Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 marzo 2015

Piano Onu per trasferire gli immigrati dall`Italia in altri centri in nord Europa
la Repubblica, 12-03-2015
ROMA. L`Unhcr ha messo a punto un piano per attuare una "ricollocazione ordinata" di migliaia di profughi siriani dai Paesi del sud Europa, Italia in testa, a quelli del nord Europa. Lo scrive Il Guardian sottolineando che l`agenzia Onu per i rifugiati sta facendo pressioni sull`Ue affinché dia il suo via libera a questo programma sperimentale che avrebbe la durata di un anno. La proposta è un cambiamento di rotta radicale rispetto all`attuale politica Ue che obbligai rifugiati a chiedere asilo nel Paese di primo ingresso. Intanto oggi il ministro degli Interni Alfano sarà a Bruxelles per partecipare al Consiglio europeo dove si discuterà dell`emergenza immigrazione (per affrontarla si profila un impegno per il rafforzamento di Triton ), oltre che della lotta al terrorismo.



L’Ue va in Africa per frenare i migranti
Saranno create “agenzie” nei Paesi di origine. E l’Onu chiede: li accolga il Nord Europa
La Stampa, 12-03-2015
Marco Zatterin
corrispondente da bruxelles
Lungo la via della Seta che arriva da terre lontane in Europa attraverso la Turchia, poi ancora sulle piste dell’Africa orientale e occidentale. La Commissione Ue vuole fermare i flussi migratori laddove cominciano e si svolgono, sui percorsi battuti dai trafficanti di vite che trasportano disperati verso il continente della Speranza.
È la «dimensione esterna» della politica comune per le migrazioni, da esercitarsi costruendo «competenze locali» che gestiscano i flussi, combattano le gang, aiutino chi è in difficoltà. Ci vorrebbero anzitutto «progetti pilota» per consentire ai partner d’oltremare di attrezzare agenzie sul territorio e far da filtro. Tentando così di risolvere il dramma prima che questo si tuffi del Mediterraneo.
Il senso di urgenza è diffuso, le cifre sono allarmanti. La Libia è una porta aperta e sulle spiagge nordafricane si stanno concentrando sino a un milione di persone pronte a mollare gli ormeggi verso l’Italia, a ogni costo. La Commissione Ue ha promesso per maggio la sua Agenda per l’immigrazione, contenitore di soluzioni «concrete» per rendere più efficace l’asilo, gestir meglio l’immigrazione legale, combattere quella irregolare, rinvigorire la protezione delle frontiere esterne. È un passo che però potrebbe rivelarsi inutile se non si intervenisse alla radice, là dove l’esodo si esplicita. «Dobbiamo trovare vie per migliorare la nostra azione nei Paesi partner», è il messaggio.
Bruxelles accelera  
A Bruxelles non si vuole perdere tempo. Per iniziativa del capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini, lunedì il Consiglio Esteri discuterà per la prima volta il volano esterno del dossier immigrazione. In vista del dibattito, Lady Pesc e il commissario agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, hanno scritto ai ministri invitandoli a ragionare su «una forte azione politica e una risposta operativa». Possibilmente rapida e solidale.
La cooperazione con i Paesi di origine e transito è il primo punto da mettere a fuoco. La lettera vista da «La Stampa» suggerisce di «definire progetti pilota» lungo le vie delle migrazioni, spingendo i Paesi interessati a dotarsi di adeguate strutture per investigare i casi e perseguire i trafficanti. In parallelo, si auspica la creazione di «un sistema di scambio di informazioni sulle migrazioni legali». Bisogna lavorare insieme, dialogare, capirsi. Attrezzare mezzi di intervento e di caccia ai criminali, punire i malfattori, sostenere chi rimane «spiaggiato». Studiare «piani di rientro», approfondire il «resettlement», cioè il trasferimento di rifugiati da un Paese all’altro.  
