Centro


Sara Medici
In un tempo in cui sentiamo sempre parlare di globalizzazione sembra che la parola centro ed il suo opposto-complementare periferia siano divenuti concetti ormai superflui dato che attraverso i media noi veniamo come risucchiati in uno spazio artificiale di dimensioni planetarie in cui la televisione e i computer provocano un nuovo tipo di spaesamento; infatti nello sforzo di costruire un immaginario virtuale universalmente praticato esse tentano di cancellare l’appartenenza dei rapporti sociali ad un territorio determinato.
In questo modo sembrerebbe quasi che una nuova storia universale, fondata sull’egemonia dell’economia e sulla cosiddetta modernizzazione, tendesse non più a dialogare con la pluralità dei luoghi del mondo, ma cercasse di annetterseli. Sono in atto, infatti, orami da tempo, alcuni processi giganteschi di trasformazione e di omologazione delle realtà periferiche. Si pensi ad esempio alla progressiva scomparsa delle lingue delle minoranze etniche o all’affermazione dell’agricoltura industriale, che tramite la rivoluzione verde omologò le tecniche di coltivazione dal Canada all’Africa.
È a partire da questi presupposti che ho pensato fosse necessario, in una rubrica che si occupa di parole, partire proprio dalla parola centro, dato che essa, insieme al suo contrario, periferia, oggi viene ad assumere un senso ed un significato nuovi.
A questo proposito cominciamo col dire che nell’epoca attuale i vari “centrismi” dai quali noi occidentali proveniamo: il geocentrismo, l’eliocentrismo, l’antropocentrismo, l’eurocentrismo e il nazionalcentrismo, non hanno più senso dentro un mondo globalizzato in cui ogni popolo, ogni nazione, diviene al contempo centro e periferia di tutti gli altri e in cui, inoltre, stiamo assistendo ad una vera e propria mondializzazione di ogni singola realtà periferica; non credo sia necessario approfondire la questione, basta scendere in strada per rendersi conto di come lo stato nazione Italia stia diventando un  luogo di incontro di tutti i popoli della terra.
La questione, quindi, sta nel ripensare proprio la parola centro a partire dalla contemporaneità, cioè da dentro questo caos-mondo ; per questo cominciamo col far riferimento ad un pezzo di Roberto Saviano tratto dal romanzo-reportage Gomorra nel quale si legge:

“Nascere in terra di camorra […] significa avere un vantaggio, portare su di sé un marchio impresso a fuoco che ti orienta a considerare l’esistenza un’arena dove l’imprenditoria, le armi, e persino la propria vita sono solo ed esclusivamente un mezzo per raggiungere denaro e potere: ciò per cui vale la pena di esistere e respirare, ciò che permette di vivere al centro del proprio tempo, senza dover badare ad altro.”
In questo pezzo lo scrittore sostiene che per sentirsi oggi al centro del proprio tempo, padroni della propria vita, potenti ed importanti, bisogna acquisire denaro e potere usando gli strumenti a nostra disposizione, poiché soltanto denaro e potere sono le coordinate cartesiane che definiscono la nostra globalità; inoltre egli dice una cosa semplice, ma fondamentale, ossia che questo modo di vivere è lampante per chi nasce in terra di camorra; egli lo definisce, infatti, come “un marchio impresso a fuoco”. Il vantaggio che Saviano riconosce nel vivere in terra di camorra, dunque, si riferisce al fatto che chi porta questo marchio addosso è più consapevole di quale sia l’unico senso della vita nel mondo contemporaneo; la frase “portare su di sé un marchio impresso a fuoco”, infatti, rimanda immediatamente all’immagine del tatuaggio che colui che porta vede su sé stesso.
In sostanza lo scrittore dice che chi vive in terra di camorra, in Italia, può sapere meglio degli altri che ognuno di noi si sente centrale soltanto se riesce a dominare denaro e potere, assi cartesiani occidentali; di conseguenza sostiene anche che chi è lontano dal potere e dal denaro è periferico, mentre chi ne controlla il flusso è al centro del mondo. Saviano, tramite la propria arte, riesce a cogliere, quindi, come la coscienza occidentale sia slittata, oggi, dal polo del sapiente greco delle origini  a quello del camorrista mondiale del XXI secolo, ossia dalla mutualità dell’umano verso l’umano, alla volontà di potenza criminale individuale che non bada ad altro; a questo proposito basti pensare alla vicenda della Lehman Brothers Holdings, che in pochi giorni ha rischiato di mettere in ginocchio l’economia mondiale.
Tuttavia se assecondiamo questo pensiero, che è quello dominante, non facciamo altro se non ribadire nuovamente la verità di tutti i centrismi occidentali, cosa che invece la realtà, la Storia, sta smentendo; sia grazie alla grande migrazione dei popoli della terra verso l’opulento occidente, sia grazie alla circolazione culturale che è anche conseguenza del mercato globale, il quale produce, oltre alle merci, l’incontro e la relazione di esseri umani provenienti da tutti “i mondi del mondo”. Se vogliamo essere al passo con la Storia, dunque, e non rimanere fermi nel nostro eurocentrismo, rassicurante ma ormai palesemente fasullo, dobbiamo renderci conto che il concetto di centro non può più essere pensato come “un punto collegato in maniera unidirezionale ad una periferia”, ma deve essere ripensato come un punto intrinsecamente costituito da un moto di relazione multi direzionale; per fare un esempio potremmo dire che il salto mentale che dobbiamo compiere sia esattamente lo stesso che ha portato l’essere umano dal concepire il cosmo come un universo, cioè come unico verso, al riconoscerlo come un multi verso.
Se ripensata in questo modo, dunque come rete di rapporti circolari, la parola centro non traduce più il concetto di subordinazione tra chi è al centro e chi alla periferia, tra chi ha il potere e chi non lo ha, ma un moto di relazione seguendo il quale ogni essere umano ed ogni realtà sociale può essere centro di sé stessa e ogni individuo può sentirsi al centro della storia, al centro del proprio tempo semplicemente perché non è più definito dal possesso di denaro o di potere, ma dalla capacità di mettere in gioco le proprie risorse di scambio, cioè dalla propria capacità di stare in relazione.
Dato che, quindi, la caratteristica fondamentale della realtà contemporanea è la globalizzazione o mondializzazione di ogni singola realtà periferica noi possiamo dare nuovo senso alla parola centro rinunciando al pensiero dominante, al sentire criminale del camorrista del XXI secolo e ritornando alla sapienza occidentale delle origini; vedendo, dunque, il senso della vita, “ciò per cui vale la pena di vivere e respirare” dice Saviano, non nel  moto lineare di subordinazione del potere, ma in quello circolare della relazione tra infiniti centri tutti periferici ossia tra tutte quelle realtà locali dove gli umani si incontrano e vivono cose comuni e in cui si pensa insieme passando attraverso “la rete infinita delle reciprocità”, come scriveva Sartre nella prefazione a I dannati della terra di Franz Fanon .

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