Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 gennaio 2014

«L'Italia risponda alle famiglie Qual è la loro sorte?»
Avvenire, 17-01-2014
MATTEO MARCELLI
ROMA - Che fine hanno fatto i 56 sopravvissuti al naufragio del barcone tunisino scomparso al largo di Lampedusa nella notte tra il sei e il sette settembre del 2012? E di quanti tunisini che hanno provato ad attraversare il canale di Sicilia si sono perse le tracce dall'inizio della rivoluzione del 2011 a oggi? Dietro queste domande c'è il senso della visita di ieri a Roma di Messaoud Romdhani, del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) che, assieme al Coordinamento nazionale comunità di acco- glienza (Cnca), alla Cgil e alla ong Un ponte per, conl'appoggio di Caritas italiana, sta cercando di aprire un canale di comunica-    zione con il governo italiano e con quello tunisino per avere risposte alle sue domande. Dal 2011 sono circa 1.500 i dispersi in mare (stime Ftdes). «Ma non esiste un numero preciso - spiega Romdhani - non si può dire che sia- no morti, ma se ne sono perse le tracce. Da noi sono venute circa 300 famiglie ma non ci sono state risposte né dal governo italiano né da quello tunisino».
miglie dei dispersi, assieme a un sistema di monitoraggio che possa fornire dati certi, in maniera strutturata e continuativa, sulla sorte degli immigrati e dare un nome alle decine di tombe dei morti in mare sepolte nei nostri cimiteri. In un quadro in cui «il governo, evitando di presentare i dati - dice Piero Soldini, responsabile immigrazione Cgil - si mette in una posizione colpevole», è necessario poi un intervento a un livello più alto, che coinvolga e sappia indirizzare le politiche sull'immi- grazione nazionale e internazionale.
«Il Mediterraneo deve tornare ad essere un luogo di accoglienzae non solo di espulsione - spiega don Armando Zappolini, presidente Cnca - spero che la lettera venuta fuori dall'incontro che abbiamo avuto con il Forum a Tunisi nel settembre scorso vada in questa direzione e serva a restare umani e attuare scelte concrete». Nel mirino c'è la Bossi Fini, non in grado di «assicurare dignità e rispetto - continua don Zappolini- alle persone in fuga da fame e guerra. Mentre le politiche andrebbero elaborate a partire da questo principio elementare». D'altronde, «è inutile fare cooperazione internazionale - chiosa Domenico Chirico direttore di Un ponte per - se non riteniamo centrale la questione dei diritti umani nei paesi in cui operiamo e nel nostro».
 


Senato. M5S: presentato ddl 'tripartisan' su prima accoglienza degli immigrati
Il provvedimento presentato dalle senatrici Bignami (M5S), Finocchiaro (Pd) e Mussolini (FI) e' stato sottoscritto da oltre trenta senatori dei diversi schieramenti, motivati dalla volonta' di tutelare la dignita' umana, principio che e' alla base di ogni convivenza civile
stranieriinitalia.it, 17-01-2014
Roma, 17 gennaio 2014 - E' stato depositato ieri in Senato un disegno di legge 'tripartisan', che mira a sanare un grave vuoto normativo in materia di regolazione del fenomeno dell'immigrazione e nello specifico per quanto attiene alle procedure di prima accoglienza.
Lo rende noto un comunicato del Movimento 5 Stelle in Senato.
Il provvedimento presentato dalle senatrici Bignami (M5S), Finocchiaro (Pd) e Mussolini (FI) e' stato sottoscritto da oltre trenta senatori dei diversi schieramenti, motivati dalla volonta' di tutelare la dignita' umana, principio che e' alla base di ogni convivenza civile.
 ''Il disegno di legge - spiega la senatrice Laura Bignami - mira a garantire l'accoglienza adeguata di persone portatrici di esigenze particolari, quali minori, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza. L'accoglienza va garantita non solo ai soggetti deboli richiedenti asilo, ma a tutti coloro che giungono, per vari motivi, nel territorio nazionale''.
