Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 dicembre 2014

SVIZZERA • «Un sollievo il no al referendum». Parla l`ambasciatore a Roma, Giancarlo Kessler
«Senza immigrati salta tutto»
il manifesto, 2-12-14
Eleonora Martini
Un no che ci solleva». L`ambasciatore svizzero a Roma, Giancarlo Kessler, non nasconde il timore vissuto dal Paese elvetico in queste ultime settimane. Onore alla Svizzera, però, visto che il 74,1% della popolazione ha bocciato sonoramente l`iniziativa Ecopop denominata «Stop alla sovrappopolazione sì alla conservazione delle basi naturali della vita», che chiedeva di limitare allo 0,2% la crescita della popolazione immigrata. E in un Paese che accoglie percentualmente il maggior numero di immigrati in Europa, come testimoniano i dati diffusi proprio ieri dall`Ocse. Se avesse vinto il sì al referendum proposto da un comitato di strani ecologisti e di femministe, poco identificabile in termini di schieramenti politici, il numero di immigrati, frontalieri compresi, si sarebbe dovuto fermare l`anno prossimo a 17 mila unità. Una soglia impossibile, visto che nel 2013 il saldo migratorio si è assestato a 87 mila persone. Domenica, in Svizzera, poco meno del 50% degli aventi diritto si è recata alle urne ma a dire no, questa volta, sono stati anche tutti i cantoni, compreso il Ticino (anche se con la percentuale minore: il 63,1%), dove la pressione dei lavoratori italiani è forte e sentita.
Ambasciatore, come mai i cittadini svizzeri hanno detto sì alla limitazione dell`immigrazione proposta col referendum del 9 febbraio mentre questa volta la bocciatura è stata così netta?
Le due iniziative hanno origini completamente diverse: quella del 9 febbraio era proposta da ambienti conservatori che combattono l`immigrazione mentre Ecopop era sostenuta soprattutto da ecologisti che pensavano di dare così una risposta ai problemi dello sviluppo sostenibile. Chiaramente siamo sollevati che sia stata respinta a grande maggioranza, perché non era una buona risposta ai problemi migratori e in più la proposta di controllo delle nascite, soprattutto nei paesi extra europei, era molto discutibile. Inoltre non avrebbe contribuito allo sviluppo economico della Svizzera perché metteva limiti molto stretti e difficilmente osservabili. Detto questo, comunque il risultato non ci toglie dall`impaccio di dover applicare l`articolo costituzionale approvato dal popolo il 9 febbraio che pone dei limiti generici all`immigrazione, non draconiani come nell`iniziativa Ecopop, ma impone anche, per esempio, la preferenza ai cittadini svizzeri sui posti di lavoro. Si aprono quindi problematiche chiare sulla libera circolazione, oggetto di accordi con l`Unione europea.
I dati dell`Ocse diffusi ieri dicono che la Svizzera è in cima alla classifica europea con 125.600 migranti accolti nel 2012, pari all`1,6% della popo!azione. Lo sviluppo economico elvetico, oggi come 40 anni fa, è legato alla manodopera degli immigrati?
Direi che da sempre quella svizzera è una economia aperta. Per arrivare all`odierna prosperità ci siamo sempre avvalsi di forze estere. Chiaro che in un mondo globalizzato la percentuale aumenta. Ma se 40 anni fa gli immigrati contribuirono a far crescere l`industria o a costruire le grandi opere, per esempio, idroelettriche, oggi si tratta perlopiù di personale ad alta specailizzazione che lavora nell`industria di punta o nei servizi. Dunque la Svizzera, che ha sempre accolto e vive di immigrazione, oggi vuole continuare a cogliere questa opportunità che le permette gli attuali livelli di eccellenza. Le faccio un esempio: nelle scuole politecniche federali, che sono considerate le migliori del mondo, la metà degli
studenti qualificati per un master o per un dottorato, e gli stessi professori ad alti livelli, sono stranieri.
Quali problemi comportano i lavoratori frontalieri in Ticino, e quali conseguenze ha il referendum del 9 febbraio su di loro?
