Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 settembre 2011

Immigrazione: 60 mila sbarcati nel 2011
Viale, risposta a emergenza deve essere europea ma e' in ritardo
(ANSA) - ROMA, 28 SET - Dall'inizio dell'anno 51.596 immigrati extracomunitari sono sbarcati sulle isole Pelagie (quasi tutti a Lampedusa) su un totale di 60.656 sbarchi totali sulle coste italiana nel 2011. Lo detto il sottosegretario all'Interno, Sonia Viale, nel corso di un'informativa alla Camera. Si tratta, ha spiegato Viale, ''di un'emergenza che non si deve affrontare solo a livello nazionale. L'immigrazione richiede una risposta europea, ma questa risposta tarda a venire''.



Maroni: "Da inizio dell'anno 4mila minori stranieri sbarcati in Italia"
"Oggi sul nostro territorio sono quasi 7mila di cui sono mille identificati"
Stranieri in italia, 28-09-2011
Roma, 28 settembre 2011 - Dall'inizio dell'anno, sono 4.012 i minori immigrati sbarcati in Italia, di cui 3.739 non accompagnati. A Lampedusa ne sono sbarcati 2.705 di cui 2.567 non accompagnati. Oggi, sul nostro territorio, ne vengono segnalati in totale 6.946 dei quali solo 926 sono stati identificati mentre 6.020 risultano ancora privi di identita' anagrafica.
Sono queste le cifre che il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha fornito ieri durante l'audizione a Palazzo San Macuto davanti alla Commissione parlamentare sui diritti dell'infanzia.
"I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia sono accolti in aree specifiche per il tempo strettamente necessario alle prima cure - assicura il titolare del Viminale - a Lampedusa, si sono registrate alcune difficolta' a individuare strutture idonee e a sostenerne gli oneri finanziari da parte degli enti locali ma dal prefetto di Agrigento sono state attuate tutte le misure possibili.
Nell'isola siciliana - ha confermato Maroni - da oggi non sono piu' presenti minori immigrati non accompagnati". Il ministro dell'Interno ha ricordato anche che "Lampedusa e' stata dichiarata ufficialmente 'porto non sicuro ai fini dell'approdo' e quindi se arriveranno altri immigrati da rimpatriare saranno portati in altri centri". Quanto ai rimpatri, "siamo passati da due voli da 30 persone a settimana a 10 voli da 50 persone a settimana: in pratica, ogni giorno vengono rimpatriati 100 cittadini tunisini".



PALERMO
Migranti sulle navi Aperta un'inchiesta
Tenuti a bondo: la procura vuole chiarezza
Avvenire, 28-09-2011  
DA PALERMO ALESSANDRA TURRISI
Una denuncia su presunte irregolarità nel trattenimento di centínaia di migranti tunisini a bordo di «Cie galleggianti» e scatta l'indagine delia procura di Palermo. È stato aperto un fascicolo a carico di ignoti dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, dopo l'esposto presentato dall'avvocato Gaetano Pasqualino e dal gruppo di Cittadini, che lo hanno firmato, contro l'utilizzo delle tre navi Moby Vincent, Moby Fantasy e Audacia p er trattenere per giorni chiusi i migranti trasferiti da Lampedusa e destinati al rimpatrio. A sottoscriverlo sono stati Fulvio Vassallo Paleologo dei Forum antirazzista di Palermo, Pietro Milazzo e Zaher Darwish responsabili regionale e provinciale immigrazione delia Cgil, Anna Bucca presidente dell'Arci Sicilia, Tullio Prestileo medico che si occupa di immigrazione all'ospedale Civico di Palermo, Judith Gleitze e Franco Juckert dell'associazione Bordeline Sicilia. Tutti hanno creato da giorni un presidio davanti al porto di Palermo, blindato da centinaia di poliziotti.
