Immigrazione: derive disumane

Il libro di Murard-Yovanovitch ne esplora lezone critiche
Luigi Manconi, Valentina Brinis  
Le vicende che riguardano il tema dell'immigrazione in Italia, quando fanno notizia, vengono esposti seguendo due linee narrative:  quella del pietismo e quella che utilizza toni per lo più accusatori e criminalizzanti della figura del migrante. Il linguaggio utilizzato è spesso filantropico e le stesse argomentazioni sono più inerenti a un atteggiamento sentimentale, che al fondamentale principio del rispetto dei diritti umani.

Il libro di Flore Murard-Yovanovitch  "Derive. Piccolo mosaico disumano" (Nuovi Equilibri, 2014) vuole smontare tali categorie interpretative e raccontare i fatti dell'immigrazione "senza retrocedere a una dimensione di carità cristiana". Lo fa attraverso una narrazione obiettiva, organizzando le vicende in ordine cronologico come fosse una sorta di diario. Si astiene molto spesso dal commento, perché le vicende che riporta parlano da sé, e vuole che il suo lavoro contribuisca a restituire "uguaglianza psichica tra gli esseri umani". Si tratta di un obiettivo che si deve porre come prioritario se si vuole che - come desidera l'autrice - lo straniero sia "considerato nella sua irriducibile umanità uguale alla mia".
L'incipit del libro richiama a una storia violenta accaduta nel 2009 a Nettuno, vicino a Roma. Qui, il signor Navtej Sind Sindhu di origine indiana, è stato arso vivo da "mani italiane" - come era stato scritto da alcuni quotidiani - mentre dormiva su una panchina. Quel fatto, anche se appena accennato, è emblematico della violenza che a volte viene scatenata contro persone straniere e che è da ricondurre, secondo l'autrice, ai "legami tra violenza razzista e sintomi di 'malattia mentale' (come disturbi caratteriali di massa)". Interpretazione particolarmente audace, che suscita qualche perplessità, ma che va presa in serissima considerazione. Ma di esempi, nel libro, ce ne sono altri che rimandano ad emozioni e sensazioni analoghe. Tra questi: la detenzione degli stranieri, i pogrom contro i Rom e la morte nel Mediterraneo dei migranti. A questo proposito l'autrice ricorda l'uscita del film "Come un uomo sulla terra" (2008) di Dagmawi Yimer e di Andrea Segre. Il viaggio dei profughi eritrei verso l'Europa in cui non vengono celati gli abusi e le deportazioni che si compiono sul territorio libico. Sono storie di cui si hanno ora esaurienti immagini ma delle quali, al tempo in cui il film è stato girato, nulla o quasi si sapeva.
Oggi, invece drammi di questo tipo sono noti e si sa che ne accadono continuamente, tanto da poter stimare una frequenza di sei-sette vittime al giorno. E la maggior parte degli "incidenti" in cui incorrono le imbarcazioni che tentano in maniera irregolare di traversare il Mediterraneo per raggiungere le coste dell'Europa, non arriva alle agenzie di stampa. Ciò succede per vari motivi ma il principale è, sicuramente, il sovrapporsi di più irregolarità: quella delle imbarcazioni, quella del numero dei passeggeri, quella di chi li trasporta in Italia e quella delle condizioni di navigazione. E non finisce qui, perché per chi rimane in Italia il percorso non sarà meno irto di ostacoli. A partire dal sistema dei centri di accoglienza in cui  oltre al vitto e all'alloggio, spesso, non viene fornito alcun servizio utile a incentivare la persona alla realizzazione del proprio percorso autonomo di integrazione.
È questa un'altra delle criticità sottolineate dall'autrice, che prende a esempio il fallimento del centro di accoglienza di Pozzallo. Qui vengono descritte non solo la scarsità di servizi messi a disposizione, ma anche la violenza (e non solo fisica) indirizzata contro gli ospiti.
La forza del testo della Murard-Yovanovitch, sta nello sviluppare una riflessione sulla questione, da lei proposta come prioritaria, della produzione del “disumano nella società contemporanea". Un'analisi che si rivela sempre più necessarie perché, sottolinea l'autrice, "sono in atto vere e proprie rivoluzioni che scombussolano il nostro relazionarci al diverso". Un diverso ormai così presente tra noi da indurci, sempre più spesso a chiederci, provvidenzialmente, quali siano - e se effettivamente vi sono - i confini del normale.
l'Unità, 28-02-2014

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