 24 si erano opposti alla revisione.
Al termine del vertice di Lussemburgo, Angelino Alfano veste i panni dell’«equilibrista»: il governo italiano ha incassato la «presa d’atto del dramma» degli sbarchi di migranti nel sud «da parte dei Paesi del Nord», rileva il ministro dell’Interno. Come incasso, una «presa d’atto» non sembra poi gran cosa.
ALFANO «INCASSA»
«Solitamente quando affrontavo la questione dell'immigrazione in questi vertici c'era un'alleanza fra i paesi del sud, Francia, Spagna e Grecia, e mai un riscontro solidale da parte dei Paesi del Nord. Oggi invece argomenta il vice premier alle nostre proposte abbiamo visto affluire un riscontro positivo anche da parte della Germania e degli altri Paesi del Nord, questo per noi è un dato molto molto importante». Sollecitato a dire qualcosa di più concreto, Alfano riepiloga: «L’Italia ha ottenuto che Frontex cambi registro, che sia più efficace nella sorveglianza della frontiera marittima» ma «soprattutto ha ottenuto il dato di consapevolezza comune che la questione di Lampedusa, della frontiera del Mediterraneo, è una questione europea e non può gravare solo sull'Italia». Inoltre, «l’Operazione Frontex in tutto il Mediterraneo, proposta del commissario Ue Cecilia Malmström, è un bel segnale, concreto e importante», aggiunge il ministro dell’Interno. Ciò che il soddisfatto vice premier non può negare, sono le puntualizzazioni pubbliche di Germania, Svezia, Danimarca, Austria (e quelle avanzate al tavolo da altri Paesi del Nord Europa), riguardo all’intangibilità della Convenzione di Dublino. Su questo, l’Italia non passa. E, anzi, resta sotto



Ecco Pape, Priya e Stephen i ragazzi che ce l’hanno fatta
Dallo sbarco a una nuova vita: è la parabola di molti immigrati che non si arrendono
la Repubblica, 09-10-2013
VLADIMIRO POLCHI
Pape Alassane, Priya Mary, Stephen, Tamas Laszlo. Sono tanti gli eroi dell’immigrazione. Un caleidoscopio di facce e storie che parlano di sbarchi, centri d’accoglienza, precariato e poi l’approdo: un posto di lavoro, un titolo di studio, una nuova vita. Sì, perché spesso chi lascia la casa e rischia la vita in un lungo viaggio è la “meglio gioventù” del Paese d’origine. È la stessa parabola di Cécile Kyenge, prima ministra “nera” della Repubblica, a raccontare molto della nuova Italia multietnica: la sua storia parte da Kambove, nella provincia congolese del Katanga, passa per un periodo da precaria, un impiego da badante, la professione di medico oculista e arriva a Roma in Largo Chigi 19, sede del ministero dell’Integrazione. Ma molti altri, come lei, possono dire: «Ce l’ho fatta». Priya Mary Angshalah Gnanaseeelan, per esempio. Priya è una bella ragazza di origine tamil e detiene un record: è stata la prima donna laureata della sua comunità in Sicilia. Il suo sogno si è realizzato il 10 novembre del 2011: una laurea a Palermo, 110 e lode, in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia. Una titolo che vale doppio, visto che Priya ha sempre lavorato durante gli studi. Oggi vive a Londra, si è sposata, ha un bambino e continua a studiare. Ha scelto il ramo medico, dice, per aiutare i suoi connazionali. Priya deve ringraziare qualcuno: i suoi due fratelli che vivono in Germania: «I miei genitori hanno problemi di salute e non lavorano. Se non ci fossero stati i miei fratelli, non avrei potuto mantenermi. Questa laurea è stata sentita da tutta la comunità: il giorno della proclamazione erano tanti, parenti e amici, intorno a me». Ci sono poi gli “invisibili”, quelli arrivati da irregolari e poi usciti alla luce del sole. Pape Alassane Fall è uno di loro. Classe 1975, si è lasciato alle spalle il Senegal ed è arrivato in Italia nel maggio del ’99, senza visto, né permesso. Per tre anni è stato irregolare: «Lavoravo come ambulante in Sardegna. Vendevo calzini e occhiali». Poi l’incontro: Pape Alassane si innamora di una ragazza sarda e la sposa. Con le nozze arrivano anche i documenti e una vita da regolare. «In Sardegna però non c’era lavoro – ricorda – e per questo sono venuto