Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 novembre 2014

Attenti a chiamarlo razzismo
Nelle periferie sta scoppiando una guerra tra poveri a cui con troppa facilità si attribuisce una radice etnica. Quando invece è disperazione. Tocca ora alla politica dare risposte. E promuovere azioni serie dalla parte dei più deboli
l'Espresso, 21-11-2014
Luigi Vicinanza
Facile accusarli di razzismo, populismo, intolleranza. Gli abitanti delle periferie delle metropoli italiane sono una bomba sociale. Emersi sulla scena pubblica da un buco nero di accidia, inconcludenza e trascuratezza profondo anni e anni. Tor Sapienza a Roma e il Giambellino a Milano sono lì da sempre, città invisibili all`ombra delle città vetrina. Grumi di cemento, fastidiose fonti di problemi, ma anche serbatoi elettorali; da frequentare al massimo durante una frettolosa campagna elettorale. Quanti sono i quartieri disperati pronti a esplodere? E innanzitutto chi oggi conosce realmente la vita che si consuma nelle periferie? Chi ci abita. Come. Le dinamiche tra residenti storici e nuovi immigrati. Le paure. I luoghi dello spaccio. L`insorgenza di bande criminali. La mortificazione delle persone oneste.
L`ITALIA DEL POTERE romano si era illusa di aver confinato nel Sud maledetto i mali di uno sviluppo senza progresso. Da sempre una informazione televisiva più incline allo spettacolo che alla conoscenza ha indugiato sul quartiere Zen di Palermo oppure su Scampìa a Napoli come teatri della rappresentazione di degrado urbano. Visione rassicurante; laggiù l`arretratezza, altrove l`operosa e umile modernità. Improvvisamente invece ci ritroviamo tutti più brutti sporchi e cattivi. Perché la crisi economica fa male. Perché il welfare è saltato, anche quello familiare sconosciuto alle statistiche e agli uffici studi. Perché l`immigrazione - gestita con abnegazione tra le onde del mar Mediterraneo e con approssimazione, per non dire peggio, sulla terraferma - ha creato conflitti sociali tra le fasce più deboli della popolazione. Perché il potere - se non è esercitato in maniera responsabile da chi ne ha la titolarità - viene abusato da chi se ne appropria in forme illegali. Così luoghi simbolo del buon vivere - Bologna, Rimini, Piacenza per esempio - si sono scoperti all`improvviso circondati da una terra di nessuno.
Un tempo c`erano i partiti di massa e le organizzazioni sociali capaci di connettere le periferie con il centro. Politici di borgata procacciatori di preferenze in cambio di piccoli interventi di manutenzione, di assistenza, di socialità. Clientelari, forse, ma comunque utili. Oggi neppure questo. Intere aree urbane dimenticate, grandi come una città media di provincia.
SCARICARE sul governo in carica, sull`ottimismo consolatorio di Renzi, le responsabilità dello sfascio metropolitano serve solo ad alimentare le pulsioni demagogiche. Però la questione esiste, non può essere elusa. Da troppo tempo non ci sono progetti di riqualificazione delle nostre città se non per quelle aree ad alto valore commerciale; Renzi se ne potrebbe fare promotore incalzando le burocrazie paralizzanti delle Regioni e dei Comuni: una sorta di "new deal" urbano in grado di dare speranza a cittadini spaesati e prospettiva al recupero edilizio. No, non nuove costruzioni, sono già troppe, ma bonifica di quelle esistenti. Un piano simile avrebbe un duplice scopo: migliore qualità della vita e impulso all`economia. Un vero programma di lotta all`emarginazione sociale e alle nuove povertà. Il razzismo, il populismo, l`intolleranza non si contrastano con le parole o con le buone intenzioni, ma con politiche serie. Dalla parte dei più deboli. Prima che scoppi la guerra tra poveri, come raccontiamo nei servizi di copertina.
«È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città ma in altre due» scrive Italo Calvino in "Le città invisibili". « Quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati». Sembra quasi una profezia.
Ecco, chi saprà dar forma ai desideri dei cittadini più sfortunati? Una politica lungimirante, si spera, libera dalle vigliaccherie di fronte ai problemi strutturali. Il desiderio insomma di città migliori. È chiedere troppo?