L`articolo del 9 febbraio impone di regolare l`afflusso di immigrati in funzione dei bisogni dell`economia, compresi anche i frontalieri. Quindi la questione è chiara: bisognerà regolare anche questo tipo di lavoratori, che sono italiani, ma anche francesi e tedeschi. Al di là di un partito -Li la Lega dei ticinesi - che fa un`amalgama di concetti e ha fatto dei lavoratori frontalieri italiani la fonte di tutti i problemi del Ticino, però è un fatto che si tratta di un piccolo cantone di 300 mila abitanti incastonato nella Lombardia, con un bacino di utenza di milioni di persone. E sui lavoratori ticinesi, vista la concorrenza dei vicini, c`è una forte pressione. Quindi il salario medio è più basso che nel resto della Svizzera. D`altra parte queste persone lavorano regolarmente e ci sono industrie e servizi che approfittano della presenza di questi lavoratori. Quindi anche il canton Ticino deve decidere che tipo dí sviluppo vuole e poi accettare le conseguenze del libero mercato.



Saggezza svizzera
Il Foglio, 02-12-2014
Luciano Capone
Dalle armi ai superbonus. Nei referendum elvetici senso comune e buon senso spesso coincidono
Milano. Gli svizzeri, domenica scorsa, hanno votato in larghissima maggioranza contro tre referendum su riserve auree, immigrazione e tasse. Evitando esiti che il nostro Giornalista collettivo avrebbe potuto dare per scontati. Il quesito "Salvate l`oro della Svizzera", che chiedeva che la Banca nazionale elvetica detenesse non meno del 20 per cento delle proprie riserve in oro, costringendola ad acquisti massicci di lingotti, è stato respinto dal 77 per cento degli elettori. Il referendum "Basta alla sovrappopolazione", ispirato da idee verdi e di decrescita che puntava a bloccare l`immigrazione, è stato bocciato dal 74 per cento e la proposta "Stop ai privilegi fiscali per i milionari", per abolire il regime forfettario fiscale di cui usufruiscono i super-ricchi che si stabiliscono in Svizzera, ha ricevuto circa il 60 per cento di "no".
Tre temi delicati e, dal titolo stesso delle proposte, facilmente cavalcabili da forze e istinti populisti che invece gli svizzeri hanno respinto in maniera razionale dopo averne discusso civilmente. E tutte le decisioni sono state valutate da un elettorato maturo sulla base di un`analisi costi/benefici più che da pregiudizi e convinzioni ideologiche: l`acquisto massiccio di oro avrebbe creato squilibri e un eccessivo apprezzamento del franco sull`euro; il blocco dell`immigrazione avrebbe danneggiato l`economia facendo calare la manodopera; l`abolizione del forfait anziché aumentare il gettito avrebbe fatto scappare i ricchi contribuenti stranieri. Chissà cosa sarebbe successo in Italia con quesiti del tipo "Salviamo l`oro di Bankitalia" e "Basta privilegi per i superricchi". Gli italiani si scaldano perfino quando i referendum riguardano i vicini svizzeri. Basti pensare a pochi mesi fa, quando socialisti e sindacati elvetici avevano proposto un referendum "per la protezione di salari equi" che comportava l`introduzione di un salario minimo di 22 franchi l`ora (circa 18 euro), pari a uno stipendio minimo mensile di oltre 3 mila euro: giubilo da parte dei grillini, inviti a imparare dal "modello svizzero" dalla sinistra. Il responso delle urne fu però una sonora bocciatura con oltre il 75 per cento di voti contrari alla proposta.
I "salari equi" che scaldavano i grillini e qualche esponente della sinistra italiana - è stato il ragionamento fatto dalla maggioranza dei cittadini svizzeri - avrebbero aumentato notevolmente la disoccupazione proprio nelle fasce più deboli e meno qualificate. Stesso film per un altro referendum dello scorso anno, "1:12 per salari equi", che aveva l`obiettivo di porre un tetto allo stipendio dei manager alto massimo 12 volte quello dei dipendenti: esaltazione dei media italiani, della sinistra e dei grillini, seguita dalla delusione per la bocciatura sancita dagli svizzeri.