Il nodo dei fondi  
Dei fondi si occupa il secondo punto della missiva. Qui l’idea centrale è valutare come gli strumenti finanziari esistenti - come i programmi di sviluppo regionale - possano essere orientati per arrestare i clandestini e il traffico di umani. In cooperazione con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, «inizialmente ci si potrebbe focalizzare su Tunisia, Libano, Giordania e Turchia, Paesi che hanno compiuto rilevanti sforzi di accoglienza e assistenza». L’obiettivo è stringere sul coordinamento. Proprio l’Unhcr, secondo l’inglese «Guardian», ha scritto a Mogherini e Avramopoulos di avere «un piano pilota» per trasferire migliaia di profughi siriani dal sud al Nord dell’Europa. In particolare, dall’Italia al resto dell’Ue. Non facile.
L’ipotesi conduce all’ultimo tassello, «la riflessione su come gli strumenti di azione esterna esistenti possano essere usati per tutelare la gestione dell’immigrazione legale». Checché ne dicano Salvini & Co, la domanda di braccia in Europa di qui a metà secolo è ritenuto generalmente importante e necessaria. «Ragioniamo su una partnership della mobilità», suggeriscono i due commissari, sulla formazione pensata insieme con i Paesi della diaspora. Nulla deve rimanere intentato, è il senso. Nel breve Frontex e Triton cercheranno di contenere le perdite (umane), ma Bruxelles avverte che serve di più. E al più presto, se possibile.



Libia, Matteo Renzi a confronto con l'inviato Onu Bernardino Leon sulla strategia. Discussa l'ipotesi di blocco navale
L'Huffington Post, 12-03-2015
Umberto De Giovannangeli

L’Italia e il “Piano B” per la Libia. Quello che Matteo Renzi ha discusso con Vladimir Putin nel suo recente viaggio a Mosca. Un piano che abbina diplomazia e strumento militare. Un “Piano B” , dice all’Huffington Post una fonte bene informata, che poggia su due pilastri: il sostegno, politico e militare, al governo (e al Parlamento) di Tobruk, e l’attuazione di un blocco navale al largo delle coste libiche, al fine di contrastare la “jihad dei barconi” fondata su un patto d’azione, e di intese economiche, fra la filiale libica dello Stato islamico e le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani.
Di questo il presidente del Consiglio ha parlato stamani nel suo incontro a Palazzo Chigi con il Rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia, Bernardino Leon. Il tempo stringe. E l’attuazione del blocco navale si rende sempre più pressante. In Libia è caos armato. L’Europa deve decidere, con i fatti, con chi schierarsi. Il generale Khalifa Haftar, capo delle forze armate libiche fedeli al governo di Tobruk (quello riconosciuto dalla comunità internazionale che si oppone ai “golpisti” di Tripoli), ha lanciato un appello indirizzato al premier italiano: un appello ad personam: “A Renzi - afferma Haftar - chiedo di convincere la comunità internazionale a rimuovere l’embargo sulle armi e di aiutarci a combattere per una Libia libera dagli estremisti”. Il passaggio successivo spiega le motivazioni di questo appello “ad personam”. E sono motivazioni inquietanti “Stiamo combattendo anche per voi e, se dovessimo fallire, il prossimo obiettivo dei terroristi sarebbe l’Italia”.
Haftar ha inoltre respinto l’idea di formare un governo transitorio di “unità nazionale”; per lui equivarrebbe a rendere vano ogni tentativo di mantenere la Libia un paese democratico. Secondo il generale, l’Onu non può imporre a Tobruk di sedere al tavolo delle trattative con dei terroristi, come proposto dai mediatori internazionali. “Siamo un popolo orgoglioso – ha proseguito Haftar – possiamo anche combattere questa guerra a mani nude, ma il Qatar, la Turchia e il Sudan stanno aiutando gli estremisti, con armi e finanziamenti. È importante che si sappia che ci ricorderemo molto bene di chi ci ha sostenuto e di chi ha preferito non farlo. Quando sarà passato questo difficile momento per il nostro Paese, il governo eletto democraticamente deciderà con chi condividere le proprie risorse e la propria ricchezza”.
