Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 febbraio 2015

Centri di Espulsione sempre più vuoti. "Ormai sono inutili, è ora di chiuderli"
Attivi solo cinque Cie in tutta Italia e funzionano a scartamento ridotto. Manconi: "Ormai sono solo un simbolo intimidatorio"
stranieriinitalia.it, 26-02-2015
Roma - 26 febbraio 2015 - “Disponiamo di un immenso apparato, con strutture, operatori, polizia, per trattenere solo 300 persone. I numeri dimostrano che i Cie sono superflui e sarebbe ora di cancellarli definitivamente dal nostro ordinamento. Sono un luogo afflittivo inutile e abbiamo altri mezzi a disposizione”.
Per Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, non c'è piu nulla che giustifichi l'esistenza dei Centri di Identificazione ed Espulsione. Ne sono rimasti attivi solo cinque, a Roma, Torino, Trapani, Bari e Caltanisetta, con dentro 293 imigrati irregolari, mentre ne potrebbero ospitare 753. E la lor efficacia non è aumentata: solo la metà dei trattenuti viene effettivamente rimpatriato.
I dati del Viminale, secondo un rapporto aggiornato dalla Commissione dopo il recente taglio da 18 a 3 mesi del tempo massimo di permanenza nei Cie, dicono che nel 2014 sono transitati complessivamente in queste strutture 4.986 cittadini stranieri, di cui 2.771 poi effettivamente rimpatriati. Nel 2013 erano stati 6.016, 2.749 dei quali rimpatriati, e nel 2012  7.944, 4.015 dei quali rimpatriati. Calano trattenimenti e rimpatri, quindi, anche se in Italia aumentano gli immigrati.
E dietro le sbarre finiscono persone molto diverse tra loro:  ci sono quelli, ricorda Manconi, che “hanno scontato una pena in carcere e poi vengono sottoposte a una sorta di detenzione accessoria in vista dell'espulsione, ma anche persone che hanno vissuto per anni in Italia e un numero significativo di rom, possibili titolari dello status di apolide, e richiedenti asilo”.
“I Cie  - conclude il presidente della Commissione Diritti Umani- sono un fenomeno residuale che conserviamo come un simbolo intimidatorio, una minaccia simbolica alla quale non si vuole rinunciare. I Cie rappresentano la parte oscura dell'immigrazione. Vi sono trattenute persone destinate ad essere identificate ed espulse, ma che nel senso comune vengono considerate la componente criminale dell'immigrazione: sono come un carcere degli stranieri”.



ACCOGLIENZA? NO GRAZIE. IN VENETO LA RIVOLTA È TRASVERSALE
A Vicenza come a Verona, a Treviso come a Padova, nelle amministrazioni di destra e di sinistra aumenta il malessere per l`immigrazione indiscriminata e cresce l`insofferenza agli ordini dei prefetti. Forse anche per ragioni elettorali.
Panorama, 26-02-2015
Carmelo Caruso
Non li vogliono accogliere i sindaci di destra, ma neppure quelli di sinistra. «Questo non è il Paese di Bengodi, dove un immigrato può venire a mangiare a sbafo» dice Achille Variati, sindaco di Vicenza. In Veneto il Pd di Varíatí e la Lega del sindaco di Verona, Flavio Tosi, sono per la prima volta uniti nella lotta. In tutta la regione non ci sono più alloggi per ospitare i richiedenti asilo, nella provincia di Verona sono rimasti solo tre posti letto e a Treviso 95 sindaci hanno già fatto sapere che non sono pronti a riceverne ancora «perché è il momento di finirla con l`autoritarismo savoiardo del governo» risponde infuriato Marzio Favero, sindaco di Montebelluna.
«Ma io credo che anche questa volta il Veneto riuscirà ad accogliere gli immigrati. Abbiamo fatto un grande lavoro e continuiamo a farlo, infine confido nella provvidenza come nel settembre scorso: proprio la mattina in cui arrivavano i profughi e non c`erano posti, un albergatore a mezzogiorno decise di mettere a disposizione le sue camere» rassicura il prefetto di Verona, Per la Stancari, donna risoluta e gentile.