«Per quanto ci risulta non sono stati emessi provvedimenti formali che autorizzano il trattenimento dei migranti sulle navi - afferma Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto d'asilo alla facoltà di Giurisprudenza a Palermo -. Nei fatti viene loro negato il diritto di difesa e la liberta di comunicazione con l'esterno, come invece avviene nei Cie. Lo dimostra il fatto che siano stati sequestrati loro i telefoni cellulari. Chiediamo alla magistratura di verificare il rispetto delle procedure disposte per attuare i rimpatri e delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di allontanamento forzato degli stranieri irregolari. Mancano i prowedimenti restrittivi e questo è un dato di fatto». Intanto, ieri pomeriggio è salpata dal porto di Palermo con cento migranti a bordo la nave Moby Vincent, diretta a Porto Empedocle, da dove pro- babilmente i migranti saranno portati in diversi centri di accoglienza. La Moby Fantasy era partita nei giorni scorsi, mentre la terza nave, Mudaria, si trova ormeggiata nella parte piü lontana dell'area portuale, carica di tunisini, si pensa attorno a 170. Ma il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, sdrammatizza: «Non ci sono problemi a bordo delle navi. È salito sulle navi anche un deputato Pd: io sono per la massima trasparenza, non ho nulla da nascondere». In realtà, il deputato dei Pd Alessandra Siragusa parla di situazione «molto seria. Al dilà di come vengono trattati gli stranieri, su cui non ho nulla da di ri dire, c'è una situazione devastante. Sono tantíssimi uomini, una donna che dice di essere incinta e sette minori, chiusi in un luogo da giorni». L'esposto chiede che sia fatta chiarezza, per esempio, sull'uso di manette «con fascette di plastíca». II procuratore Agueci ammette: «Stiamo verificando la correttezza della procedura amministrativa, ma anche la legittimità delle procédure per gli immigrati tunisini arrivati da Lampedusa e sistemati sulle navi». II magi- strato, che coordina l'indagine, sottolinea che nell'esposto «non sono stati denunciatí episodi di maltratta- menti nei confronti degli immigratí tunisini». E il presidente delia Regione, Raffaele Lombardo, chiede un in- tervento politico: «Avevamo creduto che questo problema dovesse riguardare prima l'Europa e quantomeno tuttaltalia».



Inchiesta sulle navi cariche di migranti ferme a Palermo
l'Unità, 28-09-2011
Quelle due navi sono ferme al largo di Palermo da una settima- na, cariche dei migranti "evacuati" da Lampedusa dopo il rogo dei Cpa e gli incidenti con gli abitanti dell'isola. Centinaia di reclusi, come in un cárcere.
MA.GE.    
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Navi-Cie. Navi della vergogna. Prigioni galleggianti. Bunker. Adesso c'è anche un fascicolo aperto dalla procura di Palermo su quelle navi da giorni ormeggiate nel porto di Palermo, con a bordo il loro carico di migranti, portati via da Lampedusa dopo il rogo dei centro di accoglienza. Molti di loro hanno ancora addosso i segni della carica delia polizia e delle pietre tirate dai lampedusani. Piú di mille persone trasferite in meno di quarantott'ore, per paura di altre rivolte. Si erano ribellati alie condizioni di vita nel centro di Contrada Imbriacola. E si sono ritrovati intrappolati in un'altra prigione. Ancora piü inaccessibile, alie stesse organizzazioni umanitarie.
Non sono bastate le manifestazioni, i sit-in, le proteste. E allora è arrivato anche un esposto alia magistratura. A firmarlo sono stati avvocati, Cittadini, esperti di diritto d'asilo come Fúlvio Vassallo Paleolog. «Nessuno può essere trattenuto per piú di 48 ore senza la convalida dei fermo da parte dell'autorità giudiziaria. Altrimenti, come in questo caso, siamo davanti a un vero e proprio sequestro», denunciano i fir- matari dell'esposto, presentato ieri presso la procura di Palermo, da cui prenderanno le mosse i magistrati palermitani. «L'apertura delle indagini conferma forti dubbi sulla legittimità del trattenimento dei migranti», rivendica Zaher Darwish, responsabile provinciale immigrazione delia Cgil.
Voci tutt'altro che isolate. Persino il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ieri attaccava: «Non esitiamo a denunciare la condizione disumana in cui si trovano gli immigrati che sono accatastati, come se fossero oggetti e non uomini, in queste navi nel porto di Palermo». Domenica scorsa era stato un medico, Tullio Prestileo, responsabile scientifico dell'Inmp Sicilia e uno dei medici incaricati dalla Regione Sicilia di verificare le condizioni all'interno del centro di Contrada Imbriacola, a parlare di «violazione dei piú elementari ed inalienabili diritti umani» e «grave pericolo per la salute psico-fisica» delle persone a bordo di queste Persone.