Twitter@VicinanzaL



Immigrati, da Nord a Sud una rete fitta di associazioni: quelle dei senegalesi le più numerose
Una mappa dell'Idos, che tra febbraio e giugno 2014 ha censito ben 2.114 aggregazioni. Con 772 centri organizzati di migranti, il Nord Ovest ospita la quota di gran lunga più consistente (36,5%), precedendo il Nord Est con 558, il Centro con 471, il Sud con 199 e infine le Isole con 67. Tra gli ambiti d'intervento, la mediazione interculturale. Seguono le azioni a favore delle seconde generazioni
la Repubblica.it, 21-11-2014
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Una fitta rete mette in connessione gli stranieri d'Italia. Un reticolo che si estende da Nord a Sud, formato da migliaia di associazioni migranti. A mapparlo è ora il centro studi Idos: tra febbraio e giugno 2014 ha censito ben 2.114 associazioni. Le più numerose? Quelle dei senegalesi.
Record a Nord. Con 772 associazioni di migranti, il Nord Ovest ospita la quota di gran lunga più consistente (36,5%), precedendo il Nord Est con 558, il Centro con 471, il Sud con 199 e infine le Isole con 67. La Lombardia ne conta addirittura 496 (il 23,5% del totale), seguita dal Lazio con 261, dall'Emilia Romagna con 228 e dal Piemonte con 212, che rappresentano le regioni che contano al più di 200 associazioni.
Senegalesi al top. Per quanto riguarda le principali cittadinanze di riferimento delle associazioni, la situazione è la seguente: senegalesi si concentrano per oltre un terzo in Lombardia (36,5%); marocchini per oltre un quarto in Lombardia, per poco meno di un quinto in Emilia Romagna; peruviani per oltre i due quinti in Lombardia, per circa un quinto nel Lazio; albanesi per poco meno di un quinto in Piemonte, per circa il 15% sia in Lombardia che in Trentino Alto Adige e per oltre un decimo in Emilia Romagna; ecuadoriani per la metà in Lombardia, per circa un quarto in Liguria, moldavi per più di un terzo in Veneto, per circa un settimo nel Lazio; ucraini per circa un terzo nel Lazio e per quasi un quarto in Campania; filippini per i due quinti in Lombardia, per circa un sesto nel Lazio; cinesi per un quarto in Toscana, per un quinto in Lombardia, per una quota di poco inferiore in Piemonte e per un sesto nel Lazio; bangladesi per poco meno di un terzo nel Lazio, per oltre un quarto in Veneto.
Mediazione e seconde generazioni. Cosa fanno le associazioni? Tra gli ambiti d'intervento spicca quello della mediazione interculturale, in cui è impegnata la maggioranza assoluta (51,2%). Seguono le azioni a favore delle seconde generazioni. I servizi di accoglienza dei migranti rappresentano il terzo più diffuso ambito operativo delle associazioni, precedendo le attività di apprendimento dell'italiano e delle lingue madri dei migranti, e quelle di supporto al disbrigo delle pratiche amministrative e (per lo più le procedure di rinnovo dei permessi di soggiorno e di acquisizione della cittadinanza italiana). Un servizio come quello della tutela legale risulta invece offerto da una quota relativamente contenuta di associazioni di migranti (poco più di un quinto: il 21,9%).



500 tunisini scomparsi tra il Mediterraneo e l'Italia, nel silenzio di media e istituzioni
Il primo è stato Amin Ben Hassine, partito da Tunisi il 9 settembre del 2010. I suoi familiari sono certi sia arrivato in Italia, perché lo hanno riconosciuto nelle immagini dei notiziari, ma da allora non hanno più sue notizie, Come loro, altre 500 famiglie stanno cercando i loro ragazzi
Redattore sociale, 20-11-2014
TORINO - Amin Ben Hassine è un giovane della sinistra laica tunisina, quella che quattro anni fa accese la miccia che avrebbe poi portato al propagarsi delle rivoluzioni in gran parte del mondo arabo. Il 9 settembre del 2010, per sfuggire agli ultimi colpi di coda del regime di Ben Ali, è salito con altri quattro uomini su una piccola imbarcazione di famiglia, dirigendosi verso le coste siciliane. Tre giorni dopo, una motovedetta dei carabinieri li ha raccolti, scortandoli fino a Lampedusa, dove sono stati identificati prima di essere mandati nel Cie di Caltanissetta. Dopodiché, il buio. Le notizie sui suoi spostamenti, sul suo stato di salute o perfino sul fatto che sia ancora in vita, si interrompono a quel punto.