in Veneto, dove viveva mio fratello minore. Qui mi sono messo a lavorare in una fabbrica che costruiva passerelle per yacht. Ma i turni erano pesanti e il mio sogno restava quello di usare la mia laurea in informatica». Così Pape mette da parte qualche soldo, si licenzia e, nel 2007, apre la sua agenzia. Oggi lavora come grafico, ha molti clienti, vive a Mirano in provincia di Venezia e ha due bambine. «Ho avuto qualche difficoltà all’inizio – ammette – perché un senegalese che parla di tecnologia suona strano alle orecchie degli italiani. Poi le cose sono andate meglio». Sarà anche perché oggi a sentirlo parlare, Pape sembra più un veneto, che un africano. Stephen invece è stato addirittura un bambino-soldato. A sei anni le forze governative liberiane hanno ucciso i suoi genitori. Da allora viene addestrato a impugnare le armi e a diventare un guerriero. Uccide, violenta, ruba. Nel 2009, quando in Liberia cambia il regime, riesce a fuggire: un lungo viaggio a piedi attraverso il deserto che lo porta fino in Libia. Qui si imbarca per Lampedusa. Peccato che la sua richiesta d’asilo venga bocciata dalle autorità italiane. Per Stephen non rimane che la clandestinità. Poi finalmente approda all’ambulatorio per migranti del policlinico di Palermo. Stephen ha un grave disagio psicologico, non dorme e ha flashback continui delle violenze vissute. Dopo una lunga terapia e con l’aiuto del teatro Stephen si libera del passato. A 19 anni è il protagonista di uno spettacolo in giro per i teatri di mezza Italia: lavora per la compagnia “Exstranieri” del regista palermitano Giuseppe La Licata. Si guadagna da vivere e ha ottenuto il permesso di soggiorno. Non mancano poi rovesciamenti degli stereotipi: perché se gli stranieri tolgono lavoro, talvolta lo danno anche. Stando a una ricerca Cnel del novembre 2011, la media è alta: un assunto italiano ogni due imprese di immigrati attive. Un esempio? Tamas- Laszlo Simon, ungherese, nato a Marosvasarhely 45 anni fa, è arrivato in Italia rischiando la vita: ha attraversato a nuoto il Danubio al confine con la ex Yugoslavia nel 1985. Con l’idea di fare qualcosa di buono per il mondo dove vivranno le sue due figlie, nel 2008 fonda a Roma “Eadessopedala”: il corriere in bici ecologico. La scintilla gli è scattata quando ha letto la storia di due fratelli di Budapest, che avevano avviato un servizio di pony express in bici. E così ha pensato di poter ripetere il “miracolo” anche nella città eterna. Oggi Tamas- Laszlo ha vinto il “Money-Gram Award 2013” nella categoria innovazione, impiega 12 persone, tutte italiane (spesso laureate) e per il 2013 stima un giro di affari di circa 100mila euro. Il suo scopo? Ambizioso: fare circolare 50.000 automobili in meno quotidianamente sulle strade di Roma.



Alidad e altri orfani Non abbandoniamoli
Corriere della sera, 09-10-2013
Gian Antonio Stella
"Dio mio, che notte! Non ve la posso in verità descrivere. Niuno di noi certo (ed eravamo in  molti) poté chiuder occhio; il cuore ci scoppiava in petto dallo strazio che provammo al pensare ai nostri cari scomparsi nel naufragio in modo cosi brutale. "Mia moglie, i miei figli" gridavo io dal mio giaciglio giungendo le mani al cielo; ed al mio rispondevano le grida dei compagni che ancor essi nulla sapevano sulla sorte di persone care!»
Il racconto di Felice Serafini dopo il tragico naufragio del Sirio nel 1906 ricorda quasi parola per parola certi resoconti di questi giorni a Lampedusa. Si salvarono lui e due figlioletti, Gino e Ottavio. Tutti gli altri, Umberto, Isidoro, Silvio, Ottavia, Silvia e Lucia morirono insieme ad Amalia, la mamma, incinta della nona creatura. Furono moltissimi, i bambini dei nostri nonni morti nei tanti naufragi della nostra storia di emigranti. Molti morirono da soli, perché da soli erano partiti. Forse anche sulla nave colata a picco all'isola dei Conigli, c'erano dei bambini soli che cercavano di raggiungere padri o fratelli in giro per l'Europa. Bambini dalle storie terribili probabilmente, come quella di Alidad Rahimi.
