Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 settembre 2014

Oltre 3mila morti da inizio anno nel Mediterraneo
il sole, 30-09-14
Sono 3.072 gli immigrati morti nel Mediterraneo nel 2014. Un numero che corrisponde al 75% dei 4.077 immigrati deceduti dall`inizio dell`anno e che fa dell`Europa la destinazione più pericolosa per chi lascia il proprio Paese. Lo riferisce lo studio di oltre 200 pagine «Fatai Journeys: Tracking Lives lost during Migration» reso noto ieri a Ginevra dall`Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim).
Nel complesso, dal 2000 a oggi sono almeno 40mila le persone che hanno perso la vita mentre tentavano di migrare.
Ma il vero bilancio è probabilmente più alto, poiché molti decessi si verificano in zone isolate e non sono registrati. Alcuni esperti sottolinea l`Oim - suggeriscono che per ogni corpo di migrante scoperto ve ne sarebbero in media almeno due mai rinvenuti. Passando ai dati 2014, dal mese di gennaio a settembre, dei 4.077 migranti hanno perso la vita nel mondo, 3.072 sono morti nel Mediterraneo, 251 nell`Africa orientale e 230 al confine tra Stati Uniti e Messico. Per il direttore generale dell`Oim Lacy Swing, «è il momento di fare di più che contare il numero di vittime. È ora - aggiunge di coinvolgere il mondo per fermare la violenza contro i migranti disperati».



Migranti, il rapporto Oim: 3072 morti nel Mediterraneo dall'inizio dell'anno
Secondo i dati illustrati a Ginevra dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Europa è la destinazione più pericolosa
la Repubblica.it, 29-09-14
GINEVRA - Sono 3.072 gli immigrati morti nel Mediterraneo nel 2014. Lo riferisce l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), concludendo che l'Europa è la più pericolosa destinazione per gli immigrati irregolari. Il numero corrisponde infatti al 75% della cifra (4.077) degli immigrati morti dall'inizio dell'anno. Il 2014 è stato dunque "l'anno più mortale", con un numero record di vittime, pari a oltre il doppio di quello registrato nel 2011, anno segnato dalle primavere arabe.
Inoltre, sempre secondo lo studio "Fatal Journeys: Tracking Lives lost during Migration", reso noto oggi a Ginevra dall'Oim, dal 2000 ad oggi sono stati oltre 22.000 i migranti che hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo cercando di raggiungere l'Europa, contro i 6.000 decessi di migranti al confine tra Usa e Messico. Coloro che sono morti alle porte del Vecchio Continente per la maggior parte provenivano da Africa e Medio Oriente.
Complessivamente, riferisce ancora l'Organizzazione, dal 2000 a oggi sono almeno 40.000 i migranti morti in tutto il mondo mentre cercavano di entrare in Europa, negli Stati Uniti, in Australia o in altri paesi. Ma il vero bilancio è probabilmente più alto, poichè molti decessi si verificano in zone isolate e non registrati. Alcuni esperti infatti suggeriscono che per ogni corpo di migrante scoperto ve ne sarebbero in media almeno due mai rinvenuti.
"E' il momento di fare qualcosa di più che contare il numero di vittime - ha dichiarato il presidente dell'Oim, William Lacy Swing - è il momento di fare in modo che la comunità internazionale si impegni a fermare questa violenza contro migranti disperati".
Lo studio dell'Oim è iniziato dopo la tragedia della migrazione di Lampedusa dell'ottobre 2013, quando 366 migranti sono morti nel naufragio della loro imbarcazione.