Amin è il primo di almeno 500 cittadini tunisini che dal 2010 a oggi sono scomparsi tentando la fuga verso l’Italia. Il corridoio migratorio del Mediterraneo, che avrebbe dovuto portarli in salvo dalla miseria e dalle violenze di regime, li ha condotti invece verso un buco nero che li ha inghiottiti da qualche parte tra il mare e le coste siciliane. È certo che molti di loro erano già arrivati in Italia prima di svanire: amici e parenti li hanno riconosciuti nelle immagini dei notiziari italiani, e a volte i loro nomi sono perfino comparsi nei rapporti della croce rossa o della protezione civile. Per questo, da quattro anni i loro cari continuano a cercarli, nel silenzio di media e istituzioni. Hanno raccolto i loro nomi in un libretto bianco e blu, stampato in un’unica copia e consegnato nelle i mani di Mounira Chagraoui, la madre di Amin. Che è arrivata in Italia due anni fa, giurando di non andarsene finché non avesse scoperto cosa fosse accaduto a suo figlio.
“Per un anno - racconta - abbiamo creduto che Amin fosse morto in mare. Poi, però, un suo amico ha trovato un articolo su internet. Era stato pubblicato il 13 settembre sul sito del Giornale di Sicilia,  quattro giorni dopo la sua partenza. C’era scritto che una motovedetta dei carabinieri aveva raccolto cinque tunisini a largo di Lampedusa, su un’imbarcazione lunga appena sei metri. Circa un mese dopo, il mio altro figlio, Ahmed, è partito per Lampedusa, in cerca del fratello”. Ahmed Ben Hassine arriva in Italia il 28 gennaio del 2012. Subito dopo, visionando un servizio d’archivio del Tg5, riconosce il fratello con i suoi quattro compagni di viaggio su una banchina del porto di Lampedusa. Nel frattempo, il nome di Amin spunta in un rapporto della Croce rossa, ed è così che i familiari scoprono che il ragazzo è stato mandato nel centro di identificazione ed espulsione di Caltanissetta.
A quel punto, mamma Chagraoui non riesce più a darsi pace. Per quattro mesi, ogni giorno è di fronte all’ambasciata italiana di Tunisi. Vuole che le autorità italiane la aiutino a trovare quel figlio che al suo arrivo era stato bollato dai giornali come “clandestino”, nonostante fosse tecnicamente idoneo allo status di titolare di protezione internazionale. “Quando il vostro presidente Napolitano è venuto in visita ufficiale a Tunisi - continua Mounira  - ci ha promesso di aiutarci. Noi a quel punto eravamo già decisi a venire in Italia;  e così, subito dopo, siamo partiti. Ma nessuno finora ci ha mai davvero aiutati. Napolitano lo abbiamo incontrato anche in un’altra occasione, durante la visita di Obama in Italia. Ha di nuovo promesso di aiutarci, ma non ci ha mai ricevuti in via ufficiale. Nel frattempo abbiamo parlato anche con un sottosegretario agli Esteri e con un funzionario del ministero degli Interni. Ogni volta ci fanno promesse, ma la sensazione è che non siano affatto interessati alla vicenda”.
Nel frattempo, la lista dei desaparecidos tunisini comincia a prendere forma. Dopo il crollo del regime di Ben Alì, molti dei loro genitori vengono a sapere che a fagocitare le vite dei loro ragazzi non è stato il Mediterraneo. Nel 2012, a Tunisi, prese dalla rabbia e dallo sconforto, due madri si danno fuoco nella pubblica piazza. “Si chiamavano Jeanette Heimi e Ouahida Callel - racconta Mounira - e sono morte senza sapere cosa fosse successo ai loro figli”. Sono in molti però, a non rassegnarsi. Alcuni, come Noureddine Mbarki, hanno raggiunto Mounira in Italia dopo aver a loro volta riconosciuto i figli nelle immagini dei notiziari italiani. “Mio figlio Karim - racconta Mbarki - è fuggito da Tunisi il 20 marzo del 2011. Qualche tempo dopo, un conoscente mi ha chiamato da Palermo, dicendomi di averlo visto in un servizio del Tg5; allora ho deciso di muovermi anch’io”.
