Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 marzo 2012

Accordo di integrazione: testo e brochure informativa in 16 lingue.
Nel sito del Ministero dell’interno materiali multilingue per spiegare agli stranieri cosa prevede l’Accordo di integrazione.
ImmigrazioneOggi, 12-03-2012
È entrato in vigore sabato 10 marzo il regolamento, emanato con d.P.R. 14 settembre 2011, che disciplina l’Accordo di integrazione, il patto che sancisce reciproci impegni tra il cittadino extracomunitario e lo Stato, introducendo una misurazione a punti per determinare il grado di integrazione dell’immigrato. A partire da sabato, quindi, gli stranieri ultrasedicenni che facciano ingresso nel territorio nazionale per la prima volta e richiedano un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, dovranno sottoscrivere tale Accordo presso le Prefetture o le Questure.
Per permettere ai cittadini stranieri di comprendere cosa prevede l’Accordo, il sito del Ministero dell’interno ha pubblicato il testo e una brochure informativa in 16 lingue.
Nel Servizio di inoltro telematico del Ministero dell’interno dal 10 marzo sono attive le funzioni che consentono allo straniero che ha sottoscritto un accordo di integrazione di visualizzare lo stato dell’accordo sottoscritto ed eventualmente modificare i soli dati del recapito. Inoltre è disponibile un modello telematico di comunicazione dei dati del nucleo familiare (modello CNF) attraverso cui lo straniero, successivamente all’inoltro della domanda di nulla osta del datore di lavoro, può inviare i dati del proprio nucleo familiare al sistema Accordo al fine di integrare le informazioni necessarie alla sottoscrizione dell’Accordo di integrazione. Per ulteriori chiarimenti si rimanda al documento “Accordo Integrazione” disponibile nella sezione.



Tolentino: consegnata ai figli degli immigrati la Cittadinanza simbolica della Città di Tolentino
Vivere macerata, 12-03-2012
dal Comune di Tolentino
Grandissima partecipazione alla cerimonia di consegna della cittadinanza simbolica del Comune di Tolentino, domenica 11 marzo 2012. L’auditorium dell’Istituto d’Istruzione Superiore “F. Filelfo”, gremito in ogni spazio, ha ospitato tutti i figli degli immigrati nati in Italia da genitori residenti che con gioia ed emozione hanno ricevuto dalle mani del Sindaco Luciano Ruffini un attestato di cittadinanza simbolica ed una copia della Costituzione italiana.
Ad aprire la cerimonia l’Inno d’Italia cantato dal coro dell’Istituto musicale “N. Vaccaj” diretto dal Maestro Tiziana Muzi. La “piacevole sorpresa” per i presenti è che l’Inno nazionale italiano è molto conosciuto anche tra gli stranieri che lo hanno cantato insieme ai giovani cantori, formando un coro ideale fatto da tante nazioni diverse è unite dalle note e dalle parole dell’Inno di Mameli.
Molto articolato il saluto ufficiale portato dal Sindaco Luciano Ruffini che nel suo intervento ha tra l’altro sottolineato l’importanza di riconoscere ai figli degli immigrati il diritto non solo di sentirsi italiani ma di esserlo a tutti gli effetti. Nel Comune di Tolentino – ha ricordato il Sindaco - risultano residenti, al 19 gennaio 2012, 405 tra bambini, bambine, ragazze e ragazzi nati/e in Italia da genitori stranieri (di 27 nazionalità diverse), delle quali 203 sono donne e 202 uomini, il più giovane dei quali ha poco più di un mese e il più anziano dei quali è nato nel 1992 e ha perciò solo venti anni. I figli nati in Italia - detti “immigrati di seconda generazione” - hanno tutte le caratteristiche dei cittadini italiani – ha anche detto Ruffini - come la lingua, la storia, il governo, i ricordi, la scuola, le attività sociali, ecc.
