Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 febbraio 2015

Lampedusa, torna la morte 
il Fattto quotidiano, 13-02-2015
Furio Colombo 
CARO COLOMBO, apprezzerei molto se il primo gesto del nuovo presidente della Repubblica fosse la medaglia d`oro al valore  civile all`isola di Lampedusa e a tutti i suoi abitanti che continuano a ricevere morti da quando è finita (costava troppo!)  l`operazione Mare Nostrum. E apprezzerei ancora di più se il suo primo messaggio alle Camere fosse sugli immigrati. Sono abbandonati in mare a morire di freddo, o annegati, oppure senza il soccorso di un Paese che si ostina a occuparsi di problemi che non esistono, come abolire il Senato. Mentre la guerra in Ucraina e le decine di guerre in Africa e in Medio Oriente non sono più nazie di "varia" nei telegiornali, sono tragedia quotidiana. 
Vincenzo 
CIÒ CHE È ACCADUTO nel Mediterraneo in questi giorni, in queste ore, è una serie di fatti che indigna e spaventa per la tupa  mancanza di comprensione di ciò che sta accadendo, Incomprensione italiana, e anche opaca indifferenza europea, un insieme di Paesi che si chiamano Unione ma scuotono solo se gli parli di banche e si eccitano ogni volta che ridiventa probabile il fallimento della Grecia. Come per le vittime dell`Olocausto, che sono state portate via nel silenzio di tutti, non risulta che vi sia stato un solo tentativo di spiegare al Parlamento italiano perché, in questi giorni, e dopo l`esperienza di tanti tragici naufragi, decine dipersone siano state lasciate morire di fame e di freddo davanti alle coste italiane. E centinaia sono scomparsi in mare senza che nessuno denunciasse la strage. "La loro morte", spiega il disperato medico di Lampedusa davanti ai corpi assiderati, "è dovuta al ritardo dei soccorsi. Tutti potevano essere salvati". Mi domando se la Procura competente non dovrebbe aprire un`inchiesta per omissione di soccorso. Mi domando perché non abbiamo notizie di urgenti interrogazioni parlamentari e diprese di posizione dei due presidenti delle Camere. 
Mi domando perché abbiamo visto questo titolo,, citazione esatta della fonte governativa: "La linea dura del Viminale: interventi solo in casi gravi, e nuovo via libera a Tritotz. Timori di un boom` di sbarchi" (Corriere della Sera, 10 febbraio). E stato il ministro All`Interno a dare questo annuncio, con burocratica indifferenza, in un silenzio di morte. Intanto ì telegiornali non avevano ancora smesso di trasmettere la testimonianza angosciata del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, e le immagini dei corpi raggiunti con tale ritardo e trasportati con tale mancanza di protezione, che sono morti nel tragittò della salvezza o tra le braccia di chi li prendeva, a terra. Soltanto il Comitato Diritti Umani del Senato, presieduto da Luigi Manconi, si è preoccupato di convocare il prefetto Morcone che dovrebbe coordinare arrivi, salvataggi e smistamenti. Poi si è scoperta la morte di centinaia in mare aperto. Ma il rapporto con l`Europa e l`ottuso disinteresse di chiunque sia a capo di Frontex (l`agenzia europea responsabile dei salvataggi) potrebbe cambiare in qualcosa di vero la inutile e colpevole finzione dell`operazione Triton, in cui tutti gli europei si sono uniti per stare fermi e lasciar morire. Non dovrebbe l`Italia avere il coraggio di dire il suo `basta` al finto aiuto che protegge le coste ma lascia morire le persone? Non dovrebbe riattivare subito 
Mare Nostrum e mettere il costo (obbligatorio perché è salvataggio di vite umane) sul conto déll`Europa? Potrebbe essere una  buona occasione per dimostrare che noi italiani siamo affidabili nel dare ma anche nell`avere. Non ditemi che Renzi non ha il coraggio, con la sua giovane baldanza e la sua sfida ai sindacati sul Primo Maggio, di proporre con fermezza il problema "prima  di tutto le vite umane" ai colleghi europei. 
 