Per tre anni, Chagraoui e Mbarki hanno vissuto tra dormitori, istituti di carità e sistemazioni di fortuna, spostandosi tra Lampedusa, Caltanissetta e Roma. È qui che, un mese fa, i volontari della Carovana dei migranti - un coordinamento interassociativo che comprende Amnesty Italia, Asgi e Acmos -   li hanno trovati. “A segnalarceli - spiega Gianfranco Crua, tra i promotori della cordata - è stata un’associazione che ha sede ad Aprilia (Roma), la Palma del sud. Quella storia ci è sembrata quasi inverosimile, così siamo andati a incontrarli. Quando li abbiamo trovati erano accampati alla stazione Termini, perché da giorni erano rimasti senza un posto dove dormire. Così abbiamo deciso di portarli con noi a Torino”. Agli operatori della Carovana, Mounira e Noureddine hanno mostrato quel libro bianco e blu, che raccoglie in ordine alfabetico i nomi di 501 tunisini scomparsi. A fianco di ogni nome, la data e l’età al momento della sparizione:  Amine Ben Hassine,  partito a 23 anni  il 9 settembre del 2010; Hosem Jeljli partito a 19 anni il 6 maggio del 2011; Ajeim Ajari partito a 21 anni il 14 marzo del 2011; Karime MBarki aìpartito a 22 anni il 29 marzo del 2011; Mouhamed Soltani partito a 24 anni il primo di marzo del 2011; Rahali Ahmed partito a 20 anni il 29.3.2011. E avanti così per altri 496 nomi.
Come altri genitori, Noureddine e Mounira hanno continuato a ricevere notizie sporadiche e a volte contraddittorie, sulla sorte dei loro figli. L’ultima volta, tre settimane fa; “abbiamo ricevuto una telefonata da alcuni ragazzi usciti dal Cie di Caltanissetta” spiega Mounira, “Dicevano che i ragazzi erano vivi, e che in passato erano trasnitati entrambi dal centro. A quel punto abbiamo di nuovo chiesto conferma ai Carabinieri, gli abbiamo chiesto di aiutarci a rintracciarli. Ma non hanno voluto aiutarci”. “Nelle prime settimane dopo la partenza di Amin - conclude Mounira - abbiamo inoltre ricevuto alcune chiamate da un cellulare italiano. All’altro capo, però, non rispondeva mai nessuno”.
Sabato 22 novembre, Mounira e Noureddine si metteranno in viaggio da Lampedusa con la Carovana dei migranti, in rappresentanza dei genitori dei desaparecidos tunisini. Per quattordici giorni attraverseranno l’Italia in direzione Torino, in una marcia simbolica in onore dei migranti morti, sfruttati o scomparsi negli ultimi anni. Chi volesse sostenerli o ritenga di poterli aiutare, può mettersi in contatto con loro utilizzando questo link www.carovanemigranti.org/contatti (ams)



Invisibili, lavorano in nero e trattati come un problema di ordine pubblico
Lo stato delle cose in Italia tuttora governate dalla legge Bossi-Fini. Più di 300 mila persone da far emergere per sottrarli dal rischio criminalità e per far pagar loro le tasse
la Repubblica,it, 21-11-2014
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Sono invisibili alla legge, lavorano in nero, vivono nella paura dell'espulsione. Sono gli irregolari: un esercito che in Italia cresce all'ombra della Bossi-Fini. Nel nostro Paese circolano oggi oltre 5 milioni di immigrati: quasi tutti con i documenti in regola. La componente irregolare è ai minimi storici: 6% del totale, pari a circa 300mila persone. Farle uscire allo scoperto potrebbe avere due effetti collaterali: sottrarle ai richiami della criminalità, far pagar loro le tasse. Ma nell'Italia della Bossi-Fini, degli scontri di Tor Sapienza e della riscossa leghista, la parola "sanatoria" pare ormai archiviata.
C'è ancora la logica della Bossi-Fini. Sul banco degli imputati siede da 12 anni la Bossi-Fini, legge che guarda all'immigrazione solo attraverso le lenti deformi dell'ordine pubblico. In sostanza, lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. E così se perdi il posto, perdi anche i documenti ed entri in clandestinità. Una legge dal volto severo, che non ha mai scoraggiato le ondate di ingressi irregolari, ma ha dissuaso i flussi di immigrati qualificati. Da anni si parla della sua abolizione o almeno di un "tagliando". Nulla di fatto. Solo grazie alle sentenze dei tribunali ordinari e della Consulta, sono caduti alcuni dei pezzi più discriminatori del suo impianto.