Questi figli però oggi non sono considerati cittadini a pieno titolo. L’Amministrazione comunale di Tolentino ritiene, invece, che è cittadino chi trova e costruisce la vita e le radici in un paese dove svolge tutte le attività più importanti. Per questo la Giunta comunale, accogliendo la richiesta del Vicesindaco e Assessore all’Integrazione Multirazziale Alessandro Bruni, ha deciso di dare, per ora purtroppo solo simbolicamente, la cittadinanza del Comune a tutti i figli di immigrati, residenti a Tolentino e nati in Italia. Alla cerimonia hanno anche partecipato Simone Cartuccia, in rappresentanza del dirigente Scolastico dell’Istituto d’Istruzione Superiore “F. Filelfo” Silvio Minnetti, che ha ricordato che la scuola è il primo luogo di integrazione reale, Alessandro Bruni Vicesindaco e Assessore all’Integrazione Multirazziale che ha intenzione di prevedere, all’interno del regolamento per il decentramento - dopo i mediatori culturali, la Consulta degli Immigrati, il Tg Multilingue e le tante manifestazioni promosse per favorire la conoscenza reciproca - la partecipazione degli immigrati regolarmente residenti all’elettorato attivo e passivo per gli organi dei comitati dei quartieri.
Già alcuni enti hanno previsto la concessione di una cittadinanza di tipo onorario ai cosiddetti immigrati di seconda generazione e in merito a ciò il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – ha evidenziato Bruni - ha espresso il proprio favorevole apprezzamento ritenendola di “alto valore simbolico”, auspicando che ciò contribuisca a far in modo che si giunga per essi in Italia all’effettiva concessione della cittadinanza ordinaria, il Presidente di zona soci di Coop Adriatica Luigi Giampaoletti, accompagnato dal Consigliere Vittorio Luciani, che si è detto molto contento di partecipare ad una iniziativa che parte dal basso e che vuole favorire realmente l’integrazione multirazziale. Coop offrendo una copia della Costituzione a ogni “nuovo cittadino” – ha affermato -vuole sostenere la partecipazione, ad ogni livello, di tutti coloro che vogliono cooperare per il bene ed il miglioramento della vita della collettività. Molte applaudite le esibizioni di Giulia Merelli, Dora Merelli, Samuele Magagnini, Xielo Vasquez e Carla Saliu che hanno proposto brani eseguiti al violino, pianoforte, chitarra elettrica, allietando il pubblico. A concludere la manifestazione l’Inno alla Gioia di L.V. Beethoven eseguito dal coro dell’istituto “Vaccaj” e la consegna degli attestati, della Costituzione italiana e la foto finale. E’ bene ricordare che, con votazione favorevole unanime, la Giunta municipale del Comune di Tolentino ha deliberato di conferire la cittadinanza simbolica della Città di Tolentino ai nati in Italia da genitori stranieri, regolarmente residenti nel Comune.
La cittadinanza italiana si può ottenere (oltre che attraverso la naturalizzazione di chi possiede una cittadinanza diversa) in conseguenza della nascita da un genitore in possesso della cittadinanza italiana: il cosiddetto ius sanguinis. Lo ius sanguinis è detto anche “modello tedesco” e presuppone una concezione "oggettiva" della cittadinanza che in epoca ottocentesca era stata individuata come basata sul sangue, sull'etnia, sulla lingua e sulla comune civiltà. Lo ius soli, invece, che implica l’acquisto della cittadinanza per tutti coloro che nascono in una nazione, è detto anche “modello francese” e presuppone una concezione "soggettiva" della cittadinanza intesa, sempre nell’Ottocento, come "plebiscito quotidiano", ovvero come scelta continuamente rinnovata di far parte di una nazione. Gli immigrati che per scelta, più o meno dettata dalla necessità, hanno abbandonato il paese di nascita per cercare in altri paesi una vita migliore per sé e per i propri figli, ovviamente con tutte le difficoltà che un processo del genere ha comportato e comporta, hanno stabilito la propria residenza nel nostro paese e, nella maggioranza dei casi, ne hanno fatto la propria “casa”.
Ancor di più i loro figli, nati nel nostro paese (i cosiddetti immigrati di seconda generazione), hanno acquisito naturalmente tutte le caratteristiche che vengono storicamente individuate come fondamentali per definire un appartenente ad una nazione, quali la lingua, il riferimento al luogo geografico, la storia, il governo, i ricordi, la scuola, le attività sociali, ecc.. Questi però, attualmente, non hanno la possibilità di essere considerati cittadini a pieno titolo, anzi, possono diventarlo solo a determinate condizioni e affrontando un lungo iter. Nella società attuale il criterio dell’acquisto della cittadinanza solo per diritto di sangue non risponde più alle ragioni per cui fu a suo tempo scelto e deve considerarsi cittadino chi invece trova e costruisce la propria esistenza e le proprie radici in un paese dove effettivamente esplica tutte le attività che di norma sono individuate come fondamentali dell’essere cittadino. Queste persone invece si trovano impedite dall’esercitare quelle attività che consentirebbero loro di essere compiuti cittadini, come quelle di cercare liberamente un lavoro o di contribuire a determinare, con la propria libera preferenza, le scelte politiche e amministrative del paese in cui vive da sempre.