«Quelle navi-Cie cariche di migranti sono un vero schiaffo alla dignità umana, è assurdo che dopo dieci anni di governo Berlusconi-Bossi in cui si è gridato all'invasione, non siano state predisposte delle strutture adeguate in grado di rispondere a simili situazioni di emergenza», attacca la presidente dei Forum Immigrazione del Pd Livia Turco, chiedendo al piú presto di porre fine a questa vicenda.
Qualcosa comincia a muoversi. La prima delle tre navi a togliere gli ormeggi ha levato gli ormeggi l'altro giorno verso Cagliari. I 221 tunisini a bordo, ironia delia rete di accoglienza, sono stati trasferiti nel centro di Elmas, gestito dalla stessa Lampedusa Accoglienza, responsabile dei centro di contrada Imbriacola, messo al rogo per protesta dai suoi ospiti una settimana fa. Altri sono stati rimpatriati con i ponti aerei. Mentre una seconda nave ieri sera è salpata alla volta di Porto Empedocle. Un viaggio di ritorno per cento tunisini che li erano stati portati una settimana fa da Linosa. ?



In Italia seimila minori stranieri non identificati»
l'Unità, 28-09-2011  
II ministro dell'Interno riferisce alia commissione bicamerale per l'infanzia e ammette le lacune dei sistema di accoglienza. E le associazioni contestano Maroni e puntano il dito contro le gravi violazioni dei diritti dei minori.
MARIAGRAZIA GERINA
Fuggono dai loro paesi. Viaggiano, a rischio delia vita, stipati tra gli adulti nelle carrette del mare, oppure nascosti sotto la pancia dei tir. Piccoli profughi, che al termine delia loro odissea, o a volte solo in transito, giungono in Italia, sperando in un approdo sicuro. «Attualmente i minori stranieri presenti sul nostro territorio sono 6946, nell'ultimo anno ne sono arrivati 4012, di cui 3739 non accompagnati, solo a Lampedusa ne sono arrivati 2705, di cui 2567 non accompagnati», scandisce, trincerandosi dietro i numeri, il ministro delPlnterno Roberto Maroni, chiamato in commissione bicamerale per Pinfanzia a riferire sul destino dei piccoli profughi che approdano in Ita¬lia.
Ragazzini con cui il Viminale sembra avere una difficoltà enorme a fare i conti. Persino quando si rifugia dietro i numeri: «Su 6946 minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio italiano solo 926 sono identificati», scandisce Maroni davanti alia commissione. E gli altri seimila? Sono ragazzini senza neppure un nome? Le associazioni che si occupano di loro smentiscono. Lo staff dei ministro spiega che «tecnicamente si definiscono idenfiticati solo quelli che sono in possesso di un documento di identità». Un dato técnico. Eppure: «Considerare non identificati tutti gli altri è un errore», spiega Carlotta Bellini, di Save the Chil- dren. «C'è un lavoro profondo per ricostruire la loro storia e la loro identità, con metodologie che sono le stesse utilizzate in tutto il mondo».
Sfuggono da tutte le parti quei piccoli profughi e le loro storie di mancata accoglienza, di infanzia esposta ai rischi peggiori.
II ministro nega. «Il nostro sistema d'accoglienza si è rivelato efficace e all'altezza anche in situazioni di emergenza come quella vissuta a Lampedusa», assicura. «Chiunque si sia occupato di quella emergenza sa che ci sono state, e ancora ci sono, gravissime violazioni delle norme internazionali a tutela dei minori stra¬nieri non accompagnati», replica Sandra Zampa, deputata Pd e mem¬bro della Commissione Infanzia. Con sé ha uno degli ultimi rapporti stilato da Terre des Hommes sui mi¬nori a Lampedusa. Parla di ragazzini trattenuti sull'isola fino a 40 e in alcuni casi anche 60 giorni prima di essere trasferiti in comunità adatte ad accoglierli. Invece che in 48 ore dall'arrivo, come prevederebbe la legge scritta a loro tutela. Alcuni di loro so¬no scappati. Alcuni li hanno ritrovati a Ventimiglia. Le cronache delle ultime ore li fotografano á bordo delle
navi, da giorni ferme come prigioni galleggianti nel porto di Palermo. Cinque ragazzini, rinchiusi in quei bunker, insieme agli adulti.