Sono 2.543 i migranti arrivati dai primi di gennaio, ma al Veneto ne dovrebbero essere assegnati 3.742 e si sta già raschiando il fondo, come racconta a Vicenza il viceprefetto Antonio Marchesiello. Nell`area la resistenza civile contro l`immigrazione incontrollata non è più una campagna soltanto della Lega, che in questa terra è votata perché amministra con concretezza, ma è il malessere del sindaco pd di Treviso, Antonio Manildo, un giovane che viene dall`associazionismo.
È lo stesso scontento di Variati, un renziano, «anzi, renzianissimo, ma il governo sta gestendo l`emergenza come farebbe un bambino da scuola elementare». E ci sono i comuni di Oderzo, Mogliano Veneto, Vittorio Veneto: tutti municipi di centrosinistra che si oppongono ai trasferimenti che avvengono per disposizione prefettizia, addirittura con la minaccia dì sanzioni come ha fatto sapere il prefetto  di Venezia, Domenico Cuttaia.
Nel Veneto si sta esaurendo la solidarietà. Però non è intolleranza ma semmai solo l`ostilità di chi detesta l`inoperosità: così pensa la signora Spiller, proprietaria dell`hotel Adele di Vicenza, che ospita 90 migranti e che grazie a loro è riuscita a salvare il lavoro di 30 dipendenti: «I veneti non sono razzisti, ma non sopportano l`idea di vedere questi ragazzi stare fermi e chiusi in un albergo». Anche la signora Spiller vorrebbe vederli lavorare, «ma non è possibile se prima la commissione territoriale non decide sul diritto d`asilo di ciascuno».
E infatti è vero che in Veneto oggi sono stati accolti e soggiornano 2.543 migranti, ma in un anno ne sono passati ben 6.767, in pratica 4.254 anime si sono disperse prima ancora che una commissione decidesse se fossero perseguitate o semplici clandestini. C`è voluta la macelleria dell`Isis perché il capo della Polizia nel giugno 2014 imponesse la fotosegnalazione immediata in questura, un`operazione che prima veniva effettuata a distanza di giorni: quanto bastava, racconta un funzionario di polizia, a farli fuggìre nel nord Europa dopo una notte in Italia.
A Verona Antonio Maiorano, volontario all`ostello della gioventù di Villa Francescati, ne ha già visti partire 108: «Erano quasi tutti siriani, ora ne sono rimasti 63». Ma ci sono anche i «dublinati», cioè quei migranti che richiedono asilo in Italia e che stanchi di attendere l`esito fuggono. «Secondo il trattato di Dublino è lo Stato in cui sbarcano che deve pronunciarsi sull`asilo. Molti Paesi li rispediscono indietro» rivela il viceprefetto Marchesiello.
Non è fuggito Omar, una pulce di ragazzo, eritreo, che in Veneto ha trovato un ruolo, anzi una maglia: «Gioco negli juniores del Vicenza» dice in un italiano sufficiente e con un sorriso brillante. Finora a tenere alto il blasone del Veneto solidale sono state le associazioni di volontariato, Caritas su tutte, e alcuni ordini religiosi.
«Qui a Treviso nessun albergatore ha accettato di accoglierli, nonostante lo Stato assicuri 34,89 euro al giorno per ogni migrante» dice Paola De Palma, una dirigente della prefettura di Treviso tutta sola nel palazzo già vuoto e pieno di silenzio. È vero che proprio il prefetto di Treviso ha dato ordine di disperderli? «Con il termine "disperdere" intendevamo dislocare in più strutture» risponde De Palma, che da toscana è abituata a tagliare corto anche quando c`è da tirare lungo con le polemiche. E aggiunge: «Le dico che capisco la paura dei veneti, ed è per questo che preferisco vedere accolti questi poveri diavoli che vederli scappare dopo una notte».
A Vicenza gli albergatori che hanno deciso di aprire ai migranti, pochissimi, vengono minacciati al telefono; a Venezia i simpatizzanti leghisti hanno tempestato di telefonate l`Istituto Morosini che è uno stabilimento balneare del lido, dalla struggente serenità, destinato in estate ai piccoli con handicap. «Ci chiedono di venire a soggiornare gratuitamente, anzi a farsi le vacanze, come ha suggerito il leader della Lega, Matteo Salvini» dice la presidentessa Anna Miraglia. E neppure finisce di dirlo che fuori dal Morosini, Forza Nuova inscena un happening al grido «aprite, vogliamo venire anche noi».