 
 
Migrazioni, è tempo di risposte politiche
Avvenire, 13-02-2015
Francesco Soddu*
Di fronte all’ennesima tragedia del mare, stiamo assistendo al contemporaneo fallimento della attuale prospettiva di intervento sul fenomeno migratorio, a livello nazionale e internazionale. L’attuale strategia innanzitutto non garantisce il salvataggio di vite umane; è ormai evidente che l’operazione “Triton”, promossa dall’Europa, non riesce a conseguire questo obiettivo. Ed è altrettanto evidente che una politica di intervento basata solo sul potenziamento di Frontex – l’Agenzia europea preposta – perde di vista tutte le dinamiche collegate alla gestione di questo fenomeno e delle emergenze umanitarie, a partire dalle sue vere cause.
Le crisi internazionali, che spingono le persone a migrare, sono sempre più numerose: di fronte a queste si assiste alla totale assenza di un ruolo chiave e strategico della diplomazia e della politica internazionale, che invece è fondamentale. Chi riduce la questione al dovere di accoglienza non coglie nel segno: è in gioco una dimensione formale e sostanziale sulla natura della Unione Europea, i suoi valori di fondo, la sua costruzione e il suo futuro. La politica estera comune europea, insomma, è assente e questa assenza rimbomba in maniera assordante.
Le questioni sono chiare: rafforzare le misure che facilitano l’arrivo in sicurezza dei migranti, le azioni di politica estera e di cooperazione di tutte le aree che generano condizioni di instabilità e povertà, il contrasto della criminalità che sfrutta e uccide le persone che lasciano i propri Paesi.
Oggi siamo tutti di fronte a due eclatanti forme di ricatto che calpestano la dignità e la vita: quella degli ostaggi barbaramente massacrati e quelli dei migranti forzosamente costretti a partire – come dimostrano le cronache recenti – con nessuna possibilità di sopravvivenza. Pertanto, come la minaccia dello Stato islamico (Is) è considerata una priorità del mondo occidentale e dell’Europa, così la questione delle migrazioni forzate e loro gestione criminale dovrebbe essere affrontata con il medesimo impegno.
Sul tema degli arrivi in sicurezza è ora che l’Europa, competente in questa materia, si apra al riconoscimento di canali umanitari, di vie di fuga sicure per le persone costrette a fuggire a causa di guerre, disastri naturali, ecc.
La legalizzazione delle vie di accesso in Europa, con particolare considerazione di chi è costretto a partire, è l’unica via da seguire per evitare che le persone si affidino ai trafficanti di esseri umani, persone senza scrupoli, che costringono le persone a pagare, spesso per la loro morte. Dalla legalizzazione delle vie d’ingresso e dal rafforzamento del ruolo della diplomazia internazionale, inizierebbe certamente ad emergere anche un serio contrasto al fenomeno del traffico di persone, che invece continua a trarre enormi profitti dalle crisi politiche ed economiche internazionali.
L’Europa, solidale nell’obiettivo di salvaguardare le vite umane di chi tenta di raggiungerla, deve poi esserlo anche nella messa in atto, in maniera uniforme nel suo territorio, delle misure necessarie a garantire alle persone condizioni di accoglienza dignitose.
Ogni Paese europeo, ovviamente Italia compresa, deve fare la sua parte, e al momento tale condizione non è rispettata da una applicazione meccanica del Regolamento di Dublino, facendo sopportare il peso di questo fenomeno solo ad alcuni Paesi, tra i quali il nostro. E questi insuccessi sono la testimonianza del grave fallimento politico dell’Europa, che non è stata finora in grado né di contrastare il traffico, né di salvare vite umane, né di accogliere ovunque dignitosamente le persone.
È ora di cambiare passo. Per non continuare ad assistere a evitabili tragedie e a contare il numero crescente di morti.
*Direttore Caritas Italiana
 
 
 