Era afgano, Alidad. Suo papà era stato assassinato dai talebani e a 9 anni il piccolo era stato costretto a scappare con la mamma e i fratellini in Iran. Da li, dopo avere lavorato due anni per mettere via dei soldi, aveva impiegato mesi e mesi per arrivare, nascosto sotto un camion, al porto di Ancona. Dove nonostante fosse solo un bambino l'avevano respinto senza manco chiedergli neppure da dove veniva per controllare se godesse, come godeva, del diritto di asilo politico.
Aveva tutto, quel bambino, per toccare le corde di ogni persona che non avesse il cuore di sasso. Era poço più grande di Remi, Remigio, il trovatello protagonista di «Senza famiglia» di Hector Malot. Era più piccolo di Marco, il bambino che in «Dagli Appennini alle Ande», parte da Genova alla fine dell'Ottocento per trovare la mamma malata a Buenos Aires.
Non bastasse, Alidad era come dicevamo orfano per colpa dei talebani. Un dettaglio che avrebbe dovuto muovere a pietà perfino i razzisti: come non provare solidarietà per chi aveva avuto il papà assassinato dai fanatici dell'islamismo medievale? Invece arrivò a Corriere una lettera orrenda: «Egregio giornalista, ho letto la sua lacrimevole storiella...»
Ecco, per uomini dal cuore arrugginito come quello e per quelli che invece vogliono capire, è in uscita un libro davvero bello. Si intitola Minori stranieri non accompagnati, lo hanno curato Giancarlo Rigon e Giovanni Mengoli e racconta le storie di alcuni dei ragazzi (spesso ragazzini) che dopo aver vissuto avventure tremende sono riusciti faticosamente a farsi accettare dal nostro Paese. E da una delle comunità sparse sul territorio dove uomini e donne di buona volontà cercano di rimarginare in quei ragazzini vecchie ferite, aprire dialoghi mai tentati, cercare insieme percorsi d'inserimento, di lavo- ro, di vita. Non sono sempre storie di successo. Anzi, sono anche storie di sconfitte. Ma possiamo abbandonare quei figli a un destino segnato?



Lampedusa, i profughi rifiutano di farsi prendere le impronte digitali
La protesta di alcuni siriani e eritrei, compresi superstiti del 3 ottobre. Il regolamento di Dublino sui rifugiati li obbliga a identificarsi nel paese di arrivo, “ma noi in Italia non vogliamo restare”, dicono. La Croce Rossa: ne hanno il diritto
Redattore Sociale, 08-10-2013
LAMPEDUSA - Due mani disegnate col pennarello e sbarrate da una croce. Sopra, le scritte: una piccola in arabo, una più grande in un italiano appena sgrammaticato: “No inpronte”. Alì, 23 anni, studente di Economia di Damasco, regge un cartello che gli copre anche il viso. Mnieer, ingegnere 30enne, tiene in mano un foglio di quaderno, con la stessa scritta. Sono sbarcati a Lampedusa nei giorni scorsi fuggendo dalla Siria in guerra, e sognano di rifarsi una vita nel Nord Europa: Germania, Svezia o Norvegia. “In Italia non vogliamo restare”, spiega in inglese Alì: “C'è pochissimo lavoro, non ti danno aiuti, non ti danno la casa: non possiamo rimanere qui, senza prospettive”.
Il regolamento di Dublino, che disciplina l'accoglienza dei rifugiati sul territorio dell'Unione Europea, impone che la domanda venga esaminata dal primo paese nel quale i migranti vengono registrati. Così, per evitare di rimanere “incastrati” in Italia, Alì, Mnieer, e insieme a loro molti altri, non accettano di lasciare le proprie impronte digitali. Il “boicottaggio” coinvolge anche giovani eritrei, inclusi alcuni dei sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre. Poco più di due mesi fa, il 21 luglio, decine di eritrei alloggiati nel Centro di accoglienza di Lampedusa avevano manifestato sfilando nel centro del paese per rivendicare la possibilità di non lasciare le impronte.
Sherouan, 27 anni, curdo siriano, afferma di essere stato spintonato quando ha rifiutato di lasciare le impronte. Mariam, di Damasco, riferisce i racconti di una parente dal Centro di accoglienza di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dove sono alloggiati molti dei siriani sbarcati nel corso dell'estate sulle coste della Sicilia orientale: “Lì a chi non lascia le impronte requisiscono il cellulare”, asserisce Mariam.