Da quando è iniziata l`emergenza, nove mesi, c`è un`unica commissione, quella di Gorizia, che deve esaminare le richieste di asilo sia del Friuli-Venezia Giulia sia del Veneto, oltre quelle dei frontalieri che vengono dalla terraferma, soprattutto Afghanistan.
Ma la commissione di Gorizia non ce la fa. Le richieste d`asilo sono ferme da mesi. «Manca un coordinamento, così non ha senso fare ciondolare questi migranti, mí ribolle il sangue» si difende il sindaco Manildo. Senza saperlo, a Treviso, Manildo utilizza esattamente gli stessi simboli dei sindaci di destra: «Ogni recipiente» dice «si può riempire fino a quando è colmo». A Verona, Flavio Tosi precisa: «È come avere un tubo rotto e noi mettiamo secchi facendo finta di non sapere che è il tubo che va aggiustato». A Padova, l`altro leghista Massimo Bitonci sembra quasi il più moderato di tutti: «Nessuna forma di collaborazione con i prefetti. Sono preoccupato per l`ordine pubblico. E poi lo dico anche a difesa degli immigrati, le carrette su cui viaggiano sono tombe che galleggiano».
Molti ìn Veneto pensano che in realtà il cuore dei sindaci si stia rimpicciolendo non per paura dei migranti, ma per paura di perdere le elezioni. Non è vero che nel Veneto la microcriminalità sia aumentata con gli sbarchi, e lo dicono le statistiche. Ma Variati resta scettico: «Con questo sistema non si accolgono i profughi ma si spingono alla clandestinità, anzi si fabbricano clandestini» argomenta.
Però i sindaci non hanno torto. I prefetti da nove mesi chiedono l`istituzione di una commissione anche a Verona, per analizzare le richieste d`asilo, forti dell`esperienza del 2011 quando in dieci giorni il prefetto Stancari riuscì a istituirne una. Fu una commissione modello: 1.406 domande esaminate in sette mesi, 149 sedute, e tutto realizzato senza chiedere un solo funzionario in aggiunta. Dal prossimo 1° marzo finalmente dovrebbe operare questa nuova commissione, da mesi c`è perfino il presidente designato, la dottoressa Adriana Sabato. Ma perché tanta lentezza?
Il ministro degli Interni, Angelino  Alfano, dovrebbe sapere che assegnare  rapidamente lo status è meno oneroso per  lo Stato rispetto al ricovero delle speranze,  alla villeggiatura dell`affamato. Venga a  Venezia, venga qui al Lido chi ha voglia di  vedere questo strano fenomeno. Quando  la nebbia non si poggia sulle bricole e  sui pontili, è possibile vederli. Escono dall`Istituto Morosini, oltrepassano il  cancello circondato da piante d`alloro e sbucano per una strada stretta che porta  a Malamocco.  
I migranti passeggiano senza scopo  avanti e indietro dallo stabilimento Morosini fino all`hotel des Bains dove Luchino
Visconti venne a girare Morte a Venezia. Si spingono fino al casinò e poi ancora avanti, fino al palazzo del cinema dove tra un paio di mesi lotteranno come polli i paparazzi e sarà tutto moda e celluloide. A chi andrà quest`anno il Leone d`oro? Adesso, a Venezia, a calpestare il «red carpet» ci sono gli spiantati della terra.
 


Il trattenimento dei cittadini stranieri nella nuova normativa italiana: vecchi e nuovi profili di incompatibilità con l’ordinamento europeo
Melting Pot Europa, 25-02-2015
Annapaola Ammirati
Riceviamo e pubblichiamo questo testo scritto da Annapaola Ammirati, che ringraziamo.
Tra le politiche di controllo rivolte ai migranti irregolari rientrano le misure privative della libertà personale, che, solitamente legate alla mancanza delle condizioni che autorizzano l’ingresso o il soggiorno del cittadino straniero sul territorio dello Stato, consentono agli Stati di ricorrere al trattenimento al fine di facilitarne il rimpatrio.
