Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 marzo 2014

Mare nostrum. Salvati altri seicento migranti
A bordo di due barconi erano stati avvistati da un drone. Le navi della Marina Militare li hanno raggiunti e soccorsi soccorsi a sud di Lampedusa. 10 mila persone salvate in 76 interventi dall'inizio dell'operazione
stranieriinitalia.it, 18-03-2014
Roma - 18 marzo 2014 - Continua a salvare vite l'operazione Mare Nostrum, avviata dal governo italiano dopo la strage di Lampedusa. Ieri le navi della Marina Militare hanno tratto in salvo 596 migranti, tra cui 103 donne e 62 minori, in due diversi interventi a sud dell'isola.
Le operazioni di soccorso avviate dalla fregata Grecale, rese indispensabili visto il sovrannumero di persone a bordo dell’imbarcazione, sono terminate in serata con il trasbordo sulla fregata di 323 migranti, tra cui 38 donne e 54 minori, di nazionalità prevalente siriana e palestinese. La corvetta Sfinge invece ha soccorso il secondo natante, avvistato dall’elicottero della fregata Grecale, in collaborazione con il pattugliatore Cigala Fulgosi. Sono stati soccorsi e portati a bordo della corvetta 273 migranti, tra cui 65 donne e 8 minori, prevalentemente di nazionalità eritrea.
Il primo avvistamento delle imbarcazione in difficoltà, si legge in una nota della Marina Militare,  è avvenuto grazie ad un Predator dell’Aeronautica Militare. Tutti i migranti soccorsi saranno trasferiti oggi sulla nave anfibia San Giusto, dove saranno assistiti dal personale medico di bordo e della Fondazione Rava NPH Italia Onlus, e identificati dal personale della Polizia di Stato imbarcato. Il porto in cui saranno sbarcati, indicato dal Ministero dell’Interno, non è ancora stato comunicato.
Dall’inizio di Mare Nostrum sono state effettuate dalle Unità della Marina Militare assegnate all’Operazione  76 operazioni di soccorso che hanno consentito il salvataggio di  10134 migranti, tra cui 713 donne e 1019 minori.



Grecia, sette migranti morti. Tra loro due bambini
Repubblica.it, 18-03-2014    
ATENE - Almeno sette immigranti clandestini, fra cui due bambini, sono morti annegati in seguito al naufragio dell'imbarcazione sulla quale viaggiavano insieme ad un'altra dozzina di persone, otto delle quali sono state tratte in salvo. Lo riferiscono i media ellenici precisando che l'incidente è avvenuto durante la scorsa notte al largo dell'isola di Lesvos, nell'Egeo orientale.
Il natante, hanno riferito i sopravvissuti ai soccorritori della guardia costiera greca, ha all'improvviso cominciato ad imbarcare acqua per cause sconosciute e in breve tempo si è inabissato. Dalle prime informazioni raccolte, i migranti - di cui ancora non si conosce la nazionalità - erano partiti dalle coste della vicina Turchia ed erano diretti in Europa. I clandestini soccorsi sono stati trasferiti nell'ospedale dell'isola.



Mille euro in più in busta paga? Tra i beneficiari 1,7 milioni di lavoratori immigrati
Il governo annuncia sconti sulle tasse per i lavoratori dipendenti con redditi fino 25 mila euro l’anno. Fondazione Leone Moressa: stranieri quasi il 15% dei destinatari della nuova misura
stranieriinitalia.it, 18-03-2014
Roma – 17 marzo 2014 – Una delle misure più attese del piano economico annunciato la scorsa settimana dal governo è l’aumento delle detrazioni Irpef per i lavoratori dipendenti con un reddito annuale lordo fino a 25 mila euro.
Rientrano tra i beneficiari circa 11 milioni di lavoratori, che godranno di uno sconto complessivo di 10 miliardi di euro e quindi, in media, dovrebbero guadagnare circa mille euro in più all’anno. “Per la prima volta si mette una cifra significativa in tasca a queste persone” ha detto Matteo Renzi, e se le promesse si concretizzeranno i primi aumenti arriveranno già con la busta paga di maggio.
Per come è stata disegnata, questa piccola rivoluzione fiscale andrà a beneficio dei redditi medio bassi, premiando lavoratori che ogni mese prendono al massimo 1500 euro netti. Una categoria nella quale rientra la stragrande maggioranza dei lavoratori immigrati, i cui stipendi sono mediamente più bassi rispetto a quelli degli italiani.