Una catena umana per dire “No a tutti i razzismi”. Così l’Italia celebra la Giornata mondiale contro il razzismo.
Le iniziative dell’ottava Settimana di azione contro il razzismo promossa dall’Unar.
ImmigrazioneOggi, 12-03-2012
Una catena umana in tutta Italia per dire “No a tutti i razzismi” è l’iniziativa del prossimo 21 marzo che aprirà l’ottava Settimana di azione contro il razzismo promossa dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali).
La ricorrenza celebra la memoria della strage di Sharpeville, in Sudafrica, dove il 21 marzo 1960, ben 69 manifestanti neri muoiono in pochi minuti sotto i colpi di fucile di 300 poliziotti bianchi. È la giornata più sanguinosa dell’apartheid sudafricana, dichiarata dalle Nazioni Unite “Giornata mondiale contro il razzismo”.
Alle ore 10.30 in punto di mercoledì prossimo, nelle diverse città coinvolte, un variegato popolo anti-razzista fatto di studenti, insegnati, volontari dell’associazionismo, comunità straniere e comuni cittadini si prenderanno per mano e circonderanno i luoghi-simbolo della cultura italiana, per manifestare pubblicamente il rifiuto del razzismo e della xenofobia.
È questa solo una delle numerose iniziative che l’Unar realizza per l’ottava Settimana di azione contro il razzismo, in programma dal 21 al 28 marzo 2012, con il patrocinio dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati.
Si parte lunedì 19 marzo con la conferenza di presentazione della Settimana al Teatro Eliseo di Roma, in una giornata di cultura e spettacolo anti-razzista che vede la partecipazione emblematica dell’attore Ascanio Celestini.
Le iniziative proseguono, sempre a Roma, il 20 marzo con la presentazione dell’accordo di collaborazione tra l’azienda di trasporti del Comune di Roma (Atac) e l’Unar per la realizzazione di un piano di interventi formativi rivolti ai conducenti degli autobus per prevenire e combattere le discriminazioni razziali nel servizio di trasporto pubblico.
La Settimana continua, in più di trenta città italiane, con una serie di eventi informativi, attività ludico-aggregative e di piazza, momenti di riflessione e di formazione nei luoghi di lavoro e di studio, con il coinvolgimento di enti locali, mondo della scuola, forze sindacali ed imprenditoriali, associazioni del settore e comunità straniere.
A chiudere la lunga maratona di iniziative, l’importante Convegno internazionale organizzato da Unar e Ansi (Associazione nazionale stampa interculturale), in programma a Roma nei giorni 2 e 3 aprile, che intende puntare l’attenzione di opinione pubblica ed addetti ai lavori sul tema “Media e Diversità in Italia e in Europa”. Nel corso della due giorni, che prevede la partecipazione di esponenti del Governo Italiano, quali i Ministri Fornero e Riccardi, delle istituzioni europee e del mondo dell’informazione, viene fatto il punto sulla rappresentazione della diversità culturale nei mezzi di informazione a livello europeo e viene conferito il premio giornalistico “For Diversity Against Discrimination 2011”.



Immigrati. Uil Enna: no permessi a punti
ViviEtnna.it, 12-03-2012
Enna. La Uil provinciale, attraverso il suo rappresentante Santo Pane, è molto critica sull’introduzione del permesso di soggiorno a punti, in vigore dal prossimo 12 marzo. “Premeso – dice Santo Pane, dirigente Sindacale della Uil provinciale – che il permesso a punti è stato voluto nel 2009 dal precedente Governo con il “pacchetto sicurezza”. Si tratta di una legge dal carattere volutamente ostile nei confronti dei cittadini immigrati, una legge ripetutamente contestata sia dalle sentenze italiane ed europee. Questa disposizione sembra essere stata studiata non per agevolare le cose ma bensì per complicare inutilmente la vita ed il lavoro dei nuovi cittadini stranieri che entrano in Italia a partire lunedì prossimo. Inoltre, l’entrata in vigore di questa norma appare presupporre un farraginoso sistema di valutazione dei presunti meriti e demeriti degli stranieri e necessiterà per la sua applicazione di una struttura di controllo che dovrebbe poggiare sulle Questure e sugli sportelli unici per l’immigrazione, già oberati da funzioni”.