L’aumento dei flussi migratori e la crescente tendenza alla criminalizzazione dell’immigrazione hanno condotto ad un generale recupero della sovranità statale, concepita come necessità di garantire l’integrità territoriale. Il controllo delle frontiere è diventato quindi un aspetto essenziale della statualità moderna.
Anche il diritto dell’Unione europea, dove è comunque evidente il prevalere di una logica securitaria, prevede la possibilità di limitare la libertà personale degli stranieri presenti sul territorio degli Stati membri ma privi di un regolare titolo di soggiorno. Ciò è in ogni caso permesso entro determinati limiti, soprattutto al fine di realizzarne il rimpatrio.
Il 25 novembre scorso è entrata in vigore, nel nostro ordinamento, la legge 30.10.2014 n. 161 (legge europea 2013 bis) recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Il provvedimento, al fine di evitare l’avvio di ulteriori procedure d’infrazione, è volto ad adeguare l’ordinamento giuridico italiano a quello europeo, soprattutto nei casi di errato recepimento della direttiva rimpatri.
Con lo scopo di indagare la conformità delle norme di diritto interno alla disciplina comunitaria, si esaminano due significative pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea, su rinvii pregiudiziali di giudici nazionali. Si evince, tuttavia, che l’impianto introdotto presenta ancora notevoli profili di criticità rispetto alla normativa comunitaria, tanto da far ritenere che il processo di adeguamento della disciplina interna in materia di rimpatri possa considerarsi tutt’altro che compiuto.
Une delle principali novità della nuova normativa è la disciplina concernente i tempi di trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ridotti drasticamente da 18 mesi ad un termine massimo di 90 giorni. La durata della detenzione costituisce il punto critico della disciplina europea in materia. Infatti, una tal estensione del periodo di trattenimento non sembra coerente con la concezione dello stesso come risorsa di ultima istanza.
Nel frattempo, in questi giorni, la Grecia ha annunciato l’immediata chiusura del suo principale centro di identificazione ed espulsione, Amygdaleza, ed altre misure che portano a un radicale stravolgimento della sua politica verso gli immigrati, impegnandosi inoltre a esaminare l’opportunità di misure alternative alla detenzione nei centri. Proprio un Paese come la Grecia, dove le condizioni di detenzione degli stranieri, ripetutamente condannate anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sono talmente spaventose che gli altri Stati europei non vi hanno più indirizzato i cittadini di Paesi terzi secondo quanto previsto dal Regolamento “Dublino III”.
Nelle politiche statali di gestione dei flussi il ricorso alla detenzione dovrebbe rappresentare l’ultima risorsa e ritrovare la connotazione di misura eccezionale. Resta il fatto che ogni privazione della libertà personale costituisce una grave intrusione nei diritti fondamentali dell’individuo e, da questo punto di vista, fin qui abbiamo sbagliato tutto. Chissà, che seguendo l’esempio greco, l’Italia e l’Europa, tutta, non si muovano nella giusta direzione, verso l’accoglienza e l’inclusione dei migranti, mettendo in campo misure alternative alla privazione della libertà.



Rom, Strasburgo richiama l’Italia. Roma risponde: “Stiamo smantellando i campi”
Il rapporto del Consiglio d’Europa critica l’Italia per la mancata integrazione dei Rom nonostante i fondi investiti. La capitale reagisce annunciando il superamento definitivo dei sette villaggi della solidarietà e dei quattro centri di raccolta dei nomadi nel triennio 2015-2018. Ma cosa accadrà a chi non avrà più il campo dove vivere?
La Stampa, 26-02-2015
Flavia Amabile
Ancora una volta da Strasburgo arriva un forte richiamo nei confronti dell’Italia e delle sue politiche molto lontane dall’integrazione per i Rom nonostante i fondi investiti. Lo denuncia l’Ecri, la commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, del Consiglio d’Europa, nel suo ultimo rapporto sull’Italia.
