Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 aprile 2013

Servizio civile per tutti, il passo avanti di una comunità
l'Unità, 04-04-2013
Italiarazzismo
Finalmente la discussione sulla partecipazione di persone non italiane al servizio civile sembra essere arrivata ad un punto di svolta.  
Qualche giorno fa, infatti, la Corte d’Appello di Milano ha depositato la sentenza con la quale, lo scorso dicembre, aveva respinto l’appello presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro l’ordinanza del gennaio 2012, secondo cui il bando del servizio civile, pubblicato nel 2011, risultava discriminatorio nella parte in cui limitava la partecipazione ai soli cittadini italiani. Il servizio civile, istituito nel 2005, consiste nell’opportunità “messa a disposizione dei giovani dai 18 ai 28 anni di dedicare un anno della propria vita a favore di un impegno solidaristico”.
La controversia sull’argomento era partita dal ricorso contro il bando del servizio civile del 2011 presentato da  Syed Shahzad, un pakistano che, per quel posto, avrebbe voluto concorrere ma che non potè inviare la domanda perché privo della cittadinanza italiana. Il ricorso, sostenuto anche da Asgi e Avvocati per Niente, si basava sul fatto che il requisito della cittadinanza risultava essere discriminatorio nei confronti di quanti avrebbero voluto impiegare il loro tempo in quel tipo di attività volontarie pur non possedendo tale requisito. Il Giudice nel gennaio del 2012  aveva dato ragione ai ricorrenti sostenendo che il termine cittadino doveva essere inteso con riferimento al soggetto appartenente in maniera stabile e regolare alla “comunità”. A questa definizione non potevano sfuggire, dunque, gli stranieri regolarmente residenti. E nella sentenza, infatti, si legge che il servizio civile nazionale, “dopo la sospensione della leva militare obbligatoria, trova il suo ancoramento nel dovere di solidarietà sociale”, come previsto dall’articolo 2 della Costituzione. A questo punto, la controparte presentò il ricorso (respinto dalla Corte d’Appello di Milano il 20 dicembre 2012) perchè “il dovere di difesa della patria può essere ben adempiuto anche attraverso comportamenti di tipo volontario”. L’argomentazione portata è dunque fondata sul fatto che la “difesa della patria” può anche essere di carattere civile, e non solo militare, e che l’appartenenza alla “patria” stessa prevede il requisito della cittadinanza. Ed è proprio questo il punto su cui, ribaltandolo, fa leva la sentenza della Corte. Essa sostiene che il “servizio civile non è più qualificabile come sostitutivo del servizio militare per gli obiettori di coscienza, una volta che il primo sia stato soppresso” e che le finalità di quell’attività “non si esauriscono nella difesa della patria con mezzi ed attività non militari” ma se ne devono considerare delle altre volte a “favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale, promuovere la solidarietà e la cooperazione a livello nazionale e internazionale”. Ed è a queste attività di “collaborazione civica” che anche la persona straniera può partecipare, potendo così adempiere al “dovere di solidarietà” previsto dalla nostra Costituzione.  
 


Città dei fiori, oltre 6 mila immigrati
Il Secolo XIX, 04-04-2013
Claudio Donzella
Sanremo - La comunità più numerosa è quella marocchina, che ha superato le mille unità, seguita da quella romena; mentre i cinesi, nonostante la diffusa e crescente presenza di attività commerciali, figurano solo al sesto posto, con 243 residenti ufficiali. E sono in forte aumento ecuadoriani e bengalesi.
Sono alcuni dei dati più significativi che emergono dalla mappa aggiornata degli stranieri (e parliamo solo di quelli regolari) che vivono a Sanremo, e che hanno raggiunto un traguardo quasi storico, superando complessivamente le 6.000 unità: vale a dire circa l’11 per cento dei 56.900 abitanti della città, frutto di un aumento costante, al ritmo di 500-600 immigrati all’anno. Nel 2007, ad esempio, gli stranieri risultavano essere 3.609.
Ovviamente, i numeri raccontano solo la “superficie” di un fenomeno che presenta tante variabili, differenti secondo le etnie, il ceto sociale, l’istruzione, il credo religioso. Uno dei terreni più significativi di questo incontro (a volte scontro) tra mondi diversi è la realtà scolastica. Ed è soprattutto, ma non solo, su questo fronte che da oltre un decennio lavora l’associazione sanremese di mediazione culturale “Mappamondo”, presieduta da Antonella Squillace. Che spiega: «Siamo impegnati in un capillare lavoro di alfabetizzazione dei cittadini stranieri, in particolare donne e bambini. Con il progetto “A come Accoglienza” sostenuto dal Comune dall’anno scolastico 2006/2007 si è cercato di supportare le scuole primarie e secondarie di primo grado (elementari e medie) della città e offrire un’accoglienza adeguata alle necessità che un allievo appena inserito in una classe presenta. “Mappamondo” mette a disposizione i propri mediatori culturali: le lingue più richieste dalle scuole sono quella araba, albanese, turca, spagnola, portoghese, cinese, romena, russa, moldava e in ultimo bengalese».