“Non farsi identificare con le impronte è un diritto di cui i migranti possono avvalersi”, conferma la dottoressa Alessandra Diodati, che assieme ad altri operatori della Croce rossa lavora nel Centro di accoglienza. “Chi riesce a dimostrare di avere solidi legami familiari – aggiunge – può comunque ottenere di essere accolto in un altro paese europeo, ma si tratta di una procedura lunga. E in questo modo, nazioni come la Svezia di fatto scelgono quali persone accogliere e quali no”.
In Italia, chi presenta domanda di protezione umanitaria ha diritto di essere ospitato nei cosiddetti Cara, centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Ma in attesa di vedere esaminata la propria richiesta trascorrono mesi di incertezza e di ozio, senza poter lavorare e in condizioni non sempre adeguate.
Intanto, al Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa, il sovraffollamento è preoccupante. Molti, incluse famiglie con bambini, dormono su materassi all'aperto, sotto gli alberi, nonostante le piogge che nelle ultime notti hanno sferzato l'isola. “Qui le persone dovrebbero restare al massimo due o tre giorni e poi essere trasferite altrove”, afferma Tommaso Della Longa, portavoce della Croce rossa: “Non è possibile che una struttura con una capienza di 250 persone continui a sfiorare e a volte superare il migliaio di presenze”.
Le condizioni igieniche sono pessime, e qualcuno ironizza sul cibo (“Everyday maccaroni”, protesta sorridendo Khaled). Ma per i giovani scampati al naufragio l'importante è essere ancora vivi: “Va tutto bene, c'è da mangiare, c'è il letto”, dice Michael, seduto su un gradino in via Roma. È facile uscire dal centro, attraverso i tanti buchi nella recinzione, e molti ne approfittano per una passeggiata. Un eritreo di 24 anni, di Asmara, passa i pomeriggi sotto la statua della Madonna che affaccia sul porto, mentre prosegue il recupero dei corpi delle vittime del naufragio. Anche lui rifiuta di lasciare le impronte, il suo sogno è il Canada: “Non importa se è lontano – sorride: –dopo quello che ho passato, per me non c'è più niente di impossibile”. (Giulia Bondi)



Immigrati, per loro affitti più alti E Straniero fa rima con Diseguale
È quanto rivela l'analisi contenuta nel libro Stranieri e disuguali: le disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli immigrati curato da Chiara Saraceno, Nicola Sartor e Giuseppe Sciortino. Le discriminazioni più sistematiche tra la popolazione straniera e quella italiana nel reddito da lavoro, l'esposizione al rischio di povertà, la formazione scolastica, la prevenzione nella salute e le condizioni abitative
la Repubblica, 09-10-2013
MAURIZIO BONGIOANNI
ROMA - Se da una parte aumenta il numero delle famiglie straniere proprietarie di abitazioni in Italia, dall'altra aumenta la loro discriminazione sul mercato delle case. È quanto rivela l'analisi condotta da Claudio Daminato e Novena Kulic e contenuta nel libro Stranieri e disuguali: le disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli immigrati (Il Mulino, pagine 408, 25 euro) curato da Chiara Saraceno, Nicola Sartor e Giuseppe Sciortino.
Il libro affronta le disuguaglianze più pervasive e sistematiche tra la popolazione straniera e quella italiana in tutti i settori: il reddito da lavoro e la collocazione nel mercato del lavoro, l'esposizione al rischio di povertà, la formazione scolastica, la prevenzione nella salute e le condizioni abitative.
Nel 2001 uno su 10 condivideva la casa. Proprio l'insediamento abitativo è sicuramente uno degli aspetti più fondamentali del processo di stabilizzazione della popolazione straniera in Italia. Secondo la prima indagine, condotta nel 2001 dalla Fondazione Ismu, un terzo degli immigrati viveva presso il proprio datore di lavoro o in appartamenti condivisi con altri immigrati o parenti. Quasi un intervistato su dieci dormiva in strutture di accoglienza, case occupate abusivamente, baracche, alloggi temporanei o altre sistemazioni precarie. Attraverso la stessa indagine ripetuta dieci anni dopo, risulta che oltre un quinto degli intervistati abita in una casa di proprietà, più della metà vive in affitto che principalmente divide solo con i propri familiari. Le persone in condizione di marginalità abitativa si è praticamente dimezzata.