Schulz: "Operazione Triton non è all'altezza di Mare Nostrum"
Il presidente dell'Europarlamento: "Ancora una volta è palese la mancanza di una politica migratoria adeguata dell'Unione Europea"
stranieriinitalia.it, 13-02-2015
Bruxelles, 13 febbraio 2015 - "Ammiro l'enorme contributo di Mare Nostrum, l'operazione di ricerca e salvataggio svolta dalle autorita' italiane l'anno scorso. L'attuale operazione Triton deve essere molto migliorata per raggiungere il livello di Mare Nostrum, che comunque non era sufficiente" per gestire l'emergenza immigrati nel Mediterraneo.
Lo ha detto il presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz, durante la conferenza stampa dopo il suo intervento al Consiglio europeo in corso a Bruxelles. "Abbiamo appreso - aveva detto Schulz nel suo discorso davanti ai capi di Stato e di governo - con grande shock e dolore di un altro disastro umanitario nel Mediterraneo. Lunedi' la Guardia Costiera italiana ha tentato di salvare le persone che avevano lasciato la costa della Libia a bordo di gommoni, senza cibo e senza acqua. Potevano essere salvate 80 vite umane. Ma circa 300 persone sono ancora disperse".
"Ancora una volta - ha osservato il presidente dell'Europarlamento - e' palese la mancanza di una politica migratoria adeguata dell'Unione Europea. Non possiamo lasciare in bali'a del mare la gente che fugge dai propri paesi a causa della poverta' o della violenza. Ogni vita persa e' una macchia sull'Europa". "Dobbiamo investire di piu' nella lotta contro i trafficanti e rafforzare le leggi penali, ma anche portare stabilita'" nei paesi di origine o di transito in difficolta' "come la Libia", ha aggiunto Schulz, sottolineando che "il Parlamento europeo chiede con urgenza una politica complessiva dell'Unione europea sull'immigrazione e sta lavorando su una base trasversale per raggiungere questo obiettivo; ma non possiamo - ha avvertito - farlo da soli".
"L'operazione Triton puo' essere europea, ma - ha detto il presidente dell'Europarlamento di fronte ai leader dell'Ue - impallidisce nel confronto con Mare Nostrum. Dobbiamo urgentemente migliorare le nostre operazioni di ricerca e soccorso. Quanto tempo deve passare - ha chiesto Schulz - prima che riusciamo finalmente a mettere fine a questa tragedia umana in corso a casa nostra?"
 
 
 
Grecia e Triton: senza solidarietà l’Europa muore
Il Garantista, 13-02-2015
Astolfo Di Amato 
Le madri greche che non sono in condizione di far curare i loro bambini, o i corpi straziati dei migranti nel canale di Sicilia, sono le facce di una stessa medaglia. Si tratta di vicende che non si può fare finta di ignorare. Una collettività, per essere tale, deve essere innervata da un sentimento di solidarietà. Ma Grecia e Triton dicono che la solidarietà è un concetto estraneo alla nozione di Europa. Che è invece una stanza di compensazione di interessi mercantili.
In queste ore l’eurogruppo sta affrontando le questioni che ha posto la nuova dirigenza greca. Si tratta di verificare le alternative alle conseguenze spesso disumane che l’imposizione dell’austerità ha determinato. In queste stesse ore si contano le vittime dell’ennesima tragedia del Canale di Sicilia: circa 330, secondo le ricostruzioni ufficiali.
L’operazione Triton, che fa capo all’Unione Europea e che ha sostituito Mare Nostrum, organizzata dagli italiani, non ha avuto i risultati sperati, dimostrandosi largamente inadeguata. La sua inadeguatezza è la causa di una ennesima tragedia di dimensioni immani. Che vede una delle cause anche in quella scellerata operazione in Libia, voluta da alcuni paesi europei per mere ragioni di potere. Sul primo tema, le dichiarazioni ufficiali sono che non vi sono vie percorribili diverse dal rientro del debito e da una rigorosa politica di austerità.
Sul secondo argomento, sono riportate le dichiarazioni di dolore del Papa e di alcuni politici italiani. Le civilissime nazioni del nord Europa tacciono. Le madri greche che non sono in condizione nemmeno di far curare i loro bambini o i corpi straziati dei migranti nel canale di Sicilia sono, evidentemente, troppo lontani per solleticare i loro buoni sentimenti.
Sennonché, si tratta di vicende che non si può fare finta di ignorare, mettendole nell’area di ciò che è negoziabile. Una collettività, per essere tale, deve essere innervata da un sentimento autentico di solidarietà. Che deve essere anche capace di superare i rimproveri, anche se giusti, che possono essere mossi, come nel caso della Grecia. Grecia e Triton dicono, in modo brutale, che la solidarietà è un concetto estraneo alla nozione di Europa. E’ una stanza di compensazione di interessi, caratteristica di qualsiasi organizzazione di mercanti, nella quale c’è il portafoglio al posto del cuore.
Per carità! Non vi sono obblighi, in questa prospettiva, di solidarietà, di compassione, di generosità. Ma se è così, l’Europa va presa per quello che è, cominciando ad eliminare la stessa esistenza di una bandiera. La quale dovrebbe rappresentare cosa? Quale unità? Quella di chi di fronte alle difficoltà ed alle tragedie degli altri si gira dall’altra parte, salvo dare giudizi ed insegnamenti? Ed allora, prendiamo l’Europa per quello che è Inutile affannarsi a cercare di cambiarla, contro la chiara volontà degli altri. Se ci sono utili opportunità sfruttiamole. Ma, soprattutto, rivolgiamo le nostre energie verso i paesi con i quali, per mille motivi, è più facile creare il senso autentico di una collettività. Il bacino del Mediterraneo, se si guarda alla nostra storia, ha costituito la sede di elezione dei rapporti che hanno segnato lo sviluppo e la civiltà del nostro paese. E’, perciò, in quella direzione che dobbiamo incrementare la nostra attenzione. Lasciando ai paesi del nord tutta l’arroganza di cui sono capaci.
 
