Immigrazione: le nostre parole sbagliate

Valentina Brinis  Ernesto Maria Ruffini
“Le parole sono importanti” - come qualcuno ha detto - “chi parla male, pensa male, vive male” e, aggiungiamo noi, fa vivere male gli altri, che forse è anche peggio.
Negli ultimi anni, nell’affrontare il tema dell’immigrazione, la sinistra sembra avere dimenticato le proprie parole e sembra avere accolto, con rassegnazione, un vocabolario non suo, eccessivamente condizionato dalle paure collettive. Tutte da rispettare e da affrontare per disinnescarle, ma nessuna da assecondare. Troviamo tracce di questa rischiosa omologazione linguistica e politica anche in alcune posizioni espresse all’interno del Pd – e persino dei ragionamenti di Walter Veltroni - nel più recente dibattito sull’immigrazione. Si pensi alla proposta di adottare un metodo di “selezione”  delle persone che intendono venire nel nostro paese da applicare nelle ambasciate italiane all’estero. I criteri di “selezione”, valutati con un punteggio e considerati meno “discriminatori” rispetto alla cittadinanza o al sesso, sarebbero l’“età”, la “formazione” e il “progetto di vita” da attuare in Italia.

Sono queste le parole della sinistra? Davvero si possono applicare criteri di selezione così poco scientifici? Ma poi, selezionare non vuol dire identificare gli elementi migliori all’interno di un insieme omogeneo? Ma vogliamo davvero omologare l’intera categoria degli stranieri, che è per sua natura eterogenea? E ancora, abbiamo davvero deciso che qualcuno possa ergersi a giudice del “progetto di vita” di qualcun altro? E infine un’ultima domanda: che punteggio si darebbe a una persona di mezza età che non ha potuto frequentare la scuola e che desidera venire in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita?

È per questo che le parole sono importanti, e l’uso approssimativo delle stesse si rivela dannoso. E ciò è vero soprattutto oggi, quando sono già in molti ad alimentare sentimenti xenofobi e discriminatori attraverso l’utilizzo di termini inappropriati. Si pensi allo scarso supporto, emotivo oltre che giuridico, espresso dal linguaggio adottato quando si parla di clandestini a proposito delle vittime dei respingimenti in mare. Parole che lasciano perplessi per la violenza con cui sono espresse e da cui è sempre più necessario prendere le distanze. Ricordiamo infatti che le migrazioni sono esistite prima ed esisteranno anche dopo la Lega Nord.

A sinistra, ormai da tempo, si fa a gara per essere i John Kennedy o i Barack Obama del panorama italiano. Ma Kennedy e Obama, in momenti, anche drammatici della storia americana, hanno saputo affrontare le difficoltà facendosi promotori di proposte alternative e coerenti con la propria cultura e i propri valori. Saprà la sinistra essere all’altezza di due esempi che giustamente rivendica e considera punti di riferimento?

l'Unità 25 ottobre 2010
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