Continua Squillace: «I mediatori vengono impiegati dalle scuole inizialmente per la necessaria raccolta di informazioni, indispensabili per gli insegnanti e per le famiglie neoarrivate o coinvolte da ricongiungimenti familiari, sempre più frequenti, e poi per una programmazione dei docenti mirata ai bisogni delle classi e degli alunni. Questo assieme all’accompagnamento nei primi mesi di permanenza in Italia per i nuovi alunni, in difficoltà non solo per l’apprendimento della lingua ma per un impatto con un sistema scolastico e sociale del tutto sconosciuto e diverso. Dai rapporti consolidati tra l’associazione e le scuole, emerge che il progetto è visto come punto di forza indispensabile, primo “banco” di integrazione. I mediatori non sostituiscono, ma si affiancano agli insegnanti. Inoltre, soprattutto per gli inserimenti dei bambini in corso d’anno, l’utilizzo della lingua madre da parte del mediatore ha permesso agli insegnanti di fare da “ponte” accogliente per il bambino appena arrivato nel nostro Paese. L’aspetto solidale del loro operato, la professionalità e il calore umano sono state le caratteristiche più lodate ed apprezzate dagli insegnanti verso gli operatori di Mappamondo».
Dove le risorse lo permettono, il progetto prevede anche interventi sulla cultura e le tradizioni dei paesi degli alunni stranieri, con proficue esperienze di multiculturalità, «che è il vero importante passo per la convivenza tra i ragazzi, assieme a quello della conoscenza della lingua, per provare ad abbattere stereotipi e pregiudizi dovuti spesso alla non conoscenza dell’altro».
“Mappamondo” offre ai ragazzi stranieri anche corsi e lezioni pomeridiane per potenziare l’apprendimento della lingua, che da quest’anno, in collaborazione con l’assessore ai Servizi sociali Franco Solerio, sono stati trasferiti a Palazzo Gentile Spinola di piazza dei Dolori nella Pigna, dove l’associazione ha anche un suo sportello informativo “Migrapoint” per stranieri; e dove, lavorando in rete con la Caritas Diocesana, tramite il Centro Virgen de Guadalupe, organizza corsi di italiano di diversi livelli, per donne e uomini.



Laura Boldrini "Prima di tutto le persone"
Appena entrata in Parlamento e súbito la poltrona più alta. Laura Boldrini, dopo una vita tra poveri e migranti, approda al Palazzo.
«La gente è arrabbiata», dice, «e ha diritto a risposte concrete. Se vogliamo la ripresa dobbiamo puntare sulla scuola, sui giovani e sul lavoro delle donne».
Faniglia Cristiana
  04-04-2013

FULVIO SCAGLI0NE
Solo le montagne non s'incontrano mai. Più avanti, se avrete la pazienza di scorrere questo pezzo, vi diremo di che cosa si tratta. Intanto, prendiamo atto dell'incontro tra la montagna Laura Boldrini, una vita nelle agenzie dell'0nu (quella per i profughi e i rifugiati, l'Unhcr, in particolare) e tra i bisogni estremi dei più poveri, e la montagna Parlamento, con quel che sempre le associamo: istituzione, politica, politici, e ci fermiamo ai termini neutri. La nomina della Boldrini alla presidenza della Camera è uno dei segnali veri di novità di questo tempo un po' curioso e un po' rischioso.