Ora bisognerà capire quali saranno le reazioni e le reali intenzioni di Renzi, che a più riprese, e all’unisono con i suoi omologhi europei, ha sempre sostenuto che la priorità sta alle decisioni dell’Onu. Ma Haftar conosce bene i risvolti interni e i temi su cui gli italiani sono più sensibili, e per questo annota che “in Italia siete molto preoccupati per il fenomeno dell’immigrazione clandestina; in questo momento non siamo in grado di controllarlo poiché gli estremisti utilizzano il traffico di essere umani per autofinanziarsi. Vorremmo il rispetto e l’irrobustimento dei vecchi accordi ora in disuso, ma serve l’intervento rapido della comunità internazionale a sostegno del governo legittimo di Tobruk”.
Proprio oggi, però, otto Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno bloccato la richiesta del governo di Tobruk di autorizzare l'importazione di decine di aerei da combattimento, carri armati e armi per combattere i gruppi jihadisti. Lo hanno riferito fonti diplomatiche interne al Palazzo di Vetro. La settimana scorsa la Libia aveva formalmente domandato all'organo Onu di revocare l'embargo delle armi. Tra i Paesi che hanno bloccato la richiesta - riportano le medesime fonti - ci sono Stati Uniti e Gran Bretagna. Haftar può contare sul sostegno attivo del presidente-generale egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Ma non basta. L’Italia è chiamata direttamente in causa. Perché agisca, prima che sia troppo tardi. Il mondo deve essere consapevole che “il Mediterraneo è una questione strategica per prossimi 30 anni”: così Renzi si era espresso nel corso della trasmissione “In mezz’ora” di Rai Tre. In quell’occasione, il premier italiano aveva affrontato a tutto campo la questione libica, tra immigrazione e minaccia dell’Isis. L’uomo forte di Tobruk, il generale Haftar, ha preso molto sul serio le parole di Renzi e ora chiede, senza mezzi, termini, che si trasformino in fatti. E un “fatto” è il blocco navale. Perorato dallo stesso Leon.
Al presidente del Consiglio, il diplomatico spagnolo ha ribadito quanto aveva affermato in una intervista rilasciata nei giorni scorsi al Corriere della Sera, nella quale l’inviato di Ban Ki-moon ha chiesto all'Ue di "presidiare in forze il mare davanti alla Libia". Secondo Leon il un blocco navale "in questo momento è l'unica cosa che si possa fare concretamente: ce n'è bisogno", anche se "da solo non risolve il problema". Secondo Leon "non ci sarebbe alcun problema a ottenere il sostegno da parte del Consiglio di Sicurezza. Nel Palazzo di Vetro è diffusa la consapevolezza che l'Italia si trovi a fronteggiare un compito molto pesante". Un tema che Leon aveva anche affrontato nel suo incontro con l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione europea, Federica Mogherini, in un incontro a latere del Consiglio informale dei ministri degli Esteri, tenutosi a Riga lo scorso 7 marzo. "Abbiamo discusso con Leon sulle diverse opzioni che l'Ue sta preparando per sostenere un governo di unità libico", ha spiegato in quel frangente l'ex titolare della Farnesina, "l'Unione è già presente nel Mediterraneo con le navi di Frontex, assieme a quelle della Marina italiana, per salvare coloro che rischiano la vita in mare, ma questo non è legato all'ipotesi di una forza navale Ue al largo della Libia". Fra le opzioni di cui i ministri hanno discusso a Riga, però, c'è anche "una missione civile o militare", come aveva anticipato la stessa Mogherini, per proteggere le infrastrutture ed effettuare il controllo delle frontiere, come prevenzione del traffico di migranti.