Stesso discorso per la cittadinanza. Impelagata tra ius soli temperato e ius culturae, la riforma è ferma da anni nei cassetti delle Commissioni parlamentari competenti. Come si diventa oggi italiani? In attesa della riforma più volte annunciata, la nostra legge sulla cittadinanza resta ferma al '92. Per ottenere il documento italiano ci sono due strade. La prima si chiama "naturalizzazione": l'immigrato deve dimostrare una residenza ininterrotta di dieci anni e un reddito minimo. La seconda è sposare un italiano, o un'italiana. Per chi è nato qui da genitori stranieri, le cose non migliorano, anzi: il richiedente deve aspettare la maggiore età per poter presentare domanda, quindi dimostrare una residenza senza interruzioni fino ai 18 anni. Infine, ha solo un anno di tempo (fino al compimento dei 19 anni) per consegnare la domanda. Ed è così che resta alla porta un esercito di "nuovi italiani".



A Torpignattara il "cantar notturno" delle donne in tutte le lingue
Non è un coro multietnico, ma sogna di diventarlo: il gruppo è nato al’indomani dell’uccisione di Shazad ed è formato da una cinquantina di donne, italiane e straniere. Obiettivo: vincere insieme la paura della notte, affrontandola con torce e con canti
Redattore sociale, 21-11-2014
ROMA – Si chiama “Vicine vicine” il “cerchio di donne” che si è formato a Torpignattara dopo la morte di Shazad, il giovane pakistano, noto a molti abitanti del quartiere, ucciso da un diciassettenne romano lo scorso settembre. E’ un cerchio che si stringe intorno a un quartiere e alle sue complessità, per ridare un senso di comunità e di vicinanza a tutti coloro che, stranieri o italiani che siano, si sentono parte del territorio. Sabato 22 le donne “vicine vicine” riempiranno le strade del quartiere con le loro voci: non le voci della protesta, gridate al megafono, ma quelle dei canti di diverse culture e tradizioni, che hanno studiato e imparato insieme in poche settimane, cimentandosi con lingue sconosciute, per illuminare con le loro torce il buio della notte, che a molte di loro fa paura, in un quartiere sempre più pericoloso: “Una passeggiata notturna cantata – si legge sul volantino dell’iniziativa, scritto in italiano, in arabo e in bengalese – che attraverserà il quartiere in modo pacifico e festoso. Le strade e i luoghi che sono spesso abbandonati dai servizi e dalle istituzioni saranno illuminati dalle nostre torce e scaldati con le nostre voci”. A raccontarci la nascita del gruppo e l’idea di questo “Cantar notturno” è Alessandra, dell’associazione Asinitas, che nel quartiere è presente già da anni, con una scuola d’italiano e altre attività aggregative presso il centro interculturale Miguelim di via Policastro.
“Il 13 ottobre, pochi giorni dopo l’uccisione del ragazzo pakistano, abbiamo convocato tutte le donne con cui negli anni eravamo rimaste in contatto: donne, sì, perché soprattutto a loro noi ci rivolgiamo, ritenendole risorse preziose nell’abbassare conflitti e tensioni sociali che spesso emergono in un quartiere come questo, dove la potenzialità della convivenza multietnica si accompagna al disagio socio-economico che attanaglia italiani e stranieri. Quel lunedì 13 ottobre eravamo una quarantina, per lo più italiane: ci siamo riunite in cerchio e abbiamo iniziato a discutere di quello che era accaduto, del trauma che il quartiere aveva subito, ma anche delle esperienze personali di ciascuno. C’era tanta paura tra di noi: chi ha scelto di vivere qui lo fa anche per la possibilità che questo quartiere offre di incidere, di essere attivi e cambiare le cose. Ma se il prezzo da pagare diventa troppo alto, come quando vedi morire di botte un ragazzo per strada, allora molti sono tentati di fuggire. E per prevenire questa tentazione, abbiamo deciso di affrontare il problema insieme”.
Ci sono voluti altri due o tre incontri, prima che l’idea della prima iniziativa prendesse forma. “Nel frattempo – racconta Alessandra – siamo riuscite a coinvolgere anche tante donne straniere della scuola d’italiano. Abbiamo individuato la paura della notte come uno dei problemi maggiormente condivisi: così, abbiamo messo insieme questa paura e l’intercultura… Ed è nata l’idea di questa passeggiata notturna cantata in diverse lingue. Ci siamo date un nome, ‘Vicine vicine’ e abbiamo iniziato a cantare, semplicemente, grazie al prezioso aiuto della nostra maestra bengalese, Suhmita Sultana. Il nostro sogno è diventare il oro multietnico della Marranella. Alla nostra prima 'uscita', dopodomani, canteremo in italiano, in bangla e forse in cinese. Sabato scorso eravamo più di 50 a cantare, parlare e mangiare insieme, fino alle 10 di sera: c’era un clima bellissimo, che sabato sera porteremo nelle strade del quartiere e in quegli stessi angoli che ci fanno paura, illuminandoli con le nostre torce, accompagnate dai nostri bambini e sventolando  fazzoletti bianchi in segno di quella pacifica convivenza che sogniamo di costruire”.
