Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 giugno 2013

Lampedusa, nuovo sbarco immigrati
Due gommoni con 259 persone a bordo
Tgcom, 18-06-2013
07:37 - Non si ferma il flusso a Lampedusa di migranti provenienti dalle coste libiche: nella notte ne sono arrivati 259, soccorsi da unità italiane ad alcune miglia dall'isola. Due le operazioni di soccorso: la prima, su un gommone in difficoltà, ha coinvolto anche le autorità libiche, mentre la seconda è stata effettuata da due motovedette della Guardia costiera su un natante con a bordo 182 persone, tra le quali 27 donne e 5 minori.



Il destino dell'uomo tonno nella gabbia in mezzo al mare
la Repubblica, 18-06-2013
ADRIANO SOFRI
BISOGNEREBBE essere Giacomo Leopardi, che figuro il dialogo di un Cavallo e un bue, o dell'asinaio con l'asino, a scrivere il dialoghetto morale fra l'uomo e il tonno, fra l'uomotonno e il tonnouomo. I quali sono animali nobili ambedue, e specie protette: benché i tonni rossi -pinnazzurra- prossimi all'estinzione, mentre gli umani africani si moltíplicano, sicché fra il perdere il carico dei tonni e il mancare di soccorso alla deriva degli umani il peschereccio che li traina ha la scelta facile e quasi inevitabile. E solo per ipocrisia gli spettatori, quali siamo per lo più voi e io, lo deplorano, concorrendo a fissare il valore di mercato degli uni e degli altri, e i primi mangiamo di gusto, e non vogliamo sapere dei secondi. Nel maggio dli 2007 comparve quel faccia a faccia fra gli uomini ammarati e i tonni deportati, e il capitano dei peschereccio spiegò che i tonni dentro la gabbia valevano un milione, e i 27 somali attaccati fuori non valevano niente, e lui niente ci poteva. Questa volta gli umani del peschereccio devono essersela vista brutta davvero, se hanno tagliato la corda e perduto il tesoro di tonni pur di non caricarsi della zavorra di centodue umani. Si può disputare se gli animali umani siano superiori ai tonni, se non per possanza física- paragone impensabile - per intelligenza e lungimi- ranza. Ma il confronto è complicate dalla divisione intestina che oppone gli umani, ed è ignota ai tonni.
PESCATORI e loro imprenditori e clienti; e migranti umani, e tonni. I quali sono migranti formidabili, che se ne vengono in quattro mesi dall'America al Mediterraneo —senza mai fermarsi, pena morir soffocati — in cerca dell'acqua luminosa e calda per riprodursi. I migranti umani vengono anche da lontano, per deserti e città cattive, e si attentano nell'acqua chiudendo gli occhi, immaginando di là una terra di delizie, o almeno di salvezza: e nell'acqua si aggrappano alla gabbia dei tonni, e una volta in salvo li aspetta la gabbia per umani, nella quale, dopo mesi forzati a star fermi fino a soffocare, avverrà loro perfino di rimpiangere il cielo aperto sopra quel madornale salvagente che imprigiona i tonni, e il luccichio argentato, e gli occhi fraternamente spalancati. Ghiotti ai palati giapponesi, del resto, e preziosí a cavarne valvole cardiache, tanto sono duttili gli animali umani. Allevati in gabbia, per ingrassare, che ancora non si sa riprodurli cattivi, i tonni rossi sono catturati e trascínati per mare nella direzione inversa a quella dei gommoni di migranti umani —che non chiamo disperati, perché occorre sperare forte per mettersi in quel viaggio — fino a disporli muso contro muso, invidiandosi. Si chiama stabulazione, l'ingrasso in quei recinti acquatici, e vuol dire la stalla, promossa a stabulazione per umani, per ingrassare i tonni catturati e tenere a galla gli umani catturandi. Muoiono lungo il viaggio umani e tonni, i quali sono, benché grandissimi, delicatissimi di conformazione e chissà anche di sentimenti. Separati dai soccorritori, andranno gli uni e gli altri al loro destino, cioè alla loro destinazione. Il centro di identificazione ed espulsione, che non è cambiato se non in peggio quanto alla cella, ma ha rinunciato, gran passo, al nome di accoglienza. La camera della morte, ora mobile, per i grandi pesci a sangue caldo, che, quando le quotazioni del mercato di Tokyo saranno più propizie, verranno fucilati dai macellatori subacquei e issati a bordo, dove, come mostrano i documentari — "Warning: slaughtering cruelty" — sussulteranno ancora dopo che sarà stata loro segata via testa e pinna caudale, e del resto a Lampedusa, mai abbastanza lodata (e tenuta a distanza), agli scampati umani verrà data subito una scatoletta di tonno, ma pinna gialla, o di delfino spacciato per tonno, cosi che si cancelli presto dal loro animo il turbamento di quel faccia a facciia alla gabbia. Gli antichi avrebbero saputo trame un racconto mitologico, ma gli antichi sapevano di uomini che sfidavano i venti e le onde per seguire virtù e conoscenza e di dei che all'occorrenza si mutavano in tonni, e da noi Dio è morto o pressoché, e anche la marina maltese, e resta solo la marina nostra e la Guardia Costiera.