La Fondazione Leone Moressa ha stimato che godranno dello sconto Irpef 1,7 milioni di lavoratori immigrati, il 15,4% dei beneficiari. Tanti sono infatti, a giudicare dichiarazioni irpef del 2012 (ultimo dato disponibile), quelli che con redditi  fino a 25mila euro di reddito, esclusi i cosiddetti incapienti, cioè percettori di un reddito così basso da non pagare tasse.



Bollate, rogo distrugge campo rom Evacuato un asilo confinante
Una trentina di persone vivevano nelle baracche andate in fumo. Tanta paura ma nessun pericolo per i bambini della scuola «Paolo VI»
Corriere della sera, 18-03-2014
Ferdinando Baron
Una colonna di fumo nero, le fiamme, un odore acre di bruciato e un asilo infantile evacuato, con 80 bambini che sono stati portati nel vicino parco. È il bilancio di un incendio che ha quasi interamente distrutto un accampamento di nomadi a Cascina del Sole di Bollate. Il bilancio dei danni alle casette dei rom è notevole: per fortuna solo 3 i nomadi lievemente intossicati. Nessun problema per i bambini della vicina scuola, che hanno passato il pomeriggio all’aria aperta sotto lo sguardo attento dei vigili urbani e delle maestre.
L’innesco
Le cause dell’incendio sono ancora da chiarire: forse una disattenzione nel cucinare o l’uso di qualche strumento a fiamma. Il rogo è divampato all’interno del campo nomadi, presente da tempo in via Vicenza, all’angolo con via Kennedy, nella frazione di Cascina del Sole. Su un terreno privato sono stanziate una trentina di persone con casette di legno. Le fiamme si sono levate da una delle casette, e ben presto sono state avvolte le altre.È stato dato l’allarme. Sul posto sono giunti i vigili del fuoco di Milano e Rho, i carabinieri della tenenza di Bollate, la polizia locale di Bollate.
Evacuato l’asilo
Il fumo è arrivato fino alla vicina scuola dell'infanzia «Paolo VI»: per precauzione la struttura è stata evacuata. I vigili hanno accompagnato i bambini e le maestre in un vicino parchetto, dove visto il bel tempo i piccoli hanno potuto continuare le attività quasi senza disagi. Nel frattempo è stato vietato l’accesso a via Vicenza. Si sono formate lunghe code sulla via Kennedy, la circolazione è stata interrotta per permettere ai mezzi dei pompieri di spegnere l’incendio. «Dobbiamo capire cosa è accaduto – commenta il sindaco di Bollate, Stefania Lorusso, che ha seguito tutte le operazioni – non so quando i nomadi potranno tornare nell’accampamento, prima va messo in sicurezza. L’importante è che non si sia fatto male nessuno, certo che questa vicenda va approfondita».



Casa amara casa
Corriere delle migrazione, 17-03-2014
Stefano Galieni  
«Ma vi pare giusto? Sono dovuta andare via di casa per… 2 metri quadrati!». La storia di Amina, cittadina di origine marocchine, che vive fra i palazzoni della periferia Sud di Roma, fra vie che portano i nomi di nobili cittadini dell’epoca imperiale, è grottesca. «Quando siamo arrivati in Italia, eravamo io, mio padre, mia madre e mio fratello. I primi tempi ci siamo arrangiati da amici che ci ospitavano, poi i miei hanno trovato lavoro regolare e siamo andati in affitto. Dividevo la camera col mio fratellino. Poi è nata mia sorella e sono cominciati i guai. Per carità, io le voglio tanto bene. Ma un giorno sono arrivati  dei signori a controllare la nostra casa. Hanno misurato, ci hanno guardato con un certo sospetto e, poco tempo dopo, è arrivata la decisione. Lo spazio era troppo esiguo per 5 persone. Dovevamo trovare velocemente un’altra casa. Ma non è una cosa facile. Per fortuna i miei zii avevano una stanza vuota e non vivono distanti dalla mia famiglia. Così di punto in bianco, avevo compiuto da poco i 18 anni, ho fatto i bagagli. Alla nostra abitazione mancavano due metri per avere l’idoneità abitativa. Ci è stato detto, suggerito, di fare ricorso: nessuno sarebbe venuto poi a controllare e in tanti vivono in condizioni molto peggiori delle nostre, anche italiani. Ma non ce la siamo sentiti di rischiare, né per me né soprattutto per i miei che non hanno ancora la Carta di Soggiorno. Io ho chiesto a 18 anni la cittadinanza e non dovrei avere problemi ad ottenerla».