Ci sono stati casi in cui sono passati referendum "di destra", come quello del 2009 con cui gli svizzeri hanno deciso di vietare la costruzione di minareti o quello di febbraio di quest`anno con cui hanno deciso di limitare l`aumento dell`immigrazione (ma in maniera meno automatica rispetto al quesito di questo fine settimana). Ci sono stati referendum "di sinistra" come appunto quest`ultimo contrario a un blocco pressoché totale dell`immigrazione, quello del maggio scorso contro l`acquisto di 22 caccia Gripen (l`equivalente dei nostri F-35). Così di volta in volta gli svizzeri vengono bollati dagli osservatori esterni come "razzisti" quando decidono di frenare l`immigrazione e "civili" quando votano contro il blocco totale, "pacifisti" quando votano contro l`acquisto dei caccia e "guerrafondai" quando invece votano contro il divieto di esportare armi (2009) o per la libertà di tenere in casa armi da guerra (2011), "attenti all`equità" quando danno un colpo ai super-bonus dei manager stabilendo che le retribuzioni devono essere decise dagli azionisti e non dal cda (2013) e "amici degli evasori" quando votano a favore dell`amnistia fiscale e del regime forfettario (2014). La realtà è che gli svizzeri in maniera pragmatica, valutando costi e benefici, conoscono prima di deliberare e usano la democrazia come una palestra per imparare a decidere su possibili alternative più che come un`arena in cui azzannarsi con gli avversari.



Fili scoperti e fabbriche illegali La Prato cinese un anno dopo
Con gli ispettori della Asl nel distretto dove morirono in sette
Corriere.it, 02-12-2014
Dario Di Vico, inviato a Prato
Più che un impianto industriale sembra il deposito di un rigattiere. Centocinquanta metri quadri dove si trova di tutto. Citando a caso: due vecchi sedili di auto, quattro trolley, una tv accesa su un programma cinese di quiz, provviste di acqua minerale e di carta igienica, un vecchio dispenser Zanussi di bevande, pacchi di assorbenti, un letto matrimoniale, una brandina da campo, decine di paia di scarpe e centinaia di rocche di filato.
Nella parte più ampia del capannone ci sono gli impianti, si fa per dire. Ovvero ventitré postazioni con macchina da cucire Yuku antidiluviana e altrettante sedie, qualcuna tenuta assieme letteralmente con lo scotch. Gli operai non ci sono, hanno lavorato fino a notte fonda e ora sono via.
Siamo nella più grande Chinatown italiana, a un anno dal tragico rogo che costò la vita a 7 operai che vivevano accanto alle loro Yuku e quello che abbiamo descritto è uno dei capannoni che gli ispettori del lavoro dell’Asl visitano ogni giorno. Cinquanta a settimana, di cui almeno dieci vengono messi sotto sequestro perché ospitano un dormitorio o non hanno l’impianto elettrico a regola.
I giovani ispettori del lavoro assunti dalla Regione Toscana riescono a visitare solo i laboratori che aprono, per quelli sprangati non c’è niente da fare. Li aiuta un’interprete italiana e le persone che si trovano davanti sembrano attori di una commedia con infinite repliche.
C’è un prestanome che non parla una parola di italiano e che prima di firmare i documenti legge il suo nome sulla carta d’identità, una giovane donna che sovraintende al lavoro degli operai, un autista robusto che fa anche da guardiano. Dopo una ventina di minuti arrivano anche i proprietari del capannone, pratesi purosangue che recitano anche loro una parte in commedia. Sono allarmati, insultano i cinesi, intavolano un dialogo con gli ispettori per dire che «li abbiamo avvertiti cento volte che qui non si deve dormire». Ufficialmente il canone d’affitto è di 1.300 euro al mese ma non si sa quanto passa in nero.
Prato è questa. Ieri in città si è celebrato l’anniversario. Conferenze stampa, riti religiosi, l’attore Shi Yang Shi che leggeva storie di immigrati, la cantante lirica Bei Bei che cantava Puccini. Ma la realtà resta quella dura di sempre. La lotta contro l’illegalità vista in presa diretta equivale a prosciugare il mare con un secchiello. Durante la settimana ai controlli preventivi degli ispettori sanitari si affiancano quelli «repressivi» di finanzieri, carabinieri e poliziotti. I sequestri non fanno più notizia, tanto si sa che i cinesi hanno trovato il modo di saltare la burocrazia italiana. Aprire e chiudere le aziende in pochi giorni.
I pratesi temono i dormitori perché portano con sé bombole e rischi di esplosione e per questo gli ispettori scattano quando trovano pareti di cartongesso che nascondono letti e cucine. Le confezioni - si chiamano così i capannoni - producono i semilavorati che vanno a rifornire i pronto moda cinesi capaci di invadere di prodotti etichettati «made in Italy» i mercatini di Polonia, Lituania e Ucraina.