E non è solo questione di Lampedusa. Le storie dei piccoli profughi afghani sbarcati a Venezia, Ancona, Bari non sono molto diverse. «Li abbiamo visti aggrappati alle grate dei porto di Patrasso per tentare di nascon- dersi sotto i tir, braccati come cani... La normativa nazionale e internazionale non consente nessun tipo di respingimento. Eppure è prassi costan- te che questo avvenga anche presso i nostri porti», ha denunciato proprio alla commissione infanzia la legale delia comunità Giovanni XXIII: «Le forze dell'ordine ben conoscono la situazione». Anche se a volte «preferiscono non vedere». E però «abbiamo notizia di funzionari di polizia portuale di buona volontà che non hanno chiuso gli occhi, ma per giorni hanno dovuto portarsi a casa ragazzi¬ni rifugiati nell'attesa che qualcuno si interessasse alia questione». Maroni nega. Nessun respingimento di minore. Nessuna violazione di diritti. Semmai ci possono essere stati degli errori. «Errare è umano», dice il ministro. ? 
Caso Bonsu
Chieste pene pesaiiti per i vigili del pesatggio
 La pm di Parma Roberta Liccí ha chiesto pene che vanno da un minimo di sei anni e nove mesi a un massimo di nove anni e tre mesi di reclusione per gli otto agenti delia polizia municipale accusati tra l'altro dei pestaggio, degli insulti razzisti e di sequestro di persona nei confronti dei giovane studente ghanese Emmanuel Bonsu Foster. II ragazzo fu arrestato «illegittimamente» dal Núcleo di Pronto Intervento delia Municipale il 29 settembre dei 2008, nel corso di un'operazione antidroga nel "Parco Falcone e Borsellino" e poi malmenato e insultato a lungo. L'accusa ha argomentato per circa otto ore le ragioni per le quali gli otto imputati, su awiso, devono essere condannati. «Emmanuel Bonsu è il "negro" che diventa ad un certo punto di questa storia il "palo" di uno spacciatore soltanto perché è un "negro". L'aggravante razziale con- traddistingue questa vicenda». Cosi in uno dei passaggi delia sua requisitoria la pm Licci. Il sostituto ha puntato il dito, in particolare, sull'omertà e sulle coperture reciproche che hanno contrad- distinto 1'intera vicenda. «Ancora oggi - ha detto - non si sa chi ha colpito all'occhio sinistro Bonsu. In quesf aula nessuno degli imputati si è finora aizato per dire "mi dispiace"». Tutti, ha conlcuso la pm, «hanno posto in essere una continua mistificazione degli atti per coprire quanto era accaduto».



Roma
INTEGRAZIONE
L'integrazione dei musulmani
di seconda generazione in Italia: incontro organizzato da Centro Studi Americani, Associazione Genemaghrebina, Fondazione Italianieuropei, Resetdoc, Unicredit. Presiede Giuliano Amato, modera Karima Moual. Mario Abis presenta la ricerca "L'integrazione delle G2 in Italia". Ne discutono: Renzo Guolo, Giancarlo Bosetti, Karima Moual. Tavola rotonda con Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Gianfranco Fini, Federico Ghizzoni, Giorgia Meloni, Maurizio Sacconi.
ORE 16 - CENTRO STUDI AMERICANI, VIA Roma
INTEGRAZIONE
L'integrazione dei musulmani
di seconda generazione in Italia: incontro organizzato da Centro Studi Americani, Associazione Genemaghrebina, Fondazione Italianieuropei, Resetdoc, Unicredit. Presiede Giuliano Amato, modera Karima Moual. Mario Abis presenta la ricerca "L'integrazione delle G2 in Italia". Ne discutono: Renzo Guolo, Giancarlo Bosetti, Karima Moual. Tavola rotonda con Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Gianfranco Fini, Federico Ghizzoni, Giorgia Meloni, Maurizio Sacconi.
