Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 agosto 2013

Nuova protesta a Cie Gradisca d'Isonzo
Chiedono di facilitare trasferimento in altre strutture
(ANSA) - TRIESTE, 29 AGO - Una nuova protesta è in corso al Cie di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) da parte di una ventina di immigrati, ospiti della struttura che chiedono, tra l'altro, la possibilità di trasferimento in altri Cie. Nella tarda serata di ieri gli immigrati sono saliti sul tetto, dove ancora si trovano. Secondo quanto si è appreso, due migranti sono caduti da una rete di contenimento e sono rimasti leggermente feriti.
Soccorsi, sono stati medicati all'ospedale di Gorizia. (ANSA).



Gradisca, il "carcere" dei senza tempo
No a giornali e cellulari. Niente mensa comune, né orari, né attività di gruppo. Cosi si vive negli 11 centri per l'identificazione ed espulsione degli immigrati. Siamo andati a vederne uno.
Famiglia Cristiana, 29-08-2013
MANUEL GANDIN
5e dessimo retta al loro nome - Centri d'identificazione ed espulsione - li dovremmo immaginare come i luoghi della burocrazia più rapida ed efficiente. lnvece, i Cie sono una delle più grandi vergogne di un Paese che si dice civile. Nati come strutture dove trattenere "momentaneamente" gli stranieri da espellere con tanto di accompagnamento alla frontiera, si sono trasformati in piccoli lager. Dove l'avverbio, momentaneamente, può anche durare 18 mesi. Chi li visita scopre un inferno inimmaginabile da fuori. Al punto che nei giorni scorsi il ministero per l'Integrazione ha chiesto relazioni per ciascuno di essi.
«La prima volta che ci sono entrato mi sembrava l'Alcatraz dei film americani», dice don Paolo Zuttion, responsabile della Caritas di Gorizia. Ma non è un film, è realtà di casa nostra. Gradisca d'Isonzo, a una quindicina di chilometri da Gorizia, è sede di un Cie, il secondo per capienza dopo quello di Ponte Galeria, nel Lazio. A Gradisca la storia ha la maiuscola. Era di qui Marziano Ciotti, primo garibaldino a entrare a Monterotondo, nel 1867. L'Isonzo ricorda la Prima guerra mondiale coi suoi caduti, e pochi chilometri più in là c'è Redipuglia. Oltre i monti è Slovenia; qui, parlare tre lingue (italiano, sloveno e tedesco) è quasi normale. E in un luogo cosi pieno di storia nobile per tutti i popoli che vi hanno abitato, hanno costruito uno degli undici Cie italiani.
Gradisca ospita - si fa per dire - una sessantina di stranieri in attesa d'espulsione, ma potrebbe contenerne fino a 248.
Rispetto a un carcere, in un Cie si può parlare di una "vita senza". Senza, perché non si può fare nulla, tutto è tolto alla persona. Mentre in una prigione gli orari scandiscono la vita quotidiana dei detenuti con varie attività, nel Cie non si fa nulla. Niente lavoro, no a giornali e libri perché infiammabili, gabbie recintate all'aperto. Ma chi è costretto a starvi non è, tecnicamente, un carcerato. Eppure, in certi casi, anche i cellulari sono sequestrati. E l'igiene è poco dignitosa. Non è un caso dunque che a Gradisca, giorni fa, alcuni stranieri si siano ribellati, salendo sul tetto della struttura.
Quando lo vediamo, da fuori, perché dentro è vietato entrare (e già questo dovrebbe far venire il sospetto che qualcosa non sia normale, no?), iniziamo a capire. Un muro alto quattro metri circonda e isola l'ex caserma militare ora dismessa. Sul tetto, dopo la protesta, restano tre materassi di gommapiuma.
Perché non vengono tolti? Ce lo spiega un pensionato, che abita proprio di fronte, dalla parte opposta della strada, la statale che porta a Udine. Si chiama Renzo Franco, 71 anni portati più che bene e un sorriso accogliente come dovrebbe essere quest'Italia che invece, attraversata la strada, ferisce la propria storia oltre alla dignità delle persone: «Vede, gli extracomunitari decidono di salire sul tetto. Se uno di loro si fa male, peggio per lui. Ma se le forze dell'ordine ordinano di riprendere i materassi e qualcuno magari cade e si ferisce, la responsabilità ricade sullo Stato. Cosi, nessuno dà l'ordine e nessuno sale». I reclusi sono fantasmi. In sei sono fuggiti ma le forze dell'ordine non si sprecano molto per cercarli. Sarebbe impossibile trovarli e loro, senza docu- menti, senza un segno d'appartenenza, è come se non esistessero più.