Ed è questa, per l’appunto, la prima conclusione che si può trarre dodici mesi dopo il rogo. Il modello di business del distretto cinese non è cambiato. Dopo la tragedia gli imprenditori asiatici più integrati avevano promesso «trasparenza» ma ci può essere un’industria cinese dell’abbigliamento low cost senza operai sfruttati, capannoni-dormitorio, affitti in nero? Finora, purtroppo, sembra di no, eppure in tanti in questi mesi si sono adoperati per cambiar strada.
I politici di professione non si sono nascosti e la pressione delle istituzioni si è fatta sentire. Il guaio è che, per ora, non c’è un altro modello e finché non lo si troverà si girerà a vuoto. Si daranno alla stampa i numeri dei controlli, la mappa dei sequestri, si aumenteranno gli ispettori ma accadrà che gli stessi imprenditori cinesi responsabili del rogo di un anno fa vengano intercettati telefonicamente mentre cercano un prestanome per ripartire, come se niente fosse accaduto.
In attesa di risolvere le questioni di business una novità va registrata: in città si comincia a parlare sempre più diffusamente delle complicità di tanti pratesi che vivono da piccoli rentier grazie all’illegalità cinese. Il processo per i morti del dicembre 2013 sta diventando il palcoscenico di questa denuncia. Del resto se ci sono 4.500 ditte cinesi a Prato, ci sono altrettanti capannoni e sono dunque tanti gli italiani che vivono di quegli affitti.



Fedi unite contro la tratta dei migranti
Avvenire, 02-12-2014
Luca Liverani
Le religioni insieme contro il traffico di esseri umani. Di ritorno dal viaggio in Turchia – dove ha incontrato esponenti ortodossi, musulmani ed ebrei – papa Francesco compie un altro passo nel percorso di collaborazione con le altre confessioni religiose in difesa della dignità umana. Oggi infatti firmerà in Vaticano, insieme ai rappresentanti delle altre religioni mondiali – anglicani, ortodossi, buddisti, indù, ebrei e musulmani – una dichiarazione comune per l’impegno delle fedi all’eliminazione entro il 2020 della schiavitù moderna e della tratta.
La storica iniziativa è promossa a nome di papa Francesco e del primate anglicano Welby, in occasione della Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù, dalla Global Freedom Network (Gfn), la rete mondiale basata sulla religione con lo scopo di debellare la tratta in tutto il mondo, presentata il 17 marzo scorso in Vaticano. Le firme dell’impegno comune verranno apposte in una cerimonia ufficiale alle 11.15 nella Casina Pio IV, in Vaticano, sede della Pontificia Accademia delle Scienze. L’evento sarà ripreso in diretta dal Centro Televisivo Vaticano.
Proprio il cancelliere dell’Accademia, il vescovo Marcelo Sànchez Sorondo, il 15 novembre aveva promosso un simposio internazionale contro la tratta. Indicando come esempio le legislazioni di Svezia e Norvegia che, colpendo i consumatori, hanno efficacemente ridotto lo sfruttamento delle persone prostituite dalla criminalità.
E oggi è la prima volta che i leader della Chiesa cattolica, anglicani e ortodossi, buddisti, indù, ebrei e musulmani, si impegnano insieme contro la schiavitù. Nella dichiarazione comune il Papa e gli altri leader religiosi sottolineano che la tratta di esseri umani, finalizzata al lavoro forzato, alla prostituzione e al traffico di organi, è un crimine contro l’umanità e dev’essere riconosciuta da tutte le nazioni. Un impegno che dovrà ispirare l’azione sia spirituale che pratica di tutte le confessioni.
I firmatari del documento saranno: per la Chiesa cattolica papa Francesco; per gli anglicani l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby; un rappresentante indù e due buddisti, tra cui il sommo sacerdote della Malaysia; per l’ebraismo il rabbino capo David Rosen e l’altro rabbino Abraham Skorka, vecchio amico di papa Bergoglio; per gli ortodossi, in rappresentanza del patriarca ecumenico Bartolomeo, incontrato dal Papa a Istanbul, il metropolita Emmanuel di Francia; per i musulmani, il sottosegretario di Al-Azhar Abbas Abdalla Abbas Soliman in rappresentanza del grande imam Mohamed Ahmed El-Tayeb, e i grandi Ayatollah Mohammad Taqi al-Modarresi e Sheikh Basheer Hussain al Najafi (rappresentato dal consigliere speciale Sheikh Naziyah Razzaq Jaafar), oltre all’argentino Sheikh Omar Abboud, anch’egli amico di papa Francesco.