SBARCHI QUOTIDIANI: giunti a Crotone 369 clandestini
la Padania, 30-09-14
Ancora gli sbarchi non si fermano: ieri sono stati 364 i clandestini, dalla sedicente nazionalità siriana e afgana, sbarcati nel porto di Crotone, in Calabria. Lo sbarco è avvenuto dopo due giorni di operazioni che hanno tenuto impegnata la Guardia costiera. al termine di una lunga operazione di soccorso che ha impegnato dalla giornata di ieri la Guardia costiera. Tutti si presentavano in discrete condizioni di salute. Hanno viaggiato, secondo le prime testimonianze raccolte, per quattro giorni a bordo del mercantile, privo di codice navale, partito presumibilmente dalle coste della Turchia e rimasto alla deriva nel corso della traversata prima di essere raggiunto dalle navi della Guardia costiera. Tra i clandestini, vi sono 223 uomini, 61 donne e 80 minori tutti accompagnati e facenti parte di nuclei familiari. Una volta scesi dalla nave, gli extracomunitari sono già stati smistati, facendoli salire a bordo di pullman con varie destinazioni: 50 destinati al Lazio; 60 in Abruzzo; 100 in Campania; 80 in Emilia Romagna; 100 in Lombardia; 41 a Cosenza; 25 a Vibo Valentia; 14 a Lamezia Terme.
Ieri, intanto, La squadra mobile Questura di Ragusa ha fermato un egiziano ritenuto lo scafista dell'imbarcazione con 160 clandestini sbarcati, tre giorni fa, a Pozzallo.



Barcone scomparso, l’ombra dei terroristi
Avvenire, 30-09-14
Paolo Lambruschi
Nuovo mistero nelle acque libiche. Da più di 90 giorni non si hanno notizie di 244 profughi eritrei e sudanesi imbarcati dai trafficanti in Libia su un barcone diretto in Italia. Sulla vicenda si allungano ombre inquietanti che arrivano al Sudan e al Sinai. Ed emergono nuovi particolari sul racket del traffico di esseri umani. La disperata denuncia viene da sette eritrei, famigliari degli scomparsi che vivono in Italia da anni, rifugiati in possesso di regolare permesso. Si sono rivolti prima a don Mosè Zerai e ad Alganesh Fessaha, i due angeli custodi dei profughi eritrei diretti in Europa.
Ora chiedono di sapere dove sono i loro cari, in molti casi padri e madri di famiglia. Non vogliono credere che siano nell’elenco dei 22 mila morti nel Mediterraneo dal 2000 ad oggi stimati dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni nel rapporto «Viaggi fatali». Nel 2014 sarebbero già 3.072 le vittime.
Nel quartiere multietnico milanese a fianco di corso Buenos Aires incontro Berhane, che sulla barca diretta verso la Sicilia aveva una sorella, uno zio e una cugina, tutti sui 30 anni. Il rifugiato da un’agenda estrae uno schema a piramide con cinque nomi e numeri di cellulare con prefissi libici e sudanesi.
«Sono i vertici della banda – spiega – che gestisce il traffico di esseri umani dal Sudan alla Libia». Andiamo con ordine. «I miei parenti – spiega – erano fuggiti da Juba, la capitale del Sud Sudan dove avevano aperto un negozio, a Khartoum e hanno deciso di raggiungermi in Italia. Hanno contattato uno dei capi trafficanti della capitale sudanese, tale Abdallah. Costui ha un fratello a Tripoli, Ibrahim, numero due dell’organizzazione. Il boss si chiama Naser, un libico ricco e potente che vive a Tripoli e possiede le barche con le quali organizza i viaggi». I suoi parenti come li hanno contattati?
«Attaverso il tam tam degli africani diretti in Libia dal Sudan. I miei famigliari hanno pagato ad Abdallah 1600 dollari a testa per il viaggio in pick up nel deserto fino alla capitale libica in maggio. Quindi a Tripoli sono stato consegnati a Ibrahim, cui hanno versato altri 1600 dollari ciascuno. Li hanno chiusi in un magazzino gestito da un giovane eritreo, Measho. Per quasi un mese ho sentito mia sorella cinque volte al giorno. Il 24 giugno mi ha comunicato che il giorno dopo Measho aveva trovato una barca sulla quale sarebbero salite 244 persone, 197 eritrei, 46 sudanesi e uno scafista tunisino. Ma il 25 una retata della polizia, che poi li ha rilasciati, ha fatto rimandare il viaggio al 27. La sera del 26 alle 23,30 ho sentito per l’ultima volta mia sorella che mi confermava la partenza l’indomani. Poi il silenzio». E i trafficanti che spiegazioni hanno fornito?