ORE 16 - CENTRO STUDI AMERICANI, VIA CAETANI, 32



Figli di immigrati egiziani, marocchini, pachistani: una ricerca racconta i musulmani che crescono tra voglia di integrazione e tradizioni familiari
Italiani alla seconda (generazione)
la Repubblica, 28-09-2011
GIANCARLO BOSETTI
Sono due le identità che le seconde generazioni di immigrati musulmani sento no come proprie, quella di origine e quella di destinazione, ma sono due anche le Italie che risultano da questa indagine sociologica di Abis: due Italie più lontane tra loro di quanto non siano lontane la nostra penisola dalla costa maghrebina. La prima Italia, quella dove arrivarono i padri di questi ragazzi e ragazze, era accogliente, ricca, e piü che ricca, in crescita; la seconda, dove si trovano ora, è chiusa, un po' razzista e, piü che povera, in declino.
Quando i genitori varcavano le nostre frontiere, magari negli aeroporti con il visto turistico, o in auto da Trieste, mescolati al ritorno-vacanze, o avventurosamente via mare, noi eravamo comunque "Lamerica", di cui al celebre film di Amelio, intravista nebulosamente nelle pubblicità di Rai Uno («e mia mamma - dice qui una ragazza - guardava la tv anche per imparare bene la lingua»), adesso l'Italian dream lascia il posto a pensieri grigi, anche se i giovani cresciuti qui si sono intanto affezionati, si sentono italiani, ma non sono pienamente accettati, come tali, né di fatto né di diritto, perché la differenza pesa nella vita di tutti i giorni («ci specchiamo nello sguardo degli altri») e una legge sulla cittadinanza che riconosca come italiani i bambini che nascono qui è di là da venire.
La doppia identità ha un valore aggiunto, per chi ce l'ha, ma se un tempo la forza di attrazione delle nostre città era irresistibile per ragioni economiche, oggi questa duplicità diventa incertezza sul proprio destino. Da una parte, qui, in ltalia come in gran parte d'Europa, l'economia si sta arenando, dall'altra, nei paesi arabi ci sono le promesse di un risveglio di libertà, il che fa la prospettiva di un ritorno meno impensabile. E poi chi ha studiato qui ora somiglia ai suoi vicini di casa: ci sono nuove ambizioni, più alte di quelle dei genitori, e quanto maggiori sono le ambizioni tanto piü cresce la frustrazione; molti non accetterebbero oggi gli stessi lavori fatti dai genitori e si sentono «doppiamentepenalizzati» per essere trattati da stranieri e musulmani; il che apre una finestra sul baratro di ignoranza che spesso separa le famiglie di provenienza islamica dai nostri connazionali, con le ragazze che devono spiegare il perché e il per come del velo, che non necessariamente rappresenta una imposizione delia famiglia, ma è una scelta di cui spesso sono fiere a Torino come al Cairo, e con le spinose discussioni sulle moschee e sui luoghi di preghiera, e tutti quei casiin cui scatta lareazione per cui, preghiera o non preghiera, chiedono rispetto per una cultura che è una parte del loro essere.
Su circa cinque milioni di immigrati in Italia, quasi un milione sono minorenni e, di questi, più della metà è nata qui. I musulmani sono circa un terzo. Si tratta diuna porzione importante dell'Italia prossima ventura, che dovrebbe entrare a pieno titolo dentro un realistico e dinamico progetto di Italia. Non sono gast-arbeiter, lavoratori «ospiti» temporanei come molti italiani che andarono in Germania nel dopoguerra contribuendo al miracolo tedesco, sono residenti che attendono di diventare parte a pieno titolo dell'economia, della fiscalità e dei discorso pubblico italiano. Avrebbero bisogno di una politica capace di tracciare con chiarezza il disegno di una cittadinanza inclusiva, con la stessa forza con cui il poco - per questo - citato John F. Kennedy affrontò e vinse la Campagna elettorale del I960 contro Nixon assumendo l'immigrazione come un punto di forza per la ricostruzione del primato americano, minacciato dall'Urss. La sua riforma dell'immigrazione, realizzata da Johnson, cambio la faccia degli Stati Uniti. La destra, in America e dovunque, ha sempre usato l'immigrazione come perno delle sue retoriche minacciose. L'errore di molte forze politiche progressiste è quello di piegarsi sotto questa pressione e di non pronunciare discorsi chiari sul futuro che ci attende, sui compiti difficili di una politica di integrazione delle minoranze, sulle pratiche interculturali che devono diventare parte della nostra vita civile: la promozione della vita associativa delle minoranze, la sollecitazione di tutti i momenti della vita pubblica che aiutano il dialogo, gli incontri di cultura che promuovono la conoscenza reciproca, gli scambi da intensificare con i paesi di origine e in tutto il Mediterraneo.