Amina la cittadinanza l’ha avuta. Ha raccontato la sua storia anche a una radio locale gestita dai salesiani. Gli stessi sacerdoti si erano dichiarati disponibili ad intercedere, ma lei è stata irremovibile: «La legge vuole questo e allora adeguiamoci».
Discrezionalità e confusione Il certificato di idoneità alloggiativa è necessario per portare a compimento la procedura del “ricongiungimento familiare” (cioè per chiamare il coniuge o un parente stretto che si trova ancora all’estero); serve per ottenere la cosiddetta “carta di soggiorno”, cioè il permesso a tempo indeterminato; e serve per stipulare un contratto di lavoro. Chiedere l’«idoneità alloggiativa» significa però entrare in un tortuoso vortice in cui le risposte non sono mai certe e univoche.
Negli anni passati era sufficiente che l’abitazione avesse i parametri di ampiezza previsti dalle leggi regionali: la casa, cioè, doveva essere “sufficientemente grande”, con un numero di metri quadri commisurato alle persone che vi risiedevano. Per accertare questo requisito, venivano prese a prestito le tabelle utilizzate dai Comuni per assegnare le case popolari: a ciascun assegnatario, come noto, viene fornito un alloggio commisurato alla consistenza numerica del suo nucleo familiare (è ovvio che una famiglia di dieci persone avrà una casa più grande rispetto a una di tre). Il testo del vecchio articolo 29 comma 3 della legge Turco-Napolitano stabiliva che «lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio».
Il testo è stato modificato, solo apparentemente in maniera parziale, con il Pacchetto Sicurezza, 94/2009. Il nuovo comma stabilisce che «lo straniero deve dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali». Dunque, non viene più richiesto solo un parametro di ampiezza – tot metri quadri, tot persone – ma anche un non meglio definito “requisito igienico-sanitario”.
Ma cosa significa “requisito igienico-sanitario”? E perché l’idoneità, che prima si chiamava “alloggiativa”, adesso viene definita “abitativa”? Perché è scomparso il riferimento alle tabelle valide per le case popolari? Nel diritto anche le parole sono importanti, e un cambiamento di terminologia richiede un lavoro di interpretazione. Ma con l’entrata in vigore della nuova normativa non erano e non sono ancora chiari e omogenei i requisiti richiesti.
Sin dai primi mesi di applicazione della legge, alcuni Sportelli Unici per L’Immigrazione avevano dato indicazioni provvisorie, chiedendo da una parte l’accertamento dei requisiti igienico-sanitari, (in precedenza non obbligatori) e contemporaneamente di mantenere la verifica dei parametri stabiliti dalla legge sull’edilizia residenziale pubblica (elemento invece cancellato nel nuovo testo). Il ginepraio è reso, anche con questa modifica legislativa e con le sue applicazioni, ancora più ingarbugliato.
Da una parte – lo abbiamo visto – ci sono termini tecnici (idoneità alloggiativa vs idoneità abitativa) che in base alle diverse interpretazioni sono stati applicati come sinonimi o con diversi significati. Dall’altra, quelli che erano parametri di comfort nell’assegnazione delle case popolari sono divenuti (già con la vecchia normativa) criteri ostativi per la possibilità di poter effettuare i ricongiungimenti familiari. Infine, c’è il nuovo – e tutt’altro che univoco – criterio “igienico-sanitario”.
Quello che è certo è che, all’atto pratico, l’applicazione dei nuovi parametri ha determinato un paradosso: buona parte del patrimonio immobiliare italiano, soprattutto nei centri storici di piccole e grandi città, sarebbe sprovvista dei requisiti necessari. Molte case sono state infatti costruite quando i vincoli igienico-sanitari non esistevano. In pratica, se si applicassero le disposizioni del Pacchetto Sicurezza ai cittadini italiani, una parte consistente di famiglie, anche di fasce sociali agiate, dovrebbe ristrutturare le proprie abitazioni, pena l’obbligo di doverle lasciare.
I parametri ci sono Esiste un parametro di idoneità abitativa che vige ancora su tutto il territorio nazionale e che non distingue fra italiani e stranieri. Si tratta di un Decreto ministeriale del 5 luglio 1975 del Ministero della Sanità. Si riferisce alla semplice metratura: altezza minima 2 metri e 70 (2 e 55 nei comuni montani), superficie abitabile per ogni abitante 14 metri quadrati (per i primi 4) e 10 per i successivi, stanze da letto di misura non inferiore ai 9 metri quadrati per una persona e ai 14 metri quadrati per due persone.