 
 
Equipaggi contro Frontex: «Non siamo becchini. Salviamoli»
Avvenire, 13-02-2015
Nello Scavo
Gli ammutinati di Frontex se ne infischiano delle regole d’ingaggio. «Siamo marinai, non becchini». Qualcuno lo ha gridato perfino nelle radio, mandando a quel paese chi dalla terra ferma dava ordini «contrari alla legge del mare». Le unità dovrebbero stare al di sotto delle 30 miglia marine dalla costa. Solo eccezionalmente entro e non oltre le 110 miglia. E invece loro sconfinano, «perché non ha senso aspettare che il mare ci restituisca i cadaveri, se possiamo strapparli alla burrasca quando sono ancora vivi». È l’opinione di molti degli equipaggi della missione Triton, coordinata dall’agenzia Ue Frontex.
Dall’1 novembre su 2.994 migranti salvati dagli equipaggi, 1.282 sono stati soccorsi al di fuori dell’area operativa, 1.672 al di sotto delle 110 miglia e solo 40 persone raccolte in vita entro le 30 miglia. In altre parole, Triton è esistita solo nella mente dei burocrati senza divisa.
A parole si tratta di un’operazione europea, ma ad oggi partecipano solo tre Paesi per un totale di 8 unità navali (1 dall’Islanda, 2 Malta, 5 Italia) e 3 assetti aerei (uno per ciascuno degli Stati coinvolti). Un dispiegamento di mezzi irrisorio, compensato dagli sforzi delle unità navali italiane non inquadrate sotto Triton e che con qualche escamotage riescono a pattugliare un’ampia parte del Mediterraneo, come la Marina che rispondendo al compito di sorveglianza della navigazione tiene i binocoli puntati su tutto il Canale di Sicilia e la Guardia Costiera, incaricata fra l’altro del controllo della regolarità della pesca, che tiene le motovedette sempre al largo.
Che non sarebbe stato facile tenere a bada gli uomini di mare al quartier generale di Frontex avevano cominciato a capirlo dopo neanche un mese di operazioni. I mezzi spesso sconfinavano, e la colpa veniva data prima alla Marina e alla Guardia Costiera italiane; poi al tentativo di unificare la centrale di coordinamento di Triton e dell’uscente Mare Nostrum.
I comandi dei corpi di appartenenza non si lasciano sfuggire neanche una parola. Ma dopo i 29 morti e gli oltre 300 dispersi dell’ultima strage, per i quali procedono le ricerche in condizioni meteo avverse, nessuno se la sente di rimettersi in mare come se niente fosse accaduto. «Io sono tra quelli che hanno riportato a terra i 29 cadaveri, sono cose che non si dimenticano, ti senti impotente a vedere dei ragazzi di vent’anni che ti muoiono tra le braccia», ha raccontato Salvatore Caputo, infermiere 66enne e volontario dell’Ordine di Malta, imbarcato sulle motovedette della Guardia costiera.
«Appena arrivato a terra, ho avuto una crisi di pianto e come me molti altri non hanno retto e sono crollati», ha detto riferendosi ai marinai protagonisti di una delle più pericolose operazioni mai avvenute nel Canale di Sicilia, con onde alte nove metri e il vento che soffiava oltre i 75 chilometri orari.
La direzione distrattuale antimafia di Palermo ha aperto un’inchiesta dopo che ieri si è svolto una vertice convocato dalla Direzione nazionale antimafia.
A Roma, attorno a un tavolo, si sono seduti i capi di tutte le direzioni distrettuali del Paese e il procuratore nazionale Franco Roberti. I magistrati hanno analizzato i dati raccolti anche dal Viminale nell’ultimo anno. In Italia sono sbarcati 125.788 uomini, 18.190 donne e 26.122 bambini per lo più siriani, eritrei, maliani, nigeriani, gambiani, palestinesi, somali, senegalesi e bengalesi.
 