L’appuntamento è per tutti, bambini compresi, alle 17 presso il Centro interculturale Miguelim di Asinitas (via Policastro, 45). Dopo le prove dei canti e una merenda condivisa, il coro si riverserà, alle 19, sulle strade del quartiere, in un percorso che terminerà sotto gli archi dell’acquedotto Alessandrino, dopo aver attraversato le principali strade di Tor Pignattara. (cl)



Obama: "L'immigrazione ha fatto grandi gli Usa". E cita la Bibbia: "Siamo stati stranieri anche noi"
Svolta storica dell'amministrazione Usa che presenta un rinnovato sistema di regole. In gioco lo status legale di cinque milioni di persone. L'ira del Gop: "E' fuori controllo"
la Repubblica.it, 21-11-2014
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK  -  "La nostra tradizione di accoglienza degli immigrati ci ha dato enormi vantaggi, ha fatto di noi una nazione dinamica, giovane, imprenditoriale". Comincia così il discorso di Barack Obama che passerà alla storia come una pietra miliare della sua presidenza, cambierà la vita di cinque milioni di immigrati, e apre
da subito un conflitto politico durissimo con la destra, destinato a condizionare l'elezione presidenziale del 2016.
Obama affronta "quello che non funziona nel nostro sistema attuale: milioni di immigrati senza documenti legali di residenza sono sfruttati, sono costretti a vivere nell'ombra anche se vogliono disperatamente rispettare le leggi di questo paese". Accusa i repubblicani di avere bloccato alla Camera una riforma che era già passata al Senato, e avrebbe introdotto delle "corsie di regolarizzazione attraverso il pagamento di multe". Visto che il Congresso non è stato capace di intervenire su un problema così importante, il presidente elenca le tre azioni che avvia usando i propri poteri esecutivi. Primo: rafforzare i controlli alle frontiere, che già negli ultimi anni sotto questa Amministrazione hanno ridotto significativamente gli afflussi illegali. Secondo: rendere più facile e più veloce la concessione di appositi visti "per immigrati ad alta qualificazione". Terzo, risolvere il problema degli immigrati irregolari che già sono qui: "espellere e rimpatriare i criminali, i membri di gang". Non sarebbe "né realistico né giusto", invece, "deportare quei milioni di stranieri che lavorano duro da anni, e molti dei quali hanno figli nati qui".
E' quest'ultima categoria, molto vasta, l'oggetto dell'azione presidenziale più importante e gravida di conseguenze. "Se siete qui da più di cinque anni  -  dice il presidente  -  e in particolare se avete figli nati in America, potete uscire allo scoperto, farvi iscrivere in apposite liste, pagare i tributi legali, e restare qui temporaneamente". La novità riguarda circa cinque milioni di persone, potenzialmente. Sono immigrati in posizione irregolare ma da molto tempo. Sono "ricongiungimenti familiari" fin qui molto difficili con la normativa attuale: i figli nati in America infatti hanno automaticamente la cittadinanza, ma questa non si
estende ai genitori. Otterranno permessi di soggiorni a scadenza, validi per tre anni, probabilmente rinnovabili alla scadenza. Il presidente precisa: non vi diamo la Green Card (permesso di residenza permanente), né la cittadinanza, "perché sarebbe ingiusto per coloro che hanno fatto la fila per mettersi in regola, se improvvisamente un'altra categoria di immigrati può passargli davanti".
Il discorso di Obama si conclude con un appello ai valori fondanti del popolo americano: "Il nostro paese ha bisogno di uno scopo comune, di un fine elevato. Gli immigrati sono un arricchimento della nostra società. Questo è un dibattito sulla nostra identità, su chi siamo noi. Non possiamo essere un paese dove i figli
vivono nell'angoscia che le madri possano essere deportate. Questo dibattito deve concentrarsi sulle nostre speranze, non sulle nostre paure". Finisce con una citazione della Bibbia: "Una volta eravamo stranieri anche noi".