«I Cie si sono dimostrati fallimentari», dice il senatore del Pd Francesco Russo, reduce da un incontro con la presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia Debora Serracchiani. «E anche dal Pdl si vedono i primi timidi segnali d'ammissione per rivedere la legge Bossi-Fini». Aggiungiamoci la situazione dei gestori dei Cie, quasi sempre cooperative che hanno vinto gare d'appalto e che si ritrovano in grande difficoltà. Aiutati da forze dell'ordine il cui impegno verso lo Stato è sincero però, come ammette un poliziotto che resta anonimo, «non era cosi che volevamo servire lo Stato».
Ma cosa vogliono questi che un'ipocrita burocrazia definisce "ospiti" e che in realtà assomigliano a prigionieri di una prigione di seconda classe? A Gradisca vorrebbero, per esempio, che la mensa funzionasse, dal momento che i pasti collettivi sono stati vietati per paura di assembramenti. Per convincerli a scendere da dov'erano arroccati c'è voluto un compromesso: hanno riavuto i cellulari. Bivaccano in camerate al limite dela vivibilità oppure nelle enormi gabbie a cielo aperto.
Spesso non conoscono la nostra língua; la giornata scorre inutilmente. Tutto è vietato, nulla è concesso. La promiscuità mette assieme, magari, condannati per reati comuni con chi ha perso il lavoro e il permesso di soggiorno, disonesti e gente perbene.
Tre ragazze dell'Associazione di promozione sociale Tenda per la pace e i diritti, Anchal, Genni e Galadriel, raccontano di una situazione sempre più complessa. Sono in contatto telefonico con Ihmed, un giovane tunisino. Ha ingoiato una lametta: «L'hanno portato in ospedale ma lui ha voluto uscire e l'hanno riportato lî. Gli hanno detto che se sente dolore deve avvertire»... Sono molti i casi di autolesionismo, anche don Paolo ce lo conferma come, d'altra parte, era emerso nel Rapporto 2013 sui Cie dell'organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani. D'altra parte, questo è il Paese della Bossi-Fini, e Genni ricorda: «Presentarono la legge a Gorizia e proposera addirittura la deforestazione di tutto il confine goriziano».
L'assessore ai Servizi sociali di Gradisca, Linda Tomasinsig, sottolinea: «Chiediamo la chiusura del Cie o, in alternativa, che queste persone siano ospitate in maniera dignitosa». Si, ma ci sarà anche chi si oppone, come la Lega Nord, no? La risposta è tutta italiana: «Fino a quando si tratta di posizioni ideologiche generali, le differenze tra partiti emergono. Ma quando il Cie è qui, davanti a casa nostra, allora anche i leghisti, pur con delle riserve, sono, in linea di massima, d'accordo».
Intanto, fuori dal Cie, rasentando il muro che il pensionato di fronte ha visto «nascere in un attimo, prima guardavo l'alzabandiera, adesso c'è il muro di Berlino», passano dei ragazzi afgani. Escono, ma non dal Cie, bensi dal Cara, Centro
d'accoglienza per richiedenti asilo all'interno della stessa ex caserma. Dove andate? «In giro, dalle 8 del mattino siamo liberi di uscire. Dobbiamo rientrare alle 8 di sera». E che fate? «Niente, non abbiamo soldi, né lavoro, né casa». Dodici ore di finta liberta. Liberta di nulla.
Ci invitano in un bosco che dà sul fiume, su quell'Isonzo dove 300 mila fra italiani e austroungarici morirono nella Grande guerra. «Venite con noi». Sotto un ponte, altri tre afgani: «Viviamo qui da mesi, perché noi non possiamo dormire al Cara». Per problemi burocratici che neanche comprendono. E cosi sono diventati clochard, barboni, fantasmi. Osservano: «Siamo fuggiti dall'Afghanistan per non morire, ma forse cosi è peggio». Insomma, è qui l'Italia? Certo, s'accomodi, Gradisca.