Molta è l'ignoranza da diradare intorno alle differenze culturali che attraversano la nostra società. E lungo è il cammino che porta a diffondere un'idea della vita civile in cuila doppia identità di un Cittadino, per cui si possa diventare marocchini-italiani o turchi-tedeschi a pieno titolo davanti all'anagrafe, non è una stranezza temporanea, ma un corredo permanente della modernità plurale nella quale ci troviamo a vivere.



Figli di immigrati egiziani, marocchini, pachistani: una ricerca racconta i musulmani che crescono tra voglia di integrazione e tradizioni familiari
Italiani alla seconda (generazione)
La Repubblica, 28-09-2011
VLADIMIRO POLCHI
Integrarmi è una parola che non mi piace, come se avessi qualcosa che mi manca. Semmai è il contrario: pur sentendomi italiana ho qualcosa in più rispetto agli italiani, visto che ho vissuto anche in Egitto». «Integrare significa sommare, unire, mantenendo quello che sono e cercando di apprendere le novità positive: se per integrarmi devo togliere il velo non è integrazione». A parlare sono le seconde generazioni di musulmani in Italia, ragazzi e ragazze che si sentono «metà e metà»: mezzi italiani mezzi marocchini, o egiziani, o pachistani.
La loro è un'identità bricolage, un mix di elementi presi a prestito dal Paese di origine e dall'Italia. Sono la generazione "50 e 50", la doppia identità vissuta come ricchezza. Alla domanda «Cosa deve fare un immigrato nel Paese d'accoglienza?»la loro risposta è univoca: «Integrarei, mantenendo le proprie tradizioni». Non mancano però i conflitti, specie nelle comunità più chiuse e impermeabili. Una per tutte: la pachistana.
Il contesto: oggi in Italia vive quasi un milione di minorenni stranieri e i figli di immigrati nati nel nostro Paese sono oltre mezzo milione.I musulmani sono un milione e 350mila, il 32 per cento dei migranti (un dato in calo:nel 2007 erano il 33,5 per cento). Cosa vogliono e cosa sognano i musulmani di seconda generazione? A rispondere è un'ampia ricerca realizzata da "Abis Analisi e Strategie" per conto dell'associazione Genemaghrebina, in collaborazione con il Cise delia Luiss e la fondazione Italiani europei, che verra presentata domani a Roma nel corso di una tavola rotonda presieduta da Giuliano Amato. Al centro dell'mdagine, due comunità di area mediterranea (marocchini ed egiziani) e una di area asiatica (pakistani).
Un passo indietro: chi sono i G2? «Coniata all'inizio del Novecento, l'espressione "immigrato di seconda generazione" è chiaramente un ossimoro - scrivono Marzio Barbagli e Camille Schmoll nel libro "La generazione dopo" in uscita il 13 ottobre per Il Mulino - per il buon motivo che una persona non può essere nata in un Paese e allo stesso tempo esservi immigrato». Stando comunque alle Raccomandazione del Consiglio d'Europa del '84 l'accezione di seconda generazione deve essere ristretta a quei figli d'immigrati che hanno compiuto nel Paese d'arrivo una parte della loro scolarizzazione o formazione professionale. Insomma ciò che determina il passaggio dalla prima alla second agenerazione è l'aver vissuto parte della "socializzazione primaria e secondaria" nel Paese di accoglienza.