Con questi parametri, chi scrive non potrebbe vivere nel proprio alloggio. Stanze da letto, soggiorno e cucina debbono avere finestra apribile. Se nel bagno non c’è finestra, occorre un impianto di aspirazione meccanica. Tali misure sono inferiori generalmente a quelle previste dalle leggi regionali. Una richiesta di ricongiungimento dovrebbe partire almeno dai requisiti meno restrittivi disposti dalla vecchia, ma mai abrogata, disposizione e la direttiva europea approvata in materia dallo Stato italiano (2003/86/CE del 22/9/2003) va in favore di tale interpretazione. Ci si può anche appellare direttamente all’art 10 della Costituzione (comma 2) per quanto riguarda il trattamento dei cittadini stranieri. È la legge statale e sono i trattati internazionali, non le leggi regionali a determinare le modalità di vita e di accoglienza dei migranti. In pratica, chi volesse approcciarsi ad una richiesta di ricongiungimento dovrebbe limitarsi a rivolgersi agli uffici comunali che dovrebbero limitarsi a rilasciare un certificato conforme al Testo Unico Leggi Sanitarie (n.1265 del 1934), così come integrato dal Decreto Ministeriale del 1975.
Come abbiamo visto, per i cittadini stranieri l’idoneità alloggiativa è obbligatoria, e serve per avviare diverse procedure. È richiesta per il contratto di soggiorno con il datore di lavoro; per il ricongiungimento familiare o la coesione familiare con persone maggiori di 14 anni, per il permesso CE (lungo soggiornanti) per la moglie/il marito o per i figli di età compresa tra i 14 e 18 anni; per il nulla-osta all’arrivo di un lavoratore straniero dall’estero quando esce il decreto flussi. In ognuno di questi casi la certificazione è rilasciata secondo criteri differenti: per l’ingresso di un lavoratore si dovrà dimostrare esclusivamente la conformità ai requisiti previsti dalla normativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica; per l’estensione del Permesso CE si dovrà dimostrare la corrispondenza ai requisiti stabiliti dalle norme regionali in materia di edilizia residenziale pubblica o, in alternativa, una certificazione rilasciata dall’ASL che attesti il possesso dei requisiti igienico-sanitari; per il ricongiungimento si dovrà richiedere il rilascio di una certificazione che attesti la corrispondenza ai requisiti-igienico sanitari, da parte dei competenti uffici comunali e obbligatoriamente, si dovrà essere in possesso di un certificato di idoneità abitativa. Criteri diversi per considerare idonea una abitazione complicano non solo la vita ai migranti che vogliono vivere regolarmente ma rendono anche assurda la mole di lavoro per gli stessi uffici comunali addetti alle verifiche. I tempi di consegna di tale certificato di idoneità variano da Comune a Comune, i costi si aggirano normalmente intorno ai 32 euro, salvo eccezioni. Il 13 gennaio scorso, per tentare di fare chiarezza, dal Ministero dell’Interno partiva finalmente una comunicazione esplicativa che ha fatto seguito ad una circolare (la 4820) dello scorso 28 agosto. Veniva finalmente chiarito che i parametri delle leggi regionali non sono più utilizzabili ai fini della richiesta di idoneità. Ci si è accorti che in questi 5 anni ogni Comune ha interpretato le normative a propria totale discrezionalità, addirittura a Roma i criteri variavano e ancora variano da Municipio a Municipio. Il testo pubblicato segnala che: «Atteso che gli Sportelli Unici per l’Immigrazione hanno segnalato interpretazioni differenti da parte dei Comuni riguardo alla citata disposizione, sentito il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e allo scopo di individuare parametri di idoneità abitativa uniformi su tutto il territorio nazionale, si fa presente che i Comuni, nel rispetto della propria autonomia, nel rilasciare la certificazione relativa all’idoneità abitativa, possono fare riferimento alla normativa contenuta nel Decreto 5 luglio del 1975 del Ministero della sanità che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto degli occupanti. Tale riferimento risulterebbe anche coerente con la direttiva dell’UE, recepita con legge dello Stato, in materia di ricongiungimento familiare, la quale dispone che, per l’autorizzazione al ricongiungimento familiare, la legge nazionale debba o possa imporre la verifica della disponibilità di un alloggio considerato normale che corrisponda alle norme generali di sicurezza e di salute pubblica in vigore; pertanto si potrà considerare idoneo un alloggio che corrisponda ai parametri generalmente stabiliti per tutta la cittadinanza, su tutto il territorio nazionale».