Per Santo Pane sarebbe opportuno delegare gli Enti Locali, vale a dire i Comuni. Si potrebbe considerare un contratto unilaterale che impone obblighi e costi agli stranieri senza offrire in cambio né mezzi né benefici. Ad esempio agevolazioni ai nuovi cittadini di studiare la lingua italiana, ma non si mette a disposizione alcun finanziamento e nessuna struttura formativa di supporto. E’ sicuramente inutilmente punitivo anche l’obbligo di arrivare a 30 crediti entro 3 anni, pena il rischio di espulsione (a discrezione del Prefetto). Santo Pane infine fa notare che vi è un omissione del legislatore: tra i soggetti esclusi dal nuovo obbligo di valutazione per debiti e crediti, mancano i rifugiati e quelli con permesso umanitario, che semplicemente non vengono citati nel DPR. E’ ben noto che, per definizione, i rifugiati non possono essere espulsi. Non averli esclusi esplicitamente da questo dispositivo sembra una grave dimenticanza. “Per queste ragioni – conclude Santo Pane – la UIL chiede espressamente al Governo di voler riconsiderare questa norma , che ha un contenuto penalizzante per gli stranieri onesti ed è estranea ad ogni logica di semplificazione”.



Stranieri, 40 mila nuovi arrivi Corsi e test per il permesso
Caos pratiche in Prefettura. «Ancora ferme le richieste del 2010» La partenza Nell' accordo sottoscritto in corso Monforte l' immigrato riceverà sedici crediti iniziali
Corriere della sera, 11-03-2012
Andrea Galli
Il nuovo avanza. Il vecchio pure. Ieri ha debuttato il permesso di soggiorno a punti (fu voluto dal governo Berlusconi) che a Milano riguarderà ogni anno 40 mila stranieri stimati tra arrivi per motivi di lavoro e ricongiungimenti famigliari. Gli immigrati dovranno sostenere corsi e superare test di lingua italiana e cultura civica. Il peso maggiore delle pratiche cadrà sulla Prefettura in perenne carenza d' organico e in arretrato: devono ancora essere smaltite le domande per i ricongiungimenti presentate nel settembre 2010. Pare quasi inevitabile, con queste premesse, attendersi una conclusione di paralisi e caos. Con le ricadute che andranno naturalmente subito a colpire i diretti interessati, gli immigrati che avranno già i loro bei problemi con il nuovo percorso, secondo alcuni un vero percorso a ostacoli creato ad arte. Comunque, prima di entrare nello specifico si sappia che la Cisl si è già detta disposta alla massima collaborazione qui in città e ha sollecitato il ministero dell' Interno affinché aiuti la Prefettura di Milano. Per colpe non sue che davvero si trascinano da anni, la città che più in Italia come volume di pratiche e di criticità lavora per gli immigrati si trova in massima difficoltà. Anche il permesso a punti sarà un onere dello sportello unico dell' immigrazione, un ufficio che conta una trentina di dipendenti dei quali solamente sette a tempo indeterminato. «Troppo poco per un luogo così delicato». Chissà quando lo potenzieranno. L' ufficio è atteso da ulteriori straordinari. Lo straniero di età compresa tra i 16 e i 65 anni, che fa il primo ingresso in Italia e presenta una richiesta di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, deve sottoscrivere in Prefettura un accordo durante il quale ottiene 16 crediti. Entro tre mesi dalla firma dell' accordo - che durerà due anni - sarà convocato per partecipare a una sessione di formazione civica e informazione sulla vita in Italia. Con la firma si è impegnato a raggiungere un livello adeguato della conoscenza della lingua italiana, acquisire una «sufficiente conoscenza della cultura civica», garantire l' adempimento dell' obbligo di istruzione per i figli. Quando mancherà un mese alla scadenza dell' accordo, lo sportello inviterà l' immigrato a presentare la documentazione necessaria. In alternativa lo straniero potrà chiedere una valutazione con test su lingua, cultura civica, vita civile. I crediti possono essere persi e guadagnati. Aumentano con titoli di studio, comprando una casa, svolgendo attività di volontariato. I crediti vengono decurtati in presenza di condanne penali (anche se non definitive) e sanzioni pecuniarie di almeno 10 mila euro. Per estinguere definitivamente l' accordo contratto in Prefettura vanno raggiunti trenta crediti. Se i crediti sono 29, l' accordo viene prorogato per un anno e, al termine, toccherà sostenere un nuovo esame.  