Ci sono stati alcuni passi avanti ammette la commissione - ma il processo che dovrebbe portare al pieno rispetto dei diritti dei Rom «è lento». Più di ogni altro aspetto, l’Ecri sottolinea che le autorità italiane non hanno ancora introdotto misure per assicurare ai Rom colpiti da ordini di sgombero i diritti garantiti agli altri cittadini, vale a dire la possibilità di contestare l’ordine di sgombero, di sfratto, davanti a un tribunale, e la possibilità di accedere a un luogo dove poter abitare.
Non è il primo richiamo nei confronti dell’Italia da parte di Strasburgo. Il Campidoglio assicura che sarà uno degli ultimi se non proprio l’ultimo. Roma ha avviato un percorso di superamento dei campi rom, assicura l’assessore alle Politiche Sociali Francesca Danese. Nel corso degli anni hanno assorbito investimenti davvero notevoli senza risolvere alcun problema anzi: hanno ghettizzato ancora di più chi era all’interno e permesso la sedimentazione del malaffare, spiega l’assessore. Il sistema sarà superato promette e altrettanto fa il sindaco Ignazio Marino. Se le promesse verranno mantenute si procederà per gradi, partendo dai campi di via Salvini e il Residence Rom e proseguendo con gli altri. Nel lungo termine si dovrebbe arrivare al superamento definitivo dei sette villaggi della solidarietà e dei quattro centri di raccolta dei nomadi, nel triennio 2015-2018 si vorrebbe arrivare alla chiusura di due insediamenti e di due centri provvisori.  
Che cosa accadrà a chi non avrà più il campo dove vivere non è chiaro. Per chi è nei residence ci saranno dei buoni casa per gli altri si sta tentando di capire se si potrà pensare a dei “percorsi personalizzati”. Tutto è possibile anche se le cifre del problema impongono molta cautela. Ci sono circa 40mila rom e sinti su più di 100mila che abitano in insediamenti formali ma anche del tutto improvvisati nelle periferie di tutt’Italia. A Roma ad abitare nei campi veri e propri sono 4.391 rom (dai circa mille di Castel Romano, fino agli appena 150 di Lombroso), altri 680 vivono nei centri di raccolta. A non avere una casa è una percentuale molto bassa della popolazione Rom e Sinti .
Cifre e costi sono contenuti in un rapporto del consigliere Riccardo Magi, presidente dei Radicali italiani, e dall’associazione 21 Luglio su richiesta dello stesso sindaco Marino. Solamente nel 2013, oltre sedici milioni di euro, cui circa il 60% rappresentato dai soli costi di gestione. Per il mantenimento di ogni famiglia all’interno, si va dagli 11 mila del Villaggio di Lombroso (con 30 famiglie presenti), agli oltre 27 mila del villaggio di Castel Romano (con 198 famiglie presenti). E non è tutto. Nei tre Centri di raccolta Rom il costo annuo per famiglia è quasi doppio, per un totale di oltre sei milioni di euro, nonché le spese sostenute ogni ano dal Comune di Roma per gli sgomberi, superano il milione e mezzo. Soldi investiti in un’operazione che ha ottenuto in questi anni la bocciatura del Tar, del Consiglio di Stato e, nel 2013, della Cassazione hanno portato almeno al superamento dell’emergenza.  



Cittadinanza e voto, l'appello di Grasso: "Rivedere regole troppo restrittive"
Il presidente del Senato:  “Basta emarginazione. Le seconde generazioni devono tutti sentirsi parte di una collettività plurale, unitaria e coesa"
stranieriinitalia.it, 26-02-2015
Roma – 26 febbraio 2015 – Sì alla riforma della legge sulla cittadinanza e al diritto di voto per gli immigrati. Anche il presidente del Senato Pietro Grasso, come la presidente della Camera Laura Boldrini, è in linea con la maggioranza degli italiani.
Grasso è intervenuto stamattina a Palazzo Madama a un seminario Onu/Pam per i Parlamentari della Regione del Maghreb. Parlando delle prospettive  da considerare nella lotta al terrorismo, ha citato anche quella “sociale”: “ Prevenire il terrorismo e le radicalizzazioni, nel Maghreb e qui, in Europa, richiede anche che si sottraggano all'emarginazione e all'esclusione delle periferie coloro che sono vittime delle più gravi diseguaglianze, nei cui confronti le ideologie del male hanno un'attrattiva perversa”.