Sicilia, sbarchi senza sosta di immigrati donna partorisce durante la traversata
La mamma e la bambina di 4 giorni stanno bene. Sono arrivati a Siracusa con altri 190 profughi quasi tutti siriani: dal Paese in fiamme ne sono giunti in Italia 2872. Oltre 450 le persone tratte in salvo nelle ultime ore. Altri sono stati condotti nel porto di Trapani. Barcone con a bordo circa 150 migranti intercettato a largo della costa siracusana
la Repubblica, 29-08-2013
MICHELA GIUFFRIDA
E’ un esodo ininterrotto, una emergenza che è diventata routine. Sulla nuova rotta dell' immigrazione verso la Sicilia, quella che sembra aver totalmente tagliato fuori Lampedusa, tradizionale avamposto europeo degli sbarchi clandestini, ad arrivare sono per lo più siriani ed egiziani. In fuga dall’orrore e dalla guerra, i  “passeggeri” di pescherecci, motoscafi, barche a vela e, spessissimo, gommoni, puntano ormai esclusivamente verso la costa orientale siciliana, Portopalo, prima di tutto, ma anche la più lontana Siracusa, e perfino Catania. Non si parte più dalla Libia, dalla Tunisia, dal Nordafrica, porti che hanno fatto la fortuna delle organizzazioni che offrono "pacchetti" completi di viaggi  della disperazione. L’imbarco avviene sempre più spesso dal Medioriente dove, col precipitare della situazione in Siria, e lo spettro di un imminente attacco di guerra, in migliaia ogni giorno sono pronti ad imbarcarsi: in Italia, secondo il Viminale, ne sono arrivati 2872 nei primi otto mesi dell'anno.
 Si muore, durante le traversate, come è accaduto venti giorni fa a Catania, con sei cadaveri recuperati sul lungomare della Playa affollato di bagnanti e turisti. Ma si nasce anche, come nel caso del maschietto partorito sul barcone, durante la traversata che si è conclusa stamattina a Siracusa dove sono già arrivati, in poche ore e in due diverse ondate, 350 profughi. Dicono di essere tutti siriani i 191 profughi soccorsi all'alba. Tra loro anche il bimbo, nato 4 giorni fa in mare, che assieme alla sua mamma è stato ricoverato per accertamenti all’ospedale Umberto I di Siracusa. "L'abbiamo trovato ancora con un tratto del cordone ombelicale attaccato - ha detto il comandante della Guardia costiera di Siracusa, Luca Sancilio- è la dimostrazione di come la vita trionfi sempre: si può venire alla luce anche in condizioni difficili e critiche".
Un altro barcone con a bordo circa 150 migranti è stato intercettato poco dopo al largo della costa siracusana dove si sono recate due motovedette della Guardia costiera, le stesse che poche ore prima avevamo trasbordato sulla banchina principale del porto grande i 191 migranti siriani. E il tam tam continua. Ad incentivare la "nuova rotta" verso Siracusa, oltre alla credenza che i controlli e le procedure siano più blandi rispetto a Lampedusa, anche il fatto che l’approdo sulla terraferma, anziché su un’isola, garantisca maggiori possibilità di fuga. E della continuazione di un viaggio che punta ad altre frontiere.