Si potrebbe, forse, suggerire un doppio uso, per cosi dire interno ed esterno, delle gabbie per tonni e per umani, e farle dotare dai costruttori di accessori come maniglie o libri sacri in confezioni impermeabili. Anche perché lo stupore indignato suscitato dai 95 vivi e i 7 o più morti appesi alla gabbia, di cui anche il presente scritto è un esemplare, è indebolito dalla ripetizione, e già in quel 2007 qui Francesco Merlo scrisse degli uomini-tonno: «Sgranate, sino a índovinare il viso e le espressioni, la foto degli uomini-tonno: per un momento potrebbe persino sembrare che sorridano. Più verosimilmente gli uomini-tonno mostrano i denti». Incremento dei tonni all'ingrasso e dei fuggiaschi alla deriva potrebbe assegnare alla gabbia per tonni il privilegio perduto che fu di santuari e chiese, di offrire asilo e rifugio ai perseguitati e gli inseguiti. Invece che negare asilo a chi fugge incolpevole, e incarcerare per un anno e mezzo chi ha commesso il reato d'esser venuto a un mondo come questo.
Se non basta a concludere alla superiorità dei tonno sull'uomo, la fa però probabile, astenendosi il tonno dal cannibalismo, salvo che negli allevamenti, dove esso è indotto dai governanti umani. Tecnicamente, non c'è confronto: avendo l'uomo ridotto i tonni al lumicino, e proponendosi ora, in extremis — la scienza procede in extremis, per quella desolazione che gli uomini chiamano pentimento, ed è una pungente nostalgia di un piatto perduto— di moltiplicarli miracolosamente, come ha saputo fare di spigole, orate, salmoni e rombi, coltivate nella taglia dei ristoranti e nel sapore proprío alle nuove generazioni. A far ingrassare il tonno prigioniero di un chilo occorrono oggi 25 chili di aringhe e sgombri, se si trovino, e se no l'equivalente in alici e sardine. A far ingrassare una profuga etíope basterebbe molto meno, ma non se ne caverebbe giovamento alcuno, nemmeno a inscatolarla. Anche lei, tuttavia, se non un valore, ha un suo costo, quando si tratti di rimpatriarla in aereo, verbo magnanimo, che fa della terra da cui è fuggita a rischio della vita e dell'onore, la sua patria.

 

«Non sono che animali»
il manifesto, 18-06-2013
Annamaria Rivera    
E atrocemente simbolica la fine degli ultimi sette o dieci migranti annegati nel Canale di Sicilia.
Ingoiati dai flutti mentre cercavano disperatamente di aggrapparsi a una gabbia ove si agitavano dei tonni: sette o dieci, non importa, ma altrettanto terrorizzati e come loro destinati alla morte. Sebbene troppo citato, l'aforisma di Theodor W. Adorno è perfettamente calzante: il «non è che un animale» si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli umani.
Secondo il racconto dei novantacinque superstiti salvati dall'intervento della Guardia costiera, i sette o dieci migranti sarebbero finiti in mare dopo che l'equipaggio del motopeschereccio tunisino aveva tagliato il cavo che trainava la tonnara. Avrebbero anche tentato di salire a bordo, i sette o dieci, ma sarebbero stati respinti brutalmente.