Sul piano strettamente operativo, spiega l’analista militare Gianandrea Giani sul Sole 24ore, fregate, corvette e pattugliatori posizionati a tre miglia dalle coste libiche e coordinati da una nave da assalto anfibio tipo San Giorgio sarebbero in grado di controllare in modo capillare l'area costiera intorno a Zawyah, la più vicina a Lampedusa, da dove salpano la gran parte dei barconi di migranti. I sofisticati sistemi di controllo e sorveglianza imbarcati sui mezzi navali italiani consentirebbero di individuarli tempestivamente, fermarli, imbarcare i migranti, soccorrere chi avesse bisogno di cure e reimbarcarli sui mezzi da sbarco. Reparti dei Fucilieri di Marina della brigata San Marco – aggiunge Giani - potrebbero assumere il controllo temporaneo un tratto di spiaggia ove sbarcare i migranti. La sicurezza del tratto di litorale e la deterrenza contro eventuali attacchi di miliziani verrebbero garantite dai cannoni delle navi, dagli elicotteri e dai jet da combattimento decollati dalle portaerei Cavour o Garibaldi o dalle basi dell'aeronautica di Trapani e Pantelleria.
Ma qualunque azione militare deve fare i conti con le dinamiche interne al mondo arabo. Già da alcune settimane, l’Egitto ha chiesto all’Onu di revocare l’embargo delle armi alla Libia in maniera da creare un esercito nazionale che lotti contro i terroristi islamici. La richiesta del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, è sostenuta anche dal ministro degli Esteri libico, Mohamed Dayri. L’Egitto, inoltre, ha avanzato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la proposta un blocco navale sulle armi dirette in Libia che "giungono alle milizie fuori dal controllo delle autorità legittime”. Ma sul versante opposto, il Qatar ha richiamato il suo ambasciatore al Cairo per “consultazioni” dopo gli attacchi egiziani contro le postazioni dell’Isis in Libia. La tensione tra Qatar e Egitto è stata provocata dall’inviato egiziano alla Lega Araba, Tareq Adel, che ha criticato Doha per le sue riserve sui raid aerei e di sostenere i terroristi.
Il “Piano B” è già in fase di sperimentazione. “Esercitazione, ma anche dissuasione”. Così aveva spiegato nei giorni scorsi il nuovo capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, l’arrivo davanti alle coste libiche di navi della Marina Militare italiana. L’esercitazione si chiama “Mare aperto” ed è cominciata il 2 marzo. Ad essere impegnate sono inizialmente tre navi: l’unità anfibia San Giorgio, già impiegata nell’operazione Mare nostrum, dotata di elicotteri e capacità ospedaliera, il cacciatorpediniere Duilio e la fregata Bergamini. «Le attività che le forze armate possono porre in essere – aveva commentato il generale Graziano, a margine della cerimonia del suo insediamento - coprono un ampio spettro e, tra queste, si estrinsecano anche le esercitazioni come Mare Aperto, che indirettamente riveste anche un ruolo di dissuasione in senso generale. Essa - ha aggiunto - rappresenta un evento addestrativo di routine che era stato sospeso per l’impegno delle unità navali italiane nell’operazione Mare Nostrum. Gli uomini e le donne delle forze armate - ha concluso - sono quotidianamente impegnati nel garantire la sicurezza del Paese attraverso la difesa aerea, le operazioni di sicurezza marittima e di controllo dei flussi migratori nonché la difesa del territorio”. Secondo analisti militari sarebbe indispensabile che oltre alle manovre del gruppo navale fosse potenziata l’attività di difesa aerea, già assicurata dai caccia intercettori “Eurofighter 2000” del 37° Stormo della nostra Aeronautica militare, di stanza a Trapani. L’esercitazione è in pieno svolgimento. E all’occorrenza potrebbe trasformarsi in qualcos’altro. In un blocco navale, ad esempio.