 
 
Io in volo su un elicottero per fotografare la disperazione» 
5 domande a Massimo Sestini 
La Stampa, 13-02-2015
ELISABETTA PAGANI 
TORINO 
«Mi ci sono voluti due anni per scattare questa foto. Cercavo lo zenit perfetto, con l`asse ottico esattamente perpendicolare  al barcone». Poi, un giorno di luglio dell`anno scorso, imbragato e in equilibrio sul carrello di un elicottero della Marina  militare, eccola: «I 500 migranti hanno rivolto lo sguardo verso l`alto, verso di me». E Massimo Sestini ha scattato. Ora  quella foto, che documenta l`odissea dei migranti nel Mediterraneo e il lavoro di salvataggio di Mare Nostrum, è stata premiata al World Press Photo, 2° posto nella categoria General News. 
Sestini, perché una foto dall`alto? Allontanarsi aiuta a capire? 
«La realtà, guardata da fuori, appare più lampante. È una foto simbolo questa. È fra le più twittate al mondo. Elton John l`ha voluta per la sua collezione privata. Time l`ha inserita fra le lOpiù comunicative del 2014. E la sintesi del dramma della migrazione». 
Pochi giorni fa l`ennesima strage al largo di Lampedusa. Cosa pensa della sospensione di Mare Nostrum? 
«Penso che Triton sia inutile. E che si debba tornare a pattugliare il mare quasi fin sotto le coste dell`Africa. Altrimenti ci saranno altre morti». 
In questa immagine c`è il salvataggio. Nella sua carriera le sarà capitato di documentare una tragedia in corso. Ha mai riposto la macchina fotografica per aiutare? 
«No, lascio lavorare i soccorritori. Ma se mi trovassi per primo sul luogo di una tragedia metterei via la macchina. Prima bisogna aiutare». 
C`è qualcosa che non si può o non si deve fotografare? 
«No, la mia regola è sempre stata una: fotografare l`impossibile, il vietato». 
Cosa le hanno insegnato quei giorni in mare a documentare il viaggio dei migranti? 
«Che il solo fatto di vivere in Italia ci rende fortunati, e invece passiamo il tempo a lamentarci. Ho visto famiglie  benestanti far partire i figli su quelle carrette solo per dar loro una chance. Noi non ci rendiamo conto di cosa significhi.  Ho vissuto sulle navi della Marina, vedendo i nostri uomini salvare gente 7-8 volte al giorno. Gente che si imbarca solo sperando di avere un futuro». 
 
 
 