 ''Nello specifico - prosegue - si stabilisce che nei centri di identificazione e accoglienza siano previsti servizi stabiliti in collaborazione con la ASL competente per territorio, per garantire misure assistenziali particolari e un adeguato supporto psico-pedagogico finalizzato alle esigenze della persona. Auspico che vista l'urgenza e la delicatezza del tema affrontato, - conclude la senatrice - il disegno di legge possa avere in Senato un iter spedito e una rapida approvazione".



Rosarno, niente sgombeo ma aiuto ai sindaci
Avvenire, 17-01-2014
Antonio Maria Mira
«Il prefetto convocherà Regione, Provincia e comuni per trovare rapidamente una soluzione per la tendopoli di San Ferdinando. Il problema non può essere scaricato sui sindaci. Ma lo sgombero delle baracche è un pericolo da scongiurare». Sono le prime mosse del ministero dell’Interno, annunciate dal viceministro Filippo Bubbico, dopo le ripetute denunce di Avvenire sul dramma degli immigrati nella Piana di Gioia Tauro. Ma per il futuro indica una soluzione più duratura. «Voglio coinvolgere le organizzazioni agricole perché, come è accaduto ad esempio nel Trentino, gli imprenditori agricoli che beneficiano della presenza dei lavoratori migranti, devono farsi carico della loro ospitalità, collaborando con gli enti locali e la Regione».
Insomma per ora non si è fatto niente...
La prefettura mi ha segnalato «l’indisponibilità» di enti locali e altre istituzioni ad accogliere gli immigrati «anche in piccoli gruppi». Nei prossimi giorni i sindaci saranno ricevuti dal prefetto. C’è da essere sicuri che prenderà in mano la situazione. L’ho chiamato non solo per sensibilizzarlo rispetto alla necessaria attenzione da prestare al problema, ma anche per suggerire un’iniziativa più incisiva tanto da chiamare intorno a un tavolo le istituzioni regionali e provinciali, perché il problema non può essere scaricato solo sui comuni e sull’impegno dei sindaci.
Questo nell’immediato ma per il futuro?
Penso che sia doveroso e necessario pretendere l’impegno da parte delle organizzazioni del mondo agricolo perché queste persone sono lì in attesa di essere chiamate per lavori stagionali e quindi la loro presenza è strettamente necessaria e funzionale alle attività agricole. La Calabria come le altre regioni non può immaginare che il futuro di un’agricoltura capace di valorizzare la qualità e anche le caratteristiche proprie dei prodotti italiani, possa essere costruito sullo sfruttamento di manodopera e sulla riduzione in schiavitù di esseri umani.
Anche perché sempre in Italia ci sono esempi positivi.
Esatto. Gli imprenditori agricoli devono capire che i loro redditi possono essere assicurati lavorando sulla qualità che non è solo quella intrinseca dei prodotti messi sul mercato, ma deve riguardare anche il processo produttivo e quindi anche la componente sociale. Si sta affermando per fortuna un orientamento critico da parte dei consumatori che in misura sempre crescente si rifiutano di comprare prodotti realizzati attraverso lo sfruttamento della manodopera. Così come nel Trentino hanno saputo valorizzare le loro produzioni mettendo insieme i piccoli produttori, costruendo network, imponendosi, lavorando sulla qualità, sui mercati nazionali e europei, altrettanto può e deve essere fatto nelle realtà del Sud.
Dopo tutti questi anni si continua a parlare di "emergenza Rosarno".
È un’ipocrisia. Noi dobbiamo acquisire la consapevolezza che questo è un fenomeno permanente che accompagnerà diverse stagioni e dobbiamo guardarvi non solo con la sensibilità propria del nostro Paese in termini di solidarietà e accoglienza, ma anche come opportunità di crescita e di riscatto sociale e civile dei migranti e anche per le nostre realtà economiche. Attraverso il rispetto delle regole e della dignità della persona, è possibile anche liberarsi dalle mafie, liberare le energie presenti nei nostri territori per alimentare una qualità che garantisce crescita economica e tutela dei diritti fondamentali della persona. Sarebbe bello che proprio dalla Calabria venisse avanti un qualche esempio positivo di associazioni agricole e commerciali, sostenute coi aiuti comunitari, che si impegnino a rendere possibile una testimonianza di civiltà e di buona economia.