Presenzieranno numerosi leader di organizzazioni internazionali, tra cui Andrew Forrest della Walk Free Foundation, partner di Gfn, organizzazioni della società civile e imprese. Al tema il Papa dedicherà anche il Messaggio per la prossima Giornata Mondiale della Pace, sotto il titolo «Non più schiavi, ma fratelli».



Rossi e i vicini di casa rom: la foto che fa discutere i social
Il presidente della Regione pubblica lo scatto e scoppia la polemica. Nei commenti: "Vergognati". Il governatore: "Reazioni impregnate di odio razziale, Facebook intervenga"
la Repubblica.it, 01-12-2014
GERARDO ADINOLFI
"Vi presento i miei vicini. Siamo sul marciapiede davanti alle nostre case", scrive il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi su Facebook pubblicando una foto che lo ritrae con una famiglia di etnia rom che abita in un appartamento vicino al suo, a Firenze.Un'immagine che, però, oltre a 2500 mi piace e oltre 1.700 condivisioni ha attirato tantissimi commenti critici e, come ha ammesso il governatore in un successivo post "in gran parte impregnati di odio razziale".
Nella foto Rossi presenta la famiglia Rom: "Da sinistra Cassandra, Andra, Verdiata e Francesco con in braccio la piccola Narcisa. Accanto a me a sinistra Robert, il papà di Narcisa, e Dragos a destra, suo cugino. Papina, Papusa in ginocchio e Nadia in piedi, la mamma di Narcisa. L'ultima a destra è Dana, la moglie di Dano che ride dietro l'obiettivo e scatta questa bella foto di domenica pomeriggio a Firenze" ma ai toscani lo scatto non piace. Sul social network infuria così la polemica trasformando la discussione, come spiega Rossi, in "uno sfogo violento e irrazionale".
In poche ore la pagina Facebook del governatore della Toscana si è riempita di commenti. "Si vergogni", ha scritto un utente. "Attento, che non ti portino via il portafogli", ha aggiunto un altro.  "Voglio il selfie quando se li ritroverà in camera da letto entrati dalla finestra alle 3 di notte". Poi insulti diretti a Rossi e accuse di usare questa immagine per la sua campagna elettorale.
Giovanni Donzelli, esponente della destra fiorentina invece scrive: "Grazie Rossi, miglior regalo per l'inizio della campagna elettorale non poteva farcelo", il post totalizza, immediatamente, 22 mi piace.  Edoardo commenta: "Vergognati, vai dagli italiani che non arrivano a fine mese!". "Il solito mondialista radical chic in cachemire", scrive Juan". "Se questi sono i suoi vicini di casa sono contento di non stare accanto a lei perché i miei vicini non sono delinquenti che rubano alla stazione ma onesti cittadini che pagano le tasse. Prima gli italiani", afferma invece Davide. "La gente - spiega Martina in un lungo post di commento - non è razzista. E' solamente incazzata".  La risposta del presidente Rossi è in un commento: "Non tutti gli italiani sono mafiosi, non tutti i rom sono ladri".
La famiglia di Rom vicina di casa del presidente della Regione è inserita dal 2001 nel progetto della "Rete per l'ospitalità nel mondo" coordinata da due magistrati, Luciana Breggia e Marco Bouchard. L'abitazione in cui vivono è stata messa loro a disposizione nell'ambito di questo programma. Un membro della famiglia, originaria della Romania centrale, collabora da tempo con la Caritas ed un altro ha un lavoro regolare: il problema più sentito dalla famiglia sarebbe quella del costo dei libri scolastici.
Nel post seguente il governatore, facendo il punto sui commenti "violenti" lancia poi un appello a Facebook: " Bisogna alzare il livello della discussione.Esiste un'iniziativa del Parlamento europeo che si chiama 'No Hate Speech Movement - scrive Rossi - ritengo che Facebook Italia dovrebbe sostenere questa iniziativa e darle risonanza. Sono in gioco la cultura democratica e la convivenza civile". Il progetto No Hate Speech è stato lanciato dal Consiglio d'Europa  contro episodi di intolleranza e linguaggio violento online nel confronti.

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