«Measho ha detto che erano partiti. Poi ha spento il cellulare. Dopo tre giorni di angoscia sono riuscito a parlare con Ibrahim. Mi ha detto che sulla barca avevano caricato hashish e che la polizia italiana li aveva arrestati. Ma non risulta. Ho recuperato i nomi di altri due membri della banda. Uno, Jemal, è eritreo e mi ha detto che la nave è affondata vicino alla costa perché era malridotta. Parte delle persone erano morte e i superstiti venduti a un’altra gang. Quando gli ho fatto notare che i corpi non erano mai stati recuperati ha smesso di rispondere alle mie chiamate».
I particolari inquietanti sono diversi. Jemal e Measho hanno lavorato a lungo per le bande di trafficanti nomadi Rashaida, responsabili dei sequestri di eritrei finiti nel Sinai. Jemal, in particolare, è stato dal 2009 al 2013 nel deserto della Bibbia dove ha lavorato con le gang beduine vicine ai jihadisti, quelle che espiantavano gli organi a chi non poteva pagare il riscatto. Perché si è spostato in Libia? Measho nel frattempo è fuggito in Germania dove vive il fratello minore. Sbarcato in Italia il 18 settembre, il 19 aveva già varcato i confini beffando i famigliari che lo avevano intercettato. Chissà se si riuscirà a chiedergli conto della sorte di 244 uomini e donne scomparsi in Libia all’inizio dell’estate.



«Al Papa racconto mio fratello annegato per raggiungermi»
Adal da Bergoglio con altri parenti dei 367 morti di un anno fa a Lampedusa
Corriere della sera, 30-09-14
Giusi Fasano

Adal parla e piange. «Che senso ha? C`è qualcuno che sa spiegarmelo?» chiede. «Io ho la cittadinanza svedese e l`avevo già quando mio fratello Abraham mi disse che voleva imbarcarsi per Lampedusa da clandestino. L`ho scongiurato di non farlo. Quando ho capito che avrebbe provato comunque gli ho spedito i soldi per pagare gli scafisti... Mi chiedo perché, perché per venire da me non ha potuto fare un viaggio regolare e dignitoso?».
Abraham aveva 23 anni, è morto la notte del 3 ottobre dell`anno scorso con altri 367 naufraghi, eritrei come lui, davanti alle coste dell`isola di Lampedusa. Domani Adal arriverà a Roma con una quarantina, fra sopravvissuti e parenti delle vittime, che papa Francesco accoglierà in Vaticano per un incontro. «Abbiamo scritto tutti assieme una lettera che consegneremo al Santo Padre» annuncia lui. E ne cita a memoria un passaggio: «Santo Padre, le chiediamo di levare ancora la sua voce affinché nessuno sia più costretto a lasciare la propria terra e i propri cari obbligato a rischiare la vita per raggiungere l`Europa, la pace e la serenità. Per andare incontro al sogno di una vita normale». È una supplica perché Francesco provi, con la sua voce, a fermare le stragi nel Mediterraneo: «Sua Santità, per favore, faccia tutto ciò che può per aiutarci a fermare questo massacro. Ci aiuti a ridare dignità ai nostri morti». Nella lettera anche la preghiera perché si avveri un sogno a portata di mano: «Che la data della strage diventi giorno simbolo dell`accoglienza e del ricordo, per tutti i popoli del mondo», per dirla con Tareke Brane, presidente del «Comitato 3 ottobre».