Il 71% possiede una casa di proprietà. Ciò significa che, nel giro di un decennio la popolazione straniera è diventata un segmento stabile del mercato delle abitazioni con effetti rilevanti sulle compravendite di case e alloggi. Ma a questa imposizione sul mercato non coincide un'offerta qualitativamente accettabile come invece viene riservata alle famiglie italiane. Sicuramente, rispetto a quest'ultime, le famiglie straniere vivono più spesso in alloggi presi in affitto ma in case maggiormente affollate, di qualità inferiore sia dal punto di vista della qualità dell'abitazione stessa sia come posizione all'interno della città e pagando spese abitative maggiori. La ricerca evidenzia come il 71% delle famiglie italiane viva già in case di proprietà della famiglia, mentre accade solo nel 23% dei casi quando la famiglia è straniera. Un dato che risulta più marcato nella fascia d'età superiore ai 35 anni, dove le differenze tra immigrati e italiani in questo campo è massima. In più, tra le famiglie straniere, la proprietà della casa non è distribuita omogeneamente sul territorio: la proprietà prevale nel nord-est e nel nord-ovest dell'Italia, due zone che da sole rappresentano il 60% delle case di proprietà degli stranieri.
Vivono peggio e spendono di più. La ricerca nota che più passa il tempo trascorso in Italia e più aumenta la possibilità per la famiglia straniera di acquistare una casa ma non cambiano comunque le condizioni abitative. Gli autori affermano che il disagio delle famiglie straniere in Italia non può essere considerato esclusivamente come effetto delle disuguaglianze di reddito e ricchezza, perché a parità di situazione economica e di profilo demografico, generalmente, le famiglie straniere in Italia vivono in condizioni abitative peggiori, spendendo di più. Ne risulta che una qualche forma di discriminazione in Italia, sul mercato della casa, verso le famiglie straniere c'è. E bisogna prenderne atto.



Un appello per chiedere ai presidenti delle Regioni di abrogare le leggi regionali che istituzionalizzano i campi rom.
Iniziativa dell’Associazione 21 Luglio per combattere lo stereotipo rom=nomade.
Immigrazioneoggi, 09-10-2013
Un appello per chiedere ai presidenti delle Regioni di abrogare le leggi regionali che istituzionalizzano i campi rom e promuovere politiche a favore dell’inclusione sociale delle comunità.
A lanciarlo è l’associazione 21 Luglio attraverso la campagna “Stop all’apartheid dei Rom” che prende avvio oggi, con l’obiettivo di dire basta a ogni forma di discriminazione nei confronti dei rom e sinti che vivono nel nostro Paese.
Scrive l’associazione: “La politica dei ‘campi nomadi’, che da anni caratterizza l’atteggiamento delle istituzioni italiane nei confronti di rom e sinti, si basa sull’assunto infondato per cui queste comunità sarebbero nomadi e ha alimentato, nel tempo, la loro ghettizzazione e segregazione. Per questo, è opportuno abrogare le leggi regionali che istituzionalizzano i ‘campi nomadi’ e promuovere politiche in favore dell’inclusione sociale di tali comunità.”
Nell’ambito della campagna, l’Associazione presenta il rapporto Questione rom: Dal silenzio dello Stato alle risposta di Regioni e Province in cui vengono analizzate nei dettagli le leggi regionali che hanno portato alla creazione dei “campi nomadi”, e lancia l’appello nazionale con raccolta firme “Inclusione per le comunità rom e sinte in Italia” per chiedere ai Presidenti delle Regioni Lazio, Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Umbria l’immediata abrogazione delle rispettive leggi regionali.
L’associazione sottolinea che dei circa 170mila rom e sinti che vivono in Italia, 40mila vivono all’interno dei cosiddetti campi nomadi. “La politica dei campi, nel nostro Paese, ha preso avvio nel 1984 quando nove Regioni italiane e la provincia autonoma di Trento hanno approvato leggi ad hoc per la “tutela delle popolazioni nomadi”, ispirate all’idea di tutelare il diritto al nomadismo delle comunità rom e sinte – aggiunge la 21 Luglio –. Queste leggi, in nome della presunta ‘tutela delle popolazioni nomadi’, prevedono la creazione di insediamenti per comunità erroneamente ritenute ‘nomadi’, ovvero incapaci e non desiderose di adattarsi ad una vita in una abitazione convenzionale”.