«Sono 100 per cento egiziano quando sono in Italia, 100 per cento italiano quando sono in Egitto. Sento che le mie radici sono egiziane e sento il dovere di difenderle, poi però tifo per la nazionale italiana». I musulmani G2 rivendicano una doppia appartenenza, ai loro occhi la parola "integrazione" sembra una forma di impoverimento. Chiedono non assorbimento e omologazione, ma reciprocità. «Mi sento italiana per l'apertura mentale- racconta una ragazza intervistata nella ricerca dell'Abis mi sento marocchina per il rispetto dei miei valori d'origine, una morale ben precisa che qui tende a volte a mancare». Dalle interviste emerge «una doppia identità - spiega Karima Moual, presidente di Genemaghrebina - un'integrazione come terza via, diversa dalle due esperienze principali, quella britannica e quella francese». Un risultato, questo, che trova conferma in altri studi: «L'identità trae spesso senso da un bricolage tra elementi presi dal Paese di origine e altri da quello di insediamento, in una combinazione di repertori culturali e pratiche sociali facenti riferimento a due mondi - scrive Elena Caneva che nel volume "La generazione dopo" in uscita per il Mulino analizza le diverse sfumature che l'identità assume- iconfini dell'identità diventano più labili e meno definiti, si richiamano in modo interscambiabile al" qui" e al "là", assumono un carattere transnazionale».Non è tutto. II testo del Mulino riporta anche una ricerca dalla quale emerge che mentre l'86 per cento degli studenti italiani frequenta solo amici italiani, la metà dei giovani immigrati frequenta gruppi misti (composti cioè da italiani e stranieri).
II rapporto dei giovani musulmani con il nostro Paese resta ambivalente: «Amano l'Italia che ha accolto le loro famiglie in anni ricchi ('80 e '90) - si legge nella ricerca Abis- ma vivono in un'Italia diversa, in declino, che da anni patisce una grave crisi economica. Un Paese che oggi tende a respingere, a fare sentire indesiderato lo straniero soprattutto se musulmano». I G2 dicono infatti di sentirsi doppiamente penalizzati dal loro essere stranieri e musulmani. Non si accontenteranno come i loro padri: «Desiderano buoni posti di lavoro e non immaginano di fare i lavori umili dei loro genitori. Hanno aspettative in linea con i loro diplomi e i loro sogni». Se l'Italia è vista come un Paese invecchiato, in crisi e un po' razzista (anche per colpa dei media che diffondono «un'immagine stereotipata e sminuente di noi musulmani»), i Paesi arabi dai quali provengono le loro famiglie stanno vivendo invece una nuova epoca e molti sognano di tornarvi. «Noi diciamo che vogliamo tornare in patria perché la società ti fa sentire che non sei a casa, che non appartieni a questa società - sostiene un ragazzo egiziano-ti fanno sentire ingombrante, sei straniero, sei quello che porta via il lavoro, sei quello che non paga le tasse, invece non è vero». I giovani intervistati non negano le re- sponsabilità delle proprie comunità e il ruolo negativo di alcuni imam: «La chiusura nei nostri confronti non si vede tanto a scuola ma per strada, nei supermercati, dove ti danno risposte sgarbate. È anche colpa nostra, però, che dopo 20 anni non ci siamo ancora aperti». Tutti si definiscono musulmani Credenti e l'islam resta il più forte riferimento culturale e morale che abbiano. Le ragazze sottolineano che indossare il velo è una scelta personale, che nessuno le ha costrette a fare. Non manca però (in particolare tra le pakistane) la forte influenza, se non la costrizione, da parte delle famiglie. Non solo. Si registrano anche forti rotture con la cultura d'origine e l'adesione a modelli culturali delia società italiana, soprattutto negli aspetti se- colarizzati. «Genitori e figli, ma soprattutto figlie, si trovano spesso a vivere un conflitto feroce- avverte Karima Moual - la trasformazione di nuove identità sconvolge equilibri tradizionali consolidati. Porta a rotture definitive».
Dell'Italia, molti lamentano che la liberta di culto affermata dalla Costituzione resti solo sulla carta: poche le moschee e i luoghi di preghiera, molte le discriminazioni verso le ragazze velate («Indosso il velo - dichiara una marocchina - ma se voglio lavorare da un commercialista non mi prendono, posso fare solo le puli- zie»).
I G2 sono lontani dalla politica, mostrano un qualche interesse solo verso i partiti di sinistra e verso Fini quando parla di voto amministrativo agli immigrati. Forte invece è l'ostilità verso la Lega e verso le posizioni xenofobe che esprimono molti uomini del Carroccio.