La scheda Le domande Il grosso spetterà alla Prefettura con lo sportello unico dell' immigrazione. Ma anche la Questura farà la sua parte, poiché le toccheranno per esempio le pratiche relative al cittadino straniero che chiede la coesione famigliare con un italiano. Negli uffici di via Montebello, fanno sapere dalla Questura, sono già 5.300 le pratiche di nuovo ingresso in Italia che sono state aperte dall' inizio dell' anno L' accordo In Prefettura lo straniero di età compresa tra i 16 e i 65 anni che fa il primo ingresso in Italia e presenta una richiesta di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno dovrà sottoscrivere un accordo durante il quale otterrà 16 crediti. Sarà soltanto il primo passo di un iter che tra test e corsi durerà almeno due anni **** 3I mesi di tempo per ricevere dalla Prefettura la convocazione per una sessione di formazione civica



Grazie alla parabola (e a mio padre) parlo l’arabo. Ma oggi le mogli di immigrati la usano per isolarsi
Corriere della sera, 12-03-2012
Rania Ibrahim
Il modo migliore per renderci conto dei cambiamenti è quello di osservare ciò che ci circonda, a volte è più efficace di libri, tesi, relazioni di sociologia, storia, statistiche, psicologia, urbanistica e quant’altro. Non so se ci avete fatto caso, ma avete mai visto antenne paraboliche o satellitari nelle vie del centro, nelle aree cosiddette “fashion”?  Assolutamente no, almeno non in bella vista. Mentre, basta attraversare la circonvallazione di Milano per ritrovarsi in uno scenario tipicamente da banlieue parigina o da ex quartieri-dormitorio statali di Praga.
Migliaia di apparecchiature agganciate su balconi, finestre e tetti, si sono negli ultimi decenni affacciate prepotentemente nello scenario urbano meneghino e non solo. Le prime antenne satellitari le notai per la prima volta a Praga durante una gita scolastica e rimasi colpita dal loro numero inquietante, mi chiedevo da cosa stessero fuggendo? Che cosa volevano vedere dall’altra parte?  All’epoca, gli abitanti dell’Est Europeo erano realmente affascinati e attirati da ciò che gli avveniva intorno, a pochi chilometri di distanza, la voglia di Occidente era tanta, si desiderava l’altro spiandolo, sperando un giorno di raggiungerlo per fare propria quella vita lì, appropriarsene.
    Mi ricordo ancora mio padre quando nel 1992 si presentò in casa con antennista e parabola satellitare pronta per l’installazione.  Apriti cielo.
I miei vicini di casa non erano d’accordo, pensavano fosse un apparecchio spionistico, da “terrorista”, e poi rovinava la facciata del condominio…capirai.
    Ma cusel’è chel rob lì???, chiedevano. Mi ricordo la sciura Eugenia, che abitava accanto a casa mia, che continuava a dire: ma non è che fai la spia?
Povero papà, per diversi giorni dovette ininterrottamente spiegare a ogni condomino giustamente incuriosito che serviva solo per poter accedere ai canali televisivi dei Paesi arabi (e non solo, volendo). Mio padre aveva pensato che sarebbe stato un modo per farmi conoscere il mio Paese d’origine, la mia cultura, la musica araba, le tradizioni che difficilmente avrei conosciuto guardando BIM BUM BAM o Non è la Rai (giuro che non lo vedevo, l’ho citato per rendere l’idea dei programmi dell’epoca!). E mai scelta fu più azzeccata.