Torniamo a oggi. Perché è contrario allo sgombero?Credo che sia un pericolo da scongiurare perché tra una situazione non sostenibile da un punto di vista igienico sanitario e l’abbandono a se stessi di queste persone, va preferita una sistemazione per quanto precaria ma che rappresenti il riferimento dal quale partire per risolvere il problema. Il sindaco va sostenuto, mi muoverò e agirò perché possano essere praticate non soluzioni burocratiche che ci mettano in pace con la coscienza, ma soluzioni reali e concrete che tengano conto delle condizioni di vita di queste persone.



Lampedusa, l'impegno della Ue
Corriere della sera, 17-01-2014

Con riferimento all'articolo di Luigi Offeddu (Corriere, 6 gennaio), dal titolo «Automobiline solari a Barbados, le bizzarre spese dell'Europa» vorrei fare alcune precisazioni. Il tragico incidente di Lampedusa dello scorso ottobre è una delle più gravi tragedie umanitarie nel Mediterraneo, ed ha suscitato ia piena attenzione dell'Unione Europea. Tramite un'apposita Task Force l'Ue sta infatti lavorando per rafforzare la solidarietà ed il sostegno reciproco per prevenire simili tragedie. Nel periodo 2010-2013 l'ltalia ha peraltro ricevuto oltre 369 milioni di euro di assistenza finanziaria da parte della Commissione per affrontare i flussi migratori. L'Ue è convinta della necessita di affrontare alla radice le cause della migrazione irregolare e di monitorare i flussi migratori in cooperazione con i Paesi di origine e di transito, al fine di rafforzarne le capacità di gestione della migrazione ed aiutarii a garantire che i propri sistemi di migrazione ed asilo si conformino agli standard internazionali in materia di diritti umani. Ecco perché l'Ue è uno dei maggiori donatori mondiali di aiuti in materia di migrazione e sviluppo. Tra il 2004 e il 2012 quasi un miliardo di euro sono stati stanziati per finanziare oltre 400 progetti incentrati su questi settori. Non è certo corretto associare tragedie quali quella di Lampedusa con lo sforzo generale dell'Unione Europea in materia di relazioni esterne. Il Servizio europeo per l'azione esterna Ref. Ares(2014)70472 - 14/01/2014 (SEAE) è stato istituito nel 2011 con decisione unanime di tutti i governi Ue ai fine di migliorare l'indirizzo e l'attuazione delle politiche Ue su scala mondiale. Il suo bilancio è pari a meno di un terzo — ad esempio — di quello del ministero italiano degli Affari esteri. il Seae si ispira al principio dell'efficienza dei costi, al quale — vista la difficile situazione economica — è sempre rimasto pienamente fedele sin dalla propria creazione, puntando a ricavare il massimo da mezzi limitati. L'articolo non menziona il fatto che la maggior parte degli aiuti alio sviluppo dell'Ue sono concentrati sui Paesi piü poveri e vulnerabili, e che oltre la metà di essi sono destinati all'Africa. Inoltre non riferisce che le Samoa sono un Paese esposto alle catastrofi naturali, altamente vulnerabile alla crisi economica: è questo il motivo per cui l'Ue lo sostiene finanziariamente. Nel 2009 le Samoa sono state gravemente colpite dallo tsunami, nel 2012 dal ciclone Evan (stime ufficiali ne valutano i danni a una somma equivalente al 30%del Pil dei Paese). Ridurre la dipendenza dai combustibili fossili è una sfida di particolare importanza per molti piccoli stati insulari. Promuovere le energie rinnovabili è una delle priorità principali dell'Ue, e rappresenta l'obiettivo principale dei progetto in corso a Barbados, di cui si parla nell'articolo. Oltre ai benefici ambientali, questo tipo di progetti contribuisce a ridurre le spese per 1'importazione di carburanti convenzionali per automobili, attualmente fonte di ingenti debiti esteri — assai gravosi per un'economia ridotta come quella di Barbados: un indebitamento che impedisce ai governi nazionali di stanziare risorse proprie per la riduzione della povertà.