La portata di quest'azione presidenziale è evidentemente enorme, visto che in gioco c'è lo status legale di cinque milioni di persone. E' anche una bomba a orologeria che Obama lancia nel campo avverso. Tra le prime reazioni della destra c'è l'intervento di Newt Gingrich (ex candidato alla nomination repubblicana, ex presidente della Camera). Parlando alla Cnn, Gingrich dice: "Per molti di noi questo presidente è fuori controllo, agisce fuori dalla Costituzione". Gli fa eco Steve King, repubblicano dell'Iowa: "Il presidente annuncia misure che non rientrano nei suoi poteri. Si apre una crisi costituzionale. Viene messo in discussione lo Stato di diritto, il rispetto della legge". Per King "il presidente dice che vanno espulsi solo i criminali, ma dimentica che tutti quelli che hanno attraversato la frontiera illegalmente hanno commesso un reato e dunque sono dei criminali".
King è molto preciso nell'elencare l'escalation di controffensive che i repubblicani stanno preparando: "Primo, un voto di censura del presidente al Congresso, e sarebbe la prima volta da un secolo.  Secondo: togliergli i fondi, bloccare i finanziamenti alle agenzie federali. Da ultimo, si può arrivare all'impeachment". La parola impeachment viene maneggiata con cautela, i repubblicani ricordano che altre volte si è ritorta contro di loro. Tutta la battaglia sull'immigrazione per loro è un terreno minato. La base militante del partito repubblicano, quella del Tea Party, quella che partecipa più attivamente alle primarie, è anti-immigrati e non disdegnerebbe un procedimento di impeachment.
Ma tutti sanno che all'elezione presidenziale del 2016 voterà un elettorato ben diverso da quello che regalato un trionfo ai repubblicani alle elezioni legislative di midterm tre settimane fa. All'elezione presidenziale l'affluenza è molto più alta. Vanno a votare in percentuali più elevate i giovani e le minoranze etniche: ispanici, asiatici. Queste sono le fasce di cittadini più favorevoli alle misure pro-immigrati. La svolta storica annunciata ieri, una sanatoria temporanea che toglie dalla paura cinque milioni di persone, è anche un immenso beneficio per tutti quei loro parenti e amici che hanno già la cittadinanza, e nel 2016 andranno a votare.



«Digiuno per il sogno americano dei nostri figli»
Avvenire, 21-11-2014
LUCIA CAPUZZI
«Solo succo di frutta, mi raccomando. Non possiamo mangiare subito». Patricia è inflessibile: «Lo so che avete fame ma dobbiamo ricominciare gradualmente». Le altre fanne cenno di sì. I volti stanchi appaiono più rilassanti. La dichiarazione del presidente Barack Obama è arrivata. Per 17 giorni hanno atteso in piazza Lafayette, a pochi metri dalla Casa Bianca, che il capo di Stato annunciasse l’atteso decreto sull’immigrazione. Il 3 novembre, quando hanno iniziato, non sapevano se quella misura sarebbe mai arrivata. Ora, dopo la lunga protesta e l’ultima notte di veglia, già questa mattina il presidio di “madres indocumentadas” (mamme irregolari) si scioglierà e le donne torneranno a casa. Dai figli, per cui hanno combattuto con l’unica arma, pacifica, a disposizione: il digiuno. Anche alcuni ragazzi hanno lasciato gli studi e il lavoro per accompagnarle. «Ho chiesto al mio di non farlo. Nessuno sa che è un “dreamer” in Connecticut. E se fosse deportato?». Juan, studente ventenne, invece, è arrivato dalla Florida. «Non corro rischi. Ho ottenuto il Dada, l’Azione differita per i minori, un anno fa. Per questo ho potuto iscrivermi all’Università» Juan è uno dei due milioni giovani portati illegalmente negli Stati Uniti dai genitori quando erano bambini, i cosiddetti “dreamer”. Dopo l’ultima bocciatura del Dream Act, nel 2010, che ne avrebbe dovuto consentire la regolarizzazione, Obama ha emanato, dall’agosto 2012, il Dada che, per lo meno, ha concesso a oltre mezzo milione di loro un permesso temporaneo. E con esso la opportunità di proseguire gli studi universitari, altrimenti impossibili. Sia i beneficiari sia l’1,5 milione di esclusi per ragioni anagrafiche (potevano presentare richiesta solo quanti non avessero compiuto 31 anni) chiedono da tempo alla Casa Bianca di regolarizzare stabilmente la loro situazione, oltre a quella degli altri “indocumentados”. I dreamer, stranieri di nascita ma statunitensi per formazione, hanno svolto un ruolo di primo piano nel far in modo che il tema “irregolari” si imponesse nell’agenda democratica. Con gesti spesso forti. Come le auto-denunce pubbliche di persone comuni ma pure di celebrità, come il caso dell’attore latino Antonio Guerrero.