È una gara di crudeltà quella che si gioca sulla pelle dei nuovi dannati della terra: una catena gerarchica volta alla negazione del- l'umano, non diciamo dei diritti umani fondamentali. Con alcune eccezioni rilevanti, come quelle di coloro che prestano soccorso in mare, è una catena che si snoda dai decisori, europei e nazionali, agli esecutori delle stolide politiche proibizioniste; dai gestori dei lager per migranti a non pochi rappresentanti delle forze dell'ordine italiane. Fino, in tal caso, ai pescatori tunisini incrudeliti da leggi crudeli contro i «clandestini» e chi ne sia «complice». Basta dire che nella Tunisia post-rivoluzione è ancora in vigore una legge che punisce con pene detentive comprese fra i tre e i venti anni di prigione chiunque sia implicato, direttamente o indirettamente, anche per mera solidarietà, in un episodio di migrazione illegale o solo in un tentativo o azione preparatoria. Un tal
genere di leggi nazionali -tuttora in vigore, ripetiamo, malgrado le «primavere arabe» - è stato a sua volta imposto, favorito, indurito, legittimato dagli accordi bilaterali per il contrasto dell'immigrazione illegale: fino ai più recenti, stipulati dalla ex ministra dell'Interno Cancellieri con i suoi omologhi dell'altra sponda del Mediterraneo.
La realtà di questi giorni - si parla di un migliaio di migranti giunti sulle coste italiane in appena ventiquattr'ore - conferma una verità lampante: il «mondo-frontiera» (per usare la formula di Paolo Cuttitta), dai confini sempre più infittiti, complessi, variegati, disseminati, è più poroso che mai. Esso non ce la fa a competere con la forza degli esodi, con le ragioni che spingono gli esseri umani a cercare altrove salvezza, Speranza, avvenire.
Il proibizionismo, il pessimo trattamento dei migranti, la clamorosa violazione del diritto umanitario nei confronti dei rifugiati non valgono a «scoraggiare gli arrivi», come recita un luogo comune. Servono, invece, a incrementare l'ecatombe mediterranea nonché a rendere un inferno la vita di chi riesce ad approdare. Fino all'istigazione al suicidio. Pochi giorni fa, a Firenze, Mohamud Mohamed Guled, rifugiato somalo di trent'anni, si è congedato da un'esistenza senza prospettive di dignità e serenità, lanciandosi da un edifício occupato da suoi connazionali e compagni di sventura. In seguito alla chiusura del progetto «Emergenza Nord Africa», era stato allontanato con 500 euro di mancia dalla struttura di accoglienza, a Pisa, gestita dalla Croce Rossa. Cosi, per avere almeno una tana, non aveva potuto far altro che raggiungere Firenze: a condurre in realtà una vita da reietto, sempre più deprimente e intollerabile.
Sono anni e anni che le associazioni per la difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati rivendicano canali d'ingresso legali, permanenti, realisticamente percorribili, meccanismi di regolarizzazione ordinaria, la chiusura dei lager per migranti, una legge organica sull'asilo che finalmente dia corpo all'articolo 10 della Costituzione, un programma nazionale d'integrazione dei rifugiati rispettoso almeno degli standard internazionali. E altre misure - come la riforma della legge sulla cittadinanza e il diritto di voto - che rendano più dignitosa la vita dei migranti e dei rifugiati, meno inferiore il loro status.
Oggi s'invoca la crisi economica per dire che non è il momento propizio per queste pretese. Ma, come si sa, per le rivendicazioni dei migranti e rifugiati, come d'altre categorie di subalterni, un momento propizio non c'è mai. Perciò insistiamo caparbiamente. Non rinunciamo a immaginare «uno stato di cose migliore» in cui, per citare ancora Adorno, «si potrà essere diversi senza paura»: umani e nonumani.



Sbarchi e Silenzi
l'Unità, 18-06-2013
Flore Murard-Yovanovitch
La tragedia dei migranti aggrappati alle gabbie di tonni farà scalpore, susciterà qualche reazione, momentanea. Il silenzio mediatico sugli sbarchi che continuavano nonostante l’inverno, invece è durato mesi. Come l’impreparazione del governo sulla prevedibile stagione estiva degli sbarchi. Sarebbe bastato guardare una mappa del contesto geopolitico – massacri e fuga di massa dalla Siria, instabilità libica e greca – per stimare gli probabili arrivi. Dopo le cifre urlate di circa mille migranti approdati questo fine settimana, complessivamente sulle coste siciliane e calabresi, mentre le motovedette della Guardia costiera sono impegnate 24 ore su 24 a sud di Lampedusa e altre navi sono in vista, presto ricadrà il velo sull’emergenza vera: dove vengono stipate, trasferite, detenute queste persone?