La spartizione dell`accoglienza
L'inchiesta sul centro siciliano di immigrati a Mineo è a una svolta. Si indaga sull`ex vice capo di gabinetto di Veltroni a Roma, arrestato per «Mafia capitale». E su quel bando da 100 milioni.
Panorama, 12-03-2015
Antonio Rossitto
Le 403 villette variopinte sbucano all`altezza di Mineo, sulla statale che da Catania porta a Gela. Lo chiamavano il «Residence degli aranci»: era l'alloggio per i marínes di Sigonella. È diventato un Cara, Centro d`accoglienza per richiedenti asilo: ospita 3.500 immigrati sbarcati sulle coste siciliane, dà lavoro a 400 persone e muove centinaia di milioni di euro. Soldi pubblici, ovviamente.
Su questo colosso dell`ospitalità ora indagano la Direzione distrettuale antimafia di Catania e la Procura di Caltagirone. La pericolosa saldatura tra denaro, politica e cooperative è l'oggetto delle inchieste. Che sono a una svolta. Le verifiche, in particolare, ruotano attorno a Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto a Roma nella giunta di Walter Veltroni e membro del Tavolo per l'accoglienza dei rifugiati. Odevaine, arrestato lo scorso dicembre nell`operazione «Mafia capitale», è accusato dai pm romani di aver manipolato flussi migratori e appalti in cambio di soldi.
Ma se a Roma si stringono i patti scellerati, è in Sicilia che gli immigrati diventano business. In particolare al Cara. Odevaine negli ultimi anni avrebbe condizionato la gestione della struttura di Mineo. Gare per circa 200 milioni aggiudicate ai soliti noti, grazie alla benevolenza del «Calatino Terra d`accoglienza», il consorzio di nove Comuni che controlla il Cara. «È un bando blindato: impossibile che se lo aggiudichi qualcun altro» diceva Odevaine nelle intercettazioni. E il 3 marzo 2015 l'Autorità nazionale anticorruzione ha confermato: l`appalto è illegittimo perché confligge «con i principi di concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità».
Al Cara Odevaine arriva come consulente nell'estate 2011. Lo chiama Giuseppe Castiglione, all'epoca presidente della Provincia di Catania, poi presidente del consorzio e oggi sottosegretario alle Politiche agricole (Ncd), che spiega: «Mi venne segnalato. Era un esperto stimato da tutti». Castiglione mantiene la sua carica al Cara fino all'elezione in Parlamento, a giugno 2013. Poi la guida del «Calatino Terra d'accoglienza» passa ad Anna Aloisi, sindaco di Mineo,  anche lei dell`Ncd.
E proprio nel paesino che ospita il centro, il partito di Angelino Alfano alle Europee 2014 segna un risultato strabiliante: 39,2 per cento. Frutto di assunzioni e clientele, attaccano gli avversari. Risultato di una gestione attenta al territorio, obietta Aloisi. Che, appena insediata, rinnova la consulenza a Odevaine, già commissario nel 2012 in una gara vinta dal raggruppamento di imprese Sisifo. Un`associazione che, a Catania, ha sede in un immobile di Giovanni La Via, eurodeputato dell`Ncd, che chiarisce: «Non ne sapevo niente. L'ha affittato un'agenzia». E del resto, ha raccontato Mario Barresi sulla Sicilia, lo stesso Odevaine avrebbe avuto casa nel capoluogo etneo: «Un appartamento moderno e ben arredato, alle spalle di Corso Italia».
L'ex vice capo di gabinetto di Veltroni è il vero deus ex machina: lo testimoniano i documenti che Panorama ha potuto leggere e che adesso sono al vaglio dei magistrati. Il 20 gennaio 2014 un pool di legali, guidati da Andrea Scuderi, invia al consorzio un parere sull'«affidamento dei servizi e delle forniture». Il suggerimento è di indire «gare che comportino un'effettiva competizione». Il 27 gennaio 2014 Odevaine invia però una mail a Scuderi, «su mandato conferitomi dal sindaco di Mineo». Ma perché un consulente fa le veci del presidente del consiglio di amministrazione su un tema così decisivo? Il legame fiduciario emerge più chiaramente nell`assemblea del 14 maggio 2014. Aloisi chiede di individuare «una figura professionale che si occupi di contributi comunitari».