Stavolta, a scendere in piazza sono state le loro madri. «Abbiamo aspettato per anni che il presidente mantenesse le sue promesse. C’eravamo stancate e abbiamo agito», dice con enfasi Ivania, originaria del Salvador. E aggiunge: «Almeno per i nostri figli vogliamo un sogno americano...». Le donne sanno che, con tutta probabilità, non otterranno alcun beneficio dal decreto.
«I miei genitori certe volte mi chiedono: “Pensi che riguarderà anche noi?”. Poi subito dicono: “No, è impossibile”» racconta Juan che, però, non rinuncia a sperare. «È terribile avere un genitore “indocumentado”. L’ho capito in venti minuti di attesa al telefono, in cui non sapevo se avrei più rivisto mio padre...». Nel 2006, l’uomo chiamò Juan per dirgli di essere stato fermato da una pattuglia di polizia mentre guidava. «Tra la prima telefonata e la seconda, in cui comunicava che non gli avevano chiesto i documenti, trascorsero venti minuti – afferma –. Sono stati infiniti. Se i nostri parlamentari immaginassero che cosa significa, si sarebbero decisi a fare la riforma».



Obama da Nobel: in 5 milioni da invisibili a americani
Decreto del presidente Usa per regolarizzare i clandestini in gran parte latino-americani
In tutto gli irregolari sono oltre 11 milioni
il Fatto, 21-11-2014
Angela Vitaliano
New York Lo aveva detto all'indomani delle elezioni di medio termine del 5 novembre, che avevano regalato la maggioranza al senato ai repubblicani, che avrebbe smesso di essere “Mr nice guy”, il presidente “gentile” alla continua ricerca di accordi bipartisan. Barack Obama, prima della scadenza di gennaio, in cui il Congresso diventerà dominio esclusivo del Gop, deve agire e farlo in fretta per sbloccare almeno alcune delle questioni che gli stanno più a cuore. Come l'immigrazione, con quel progetto di riforma che da troppi mesi, anzi anni ormai, giace al Congresso senza, ormai, nessuna speranza che su di esso si raggiunga un accordo.
PER QUESTO, ieri sera, in un attesissimo messaggio alla nazione, andato in onda su tutti i principali network, nella fascia di prima serata, il presidente ha annunciato che, utilizzando il suo potere esecutivo, come la costituzione gli garantisce di fare, agirà da solo autorizzando personalmente delle modifiche che consentiranno a circa cinque milioni di immigrati senza documenti di restare negli Stati Uniti e regolamentare la propria posizione.
La metà circa rispetto a quei quasi undici milioni di illegali ai quali, la sua riforma, avrebbe consentito finalmente una vita dignitosa e alla luce del sole; una metà che, però, in un paese sempre più in preda alla solita vena anti-migratoria dei conservatori, ha il sapore di una grande vittoria.
I primi che potranno tirare un sospiro di sollievo sono i clandestini i cui figli sono nati in America o hanno una green card per altri motivi; sicuramente potranno aspirare alla cittadinanza tutti i “dreamers”, vale a dire i giovani arrivati qui clandestinamente da piccoli e che, però, hanno sempre studiato arrivando addirittura al college.
INUTILE DIRE che a beneficiare dei cambiamenti introdotti dal presidente saranno coloro che, negli anni, non hanno mai infranto la legge e contribuito con il proprio lavoro al benessere delle proprie comunità.
Dovrebbero essere esclusi, sfortunatamente, da questa prima grande sanatoria, i clandestini che non hanno legami con minori in possesso di carta verde o dei requisiti per averla.
E se Bill Clinton - da ex presidente e marito del prossimo probabile candidato democratico alla Casa Bianca nel 2016, Hillary - ha salutato positivamente la decisione di Barack Obama come un suo diritto indiscutibile, i repubblicani hanno dichiarato guerra (di nuovo) a colui che hanno definito “l'Imperatore degli Stati Uniti”. Un “imperatore” che, giusto in tempo per il Ringraziamento, cambierà, finalmente, la vita a cinque milioni di esseri umani.

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