E nel frattempo tre egiziani sono stati fermati con l'accusa di aver pilotato il barcone arenatosi ieri con 118 migranti a bordo, in gran parte siriani, sulla scogliera di Fanusa nella zona di Punta Milocca, a Siracusa. Mouktar Mohamed Qasim Hasan, 30 anni, Abdelsalam Khameis, 23 anni, e Mahmoud Hada AAdel, 22 anni, sono accusati di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Sono stati identificati dal gruppo interforze della Procura di Siracusa. Polizia, carabinieri e guardia di finanza sono riusciti a rintracciare tutti i passeggeri del natante. All'altra punta della Sicilia, a Trapani, è approdato il cargo che ieri aveva preso a bordo i 109 profughi soccorsi al largo di Lampedusa



Sbarchi continui e tentati stupri La Sicilia è ormai al collasso
La media gionialiera sfiora quota 500, i centri daccoglienza sono stracolmi, salgono i cosi di violenza. Da inizio anno 20mila gli approdati. Ed è solo l'inizio
Libero, 29-08-2013
ALBERTO SAMONA
PALERMO    
Sono quasi 500 gli extra-comunitari sbarcati ieri fra le coste dei siracusano e Trapani. Numeri impressionanti, che danno la misura dell'emergenza, con i centri di raccolta siciliani e calabresi pieni all'inverosimile e arrivi costanti dalle coste nordafricane e mediorientali alla volta dell'Italia. Quelli giunti ieri sono soprattutto profughi in fuga dall'Africa sub-sahariana e dalla Siria. Fra gli ímmigrati sbarcati a Siracusa, anche una neonata dato alla luce durante la traversata. Si tratta di una bimba - che è stata chiamata Nahda - partorita su un barcone da una giovane donna siriana. Subito dopo lo sbarco - avvenuto a Siracusa alle prime luci dell'alba - madre e figlia sono state immediatamente trasferite nel vicino ospedale.
Entrambe sono stati ricoverati nel reparto di neonatologia del nosocomio, dove sono stati effettuati tutti gli accertamenti per verificarne lo stato di salute e dove i medici hanno reciso il cordone ombelicale ancora attaccato. I sanitari hanno accertato che la neonata è in buone condizioni e l'hanno quindi riconsegnata alla donna, che, dopo il parto, l'aveva allattata a bordo dell'imbarcazione di fortuma.
ARRIVI SENZA SOSTA
Sul fronte degli sbarchi, ieri la destinazione presa d'assalto è stata proprio Siracusa: i primi ad arrivare sono stati 191 profu- ghi siriani giunti al Porto grande, a bordo del barcone nel quale è avvenuto il parto. L'imbarcazione era stata avvistata nella notte da un aereo della Marina militare ed è stata, quindi, soccorsa dalla nave Foscari. I migranti sono stati fatti salire su tre motovedette e condotti a Siracusa. Altri 164 siriani, fra cui cinquanta bambini, sono stati soccorsi da un peschereccio siciliano a circa dodici miglia da Capo Murro di Porco, sempre nei pressi di Siracusa. Ai pescatori, i profughi hanno dichiarato di essere rimasti in mare per circa dieci giorni. Al momento del salvataggio, alcuni presentavano sintomi di disidratazione.
I primi a giungere sulle coste di Siracusa, martedi sera, erano stati 150 migranti, arrivati a bordo di un barcone che si era incagliato nei pressi di Punta Milocca. E ieri sono finiti in manette gli scafisti, accusati di avere pilotato il natante fino alle coste siciliane: si tratta di tre egiziani, Mouktai Mohamed Qasim Hasan, 30 anni, Abdelsalam Khameis, 23 anni, e Mahmoud Hada AAdel, 22 anni. I tre sono stati identificati dal gruppo interforze della Procura di Siracusa. Per tutti l'accusa è di favoreggiamento all'immigrazione clandestina.
Avvistamenti di migranti anche al largo di Lampedusa, dove una carretta del mare nella notte è stata soccorsa da un mercantile italiano. I profughi, in tutto 109 provenienti dal Corno d'Africa, sono stati fatti salire sulla nave, che si è diretta al porto di Trapani, dove ha attraccato di mattina. Dopo l'arrivo, gli immigrati sono stati accompagnati in un centro di accoglienza temporaneo allestito all'interno di una palestra.
LA TENTATA VIOLENZA
Intanto, proseguono le indagini sul tentativo di violenza sessuale, messo in atto da un immigrato tunisino di 16 anni ai danni di una tredicenne di Milano, che si trovava in vacanza a Lampedusa con i genitori. Il giovane è adesso in stato di fermo. Secondo il racconto della minore, il ragazzo avrebbe fatto irruzione nell'imbarcazione in cui la giovane era insieme a un coetaneo, le avrebbe stretto i polsi e dopo averla scaraventata su un letto, avrebbe tentato di violentaria.
Il tunisino fermato era fra gli Ímmigrati, attualmente ospitati nel centro di prima accoglienza di Lampedusa, in attesa di essere trasferiti sulla terraferma.
 

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