“Ricondurre alla cittadinanza attiva – ha spiegato - chi si trova spinto ai margini della società è una priorità assoluta, come è importante - penso al mio Paese - che si rivedano le regole troppo restrittive sull'attribuzione della cittadinanza e dei diritti politici agli immigrati, particolarmente quelli di seconda generazione, che devono tutti sentirsi parte di una collettività plurale, unitaria e coesa”.
Infine, il presidente del Senato ha parlato della necessità di un “progresso culturale, in entrambe le sponde del Mediterraneo, che passa in primo luogo per un profondo rispetto di ogni credo religioso, che non deve mai essere motivo di odio e di discriminazione. Un progresso che impone il riconoscimento che la nostra identità, ciò in cui ci identifichiamo e ci riconosciamo, è fatta anche di alterità, di diversità e di preziosa contaminazione”.
“Un cammino duro - ha concluso Grasso - perché è difficile liberarsi dei pregiudizi e del peso della storia, ma ineludibile. Un cammino che vi invito a percorrere insieme”.



Scartata perché ha il velo Il caso alla Corte Suprema
Stati Uniti: un`aspirante commessa musulmana contro Abercrombie
La Stampa, 26-02-2015
Francesco Semprini
Finisce al giudizio della Corte suprema il caso della ragazza in hijab rifiutata dal colosso di abbigliamento per teenager. Nel 2008 Samantha Elauf fece un colloquio di lavoro con Abercrombie & Fitch, per una posizione di addetta alle vendite nel negozio di Tulsa, in Oklahoma. Samantha, allora 17enne, aspirava al ruolo di «modella», doveva far parte della squadra di ragazzi e ragazze immagine che, come in tutti i negozi della catena, indossano gli ultimi arrivi griffati A&F. Elauf fece un`ottima impressione al manager, ottenendo un punteggio elevato, ma quando quest`ultimo si consultò con il responsabile di zona, le quotazioni di Elauf, in base al «look policy», si abbassarono vertiginosamente, e alla fine venne scartata. Il problema per A&F era che Samantha, durante il colloquio, indossava un hijab, il copricapo nero delle fedeli musulmane. E questo era contrario alle severe regole di costume imposte dall`azienda ai dipendenti dei negozi. tra cui il divieto di indossare cappelli, orecchini vistosi e di mantenere copricapo per motivi religiosi.
Senso di emarginazione
Il diniego di A&F non è andato giù a Samantha che tramite l`Equal Employment Opportunity Commission (l`organismo che vigila sulle pari opportunità del lavoro in Usa) ha fatto causa all`azienda vincendo in primo grado. La motivazione è che la società aveva adottato un comportamento discriminante. Nel 2013 la sentenza però è stata ribaltata in secondo grado, perché la ragazza non era protetta dal Civil Rights Act del 1964, visto che durante il colloquio non aveva fatto menzione della necessità di indossare l`hijab per motivi religiosi. In sostanza per la Corte d`Appello, la ragazza sarebbe stata esclusa solo in ottemperanza ai criteri fissati da A&F. La sentenza tuttavia è stata contestata dall`Eeoc, che ritiene assai pericoloso definire necessario per un colloquio di lavoro dichiarare la propria fede.
Un atto discriminatorio in sé quindi. La società si difende spiegando di avere una tradizione assai longeva di inclusività e rispetto delle diversità, ma se la Corte suprema dovesse dar ragione alla ragazza con l`hijab, la sentenza potrebbe avere una serie di ramificazioni che riguardano ad esempio la gravidanza e le disabilità. In realtà è però l`aspetto religioso quello più caldo, e in particolare per la comunità musulmana, che sull`onda della violenza terroristica islamica, si sente emarginata, discriminata, finanche in pericolo di vita. Come dimostra l`omicidio di tre studenti musulmani all`università della Carolina del Nord. Una potenziale polveriera visto che gli immigrati provenienti da Paesi musulmani sono in numero superiore rispetto anche a quelli dall`America centrale.
 

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