Afghani, Curdi, Siriani, Egiziani, minori non accompagnati e donne incinte, pronte a rischiare tutto e che ci dovrebbero fare riflettere sulle ragioni di queste migrazioni –  non solo bombe, fame o persecuzioni possono spingere donne ad imbarcarsi di notte al buio con i loro pancioni? Sabato scorso è pure nata una bimba siriana durante il lungo viaggio dalla Grecia alla Calabria. Una speranza che offusca a malapena il cadavere di un immigrato subsahariano, avvistato a largo di Siculiana (Agrigento) dove è approdato un barcone: un essere umano che non ha meritato nemmeno una notizia.
Quando il silenzio viene squarciato dai flash di agenzia, le notizie si focalizzano sul momento drammatico dello sbarco, e poco o nulla si sa del probabile percorso delle persone una volta arrivati in Italia. Scompaiono nei meandri di un sistema di accoglienza che non esiste, come in un buco nero, salvo a ritornare all’attenzione della cronaca quando si ribellano, come a Mineo in Sicilia, o si suicidano, come a Padova.
I “sub sahariani” vengono parcheggiati in centri di accoglienza di ogni genere. Siriani, e soggetti vulnerabili nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Egiziani e tunisini, per via degli accordi bilaterali di riammissione dei migranti irregolari con Tunisia ed Egitto sono rimpatriati a bordo di voli charter, nel giro di poche ore e senza rispetto delle normale procedure d’identificazione: senza potere fare valere i diritti di difesa e senza avere accesso alla procedura di asilo. Il rimpatrio forzato, dopo il trattenimento in centri ad hoc, blindati, di identificazione rapida. Questi centri di detenzione temporanea, ubicati in palestre, stadi, scuole dismesse, requisiti dalle prefetture, dove i migranti vengono isolati e interrogati da agenti di polizia, anche di Frontex (l’ente europeo per il controllo delle frontiere),  e dove vengono visitati da rappresentanti dei loro consolati, (mentre sono vietate le visite di organizzazioni come Unhcr, OIM e Save the Children), sono stati di recente criticati dal relatore speciale dell’Onu sui diritti umani dei migranti, François Crépeau.
Si continuano a verificare casi di respingimento collettivo da parte delle polizie di frontiera di Siracusa, Trapani e Agrigento, e in altre regioni, come Calabria e Puglia, come se il decreto legislativo n.25 del 2008 non avesse espressamente abrogato quelle residue disposizioni della legge Martelli (39/90) che consentivano alle autorità di polizia in frontiera di valutare come manifestamente infondata una richiesta di asilo e di procedere immediatamente all’accompagnamento forzato.
Siamo in realtà da mesi, malgrado la proclamata discontinuità dal governo precedente, di fronte ad una serie di prassi illegittime dalla polizia di frontiera che ignora impunemente le prescrizioni vincolanti in materia di respingimento e trattenimento amministrativo, dettate dal Regolamento Frontiere Schengen, n.562 del 2006 (che impone formalità e garanzie precise per tutti i casi di respingimento), dalla Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE (secondo cui il trattenimento amministrativo si può verificare solo all’interno dei CIE con precise garanzie procedurali), e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art. 19 vieta espressamente le espulsioni ed i respingimenti collettivi. Per non parlare della Costituzione italiana continuamente tradita nella violazione degli articoli 13 e 24 che stabiliscono l’obbligo della convalida giurisdizionale del trattenimento amministrativo ed il diritto ad un ricorso effettivo per tutti, dunque anche per gli immigrati irregolari, come ribadito dall’art. 13 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Un copione già noto, da anni, che si ripete in condizioni sempre più drammatiche perché il sistema di accoglienza è oggi destrutturato e senza i soldi della protezione civile, con fondi ridotti al minimo. Resistono solo gli Sprar finanziati in parte dai comuni,  ma dalle ultime notizie giunte, il centro di accoglienza di Mineo sta ormai esplodendo. Il 14 giugno scorso, una decine degli “ospiti”, in maggioranza provenienti dall’Africa sub sahariana, ha iniziato una protesta contro le lungaggini burocratiche delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Sono infatti circa tremila richiedenti asilo segregati in questo carcere a porte aperte, centinaia dalla Gambia e dal Mali a cui, dopo una circolare del Ministero dell’Interno (n. 4369 del 15 giugno 2012), si sarebbe dovuto riconoscere subito la protezione sussidiaria per la grave crisi umanitaria nel paese. Invece, il loro trattenimento forzato dura anche fino a 18 mesi. Gli effetti? Trattamento degradante della persona umana, frustrazione, disperazione.