    In poco tempo non solo canticchiavo in arabo canzoni di artisti nuovi o vecchie glorie, ma riconoscevo attori, seguivo musalsalat (soap-opera) che nel mondo arabo sono un’istutuzione dei palinsesti televisivi, una programmazione sistematica con tanto di premiazioni a fine stagione, un po’ come i Grammies negli USA, ma soprattutto divenni una esperta di modi di dire, barzellette, slang, neologismi e proverbi.
Devo realmente ringraziare mio padre per questa scelta, perché se oggi parlo correttamente l’arabo, oltre alle lezioni impartite dal mio insegnante, ha giocato un ruolo fondamentale la televisione. Direi davvero una scelta lungimirante, che cerco di seguire anche io.
    Si potrebbe dire che l’opposto è quello che avviene oggi, a molte donne arrivate grazie ai ricongiungimenti famigliari, che di professione fanno le “mogli-sforna bimbi” di uomini immigrati, almeno io le definisco così, spero non me ne vogliano. Sono migliaia, la maggior parte musulmane, barricate nelle loro case, chiuse in un mondo che non hanno mai lasciato realmente, tutto il giorno a guardare esclusivamente programmi arabi, sentire musica araba, telegiornali arabi, la Rai?, non sanno neppure cosa sia.
Si può dire che sono in Italia fisicamente, ma con la mente sono rimaste nel loro Paese d’origine. Personalmente ne conosco parecchie, e mi capita di rimanere allibita quando mi dicono di non saper ancora parlare l’italiano e magari risiedono qui da 6 o 7 anni. Iniziano ad avere difficoltà e desiderio di “aprirsi” quando i loro figli accedono all’istruzione elementare, vuoi perché devono mettersi in contatto con maestre e docenti, vuoi per aiutare e capire meglio il mondo e le esigenze dei loro figli. Forse nel loro caso le antenne satellitari rappresantano il mondo al quale vorrebbero con difficoltà rimanere aggrappate con le unghie, appartenere, ritornare, un modo per non sentirsi estranee, ma continuare a vivere in  un quotidiano virtuale e falsato, perché poi, basta affacciarsi alla finestra e scorgere il tram o l’autobus arancione sotto casa per rendersi conto di non essere a il Cairo o a Rabat, ma solo a Milano.



Le Ong italiane e la politica Se fare solo del bene non basta più
Cinque fra le organizzazioni umanitarie italiane più importanti e famorse parlano della tendenza diffusa di non limitare più il proprio lavoro agli aspetti tecnici dell'assistenza nelle aree più povere del Pianeta, ma indicare anche le cause anziché gli effetti, per cambiare il mondo in meglio. Ma svelano anche i limiti di una scelta di campo assai esplicita
la Repubblica, 09-03-2012
GIAMPAOLO CADALANU
ROMA - Tutto è politica, si diceva già negli anni Settanta. A maggior ragione sono i temi dell'impegno sociale e umanitario a inserirsi nella categoria: fra le Organizzazioni non governative la tendenza sempre più diffusa è quella di non fermare più il proprio lavoro agli aspetti strettamente "tecnici" dell'assistenza ai più sfortunati, per svelare senza ipocrisie le radici dei disagi e le possibilità di intervento. In altre parole, indicare le cause invece che gli effetti, per cambiare il mondo in meglio. Abbiamo chiesto a cinque protagonisti qual è la scelta della loro organizzazione e quali sono gli eventuali limiti di una scelta di campo esplicita.
Action Aid 1
"Il perché dei nostri sforzi". L'organizzazione italiana affiliata al network con coordinamento in Sudafrica è impegnata in una raccolta fondi con Sms per il suo lavoro in Etiopia. Ha appena diffuso uno spot e dato alle stampe "Il diritto di cambiare 2". È un volumetto dal tono narrativo che sancisce un passo avanti nell'impegno di ActionAid. Marco De Ponte, segretario generale, spiega il perché di questo sforzo. "Più che una svolta, parlerei
di un'evoluzione. Negli ultimi anni ActionAid, specialmente la sezione italiana, ha guardato sempre più alle cause dell'esclusione sociale, evitando di fermarsi ad affrontarne gli effetti. Oggi - aggiunge De Ponte - la divisione fra ricchi e poveri non corrisponde ai confini tra Paesi, ci sono ricchezze e responsabilità anche nei Paesi poveri, come c'è povertà anche nei Paesi ricchi. Il panorama non è più in bianco e nero, dunque occuparsi di giustizia sociale anche sotto casa è un passo logico e necessario ad avvicinare gli italiani ai problemi che affrontiamo in tutto il mondo".