Lieto fine? Nei giorni scorsi è stato presentato a Roma il protocollo di intesa fra la Prefettura, Roma Capitale e i Municipi per informatizzare, omogeneizzare e semplificare le procedure di primo ingresso e di ricongiungimento familiare. La situazione capitolina è articolata, da una parte bisogna far fronte, come affermato dai funzionari della prefettura ai tanti falsi certificati di idoneità abitativa e alle tante situazioni in cui il numero di persone che vive in una abitazione è incompatibile con le dimensioni della stessa. Dall’altra, come hanno fatto notare i rappresentanti di alcune associazioni di migranti, gli stessi affittuari non hanno modo di poter avere copia del contratto di proprietà dello stabile, i contratti di affitto vengono registrati in maniera poco realistica e questo crea disagio diffuso. Esiste un progetto, presentato da Geeklogica e dall’Istituto Psicanalitico per le ricerche Sociali, che dovrebbe servire a rendere il percorso per l’ottenimento dell’idoneità più diretto. Chi ne farà richiesta potrà a breve autoconvocarsi prendendo appuntamento con gli uffici competenti del Municipio preliminarmente via web, portare la documentazione richiesta (che finalmente sarà uniformata) e avere un rapporto trasparente con la Pubblica Amministrazione.
È praticamente pronta una piattaforma informatica che sarà tradotta in almeno 12 lingue, si realizzeranno a breve percorsi di formazione per gli operatori nei Municipi, ci sarà una prima fase di sperimentazione che vedrà anche il coinvolgimento delle associazioni di immigrati per azioni di sensibilizzazione. Le procedure di avvicinamento alla pubblica amministrazione potranno anche essere effettuate mediante cellulare, si prenderà appuntamento ad orari precisi e le pratiche verranno informaticamente risolte o messe in stand by in caso di documentazione incompleta o erronea. Il tutto senza costi aggiuntivi per i richiedenti ma… Ma i criteri con cui si continuerà per ora ad operare sono quelli più restrittivi imposti dalla Legge Regionale. La confusione fra idoneità alloggiativa e abitativa non è affatto risolta, nessuno potrà obbligare i proprietari degli immobili posti in affitto a fornire copia dei contratti di proprietà e questo in una città in cui circa metà degli appartamenti non possiedono alcun certificato di idoneità. Ma per intervenire su questo tema servono interventi più forti. Il differente trattamento riservato fra cittadini italiani e stranieri in materia è già stato oggetto di ricorsi ai tribunali amministrativi e prima o poi dovrà essere sciolto. Ma intanto anche voler essere in regola resta un problema.



Cie di Gradisca, in arresto chi si ribella
Corriere delle migrazione, 18-03-2014
Tre anni fa il tribunale di Crotone pronunciava una sentenza destinata a fare giurisprudenza. «Ribellarsi in una situazione di detenzione come quella dei Cie è considerato legittimo e non passibile di condanna». Ma quello che vale a Crotone non sembra valido al tribunale di Gorizia. Nel capoluogo friulano sono state cinque le persone accusate di aver danneggiato il centro attualmente chiuso, quattro erano state soggette a custodia cautelare ma, nei giorni scorsi altre due persone sono state arrestate con la medesima accusa. Sono stati rintracciati nel Lazio, uno a Viterbo e l’altro a Civitavecchia «Forse pensavano che l’incubo fosse finito, ignorando di aver a che fare con una giustizia che diventa improvvisamente solerte quando deve difendere plexiglass, reti metalliche e sistemi d’allarme. –hanno dichiarato gli attivisti della Tenda per la Pace e i Diritti – Noi da quella giustizia invece non abbiamo mai avuto risposte: non sappiamo per esempio se qualcuno ha mai indagato ciò che davvero accadde la notte che Majid cadde dal tetto del Cie, nell’agosto 2013. Majid è in coma irreversibile da più di sei mesi, e l’unica reazione davvero solerte che abbiamo riscontrato è stata quella di tentare di impedire ai suoi cugini, arrivati da un’altra regione italiana dove risiedono da più di 10 anni, per vederlo. Non sappiamo se qualcuno abbia mai indagato sui pestaggi denunciati per anni dai migranti, non sappiamo se chi prescrive misure di custodia cautelari per i migranti “ribelli” sia al corrente del fatto che in tanti, pur di fuggire da quel garbuglio di reti, gabbie e burocrazia hanno martoriato i propri corpi con ferite autoinferte, inghiottendo lamette, batterie, e tutto quel poco che era loro concesso tenere con se (persino i libri, là dentro, erano considerati pericolosi in quanto infiammabili). Ma forse abbiamo sbagliato tutto, e dobbiamo solo essere riconoscenti ad una giustizia rimasta silente per anni perché non c’era niente di strano in questa storia fatta di sangue e privazioni, mentre invece questa ridicola caccia all’uomo contro i distruttori di plexiglass va portata avanti fino alla fine». E proseguono: «Gli immigrati sono gli unici che stanno pagando per il fallimento del sistema-Cie. Per tutto questo nessuno ha pagato. Nessuna indagine è mai stata aperta». Secondo l’associazione isontina «a distanza di mesi dalla chiusura, che ci auguriamo sia definitiva, gli unici che stanno pagando un prezzo altissimo, la propria libertà, sono coloro accusati di aver danneggiato quel mostro che in un groviglio di reti e sbarre metalliche negava loro anche di poter vedere il cielo. Un consigliere regionale del Pd, riferendosi agli incendi che hanno portato alla chiusura del Cie, aveva dichiarato: «Hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi con altri sistemi, ma per loro quella era l’unica possibilità».