La ricerca sottolinea infine la specificità della comunità pakistana, spesso impermeabile al mondo esterno, isolata e dove «risulta evidente una minore integrazione délia donna» che vive quasi esclusivamente all'interno délia comunità familiare: «Le donne pakistane - ammette un intervistato - sono libere solo secondo la nostra cultura asiatica, secondo lavostra culturano».



ARABIA SAUDITA
Donne saudite umiliate e discriminate Frustata perché sorpresa alla guida
la Repubblica, 28-09-2011
A neanche due giorni dall'annuncio di re Abdallah sul diritto di voto (locale), le limitazioni alla libertà femminile si inaspriscono. Condannata a dieci frustate una ragazza fermata al volante lo scorso luglio. Un'altra arrestata perché era in auto nel centro di Riad
Donne saudite umiliate e discriminate Frustata perché sorpresa alla guida
RIAD - Neanche due giorni dopo l'importante annuncio di re Abdallah sul riconoscimento del diritto di voto 1 (seppur solo dal 2015 e per i consigli locali) alla popolazione femminile dell'Arabia Saudita, dal regno giunge il segnale che nulla in realtà è cambiato nella vita quotidiana delle sue cittadine. Una ragazza è stata condannata a subire 10 frustate per essersi messa al volante di un'auto, sfidando il divieto "di fatto" in vigore nel regno.
Lo annuncia Amnesty International. Identificata come Shema, la donna era stata sorpresa alla guida lo scorso luglio a Gedda. Women2drive, l'organizzazione che guida la campagna perché le donne possano guidare in Arabia Saudita 2, ha fatto sapere di aver già fatto ricorso.
Su almeno altre due donne pendono altrettante condanne per simili accuse ma, nonostante le frustate e l'oscurantismo, la lotta quotidiana delle donne saudite per il diritto a guidare la propria auto non si ferma. Proprio oggi un'altra giovane, Madeeha al-Ajroush, è stata arrestata perché alla guida nel centro di Riad. Secondo quanto ha denunciato su Twitter Mohammad Fahad al-Qahtani, presidente dell'associazione per i Diritti civili in Arabia Saudita, la ragazza "è stata condotta presso il locale commissariato
dove è ancora trattenuta".
L'attivista ha inoltre riferito di "una manifestazione che si è tenuta oggi davanti alla sede del ministero della Pubblica Istruzione di Riad a cui ha partecipato un gruppo di donne". Secondo al-Qahtani, le dimostranti "sono state circondate dagli agenti della polizia che hanno minacciato di arrestarle". L'attivista ha infine denunciato che "nonostante l'annuncio del re Abdullah circa la concessione del voto per le amministrative vengono ancora violati i diritti delle donne nel regno saudita".
Secondo la legge islamica in vigore in Arabia Saudita, le donne necessitano del permesso di un tutore maschile per lavorare, viaggiare all'estero e persino sottoporsi a cure mediche. Del tutto esclusa la possibilità di muoversi liberamente in auto, sebbene non esista alcuna legge scritta in proposito a certificare il bando. Per guidare, la legge saudita impone ai cittadini di munirsi di licenze rilasciate localmente per guidare all'interno del Regno, licenze sistematicamente negate alle donne, in modo da rendere sostanzialmente illegale il loro diritto alla guida.
In nome di quel diritto, e della loro libertà di movimento, le donne saudite hanno iniziato ad alzare la testa dallo scorso maggio, approfittando della "primavera araba" e della voglia di democratizzazione che ha scosso prima il Nordafrica e in seguito i regni del Golfo. Sfruttando ancora una volta internet e i social network, alcune attiviste saudite hanno lanciato la campagna Women2Drive per sfidare il bando, riscuotendo un inatteso seguito 3.
Su twitter si sono così moltiplicati i messaggi in cui donne saudite hanno raccontato di aver guidato nelle strade di Gedda, Riad, Khobar. Altre hanno scritto di essere state fermate dalla polizia, che le ha lasciate andare dopo aver fatto sottoscrivere loro l'impegno a non guidare più. Ma il caso più celebre è di certo quello di Manal Alsharif, spintasi il 22 maggio scorso fin su YouTube con un video 4 che la ritrae al volante nelle strade di Khobar. La donna è stata arrestata e in seguito rilasciata non senza aver chiesto pubblicamente scusa 5, probabilmente costretta dagli stessi parenti.

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