Non è solo 'far del bene'. In Italia ancora prevale l'idea che il lavoro delle Ong sia solo 'far del bene' - ha detto ancora De Ponte -  ma noi puntiamo ad un trasformazione sociale profonda e sostenibile, all'estero come qui. Il libro e lo spot sono un modo per mettere a fuoco i problemi globali mostrando la possibilità di risolverli. Se un miliardo di persone soffre la fame, è a causa di inaccettabili squilibri di potere, di accesso alle risorse che inevitabilmente risultano limitate sul nostro pianeta. Da tempo - ha concluso -  ActionAid descrive ovunque il proprio come un lavoro politico, nel senso che interessa la polis, i cittadini. Il limite di questo ci è molto chiaro: ci schieriamo questione per questione dalla parte degli emarginati, non sulla base di un'appartenenza precostituita a partiti o di adesioni di tipo ideologico".
3Amnesty International
I diritti dell'uomo non sono di parte. L'organizzazione umanitaria, premio Nobel per la pace nel 1977, è da sempre in prima linea per difenderli. Amnesty International pubblica ogni anno un rapporto che non fa sconti a nessuno, individuando abusi e problemi di tutti i Paesi. E la scelta di non ammorbidire la posizione critica, quale che sia la nazione coinvolta, espone Amnesty International a critiche generalizzate, che però in questo contesto valgono come una garanzia di indipendenza. A indicare qual è la linea di Amnesty International è la direttrice della sezione italiana Carlotta Sami.
Attivare la partecipazione. "Il limite dell'intervento umanitario sono le disuguaglianze che impediscono di godere i diritti fondamentali. Amnesty International c'è sempre stata, accanto e con i titolari dei diritti umani, con una partecipazione attiva. La nostra strategia attuale si sintetizza con l'espressione "closer to the ground", l'intenzione è quella di attivare la partecipazione di chi ha i diritti. E questa è attività politica nel senso nobile del termine. Ci occupiamo dei diritti di tutti, secondo linee guida che ci danno una visione del mondo come dovrebbe essere. E fra i beni comuni dell'umanità ci sono anche i beni economici, sociali, culturali. Amnesty ha ampliato il suo campo di intervento, è andata al di là dell'umanitario, oltre i diritti fondamentali. Facciamo un esempio: in un momento di crisi finanziaria gravissima dobbiamo verificare che i provvedimenti economici non ledano i diritti fondamentali. Anche i diritti economici sono importanti, non sono diritti di serie B".
Coopi
La spinta ideale degli anni '60. Operativa già negli anni Sessanta, Coopi è una delle più antiche organizzazioni non governative italiane. Ha una esplicita ispirazione laica, nata con il contributo dei movimenti cattolici di base ed è caratterizzata da un "profilo basso" sul tema dell'intervento politico. Il presidente Claudio Ceravolo sottolinea le scelte dell'Ong. "Coopi è nata sulla spinta ideale degli anni Sessanta, ha vissuto in pieno il dibattito del '68 e degli anni successivi. Ricordo - ha aggiunto Ceravolo - che arrivavamo a fare assemblee sull'opportunità o meno di operare nello Zaire (oggi Congo), e c'era chi sosteneva che non si doveva, perché Mobutu era il burattino della Cia. Alla fine, per fortuna, la spuntò chi ricordava che il nostro impegno andava a favore di chi non aveva nessun genere di assistenza, non a Mobutu".
Obiettivo: autodeterminazione. "Per noi anche oggi il discrimine è nel rispetto per le capacità di autodeterminazione dei locali, nei paesi dove operiamo - ha detto ancora il presidente di COOPI - da qui nasce la scelta del basso profilo. Operare scelte politiche in situazioni politiche complicatissime significa non rispettare la loro autonomia. Un esempio: nel '96-'97 siamo stati l'unica Ong a lavorare sia in Ruanda che con i rifugiati ruandesi nell'ex Zaire, e tutto con estrema trasparenza. Non per appoggiare gli hutu génocidaires, ma per costruire latrine sul terreno lavico e non far morire i bambini di diarrea. Insomma - ha concluso - il limite è il rispetto, il principio della 'non condizionalità' degli aiuti interventi , sancito alla Conferenza dalla Dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti del 2005".