I 29 ragazzi uccisi dal gelo sul gommone della salvezza
Recuperati vivi, sono morti uno dopo l’altro nel viaggio di 20 ore verso l’Italia. Erano all’aperto e zuppi d’acqua. I soccorritori: “Sembrava che dormissero”
La Stampa, 13-02-2015
Laura Anello
Palermo
Per loro, abituati a esaminare corpi mutilati, bruciati, gonfi d’acqua, il compito questa volta è stato perfino più straziante. «Intatti, senza un graffio, sembrava che dormissero. Ventinove ragazzi uccisi dal freddo». Loro sono gli uomini del Gabinetto regionale della polizia scientifica, appena rientrati a Palermo dopo avere esaminato i cadaveri dei migranti assiderati nel viaggio di ritorno sul gommone della Guardia costiera di Lampedusa che era andato a prenderli nel mare in tempesta. A oltre 120 miglia dall’isola e a un tiro di schioppo dalla costa libica.  
Il mare in tempesta  
Tirati a bordo vivi, felici della morte scampata in mare, pronti a fare a pugni per salire prima degli altri sulla motovedetta della salvezza. Una barca di 27 metri, dove al coperto possono stare non più di dieci uomini, diventata la loro tomba. Temperatura di 3 gradi, mare forza 8, vento a 60 nodi, il mare che entrava dentro a ogni onda, nessun riparo se non la temporanea ospitalità a turno nel vano della tolda di comando, la coperta isotermica come un orpello inutile. 
«Solo tre di loro indossavano giubbotti - raccontano gli uomini della Scientifica - gli altri avevano addosso tutto il guardaroba che possedevano, come fanno sempre i migranti che non possono portare bagagli. Biancheria, magliette, golf, pantaloni, uno strato sopra l’altro. Ai piedi al massimo ciabatte. Tutto inzuppato d’acqua, abbiamo dovuto faticare per togliere i vestiti ed esaminare i corpi alla ricerca di qualche elemento utile per l’identificazione: una cicatrice, un segno particolare...».  
Le tasche piene di biglietti  
Ma i 29 morti di freddo - tranne un ivoriano di 31 anni che aveva con sé la carta d’identità ed è riuscito a salvare almeno il nome - avevano addosso ben poco di particolare. Una sfilata di corpi intatti, qualcuno con una mazzetta di euro nascosta nelle mutande, qualcun altro con un biglietto con i numeri di telefono da chiamare all’arrivo.  
I soccorritori si sono resi conto solo all’arrivo che erano morti, credevano che dormissero. Soccorritori che hanno messo in gioco la loro stessa vita e hanno fatto rotta verso Lampedusa, con condizioni del mare proibitive, nonostante la Libia fosse a poche miglia. Avrebbero potuto chiedere al Comando generale l’autorizzazione a riparare nel porto più vicino e restare alla fonda, come vuole la legge del mare. In un paio di ore di navigazione si sarebbero messi tutti in salvo. E invece sono tornati indietro, affrontando un viaggio di oltre 20 ore contro le sei dell’andata. E con un motore mezzo in avaria. 
La tragica scoperta  
Sono in tanti, sommessamente, con il rispetto dovuto a gente che ha rischiato di morire, a dire che è stato un errore, mentre altri sostengono che non ci fosse altra scelta: la Libia è un Paese nel caos, senza più interlocutori affidabili. Salvatore Caputo, 66 anni, infermiere volontario del Cisom, il corpo di soccorso dell’Ordine di Malta, era a bordo di quella motovedetta.  
«Siamo partiti verso le tre del pomeriggio di domenica - racconta - dopo avere ricevuto l’allerta dalla centrale operativa e siamo arrivati nei pressi del primo gommone verso le otto e mezza di sera, con il vento che soffiava a 75 chilometri orari e i naufraghi che si accalcavano e si calpestavano per salire a bordo per primi. Dopo qualche ora, verso le 4-5 di mattina, il primo di loro non ha retto al freddo e agli sforzi del viaggio ed è morto». Via via, è toccato agli altri 28, nelle ore interminabili del viaggio verso le coste italiane. «Solo una volta, arrivati a poche miglia dal porto di Lampedusa - aggiunge Caputo - è stato possibile iniziare la conta dei cadaveri. Siamo approdati lunedì pomeriggio, ho avuto una crisi di pianto. Sono crollato, come molti vicino a me». 
Le bare senza nome  
Le bare sono arrivate ieri a Porto Empedocle, accolte dal prefetto di Agrigento Nicola Diomede. Saranno tumulate nei cimiteri del comprensorio che hanno risposto all’appello della solidarietà. Dentro le bare i ragazzi sono nudi, i loro vestiti laceri e duri come il cartone messi in una busta al loro fianco: difficile perfino rivestirli dopo l’esame dei cadaveri. Gli uomini della Scientifica hanno scattato fotografie, hanno preso le impronte digitali, estratto il Dna, tolto e schedato i pochi oggetti che avevano con sé. Reperti che saranno portati nel laboratorio dell’antico palazzo in via San Lorenzo, periferia di Palermo, che ospita il Gabinetto regionale della polizia. Accanto a quelli dei 366 morti del 3 ottobre 2013, nel mare dell’Isola dei Conigli. Ancora in gran parte fantasmi, senza nome né storia. 
 
 
 
