La vera tragedia biblica

 Luigi Manconi 

Passiam di plebi varie tra i dolori, de la nazione umana precursori”
Pietro Gori, 1895
Il primo a usare la formula “esodo biblico”, dopo le rivolte nei paesi del nord Africa, è stato il ministro dell’Interno Roberto Maroni. In ragione della sua impareggiabile prevedibilità, la formula non poteva non avere un gran successo: e, così, è stata detta e ridetta e, a distanza di alcune settimane, è stata ripresa dal presidente del Senato Renato Schifani.
 Il che ne ha sancito la definitiva e inappellabile inutilizzabilità. Ma il suono, evidentemente, restava, ancora nell’aria, carico di una inquietante minaccia. Tanto più che quell’aggettivo, “biblico”, veniva accostato a una ridda di cifre tanto approssimative e infondate quanto vertiginose: si è arrivati a parlare di 2,5-3 milioni di persone che premerebbero sulla costa sud del Mediterraneo. Nessuno, ovviamente, ha provveduto a indicare fonti e a segnalare basi (statistiche, demografiche, economiche, sociali) di un fenomeno di così abnorme portata. E, per certi versi, è vero che l’efficacia di quelle cifre è tanto più suggestiva quanto più risulta mera evocazione, pura immagine, richiamo fantasmatico. A nulla vale sottoporre empiricamente quelle cifre al test di un elementare buonsenso. Per esempio: se le barche provenienti dal nord Africa portano ciascuna, alcune decine di persone (fino a un massimo di 200/250), un semplice calcolo aritmetico, dovrebbe essere sufficiente a ridimensionare l’entità di quell’ “esodo”. Eppure appena qualche giorno fa, lo stesso Maroni ha evocato un termine ancora più minaccioso: “invasione”. A tutto ciò sarebbe profondamente sbagliato, ma soprattutto vano, opporre semplici rassicurazioni. Il problema esiste, eccome se esiste. Ma si tratta di governarlo, non di rimuoverlo. Si tratta di programmare l’accoglienza – certamente a livello sovranazionale – non di limitarsi alla strategia del respingimento. Si tratta di organizzare con saggezza e con prudenza, adeguate modalità di controllo e distribuzione dei flussi, non di reprimerli e di schiacciarli all’origine, come si ritiene utopisticamente di poter fare. Il dramma è che “esodo biblico” e “invasione” sono altrettanti esorcismi, che hanno il solo scopo di sublimare le nostre paure e di immobilizzarci. Un esempio? Dal 20 novembre del 2010 l’Italia e l’Europa non hanno saputo trovare una soluzione al dramma, questo sì “biblico” (si consuma sul Sinai, ha come paesaggio il deserto, trascorre tra schiavitù e fuga), di appena poco più di duecento profughi in mano ai mercanti di carne umana. E una parte di essi, in precedenza, erano stati respinti mentre tentavano di raggiungere le coste italiane. A distanza di mesi, questa è la situazione, come viene raccontata da don Musssie Zerai, prete cattolico eritreo che, dall’Italia riesce a collegarsi telefonicamente con quegli infelici: “inizialmente siamo entrati in contatto con 80 eritrei provenienti dalla Libia, poi abbiamo saputo di altri 170 ostaggi. Non conosciamo quale fine abbiano fatto 100 di essi, presumibilmente venduti a un altro gruppo di trafficanti. Tra il 28 novembre 2010 e il 5 marzo 2011, 20 persone sono state uccise e altre sono state sottoposte a intervento chirurgico per l'espianto di un rene come forma di pagamento del riscatto. A ciò si aggiunge la violenza quotidiana, anche sessuale, esercitata sugli ostaggi. Sono incatenati, affamati e tenuti in condizioni disumane. Da pochi giorni sappiamo dell’esistenza di un altro gruppo di 30 sequestrati. Affermano di aver assistito all’espianto di organi dai corpi di persone appena uccise. Gli unici usciti da questo incubo sono quanti hanno avuto la possibilità di pagare il riscatto grazie all’aiuto dei loro familiari e amici. Ad oggi risultano essere nelle mani dei predoni circa 150 eritrei ed etiopi. Non può essere taciuto che questa situazione è una delle conseguenze della politica europea di chiusura delle frontiere che sempre più, attraverso la costruzione di muri fisici, legali e amministrativi, allontana le persone che cercano protezione nel nostro continente”.
Così don Mussie Zerai. E il suo grido d’aiuto, inascoltato per mesi, oggi rischia di incontrare un silenzio ancora più assoluto. Ma al peggio non c’è mai fine e a errore siamo capaci (eccome se siamo capaci) di aggiungere nuovo errore. Immaginiamo quale sia oggi la risposta all’allarme lanciato dal sacerdote eritreo: con tutti i nuovi profughi a cui pensare, come curarci di questi profughi “vecchi” di quattro mesi? A ciò possiamo replicare in un modo solo. Ed è un modo assai più concreto e razionale di quanto possa apparire: “non ci si può salvare da sé”. E non è che la si debba considerare una boiata solo perché, a scriverlo, è stato quel comunista di Bertold Brecht. 
l'Unità, 11 marzo 2011
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