Lucio Battistotti
Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea il Seae «si ispira al principio dell'efficienza dei costi»? In un anno, ha aumentato di circa 9 milioni le spese per il «personale presso la sede principale»: da 145.782.132 stanziati nel 2013, a 154.631.407 nel bilancio 2014. La Ue è il più grande donatore di aiuti ai Paesi poveri? Certo, lo diceva chiaro e tondo l'articolo. Ma per promuovere le energie rinnovabili non sarebbe meglio scegliere le europee Romania o Bulgaria, piuttosto che la ricchissima ed extraeuropea Barbados? Quanto a Lampedusa, ha ricevuto 30 milioni da Bruxelles, nell'ultima emergenza, mentre le isole Samoa hanno ricevuto 37 milioni dal 2008 al 2013 (130 dal 1978): sara «scorretto» parlarne, ma fa lo stesso impressione. A proposito, l'articoto parlava anche dei 2-2,5 milioni stanziati per proteggere le ville dei diplomatici Ue alle isole Figi: è «corretto», questo? Si attendono «precisazioni» in merito.



HRW a Panebianco: discriminatorio favorire gli immigrati non musulmani
Corrierr.it, 17-01-2014
Judith Sunderland
Nel suo editoriale Troppe ipocrisie sugli immigrati, pubblicato il 13 gennaio, Angelo Panebianco sostiene che l’Italia dovrebbe adottare una politica di immigrazione a lungo termine, favorendo immigrati con certe qualificazioni—nulla di nuovo né sconvolgente fin qui. Ma dice ancheche l’Italia dovrebbe favorire l’immigrazione dal mondo cristiano rispetto a quello musulmano, suggerendo che il primo gruppo può essere più facilmente integrato e fa meno figli. Questo purtroppo non è un argomento nuovo ma è ancora e comunque sconvolgente. Si tratta di un invito esplicito alla discriminazione per motivi religiosi, che a dir poco mostra una condiscendenza verso gli stereotipi culturali.
L’Italia ha tutto il diritto di regolamentare l’immigrazione, ma non può discriminare in base alla nazionalità, etnia o religione. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani, le misure che comportano un trattamento differenziato devono perseguire uno scopo legittimo ed essere proporzionali al raggiungimento di tale obiettivo. Una migliore integrazione degli immigrati in Italia è naturalmente uno scopo legittimo, ma scegliere chi può venire qui sulla base di pregiudizi in base alla loro religione o paese di origine non è la risposta. E sostenere questo approccio è un affronto agli immigrati musulmani in Italia che apportano tanto a un paese che è stato meno che accogliente.



“Non ne uscite vivi”
Noi, la ronda e i cartelli per Sharon
Il pestaggio, a poche ore dalla morte del leader israeliano
Il racconto di 4 giovani aggrediti nel Ghetto di Roma per aver staccato i manifesti in memoria del “Leone”
il fatto, 17-01-2014
Lorenzo Galeazzi e Tommaso Rodano
Circondati, minacciati e picchiati con martelli e bastoni da una squadra organizzata, nel cuore del quartiere ebraico di Roma. In pieno centro. È il racconto inquietante di quattro giovani romani. Mostrano cicatrici, lividi, referti medici e l’atto della denuncia appena resa alle forze dell’ordine. Tre di loro preferiscono rimanere anonimi, il quarto – Vladimiro – “ci mette la faccia”, con tanto di mazzata poco sopra la nuca e un “bel buco”, ricucito con quattro punti di sutura.
SUCCEDE TUTTO nella notte tra sabato e domenica, a poche ore dalla morte di Ariel Sharon.