 

Storie di vita e di migranti
On line il “Migrador Museum”, il primo museo dedicato agli stranieri e ai loro racconti di riscatto in Italia
il fatto, 18-03-2014
Chiara Daina
Malindu Perrera, 32 anni, di famiglia benestante, ha una malattia agli occhi ma nello Sri Lanka non esiste un centro di cura specializzato. Fa una ricerca e scopre che all’ospedale San Raffaele di Milano possono operarlo. Dopo l’intervento deve fare dei controlli periodici per tre anni. Impossibile fare avanti indietro dal suo Paese di origine. Così il padre, manager per una catena di alberghi di lusso, e la madre lo seguono. Alla fine decidono di trasferirsi in Italia per sempre. È una storia di migranti per caso. Una di quelle che in pochi riescono a immaginarsi, essendo ormai assuefatti dalle tragedie dei naufraghi stranieri. E che fra poco farà parte del Migrador museum, il primo museo online dedicato agli immigrati: un’idea di Martino Pillitteri, responsabile di Yalla Italia, il blog delle seconde generazioni, per fare uscire dall’anonimato le storie di riscatto e di impegno di chi ha lasciato la propria terra per rinascere una seconda volta nello Stivale.
Scordatevi il classico modello della galleria, statica, confezionata, che conserva statue e cimeli del passato. Il Migrador museum mantiene la vivacità di un sito web: raccoglie fotografie, interviste video e le sfide non ancora finite degli immigrati. È uno spazio virtuale in costante evoluzione, ogni giorno da aggiornare con nuovi racconti, link, iniziative. “Pubblichiamo due storie alla settimana e una volta al mese ne inserisco una completamente inventata”.
COME QUELLA di Rania Hun, un’italiana di quarta generazione, che si occupa di turismo spaziale ed è nata nel 2050. I suoi nonni sono arrivati in Italia nel 2014 dalla Cina e dalla Giordania: Pizza Hut viene comprata da una società cinese che l’ha ribattezzata Pizza Chu e il panino americano Big Mac viene sostituito dal Big Kebab, per tutti Big Keb. Perché infilare delle storie di fantasia tra migliaia di biografie vere? “È un modo simpatico per dimostrare all’utente che non tutti gli stranieri fuggono dalla disperazione, per evitare una visione vittimistica e gli stereotipi denigratori dei partiti di destra”.Il nome “Migrador” è un neologismo: “Sta per migranti d’oro, i migranti cioè sono delle risorse preziose per la società, questo è il messaggio del museo” spiega Pillitteri. Al momento si possono leggere sei storie. Marian Ismail, 54 anni, scappa da Mogadiscio quando ne ha venti e arriva come rifugiata politica. Suo padre, che lavora all’ambasciata somala del Cairo, è un dissidente politico. “Siamo partiti alle 4 del mattino con una sola valigia, portando pochissimi effetti personali. In poche ore abbiamo ricevuto il visto per l’Italia grazie all’ambasciatore italiano Milesi Ferretti, che era amico di mio padre. Io ero stata compagna di scuola dei suoi figli al Liceo italiano delle Suore Salesiane al Cairo, dove mi sono diplomata”.