Chi non ce la fa, spesso finisce seppellito in una bara senza nome. Adal lo dice e non può fare a meno di pensare a suo fratello, che lui stesso ha «quasi» identificato. La bara 140 oppure la 120: forse la 140, perché il ragazzo lì dentro aveva in tasca una Bibbia come quella di Abraham e un anello che assomigliava al suo. «Santo Padre la voce di Adal riprende a recitare un passo della lettera - alla mia gente piacerebbe che venisse il giorno in cui i nomi dei morti fossero pronunciati una volta ancora, ma per rimpiazzare i numeri, finalmente».
Almeno su questo fronte la soluzione sembra individuata: è pronto un protocollo per identificare i naufraghi attraverso il Dna. Le operazioni di confronto genetico cominceranno da 26 dei parenti che il Comitato porterà, appunto, a Roma da papa Francesco e poi a Lampedusa, per le celebrazioni dell`anniversario.
Un anno fa Adal, 36 anni, da cinque cittadino svedese, fu il primo dei familiari ad arrivare sull`isola, il primo a entrare nell`hangar-cimitero dove i cadaveri chiusi nei sacchi si accumulavano a decine. E fu il primo a sfogliare l`album della morte alla ricerca disperata di suo fratello. Ha una sorella ancora in Eritrea che voleva venire a portare un fiore nel punto in cui è morto Abraham ma gliel`hanno negato. Motivo: non c`è certezza che rispetti la data del rientro. «Nessuno vorrebbe tornare nelle braccia della dittatura» ripetevano i sopravvissuti sul molo, l`anno scorso. Gli uomini, in Eritrea, sono obbligati ad arruolarsi fra i sedici e i cinquant`anni. Se non lo fanno o, peggio, se provano a fuggire diventano traditori. Come Adal, che nove anni fa tentò di arrivare a Lampedusa. Lo fermarono a Malta e lo rispedirono indietro. Sopportò il carcere e la tortura. E un giorno, fra mille mamme che aspettavano di vedere il proprio figlio fuori da un caserma dove trasferivano i prigionieri, lui scorse sua madre. Alzò il braccio per salutarla, glielo spezzarono.
Era il 2005, l`ultima volta che la vide prima di ricevere la lettera della salvezza: veniva dalla Svezia, diceva che Stoccolma aveva accolto la sua richiesta di asilo.



Profughi. Il Viminale: "Foto e impronte digitali vanno prese a tutti, anche con la forza"
Giro di vite sull'identificazione di chi arriva in Italia, per evitare che vada a chiedere asilo in altri Paesi europei. "La polizia procederà in ogni caso"
stranieriinitalia.it, 30-09-14
Roma – 30 settembre 2014 - Profughi e migranti che arrivano in Italia devono essere identificati. Al di là dei documenti che hanno o non hanno in tasca, vanno fotografati e bisogna prenderne le impronte, anche “con la forza”.
 Il governo corre ai ripari dopo le proteste di altri paesi europei. La Germania, l'Austria e altri denunciano che troppo spesso quanti arrivano sulle nostre coste, anche salvati da Mare Nostrum, non lasciano le loro generalità, in modo a poter andare a chiedere asilo nel Nord Europa e non, come imporrebbe il regolamento di Dublino, in Italia.
Il giro di vite è previsto da una circolare inviata nei giorni scorsi dal Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno a prefetti e questori. Dopo aver ricordato che “alcuni Stati membri lamentano, con crescente insistenza il mancato fotosegnalamento di numerosi migranti”, parla della  necessità d’affrontare la situazione emergenziale con rinnovata cura nelle attività d’identificazione e fotosegnalamento dei migranti”.
“Nei mesi scorsi- ammette il Viminale - si è avuto modo di constatare l’oggettiva difficoltà di procedere al fotosegnalamento dei migranti” a causa del “rilevante numero di gruppi soccorsi» dalle navi”. I “tentativi esperiti in tali condizioni” hanno “determinato rilevanti problemi connessi alla sicurezza”.