Franco Zappalà, sindaco di Ramacca e membro del cda, si oppone: il compito, spiega, può essere svolto gratis dai dipendenti comunali. Posizione su cui convergono gli altri consiglieri. «Ma il disegno era già chiaro» spiega Zappalà a Panorama. «Bisognava assumere Odevaine per poi nominarlo commissario dell`appalto». Gli eventi successivi confermerebbero la sua tesi. Il 19 giugno 2014 è comunicato che «nessuno presenta titoli adeguati». Serve dunque un bando. A cui partecipa un solo candidato, che fortunatamente ha «i requisiti professionali», dettaglia il verbale del cda. E indovinate chi è il succitato superesperto? Il già consulente Luca Odevaine. Che cinque giorni dopo, il 24 giugno 2014, è nominato commissario di gara.
Il giorno seguente si aprono le buste. Ci sono due proposte: la prima è considerata irricevibile, la seconda è l`offerta della cordata vincente. Quella che già gestisce il Centro: il rinominato «Consorzio di cooperative sociali casa della solidarietà». Il bando triennale è aggiudicato a 97 milioni e 893 mila euro: rispetto alla base d'asta di 100 milioni, il ribasso è appena dell'1 per cento. È il 30 luglio 2014. Quattro mesi dopo Odevaine viene arrestato, romanzesco protagonista della «terra di mezzo» emersa dall`inchiesta romana. Quella in cui affari, criminalità e politica si mescolano fino a diventare un`unica malta.



Immigrati imprenditori sono oltre 600 mila e non conoscono crisi
La Fondazione Moressa fotografa un settore in crescita Nell'ultimo anno aumento del 3,8%. Lombardia prima
la Repubblica, 12-03-2015
VLADIMIRO POLCHI
ROMA. Vive in Lombardia, fa soldi con il commercio e le costruzioni, viene dal Marocco o dalla Cina. Eccolo l`identikit dell'immigrato che fa impresa. Sì, perché tra i 5 milioni di "nuovi italiani" cresce un esercito di imprenditori: ben 630mila, il 21,3% in più negli ultimi cinque anni. Insomma le aziende straniere, pur non essendo impermeabili alla crisi, paiono resistere meglio alla tempesta.
A mappare l`imprenditoria immigrata in Italia è la fondazione Leone Moressa. Dall`analisi emerge il suo peso crescente: una schiera giunta a contare tra le sue fila 630mila membri nel 2014, pari all`8,3% degli imprenditori totali. Nell`ultimo anno, in particolare, il numero di stranieri titolari di imprese registrate presso le Camere di commercio è aumentato del 3,8%. Ancora più impressionante il dato relativo agli ultimi 5 anni: mentre gli imprenditori nati in Italia sono diminuiti del 6,9%, i nati all`estero hanno fatto un balzo avanti del 21,3%. «Le opportunità dell`imprenditoria straniera per il nostro Paese sono molteplici - scrivono i ricercatori della Moressa - basti pensare all`occupazione creata, alla nascita di nuovi servizi rivolti prima ai connazionali e poi anche agli autoctoni e alla possibilità di costruire ponti con i Paesi d`origine».
Cosa producono le imprese straniere? I principali settori d`attività sono il commercio ( 34,5%), le costruzioni ( 22,2%) e i servizi alle imprese (15,6%), Osservando la variazione nel periOdo 2009-2014, spicca il 30% in più di imprenditori del commercio e il 36% di crescita nella ristorazione. Da dove provengono? Le prime tre nazionalità degli imprenditori stranieri sono Marocco (10,9%), Cina (9,9%) e Romania ( 9,6%) .La frammentarietà dell`immigrazione in Italia si ritrova anche nell`imprenditoria, con oltre 200 nazionalità presenti. Tuttavia, le prime dieci rappresentano oltre il 60% del totale: tra queste, ben cinque nazionalità sono di Paesi europei ( Romania, Germania, Francia, Albania e Svizzera), tre africane (Marocco, Egitto e Senegal) e due asiatiche (Cina e Bangladesh).