I quattro amici escono da un locale verso le 4. Si fermano a mangiare la pizza nella via storica del ghetto romano, Portico d’Ottavia, a pochi passi dalla sinagoga. Mentre si allontanano, Vladimiro ha un’idea sciocca e un gesto istintivo: stacca uno dei manifesti sui muri che commemorano “il leone” Sharon. È un attimo. I quattro vengono circondati – secondo la loro denuncia – da almeno una decina di giovani armati. Tutto succede all’improvviso, la “ronda” si materializza in pochi secondi. L’aggressione dura diversi minuti. Gli autori del blitz – secondo chi denuncia – sono giovani (“Tra i 20 e i 25 anni”, ipotizza Vladimiro). Hanno mazze da baseball, spranghe e persino martelli. Alcuni portano kippah e barba lunga.
I quattro ragazzi sono ricoperti d’insulti: “Vi spacchiamo la faccia”, “Da qui non uscite vivi”, “Che cazzo ci venite a fare nel quartiere ebraico? ”. Gli viene intimato di inginocchiarsi, ma rifiutano (“Non per una questione d’orgoglio, ma in un pestaggio, in quella posizione, saremmo stati ancora più vulnerabili”). Gli urlano di andare via, ma mentre provano ad allontanarsi arrivano le botte alle spalle. Vladimiro subisce il colpo più pesante: una mazzata tra capo e collo che gli lascia una lacerazione profonda, suturata al pronto soccorso del Fatebenefratelli. Gli altri ragazzi rimediano brutte contusioni e qualche giorno di prognosi. Molto più grande è stato lo spavento. Vladimiro riconosce di aver commesso un gesto provocatorio, istintivo: “Non avrei dovuto farlo. La mossa sbagliata nel posto sbagliato. Ma non volevo essere aggressivo, ero quasi sovrappensiero. Ho le mie idee politiche su Sharon e sulla politica di Israele, ma non sono mai stato una persona violenta. Non avevo idea di poter scatenare una reazione del genere”. Anche perché gli aggressori sembravano tutt’altro che “improvvisati”: “Sono arrivati insieme, come una ronda. Abbiamo visto prima un’automobile, poi tutti gli altri. Uno di loro dava indicazioni – ricorda un ragazzo – e ordinava di andare a prendere le armi in macchina”.
L’EPISODIO somiglia in modo impressionante all’aggressione dei cinque attivisti del Teatro Valle, avvenuta nello stesso quartiere ebraico di Roma il 14 novembre 2012, dopo una manifestazione degli studenti. Allora la violenza fu ancora più cruda e gli assalitori si qualificarono come agenti in borghese, chiedendo i documenti ai loro interlocutori, prima di colpirli ripetutamente. Uno dei ragazzi del Valle riuscì a filmare l’aggressione con una fotocamera. Gli insulti erano molto simili a quelli raccontati nella nuova denuncia: “Nel quartiere ebraico non ci dovete entrare. Potete andare a fare casino per tutta Roma, ma se entrate qui dentro siete morti”.
IL NUOVO episodio riapre il dibattito sull’esistenza di un “servizio d’ordine” armato e autogestito, che si occuperebbe di garantire “la sicurezza” della comunità ebraica romana. “Un fatto inaccettabile, allucinante – conclude Vladimiro – in una capitale occidentale, nel 2014. Davvero Roma sta diventando la città dei ghetti. Quartieri chiusi, dove devi stare attento a come ti muovi o non puoi mettere piede”.
Per il presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, “le ronde da noi non esistono”. “Il nostro servizio d’ordine – spiega – c’è e avviene alla luce del sole: genitori e nonni che presidiano il quartiere a turno con le forze dell’ordine”. Al massimo “si è trattato di una rissa da sabato sera, tra teste calde”. Ma alla fine Pacifici si lascia scappare un paragone ardito: “Non è questo il caso, ma se qualcuno va a togliere una bandiera sotto CasaPound, secondo lei cosa succede? ” E conclude il ragionamento così: “Lo dico al di fuori del mio ruolo istituzionale, ma se qualcuno si avvicina e mi tira un ceffone, io non mi metto a chiamare i carabinieri. Prima rispondo. I fatti andranno verificati, ma gli aggrediti hanno tutta la mia solidarietà”.

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