Marian prima vive a Bologna, poi si sposta a Milano per amore. Si sposa con un italiano, ha due figli e oggi fa la mediatrice culturale. “Sono nata in una società matriarcale, a scuola avevamo classi miste, persino nelle scuole coraniche. ?Ho sempre vissuto la parità tra i sessi come normale, il mio essere donna non l’ho mai sentito come un difetto o una debolezza. Quando sono arrivata in Europa mi è sembrato di tornare indietro, perché ho trovato una realtà che non considera ancora la donna paritaria all’uomo nei diversi ambiti del lavoro e della vita privata”.
   MA GIURA: “In Italia c’è molta umanità: se uno dimostra di essere onesto, di avere voglia di lavorare, viene accolto a braccia aperte. Di frontiere non ce ne sono. La realtà è molto più avanti di quanto si creda: i ragazzi si fidanzano con gli stranieri e con internet sono connessi in tutto il mondo”. Liliam Altunas, 36 anni, dal Brasile a Torino dove ha aperto una pasticceria, la Liliam Buffet, e a giugno è stata premiata come miglior imprenditrice immigrata. Roland Ruff, ungherese, ha una società di bike messenger a Roma e non tornerebbe più indietro. Rudra Chakraborty, nato a Calcutta, è headhunter in una società di risorse umane multiculturali. Mohamed Said, di Casablanca, studia Lingue orientali all'università di Urbino. Si parte per sbarcare il lunario, ma anche per amore e per caso.



Pescara, i rom hanno paura
Corriere delle migrazione, 17-03-2014
Sergio Bontempelli
Nazzareno Guarnieri è uno degli attivisti rom più conosciuti in Italia. Viene dall’Abruzzo, regione dove la presenza rom ha caratteristiche peculiari, diverse da quelle che si registrano altrove: anzi, se vogliamo dirla tutta, è proprio facendo una scappata in Abruzzo che si possono sfatare gran parte dei pregiudizi sui cosiddetti “zingari”.
Già, perché qui i rom non abitano – e non hanno mai abitato – nei “campi nomadi”. Non vivono nelle baracche, non dormono nelle roulotte, non affollano le piazzole degli insediamenti di periferia. Tutte le famiglie vivono in casa, e se vuoi andarle a trovare devi suonare il campanello di qualche palazzo in cemento armato. Tra l’altro su quel campanello, quasi sempre, non si troverà un cognome dal sapore “esotico” – magari di origine slava, o rumena – ma uno italiano, italianissimo. Come Guarnieri, appunto. Perché in Abruzzo – dicono le statistiche più aggiornate – l’80% dei rom ha la cittadinanza, e ce l’ha da generazioni: si tratta di famiglie “autoctone” a tutti gli effetti.
Eppure, le discriminazioni esistono anche qui. Perché il razzismo non dipende dal colore della pelle, non colpisce (solo) le minoranze straniere, e ha poco a che fare con la “diversità”, checché se ne dica. Ma questo è un altro discorso, e sarà meglio non divagare: le cose che ci deve raccontare Nazzareno Guarnieri sono già abbastanza delicate e complesse, e vale la pena di restare sul punto. Lo storico animatore della Fondazione Romanì è preoccupato – molto preoccupato – per quel che sta accadendo nella sua Pescara. E per la verità non è l’unico: qui, in Abruzzo, ad essere in ansia è l’intera minoranza rom. «C’è un clima molto teso nella nostra comunità. Con la Fondazione Romanì, e con l’Associazione Rom Sinti e Politica che opera a Pescara, stiamo visitando quasi quotidianamente le famiglie, facciamo riunioni e assemblee un po’ con tutti. E registriamo un clima di grande angoscia, dettato dai fatti delle ultime settimane».
A cosa si riferisce? Faccia capire anche a noi che non siamo della zona… «Alcune vicende sono note e conosciute anche fuori regione. Lei ricorderà, per esempio, i fatti di Alba Adriatica: nel Novembre 2009, il giovane Emanuele Fadani fu ucciso da alcuni rom nel corso di una rissa all’esterno di un pub. I colpevoli dell’omicidio furono arrestati – giustamente – e processati: è bene chiarire subito che da parte nostra non c’è alcun “giustificazionismo”, e se uno ha commesso un reato così orribile è giusto che subisca i rigori della giustizia. Senza se e senza ma. Il problema è che nei giorni successivi gruppi di giovani violenti avevano organizzato una sorta di “spedizione punitiva” – di fatto, un vero e proprio linciaggio – nel quartiere dei rom: avevano preso di mira persone che non avevano nulla a che fare con l’omicidio, e che avevano l’unica colpa – appunto – di essere rom… Furono lanciati sassi contro i vetri delle abitazioni e delle auto in sosta, provocando danni ingenti».