Ora, “per superare le difficoltà operative riscontrate” si prenderanno subito a tutti foto e impronte.  “”Prescindendo dalla puntuale identificazione sulla base dell’esibizione del documento di viaggio, se posseduto”o anche “dall’inesistenza di motivi di dubbio sulla dichiarata identità “, la circolare dispone infatti che “lo straniero deve essere sempre sottoposto a rilievi foto dattiloscopici e segnaletici”.
I diretti interessati verranno informati della novità con un volantino multilingue (arabo, eritreo, inglese francese e italiano) distribuito dagli operatori di Mare Nostrum. “Il rifiuto di fornire le proprie generalità e di farsi fotosegnalare – spiega – costituisce reato e determina la denunzia all'autorità giudiziaria. In ogni caso la polizia procederà all'acquisizione delle foto e delle impronte digitali, anche con l'uso della forza se necessario”.
Per l'Italia questa decisione è comunque un'arma a doppio taglio. Da un lato tranquilizza i nostri partner europei togliendo loro alibi per non aiutarci nel fronteggiare l'emergenza nel Mediterraneo, dall'altro ci obbliga a garantire l'accoglienza a molte più persone rispetto ad adesso, visto che tanti non potranno più far perdere le loro tracce diventando un problema di altri.



Dai filippini ai cinesi i migranti d`Oriente alla conquista dell`Italia
Lo studio: sono più di un milione, aumentati del 52% in cinque anni "Lavorano o fanno impresa. E i figli hanno un buon rendimento a scuola"
la Repubblica, 30-09-14
VLADIMIRO POLCHI
ROMA. Davanti al ristorante di Zhou Fenxia, nel cuore di Roma, ogni fine settimana c`è la fila. Il locale è grande, ma non basta a smaltire la clientela crescente. Fenxia è un`imprenditrice di successo, ma non è la sola: dietro di lei, un esercito ingrossa di giorno in giorno le sue fila. È il boom dell`immigrato d`Oriente, che sta cambiando il volto urbano delle città italiane. Persi dietro l`emergenza sbarchi, non ci accorgiamo infatti di aver bruciato un record: siamo diventati il primo Paese in Europa per presenza di asiatici. Una crescita impetuosa, oltre il 50% in più negli ultimi cinque anni. Per capirci: l`Italia ospita le comunità cinesi, bangladesi e filippine più numerose del continente.
Tracciare l`identikit degli "orientali d`Italia" non è difficile: crescono a ritmi vertiginosi, lavorano, fanno impresa, mandano un fiume di denaro a casa e delinquono meno degli altri. I dati Eurostat sui permessi di soggiorno sono chiari: l`Italia è il primo Paese per presenza di asiatici (oltre 1 milione al 31 dicembre 2013, quasi un quarto del totale Ue). Ma quello che più salta agli occhi è la rapidità della crescita: negli ultimi cinque anni sono aumentati del 51,6%. A fotografarne l`ondata è ora uno studio della Fondazione Leone Moressa. Cosa emerge? Innanzitutto le nazionalità: quasi un terzo della popolazione cinese in Europa si concentra in Italia. Record per gli immigrati del Bangladesh: addirittura 6 su 10 sono da noi. Il nostro Paese risulta secondo solo per indiani e pachistani, che
scelgono il Regno Unito.
Il loro segreto? «La solidità delle reti sociali e familiari - risponde Asher Colombo, sociologo a Bologna e curatore della collana Stranieri in Italia dell`Istituto Cattaneo - gli asiatici infatti hanno famiglie coese, abbattono i costi di impresa, e soffrono poco di disuguaglianze di genere, impegnando nel lavoro anche le donne. Cosi attraggono in Italia sempre più connazionali». Non solo. Spesso,
sono bravi a scuola. Il 17,6% degli alunni stranieri oggi proviene dall`Asia e «il loro livello di successo scolastico- spiega Colombo -è spesso superiore agli altri immigrati».