Inevitabile chiederle quanto della sua prima vita, trascorsa in gran parte tra tende e sabbie, intenda trasferire tra gli stucchi e le dorature di Montecitorio. «Quell'esperienza», risponde la presidente della Camera, «fa parte di me, non mi lascerà mai. È un modo di vedere il mondo e di vedere la vita. Ma per spiegarmi meglio dovrei forse raccontare come e quando mi è stato chiesto di candidarmi alle elezioni per Sel, il partito di Nichi Vendola. Ero in Grecia, dove curavo le attività di comunicazione dell'Unhcr per l'Europa meridionale. Avevo passato l'intera giornata nel centro di Medici del mondo, una Ong che opera nel campo della salute e che, come tale, era nata per assistere in primo luogo i migranti, i rifugiati. Ebbene, nel centro quel giorno cerano tantissimi ateniesi: greci qua- lunque, anziani, disoccupati, gente che non poteva più pagarsi le cure mediche o che aveva rinunciato ad andare in ospedale perché gli ospedali non avevano più medicine. In Grecia, nel cuore della nostra civiltà! Mentre parlo con il responsabile del centro, sento le grida e il pianto di un adulto. Usciamo, c'è un giovane africano con il volto tumefatto, tutto sporco di sangue. Intorno, i suoi amici lo rimproverano: smettila di piangere, non vedi? A lui è successo quattro volte, a Mohammed tre. Sei nero, è normale che qui ti pren- dano a bastonate. L'avevano pestato in pieno giorno, nel centro di Atene. E loro avevano ormai introiettato l'idea di meritare quel trattamento. E in quel momento mi è arrivata la telefonata di Vendola...».
E a chi le chiede (io, per esempio) come la Grecia dello sprofondo e l'Africa della disperazione si aggancino all'Italia in astinenza da benessere, Laura Boldrini, "pericolosa" vendoliana cresciuta negli scout della parrocchia San Filippo a Jesi, risponde cosi: «Lavorando per le Nazioni Unite ho imparato ad adoperarmi per dare una risposta ai bisogni concreti di persone che hanno perso ogni certezza. Oggi, in Italia, ci sono 8 milioni di poveri, le famiglie non arrivano a fine mese. Si muore di disoccupazione, si muore di mancato accesso al credito. La gente è arrabbiata e ha diritto ad avere risposte. Serie e concrete».
Dopo aver lavorato per anni con i giornalisti di tutto il mondo, Laura Boldrini è oggi sotto l'occhio di tutti i giornalisti del mondo. La differenza non è poca. È ormai diventata nota, almeno di nome, anche sua figlia Anastasia, che studia in Gran Bretagna. Forse una privilegiata, rispetto ai 2 milioni di giovani italiani che non studiano e non lavorano; o forse un prototipo dei tanti che sono an- dati lontano, a offrire ad altre nazioni giovinezza ed energia che l'Italia non sa più mettere a frutto.
Presidente, che fare per riportarli a casa? «Non c'è cosa peggiore di un giovane che non crede al proprio futuro. E ce ne sono tantissi- mi cosi, soprattutto al Sud, dove le prospettive di lavoro si allontanano sempre piú. Noi dobbiamo varare un piano specifico di rilan- cio dell'occupazione dei giovani e delle donne. Ma perché ci sia ripresa economica sono essenziali la ricerca e l'innovazione. Quindi, è centrale la scuola. In tempi di crisi, tagliare i fondi alla scuola e alla ricerca è miope. E l'Italia proprio questo ha fatto, spingendo i nostri "cervelli" a restituire altrove quanto avevano imparato qui. Un Paese che fa questo muore. E lo stesso vale per le donne: in Italia, solo il 52 per cento lavora o cerca lavoro, una delle percentuali più basse d'Europa».
Prima volta in Parlamento e via sulla poltrona più alta. Laura Boldrini alla Camera e Pietro Grasso al Senato. Intorno vortica il ciclone grillino. Ho però per la presidente questo dubbio: altre volte, a torto o a ragione, si è pensato che l'irruzione della "società civile" potesse cambiare il Palazzo. Lo si disse per la Lega, per Berlusconi nel 1994... Che cosa c'è di diverso, oggi? «Intanto le persone sono davvero indignate, molto più di prima. E poi la situazione è molto più critica rispetto al passato. Infine, i parlamentari sono molto più giovani, ci sono molte piü donne. Ma tutto questo avrà senso solo se si potrà lavorare, altrimenti sarà solo una grandíssima illusione e un'occasione persa. Mi auguro che avremo un Governo, un buon Governo per poter lavorare. Non c'è più tempo da perdere».
Non tutti lo sanno ma tra il 2010 e il 2011 Laura Boldrini ha dovuto superare una serie duríssima di prove personali. In pochi mesi perse il padre, la madre, una sorella e una zia, unica sorella di sua madre. Era, quella, l'epoca dell'esodo dal Nordafríca, degli sbar- chi, della politica dei "respingimenti". Nella sua difesa dei diritti dei rifugiati fu attaccata pesantemente da uomini politici che ora incontra tutti i giorni alla Camera e che, anzi, deve presiedere e rappresentare con imparzialità. Com'è? Che cosa si prova?