Ma che c’entra questa lontana vicenda con la situazione di oggi? «C’entra, perché proprio in queste ultime settimane si è concluso il processo contro i giovani accusati di quelle aggressioni. E nessuno di loro è stato condannato. Di fatto, un episodio molto grave di intolleranza e di razzismo è rimasto senza colpevoli».
Il Tribunale avrà avuto le sue buone ragioni per assolvere, no? «Non voglio entrare nel merito, anche perché le motivazioni della sentenza non sono ancora note. Ma non nascondo che l’esito del processo ha provocato molta amarezza nella nostra comunità. Molti rom si chiedono come sia possibile che un fatto così grave sia rimasto senza colpevoli: anche perché le forze dell’ordine erano intervenute, avevano assistito alle violenze, avevano identificato i presenti. Perché le prime rilevazioni della polizia, le indagini degli inquirenti e poi il dibattimento in aula non hanno portato all’individuazione dei responsabili?».
E’ per questo processo che si registra preoccupazione nella comunità rom? «Non solo per quello. Ci sono altri episodi, sempre legati alla cronaca giudiziaria, che hanno suscitato rabbia e amarezza diffusa. Il primo riguarda un caso di discriminazione. Circa un anno fa, ricevetti una telefonata da una famiglia rom molto conosciuta in città. Il padre mi spiegò che aveva cercato di iscrivere il bambino a un corso di nuoto: il proprietario della piscina, che in un primo momento si era detto disponibile, rifiutò dopo aver incontrato di persona la famiglia. La sensazione era che il bambino fosse stato escluso perché era “zingaro”. Questo è ciò che mi fu detto allora, da una persona che conosco bene.
Suggerii di andare dai carabinieri per fare denuncia. Il padre andò subito in caserma, e i militari presero contatti con il proprietario della piscina: lo dico perché è importante, significa che in qualche modo anche la forza pubblica ebbe modo di rendersi conto di quel che era accaduto.
Sono state fatte due denunce, una penale – per istigazione all’odio razziale – e una civile per discriminazione. Entrambi i procedimenti hanno dato esito negativo: il proprietario della piscina è stato assolto, e addirittura la nostra associazione è stata condannata al pagamento delle spese legali».
Le ripeto l’obiezione: anche in questo caso, il Tribunale avrà avuto le sue ragioni per procedere in questo modo… «Non sono un avvocato né un giudice, e non voglio insegnare il mestiere ai magistrati. Mi limito a dire che nella nostra comunità questa sentenza ha suscitato amarezza e rabbia. I rom subiscono discriminazioni di tutti i tipi, e a tutti i livelli: spesso, basta essere identificato come “zingaro” per vedersi rifiutare l’accesso a un servizio pubblico.
Certo, quando accadono casi del genere, non è facile dimostrare l’intento discriminatorio: il gestore di un servizio non andrà certo a dire che ha rifiutato l’accesso a un rom perché era rom. Porterà le sue giustificazioni, dirà che non c’era più posto, spiegherà che non c’era nessuna volontà di discriminare, e così via…  Ma la nostra comunità vorrebbe che su questi fenomeni si facessero indagini e inchieste più accurate. E’ necessario diffondere una cultura della non-discriminazione, anche tra gli operatori del diritto. Altrimenti, i rom rischiano di percepire la giustizia come una cosa lontana, e magari anche ostile».
Accennava prima ad altri episodi che ha suscitato preoccupazione tra i rom… «Sì, ci sono anzitutto altre vicende di cronaca giudiziaria su cui non mi soffermo in questa sede. E a queste bisogna aggiungere il fatto che in Abruzzo le politiche di inclusione dei rom sono praticamente scomparse: di fatto, le nostre associazioni sono le uniche che fanno qualcosa per la comunità, e tra l’altro lo fanno a titolo volontario, senza finanziamenti pubblici. I rom si sentono abbandonati, consegnati all’emarginazione e alla discriminazione. E percepiscono le istituzioni – tutte le istituzioni – come mondi lontani.
Noi vorremmo invece diffondere tra i rom una cultura della legalità. Ma è necessario che la legge e le istituzioni tutelino le minoranze, le proteggano dal razzismo, dalle discriminazioni, dalle violenze. Altrimenti è naturale che si diffonda la sfiducia, che si pensi che la legge è sempre dalla parte del più forte…»

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