“Negli anni le leggi regionali, assieme allo stereotipo mai superato nell’immaginario collettivo di ‘rom=nomade’ – conclude l’associazione – hanno di fatto legittimato e sostenuto politiche incentrate sulla costruzione di insediamenti riservati ai soli rom, in spazi isolati, recintati, distanti dalla città e lontani dai diritti, favorendo così la ghettizzazione, la stigmatizzazione e la segregazione delle comunità rom e sinte in Italia. Si è in tal modo istituzionalizzata una sospensione dei diritti umani di rom e sinti attraverso norme progettate specificamente solo per loro”.



Londra fa marcia indietro: più rimpatri e meno aiuti
Linea dura del governo inglese, che col nuovo ddl rispedirà a casa gli immigrati con fedina penale sporca e limiterà l'accesso agli alloggi e al sistema sanitario
il Giornale, 09-10-2013
Andrea Cuomo
Roma - Mentre Roma medita di cancellare l'«inumana» legge Bossi-Fini, Londra percorre la strada contraria, rendendo più alti i muri contro l'invasione degli immigrati. A giorni nel Regno Unito potrebbe essere approvato il disegno di legge sull'immigrazione che prevede il rimpatrio di tutti coloro che arrivano sull'isola con la fedina penale sporca o che inizino a delinquere una volta in Gran Bretagna, la riduzione da 17 a 4 dei motivi per i quali può essere concesso il diritto di asilo e la creazione di un ufficio immigrazione in ogni commissariato di polizia.
Il provvedimento fa parte delle misure con cui il governo di David Cameron intende raggiungere l'obiettivo più volte annunciato di ridurre l'immigrazione a 100mila persone l'anno. Questo disegno di legge in particolare ha origine dalla frustrazione da parte dello Stato e della comunità per l'alto tasso di criminalità degli immigrati (che commettono circa un terzo dei reati) e per i tempi lunghi a cui sono inesorabilmente destinati i successivi processi a causa di appelli e ricorsi, soprattutto alla Corte europea dei diritti dell'uomo. La misura, oltre a ridurre la criminalità, avrebbe anche l'effetto di alleviare l'oberato sistema giudiziario e far risparmiare alle casse dello Stato una cifra stimata in 219 milioni di sterline in dieci anni.
Il pacchetto di norme naturalmente sta sollevando aspre polemiche a Londra, ma è sostenuto con forza da Theresa May, ultraconservatrice ministra per gli Affari Interni del governo Cameron. Madrina già di iniziative anti-immigrati che hanno fatto discutere. Come la campagna affidata a maxicartelloni distribuiti in sei distretti londinesi che intimano agli immigrati: «Vai a casa o sarai arrestato», con tanto di conteggio progressivo degli immigrati finiti in manette. Un'idea criticata in realtà più per i modi spicci che per la sostanza. Il tono minaccioso infatti pare abbia sortitio i suoi effetti spingendo più di un immigrato ad autodenunciarsi. E comunque, «non è razzismo chiedere alle persone che si trovano qui illegalmente di lasciare il paese», ha speicificato al Daily Mail il ministro dell'Immigrazione Mark Harper.
Altra iniziativa forte, la proposta di legge per far versare ai cittadini di sette Stati asiatici e africani, quelli ritenuti più a rischio (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Nigeria, Ghana e Kenya) una supercauzione di 3000 sterline (circa 3500 euro) per ottenere il visto con cui entrare nel Regno Unito. Una somma ingente che verrebbe incassata dallo Stato allo scadere del termine di validità del permesso qualora lo straniero non si sia allontanato, senza escludere naturalmente il ricorso all'espulsione. Insomma, ti caccio e mi tengo i tuoi soldi.
Un altro pacchetto di misure allo studio prevede una drastica riduzione degli aiuti agli immigrati, con restrizioni in materia di aiuti sociali, accesso agli alloggi e al sistema sanitario. I sussidi di disoccupazione per gli immigrati Ue potranno essere interrotti dopo sei mesi, mentre gli immigrati provenienti da paesi non-Ue dovranno iscriversi a un'assicurazione sanitaria privata per poter godere anche di quella del sistema sanitario nazionale. Né si rinuncia a un po' di sana antipropaganda: allo studio di Downing Stretet ci sarebbe uno spot che descrive il Regno Unito come una terra poco accogliente e dal clima pessimo per scoraggiare romeni, bulgari e croati che nel 2014, con la caduta delle restrizioni all'accesso al mercato libero del lavoro europeo, potrebbero invadere le contee britanniche come fecero anni fa i polacchi.

 

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