La risposta sbagliata del premier
Il governo italiano non si è mostrato all’altezza del dramma in corso e delle scelte che esso impone
Non basta dire che il problema è la Libia
la Repubblica, 12-02-2015
Gad Lerner
SOLO proteggendoci con una scorza di disumanità, accontentandoci di non vederli in faccia mentre annegano a centinaia e a migliaia nel nostro mare, possiamo soffocare il senso di vergogna suscitato dalla strage infinita del Canale di Sicilia. Ma resta la domanda: salvarne il più possibile rientra o non rientra fra i doveri della nostra civiltà europea?
I trafficanti che in Libia depredano e poi spediscono nel mare in tempesta i loro volontari ostaggi paganti, su gommoni sgangherati, compiono evidentemente un atto criminale. Ma noi abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere per salvarli? L’altrui crimine non fornisce un alibi a chi si fosse macchiato di omissione di soccorso. Ieri, balbettando per l’imbarazzo, i funzionari del Consiglio d’Europa hanno riconosciuto l’insufficienza del dispositivo Frontex.
LAfinalità di Frontex è limitata al presidio delle frontiere di Schengen, entro un raggio di 30 miglia. Non a caso i suoi costi sono un terzo dell’operazione Mare Nostrum dispiegata dalla Marina Militare italiana al di là di quel limite, in acque internazionali. Grazie a Mare Nostrum, fino alla scadenza del 31 dicembre 2014, sono stati effettuati oltre cinquecento interventi e sono stati salvati più di centomila profughi, anche se purtroppo ne risultano ugualmente dispersi — dati del Viminale — più di tremilatrecento.
Dunque non è una contesa ideologica, o peggio una strumentalizzazione politica, la contrapposizione del modello Triton al modello Mare Nostrum. Cinque unità militari italiane dotate di attrezzature ospedaliere (ricordate l’elogio di Napolitano alla dottoressa Petricciuolo che ha fatto nascere a bordo della nave Etna una bimba nigeriana la notte di Natale?) hanno sconfinato per quattordici mesi nel Mediterraneo. Per la verità lo hanno fatto anche a dicembre, sebbene la loro missione fosse ufficialmente scaduta. Ma ora, da gennaio, non lo fanno più, a seguito di una revoca che l’Ue peraltro non ci imponeva. Certo, nessuno può sostenere con certezza che un tempestivo intervento della nostra Marina Militare nelle acque internazionali avrebbe salvato la vita degli oltre trecento naufraghi, la notte di domenica scorsa. Anche se è probabile che avrebbe impedito la morte per congelamento di ventinove ragazzi imbarcati vivi sulle motovedette della Guardia Costiera, sprovviste di medici e ambulatori.
Per questo avvertiamo che il governo italiano e il premier non si sono mostrati all’altezza del dramma in corso, e delle scelte immediate che esso impone. Non basta dire che il problema è la Libia, divenuta preda di clan jihadisti. È mortificante, poi, che la richiesta avanzata dalle organizzazioni umanitarie, dalla Chiesa e da alcuni esponenti del Pd — cioè l’immediata riattivazione di squadre di soccorso in acque internazionali — venga liquidata da Renzi come se si trattasse di una manovra antigovernativa. Chi se ne frega, scusate. Davvero la lotta politica può scendere a livelli di insinuazione così meschini?
Giusto pretendere un coinvolgimento logistico e finanziario dell’Unione Europea, mostratasi fin qui campionessa di cinismo. Ma nel frattempo? Fonti del ministero della Difesa ammettono che nel giro di due o tre giorni al massimo, se il governo prendesse una decisione in tal senso, la nostra flotta potrebbe riprendere il presidio di cui tutti siamo andati orgogliosi. Quale motivazione po- litica o di bilancio (stiamo parlando di una spesa di centomila euro al giorno) si oppone a una decisione di carattere umanitario, se non forse l’imbarazzo di dover ammettere che la revoca di Mare Nostrum è stata una scelta avventata, magari dettata da calcoli di consenso?
Eppure dovrebbe essere ormai unanimemente riconosciuta l’infondatezza della tesi secondo cui le missioni umanitarie creano un fattore di attrazione involontaria, spingendo i migranti a tentare la pericolosa traversata (che per loro rappresenta comunque il rischio minore).
Il ministro Alfano ieri sera si trincerava dietro l’argomento della fatalità ineluttabile: «Non esiste e non può esistere un’operazione che sconfigga la morte in mare». È for- se questa la posizione del governo? Confermiamo la ritirata nelle nostre acque internazionali? È così che intendiamo il nostro ruolo di potenza mediterranea?
Certo, Mare Nostrum è solo un tampone, più di una volta i nostri marinai sono arrivati troppo tardi. Ma è, questo, un buon motivo per desistere?
Il flusso di profughi dalle zone di guerra, che secondo l’Unhcr nel 2014 ha portato almeno 218mila persone ad attraversare il mare Mediterraneo, non accenna a diminuire. Ciò impone scelte strategiche difficilissime per regolarlo, identificarlo, delimitarlo. Ostacoli insormontabili al momento impediscono la creazione di presidi internazionali per lo smistamento dei profughi sulla sponda sud del Mediterraneo. Ma ciò non deve impedirci di riconoscere l’assurdità della situazione venutasi a creare col monopolio instaurato dai trafficanti sulla terraferma e sul mare.
Un biglietto aereo da Tunisi a Roma costa 100 euro. Il traghetto, se ci fosse, ancora meno. Per la traversata della morte risoltasi in ecatombe, i passeggeri dei gommoni hanno pagato 650 euro ciascuno ai criminali. Il proibizionismo dissennato della comunità internazionale finisce per versare centinaia di milioni nelle tasche delle mafie e dei jihadisti.
Subiamo la condanna a morte di centinaia di giovani, la cui età media — riferisce l’Unicef — oscilla fra i 18 e i 25 anni. E intanto lasciamo che finanzino un nemico ogni giorno più pericoloso. Se anche non bastasse la vergogna, dovrebbe spingerci ad agire l’istinto di autodifesa. Nella tragedia di cui siamo spettatori, il governo e la classe dirigente europea stanno recitando la parte di comparse senza passione, impaurite e mediocri.
 