Emergency
Ha occupato lo spazio liberato dalla politica. Fra le Ong italiane quella fondata da Gino Strada è senz'altro la più connotata politicamente. Da sempre su posizioni critiche sugli interventi militari, ha occupato uno spazio lasciato libero dalla politica tradizionale, finendo per raccogliere una robusta fetta dell'eredità ideologica degli anni Settanta. Anche oggi interviene nel dibattito politico con un mensile non dedicato solo ai temi della solidarietà, caso più unico che raro nel mondo delle Ong. Cecilia Strada spiega dove si radica questa forte identità.
Lavorare per diventare inutili. "La nostra organizzazione è molto connotata sin dalla nascita, perché lo statuto non parla solo di cure mediche, ma anche di diffusione della cultura di pace e dei diritti umani - esordisce Cecilia Strada - e questi sono senz'altro temi politici. Abbiamo sempre sintetizzato questo atteggiamento con una battuta: lavoriamo per diventare inutili. Emergency compie 18 anni nel prossimo maggio, e sono anni passati in contesti di guerra. Quando torniamo a casa, dobbiamo raccontare che cosa è la guerra, che è sempre "sangue e merda". Non ci basta rattoppare la gente, se non si cambia la testa di chi decide. In questo - aggiunge - il confine da non superare è il rispetto delle esigenze cliniche, che non devono essere subordinate a tesi politiche. Ma è un rischio che noi non corriamo".
"Le accuse che ci rivolgono". "Mi spiego: in passato siamo stati accusati di scegliere i luoghi di intervento dove erano presenti gli Usa, per criticarne l'operato. Ovviamente non era vero. Siamo in Iraq dal '96, molto prima della guerra. Siamo in Afghanistan dal '99, prima dell'intervento americano. Ma non rinunciamo a dire che in quel paese in dieci anni abbiamo curato tre milioni di afgani, spendendo quello che l'Italia spende in 25 giorni di guerra".
Medici Senza Frontiere 7
Il punto fermo dell'indipendenza. Nata in Francia negli anni Settanta, Médecins sans Frontières ha fatto della propria indipendenza un punto di riferimento per ogni intervento umanitario, al punto che la sua autonomia è stata citata persino nella motivazione del premio Nobel per la pace, ottenuto nel 1999. Il direttore della sezione italiana, Kostas Moschochoritis illustra le scelte dell'Ong. "Msf basa il suo lavoro su tre principi: indipendenza, imparzialità, neutralità. Ma serve la capacità di metterli in pratica, che spesso non può prescindere dall'indipendenza economica. Prendiamo l'Afghanistan: per i Taliban chi prende i finanziamenti dai governi che fanno parte delle forze della coalizione è loro alleato. D'altronde ha aggiunto il direttore di MSF -  le autorità italiane non prenderebbero bene la costruzione a Roma di un ospedale finanziato dai Taliban".
Negoziare con tutti. "La prima domanda a cui gli operatori umanitari sul campo devono rispondere è proprio: da dove prendete i soldi? E non si può certo mentire. Ma non è mai facile, bisogna mediare, per lavorare in paesi in conflitto serve trattare con tutti. Msf - ha detto ancora Moschochoritis - deve negoziare l'accesso alla popolazione con tutte le parti presenti sul campo, senza distinzione tra 'buoni' e 'cattivi'. Facciamo compromessi per poter lavorare. A volte la nostra presenza è scomoda per una parte, poi magari diventiamo preziosi perché il contesto cambia. Non siamo pacifisti né guerrafondai, il nostro compito è alleviare le sofferenze e salvare vite e questo guida il nostro posizionamento".
Quando si diventa parte del problema. "Dire 'sì' oppure 'no' ad un intervento militare - ha aggiunto ancora - significa schierarsi con una delle parti in conflitto, diventando parte del problema e minando la percezione della nostra neutralità, aspetto indispensabile per poter lavorare su tutti i fronti. Anche senza essere un soggetto politico, a volte lavoriamo con la società civile e le istituzioni nazionali e internazionali, magari per chiedere l'accesso ai farmaci anti-retrovirali per i malati di Aids, per contrastare la strumentalizzazione degli aiuti umanitari o per denunciare le condizioni dei migranti senza permesso di soggiorno all'interno dei centri di identificazione ed espulsione".

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