Interrogarsi invece sulle reazioni all’accoglienza negata? Ancora silenzio, assordante.



Senza un letto seicento nuovi arrivati l'isola aspetta gli aerei per trasferirli
Il Messagero, 18-06-2013
L'EMERGENZA
ROMA «Mettere quanto prima a regime un sistema di trasferimenti rapidi, essenziali per consentire all'isola di Lampedusa di rimanere un luogo di prima accoglienza e transito, evitando cosi il verificarsi di situazioni di grave disagio già registrate in passato». Lo chiede l'Alto commissariato delle Nazioni unite, lo invoca, in un appello lanciato ieri sera, lo stesso sindaco dell'isola Giusi Nicolini: «L'emergenza a Lampedusa c'è solo se la si vuole creare».
Presto con gli aerei, presto con i trasferimenti sulla Penisola, perché il centro di accoglienza già scoppia, perché seicento dei 900 ospiti sono senza un letto e, come dice Nicolini, «non possiamo tenerli come animali uno sopra all'altro ».
LA MACCHINA DEI SOCCORSI
Con uno sguardo al meteo e l'altro agli stanzoni del centro, la macchina dei soccorsi, intanto, sta girando a mille. Coordina la Guardia costiera, per istituto, con al fianco Marina militare, Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri. Sono tutte in mare le motovedette «ognitempo», quelle che possono lasciare il porto con ogni condizione del mare, che non affondano perché hanno una speciale struttura «autoraddrizzante».
E vanno lontano , anche a cento miglia, sulla base delle segnalazioni che ricevono, prestando soccorso «in condizioni di difficoltà estrema», come racconta Filippo Marini, capitano di fregata, portavoce della Guardia costiera. L'ultima drammatica operazione è stata il soccorso ai 95 migranti partiti dalla Libia che hanno raccontato la storia terribile della gabbia dei tonni: sette di loro, aggrappati a quella struttura, lasciati morire da un motopesca che ha deciso di tranciare il cavo. Sono cento gli uomini della Guardia Costiera solo a Lampedusa, li comanda il tenente di vascello Giuseppe Cannarile. «Tutti giovanissimi e fanno turni massacranti -sottolinea Marini- tornano in porto per rifornirsi di gasolio e già sono di nuovo in mare».



Zaia apre allo ius soli: “I bimbi nati qui parlano il dialetto meglio di me”
Il presidente leghista del Veneto: «I gay? Su quei temi non entro»
la Stampa, 18-06-2013
Favorevole allo ius soli. Il presidente della regione Veneto Luca Zaia, Lega Nord, oggi a Venezia ha risposto ad una domanda sul diritto di cittadinanza. «Sollevo il tema dei bambini che sono nati qui e vanno a scuola qui - ha detto - sui quali un ragionamento al di là dello ius soli debba essere fatto anche perché spesso parlano il dialetto quasi meglio di me. Sono bambini che in molti casi hanno identità veneta e non quella del Paese d’origine della loro famiglia, cosa che è accaduta spesso ai nostri emigranti».
Zaia ha espresso anche la sua opinione sulle questioni riguardanti l’omosessualità: «Per me non esiste il problema. Non mi avventuro su temi quali quelli delle coppie di fatto, i gay hanno diritto di rispetto e basta, non c’è nulla da aggiungere».
«Nel mio partito - ha osservato anche - la maggior parte delle persone hanno ragionevolezza da vendere, se poi il palcoscenico viene dato al fondamentalista di turno è ovvio che la posizione sembra essere un’altra».  