I loro affari si concentrano per lo più nel centro-nord. A livello territoriale, infatti, oltre un quinto degli imprenditori stranieri lavora in Lombardia (20,8%). Seguono il Lazio (11,7%) e l`Emilia Romagna (9,2%). Oltre la metà degli imprenditori stranieri sí concentra nelle prime quattro regioni (la quarta è la Toscana). La loro crescita costante è confermata anche nell`ultimo anno da alcuni picchi improvvisi. A livello locale, la regione con l`aumento più forte è la Campania (+8,6%), seguita da Lazio ( +7,9%) e Calabria ( +5,5%). Per quanto riguarda le nazionalità, il Bangladesh registra un aumento da record: 19,2% in più, che conferma il trend degli ultimi 5 anni ( +121,3%). Anche Senegal (+7,3%) ed Egitto ( +6,2%) possono vantare una crescita consistente nell`ultimo anno. Infine, guardando ai settori produttivi, a volare sono soprattutto i servizi alle persone ( +6,5%). Non solo. Osservando gli ultimi 5 anni, mentre i nati in Italia sono diminuiti mediamente del 6,9% (con cali del 9,1% in Friuli Venezia Giulia e del 8,7%in Piemonte ), i nati all`estero sono aumentati in tutte le regioni del 21,3%, con veri e propri record nel Lazio (+39,5%) e in Campania (+36,1%).
«I dati testimoniano la crescente importanza dell`imprenditoria straniera nel sistema produttivo italiano - sostengono i ricercatori della fondazione Moressa - una realtà in crescita in tutte le regioni e in tutti i settori, che non solo può rappresentare un contributo fondamentale per l'uscita dalla crisi, ma che non può essere più considerata solo una nicchia di bassa produttività, bensì un veicolo utile a creare sinergie con gli imprenditori locali e ad attrarre investimenti esteri».



Roma: scritte razziste e svastiche sui pannelli della mostra air “film” a Torpignattara
il Garantista, 11-03-2015
Svastiche e scritte razziste hanno ricoperto alcuni dei pannelli esposti lungo via di Tor Pignattara, a Roma, per la mostra open air “Fim”, organizzata nell’ambito della rassegna TorpignaLab e inaugurata lo scorso 28 febbraio. A denunciare il fatto sono le associazioni Bianco e Nero, CdQ Tor Pignattara, daSud, Mena, Musica e altre cose denunciando dalla pagina ufficiale TorpignaLab su Facebook “un atto vile e incivile che offende non solo il grande lavoro fatto dai ragazzi che hanno partecipato al workshop di fotografia e che hanno reso possibile la mostra, ma anche tutte le associazioni che hanno lavorato a TorpignaLab e l’intero quartiere di Tor Pignattara”.
“Abbiamo iniziato questo percorso convinti che ci fosse bisogno di stimolare riflessioni sulle identità, la memoria e il futuro di Tor Pignattara, e che fosse necessario favorire la coesione sociale attraverso la cultura come strumento per l’affermazione dei diritti. Evidentemente – hanno scritto le cinque associazioni – avevamo ragione. Le svastiche e le scritte razziste che hanno imbrattato i pannelli, alcuni dei quali addirittura divelti, sono un insulto all’identità multiculturale di Tor Pignattara, un gesto da non sottovalutare e che va condannato senza se e senza ma”.
“Ci auguriamo – concludono – che quanto accaduto faccia seriamente riflettere sul clima che si respira in questo quartiere, dove anche un semplice messaggio di apertura a diversità e integrazione risulta scomodo”.

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