Le regioni preferite sono Lombardia (30,2%), Lazio ( 13,6%) ed Emilia Romagna ( 11,6%). Sono un esercito di lavoratori: gli immigrati asiatici hanno infatti un tasso di occupazione del 61,1%, contro il 57,1% complessivo degli stranieri ( già molto alto rispetto al 41,8% degli italiani). I cittadinifilippini, poi, presentano un tasso di occupazione del 77%, i cinesi del 68,5%. Cosa fanno? I cinesi sono
occupati nel commercio (34,5%), gli indiani nell`industria (35,8%) e i filippini nei servizi alle persone (66,7%).
Non manca chi si mette in proprio, come Christine Chua, filippina, arrivata in Italia nel 2000. Tre anni fa, l`idea: Christine fonda la Delta Contract, azienda specialízzata nell`illuminazione delle navi da crociera. Nel 2013 fattura 1,2 milioni di euro. Oggi conta 5 dipendenti estima una crescita del fatturato del 22%. Come lei, tanti sono gli imprenditori asiatici: quasi 135mila. Di questi, 60mila cinesi. E anche qui a contare è il trend di crescita: nell`ultimo anno gli imprenditori orientali in Italia sono cresciuti dell`8,3%, mentre gli stranieri complessivamente hanno registrato solo un aumento del 2,4% e gli italiani sono calati del 1,8%. La nazionalità
che ha segnato l`aumento maggiore è quella del Bangladesh (+18,6%).
L`Asia è anche il primo continente di destinazione delle rimesse degli immigrati in Italia (44,7%), con un tesoro di 2,5 miliardi di euro nel 2013. Il primo Paese di destinazione è la Cina: oltre 1 miliardo. Tra le principali province di invio del denaro, Prato: da qui parte il 16,2% delle rimesse verso la Cina.
Un ultimo dato: gli immigrati orientali delinquono, certo, ma meno degli altri. L`incidenza dei detenuti asiatici sul totale degli stranieri è infatti molto bassa (6,5%), considerando che la popolazione asiatica incide su quella straniera per quasi il 20%. La prima nazionalità è la Cina. Ma conta appena 235 detenuti. «Gli immigrati orientali delinquono meno degli altri - conferma Colombo - e questo grazie al sostengo dei ro gruppi familiari, uniti sul lavoro, tanto da occupare sempre più settori economici. Un esempio? I bar dei cinesi».



Se io fossi un albero farei fatica a capire
la Repubblica Milano, 30-09-2014
FABRIZIO RAVELLI
Io, se fossi un albero milanese, comincerei seriamente a preoccuparmi. Se fossi uno di quei 50 platani di viale Zara, per esempio: grandi, belli e sani a detta di tutti. Stanno li da decenni a rendere meno triste uno degli ingressi a Milano. Se fossi uno di quei platani farei fatica a capire come si è progettato di abbatterci per creare una piattaforma di cemento dove rinchiudere il mercato rionale. Ma anche se fossi la grande magnolia di Largo Cairoli avrei qualche problemino di comprensione. Dicono che il progetto ( di epoca morattiana) prevedeva di segarmi per fare spazio a una pista ciclabile. E questo già è un bel modo di far pensare che la colpa di tutto è dei maledetti ciclisti. Poi dicono che questa pista ciclabile andava protetta da cordoli di cemento, perché gli automobilisti se ne infischiano di una semplice striscia dipinta per terra: il prossimo passo saranno piste scavate in trincea, con cavalli di frisia.
Sarei molto preoccupato anche se fossi uno dei 170 olmi di via MacMahon, dicono che le radici mettono a rischio i binari del tram. Insomma, noi alberi diamo parecchio fastidio. Siamo un ingombro, una minaccia. Come gli immigrati, secondo certa gente, perché anche loro vengono qui a mettere radici. Poi, certo, non è che la giunta Pisapia sia composta da feroci taglialegna. Di solito, dopo che i cittadini si sono mobilitati con proteste, qualcuno ci mette una pezza. Però, quanto invidio l`Albero della Vita, simbolo di Expo: 8 milioni di euro, e nessuno dovrà segarlo.

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links