Via gli africani da Saluzzo la Rosarno del Nord
150 persone che erano accampate nello spiazzo della fiera del bestiame sono stati sgomberate. Siamo in uno dei distretti agricoli più ricchi d'Europa. Ma la raccolta della frutta diventa emergenza umanitaria. Lo scorso anno la Croce Rossa intervenne per montare una tenda per evitare di farli morire di freddo. Per evitare una nuova emergenza, quest'anno la Coldiretti finanzierà un'area attrezzata
la Repubblica 17-06-2013
ANTONELLO MANGANO
SALUZZO (CN) - Polizia, carabinieri e Guardia di finanza. Tutti a supportare operai del comune e vigili urbani. Circa 150 africani sono stati sgomberati dallo spiazzo del Foro Boario, cioè la locale fiera del bestiame. Qui i raccoglitori in attesa di essere ingaggiati nei campi avevano messo su un accampamento di fortuna. Niente acqua, luce elettrica e servizi igienici. Solo qualche fornello a gas per cucinare insieme. Sono stati tutti identificati. Mentre tende e materassi venivano caricati sui camion comunali e sequestrati, gli africani filmavano la scena coi cellulari. Siamo in uno dei distretti agricoli più ricchi d'Europa. Ma anche qui la raccolta della frutta diventa emergenza umanitaria e problema di ordine pubblico. Un'area che esporta in Francia e Germania ma non riesce ad assicurare accoglienza ai braccianti stranieri. Sgomberi e accampamenti di migranti sono consueti nelle campagne del Sud, da Rosarno a Foggia. Molto meno al Nord, dove da qualche anno si registra una situazione molto problematica nel cuneese.
Il Comune vieta. Lo scorso anno la Croce Rossa intervenne per montare una tenda dopo aver appurato che gli africani stavano per morire di freddo. Per evitare una nuova emergenza, quest'anno la Coldiretti finanzierà un'area attrezzata. Ma sarà pronta solo a metà luglio e potrà ospitare al massimo un centinaio di lavoratori. Per gli altri non c'è posto. Intanto il sindaco di Saluzzo, Paolo Allemano, ha vietato "il bivacco e tende, baracche e giacigli" sul territorio comunale. Secondo le autorità locali e le aziende, infatti, il fabbisogno del territorio è limitato a poche decine di unità, oltre a coloro che già arrivano con i flussi migratori. Il locale "Comitato antirazzista" risponde che "molti non hanno un luogo dove stare dopo la chiusura dei campi per l'emergenza Libia. Un telo, un cartone bagnato e la speranza di un lavoro nella campagna della frutta sono le uniche cose che gli rimangono".
Disturbano anche vicino alle immondizie. Secondo gli attivisti, in realtà l'impiego nelle campagne di Cuneo è molto più "flessibile" di quello che si vuole far credere. Ci sarebbe anche lavoro grigio, ovvero giornate non segnate ed evasione contributiva. "Perché non possiamo stare qui? Non siamo in centro, siamo fuori, vicino a dove buttano le immondizie. Non disturbiamo nessuno", chiede un migrante. E legge un foglio scritto in italiano e in francese, distribuito dalle autorità: "Qui non potete restare, dite ai vostri amici di non venire perché non c'è più posto per loro, se proprio siete qui per lavorare almeno andate ad iscrivervi al Centro per l'Impiego". Gli africani li hanno presi alla lettera: l'ufficio viene pacificamente invaso tra lo stupore del direttore, delle impiegate e dei presenti in cerca di lavoro. La situazione è in evoluzione. Le associazioni hanno chiesto di attrezzare uno spazio per fare fronte alla grave situazione umanitaria.
Da tre anni l'emergenza si ripete. La scorsa estate gli africani hanno dormito all'aperto sotto le Alpi. Per settimane, in condizioni "rosarnesi": Cartoni, scarpe infangate, pentoloni, bombole del gas e materassi gettati sull'asfalto. Quando si è tenuta la fiera delle vacche e dei macchinari agricoli, un muro di legno doveva coprire la vergogna e lasciare indisturbata la sfilata delle "frisone". Nel 2012 il magazzino della stazione è rimasto chiuso nonostante il freddo, con gli africani fuori a dormire sui cartoni. Poi è stato raso al suolo dalle ruspe e lo spiazzo chiuso coi lucchetti. L'anno precedente i braccianti si erano arrangiati tra i vagoni di un treno deragliato o sotto la tettoia del binario uno.



Salute: medici stranieri in Italia, medici ebrei e Comunità del mondo arabo uniti per chiedere che la circoncisione sia accettata come pratica medica.
Creare ambulatori specializzati che offrano il servizio con il pagamento di ticket “ragionevoli” per contrastare il mercato nero.