«Quella è stata una pagina triste nella storia dei Paese. Pensare che respingere in alto mare i rifugiati che chiedevano protezione fosse il modo di affrontare i flussi migratori del Mediterraneo è stata una sconfitta per l'Italia, che infatti è poi stata per questa pratica condannata dalla Corte europea dei diritti umani. Quello che mi è più dispiaciuto, però, è che l'opinione pubblica, in gran parte in buona fede, credesse che quella fosse la soluzione al problema degli immigrati "clandestini". E applaudisse senza pensare alle conseguenze: centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini innocenti, che fuggivano perché perseguitati, sbattuti nelle prigioni di Gheddafi o morti in mare. Io non serbo rancore per chi mi chiamava "comunista" o "criminale". Certo non devo dare spiegazioni per aver difeso l'articolo 10 della Costituzione o la Convenzione di Ginevra dei 1951, firmata dall'Italia. Comunque lo rifarei».
È giunto il momento, però, di ritornare alle prime righe, a quelle montagne che non dovrebbero incontrarsi e invece a volte s'in- contrano. Solo le montagne non s'incontrano mai è il titolo dei libro uscito proprio nelle ore in cui la sua autrice diventava presidente della Camera. Nell'articolo che segue vi raccontiamo la storia emozionante che ricostruisce. Io ho chiesto a Laura Boldrini spiegazioni sulla dedica: "A mia madre che mi ha dato il meglio". «Mia madre non ha avuto una vita semplice. Ha avuto 5 figli, di cui uno gravemente disabile. Era insegnante, scelse di dedicarei completamente, come mio padre, al figlio malato. La famiglia è essenziale, da li nasce tutto. La mia mi ha insegnato ad aver cari i valori, ad andare a testa alta, a non chiedere mai, perché prima o poi dovrai restituire. Ho cercato di far miei questi prindpi, di lavorare sodo, guadagnarmi quello che avevo e vivere in maniera semplice. E ricordare sempre che poter contare su qualcuno è fondamentale».


 
Immigrati, penalisti al Cie di milano: E' peggio del carcere
La Presse, 03-04-2013
Milano, 3 apr. (LaPresse) - Questa mattina una delegazione di avvocati dell’Unione delle Camere Penali composta dai membri della Giunta Vinicio Nardo e Manuela Deorsola, dai membri dell'Osservatorio carcere Antonella Calcaterra, Michele Passione e Mirko Mazzali, dal presidente della Camera Penale di Milano Salvatore Scuto e dai membri del direttivo Giovanni Bellingardi e Francesco Sbisa, si è recata in visita presso il Centro di Identificazione ed Espulsione di Milano. Qui i penalisti hanno potuto registrare la presenza di 52 uomini e 5 transessuali, per una capienza massima di 84 posti consentita dai settori attualmente aperti. Oltre agli operatori della Croce Rossa - 31 a rotazione - nella struttura prestano servizio due mediatori, un medico dalle ore 12 alle 21 e un infermiere 24 ore su 24.
"I Cie sono dei luoghi di detenzione a tutti gli effetti e privi delle garanzie che sono proprie delle carceri", affermano i penalisti. Infatti, "sebbene manchino le condizioni di sovraffollamento tipiche degli istituti di pena e le stanze rimangano aperte, i reparti dove vivono le persone trattenute sono chiusi a chiave e gli spazi all'aperto loro riservati sono angusti. Inoltre - spiegano - rispetto al carcere, dove i detenuti sanno di cosa sono accusati e quanto dovranno rimanere ristretti, all'interno del Cie gli ospiti non sanno quando usciranno; e li preoccupa constatare che dentro con loro ci sono persone trattenute anche da un anno, in balia dell'incertezza ma anche dell'ozio, visto nella struttura non ci sono biblioteche, né corsi di alfabetizzazione o attrezzature sportive. Ne deriva un'atmosfera di spaesamento che si traduce in molteplici, quanto generiche, domande di aiuto che il trattenuto rivolge al visitatore".
"Se si aggiunge - proseguono - che per due terzi si tratta di ex detenuti che sono passati direttamente dal carcere al Cie, vedendosi così negare non solo la libertà che avevano atteso contando i giorni, ma anche l'assistenza sanitaria di cui godevano in carcere, allora si capisce come il tasso di afflizione di questi centri sia addirittura maggiore del carcere. Nel Cie - continuano i penalisti - si rimane per lo più 'in attesa di identificazione' e, considerato che al 95 per cento gli ospiti sono stati ristretti in un carcere, quindi sono stati certamente identificati da varie amministrazioni dello Stato, appare evidente come la struttura non serva a risolvere, ma semmai costituisca essa stessa un problema. Un problema che, peraltro, detto per i duri di cuore, ha un notevole costo economico per le pubbliche finanze".

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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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