 
 
Di fronte all'ultima tragedia del Mediterraneo, tenete per voi le vostre argomentazioni ipocrite
L'Huffington Post, 12 -02-2015
Milena Santerini
Di fronte all'ultima tragedia che ha visto più di 300 morti nel Mediterraneo fanno indignare i distinguo e le argomentazioni ipocrite. L'operazione Mare Nostrum non andava chiusa. L'ho detto dopo la visita sulla nave San Giusto, a settembre 2014, incontrando i 700 naufraghi che la nave aveva raccolto nel Mediterraneo. L'abbiamo ripetuto nelle mozioni presentate in Parlamento, rilanciato sulla stampa. Emergeva chiaramente che Triton, l'operazione di pattugliamento che ha preso il posto di Frontex, non era assolutamente adeguata a sostituire Mare Nostrum. Per il semplice motivo che le navi non andavano più a soccorrere verso le rive libiche, ma si tenevano troppo vicino alle coste italiane; così, non si fa in tempo a salvare chi sta annegando e il tempo, per un naufrago, è fondamentale. Bastano pochi minuti per fare la differenza.
Non si può non concordare con il Commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa, il lettone Nils Muiznieks, che l'ha definita "un'altra tragedia prevedibile di migranti nel Mediterraneo". E ha aggiunto: "L'Unione europea ha bisogno di un sistema di 'Ricerca e Soccorso' efficace. Triton non soddisfa questa esigenza".
Il motivo per chiudere un'operazione così utile e necessaria come Mare Nostrum, approvata dalla maggior parte degli italiani, condotta con professionalità e passione dalla Marina Militare (che infatti l'ha difesa fino all'ultimo) non è chiaro. Lo volevano alcuni paesi europei, per proteggersi da numero troppo grande di richieste d'asilo. Lo appoggiavano forze politiche abituate a vivere sulla paura e sulla pelle dei più deboli. Non è servito ripetere che i costi erano in realtà più limitati, trattandosi di navi che dovevano comunque uscire in esercitazione. Abbiamo così rinunciato a un'iniziativa incisiva, tutta italiana, una risposta chiara alle parole di Papa Francesco a Lampedusa sulla globalizzazione dell'indifferenza. Un modo per dire no alle stragi infinite e per farci vergognare un po' meno.
Tutte le vite umane hanno un valore ma in quelle acque si consuma una violazione del diritto ancora più grande. Buona parte di chi si imbarca sono rifugiati da zone di guerra o forte instabilità come la Siria, o il Mali o da regimi liberticidi come l'Eritrea. Le convenzioni internazionali dopo la guerra hanno affermato il diritto di chi fugge per salvarsi. Non possiamo tornare indietro. I respingimenti in mare, comunque inumani viste le condizioni delle carrette del mare, impedirebbero tra l'altro di distinguere tra i naufraghi i rifugiati politici che per l'art.10 della Costituzione abbiamo l'obbligo di accogliere.
Senza grande sorpresa ho letto oggi un articolo sulla Bussola quotidiana che accusava chi come me invocava il ritorno di Mare Nostrum di caricare gli italiani di false responsabilità, che la responsabilità dei morti in mare era dei trafficanti e dei terroristi e che comunque ci sono stati numerosi morti in mare anche con Mare Nostrum attivo. Vorrei rispondere ai redattori di questo noto sito cattolico che anche il Samaritano che scendeva da Gerusalemme a Gerico non era responsabile delle cattive condizioni in cui versava lo straniero, ma si fermò e lo soccorse.
Le soluzioni per far fronte a questa tragedia globale esistono ma manca la volontà politica di perseguirle. Un vero coinvolgimento europeo va perseguito con fermezza. Permessi di transito temporanei per motivi umanitari (direttiva 55 del 2001) potrebbero essere concessi almeno a chi viene da paesi in guerra; nelle ambasciate e consolati europei dei paesi di transito dovrebbero essere accolte le domande di protezione. In Sicilia si potrebbe realizzare un centro di accoglienza per il resettlement nei vari paesi europei. Almeno, come ha proposto la Comunità di S.Egidio, rispondiamo all'appello di fare una colletta per Mare Nostrum. Se gli Stati non trovano i fondi, siano i cittadini a sentirsi responsabili di salvare quelle vite.
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