Immigrazioneoggi, 18-06-2013
Una riunione ad hoc si è svolta tra il presidente dell’Associazione dei medici stranieri in Italia (Amsi) e della Co-mai (Comunità musulmane in Italia), il palestinese Foad Aodi, e il presidente dell’Associazione dei medici ebrei romani, Dario Perugia. Si è trattato, afferma proprio Foad Aodi, “dell’inizio di una cooperazione a lungo termine, dando il via ad un accordo di collaborazione tra medici dell’Amsi provenienti da tutti i continenti anche di origine araba e medici ebrei in Italia sui temi della sanità, a partire dalla circoncisione, pratica religiosa che unisce Islam ed ebraismo e che per le comunità musulmane in Italia rappresenta una vera emergenza”. “A differenza dei neonati ebrei, che vengono circoncisi da medici – ricorda il presidente dell’Amsi – un terzo dei bambini musulmani viene operato in strutture clandestine, con rischi di complicanze e infezioni. Si tratta di grossi numeri, in quanto in Italia vivono circa 1 milione e 300 mila musulmani, nella quasi totalità credenti. L’Amsi si batte da tempo perché la circoncisione avvenga in strutture apposite all’interno del servizio sanitario nazionale”.
“Innanzitutto per tutelare la salute dei bambini – afferma il presidente dell’Amsi e Co-mai. – In secondo luogo per eliminare il ‘mercato nero’ che fiorisce in Italia sulla circoncisione, con medici che arrivano a farsi pagare anche mille euro per un singolo intervento, costringendo molte famiglie a grossi sacrifici o persino a tornare nei Paesi di origine. La proposta dell’Associazione medici stranieri, condivisa anche dalla Comunità del mondo arabo in Italia, dall’associazione Uniti per Unire e ora è giunto anche il contributo importante dei medici ebrei, è quella di creare ambulatori specializzati che offrano il servizio con il pagamento di ticket ‘ragionevoli’ (un massimo di 100 euro). Ciò avviene già in alcune regioni, come l’Emilia Romagna e il Veneto. Si tratta però di uniformare le norme su scala nazionale e poter registrare la pratica ufficialmente come circoncisione e non utilizzare altri nominativi o patologie come la fimosi”.



Autista Atvo accusato di discriminazione, si apre l’indagine
CIRDI, 18-06-2013
“La nostra è una azienda che si contraddistingue per serietà e apertura verso qualsiasi popolo. Non solo accoglie viaggiatori di ogni parte del mondo, ma ha tra nel suo organico personale di altre nazioni. Lo stesso autista cui si riferisce l’episodio, è al di sopra di ogni sospetto, essendo sposato ad una cittadina extracomunitaria”. Con una nota, Atvo, l’azienda di trasporti del Veneto orientale, cerca di calmare gli animi dopo il caso scoppiato da una segnalazione di due cittadine tra cui l’ex assessore Pd di Meolo, Clara Pietrobon. Secondo le testimonianze, un autista del bus non avrebbe fatto salire un giovane di colore. I fatti, come spiega la Nuova, risalgono alla mattina di venerdì 7 giugno, alla fermata davanti ad un supermercato di Meolo. Il conducente, sempre secondo l’accusa, avrebbe accelerato alla vista del ragazzo, originario del Burkina Faso e regolarmente munito di biglietto. “Non mi piace”, avrebbe commentato, davanti ad alcuni viaggiatori stupefatti. Non l’avrebbe fatto salire nemmeno quando il giovane aveva sbarrato la strada col proprio corpo al ritorno del bus. La testimonianza di Pietrobon riporterà che l’autista avrebbe indugiato ad aprire le porte e avrebbe minacciato di chiamare i vigili.
Dopo il presunto scandalo, è toccato ad Atvo, quindi, cercare di pacificare e negare le accuse di discriminazione razziale: “La presidenza Atvo innanzitutto respinge con forza ogni tipo di accusa di comportamento razzista – ha segnalato una nota di piazza IV Novembre -. Lo stesso autista cui si riferisce l’episodio, è al di sopra di ogni sospetto, essendo sposato ad una cittadina extracomunitaria”. Detto questo, Atvo garantisce una istruttoria interna con lo scopo di ricostruire, sentendo le varie testimonianze, quanto accaduto. Conclude la nota: “Da una prima disanima dei fatti, comunque, risulterebbe quanto segue: nel tragitto di andata, l’autista non si sarebbe accorto dell’uomo a terra, alla fermata. Nel tragitto di ritorno, avrebbe visto una persona in mezzo alla strada, gestiscolare in modo equivoco, tanto da indurlo a fermare il mezzo e allertare la polizia locale. Quindi nessun atto di intolleranza”.
 

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