Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

6 settembre 2010

La proposta di Maroni: Foglio di via europeo per i rom
Libero 6 settembre 2010
Andrea Morigi
Occorre un foglio di via europeo per i rom. La linea dura adottata da Nicolas Sarkozy con l'espulsione dei nomadi è la stessa di Roberto Maroni. Oggi, dall'identità di vedute fra Francia e Italia potrebbe nascere una nuova politica europea sulla cittadinanza. A invocare maggior rigore e sufficiente chiarezza sarà il ministro dell'Interno (...)
(...) italiano. L'appuntamento per indicare le priorità è fissato a Parigi, presso l'Assemblea nazio¬nale francese, dove si svolge un seminario ministeriale sull'asilo e la lotta contro l'immigrazione clandestina.
Si tratta di emergenze che premono ai confini e dal mare, come ci ha ricordato la settimana scorsa, perentoriamente e con le mo¬dalità del ricatto, Muammar Gheddafi. Ma accanto al fenomeno degli sbarchi selvaggi sopravvive anche un problema interno all'area Schengen. Sul punto, Maroni chiede di rimuovere gli ostacoli all'espulsione dei cittadini comunitari. Non si può rimanere inerti di fronte a chi non ri¬spetta la direttiva europea del 2004 che stabilisce le condizioni per potersi stabilire in un Paese dell'Unione.
«Non è che il ministro dell'Interno sia cattivo», ha spiegato ieri il titolare del Viminale, a margine del workshop Ambrosetti, «ma semplicemente che ci sono delle regole europee da rispettare e se questo non accade gli Stati sono impotenti. Noi chiederemo di poter espellere i cittadini comu¬nitari che non rispettano queste regole per poterle applicare veramente».
Di fronte all'esodo incontrolla -to di gruppi di persone, nel 2008 con il decreto legislativo 32, l'Italia ha dovuto porre limiti alla direttiva 38 del 2004 sulla libera cir-colazione dei cittadini dell'Ue e dei loro familiari. Ora occorrono dei requisiti specifici per stabilirsi in una data località e soggiornarvi. Perciò l'iscrizione all'anagrafe del Comune di residenza non è più facoltativa: ci si deve segnalare alle autorità del luogo, se si intende essere ospitati sul territorio che amministrano. Altrimenti diventa impossibile identificare chi crea disordine sociale e disporne l'allontanamento. Chi non intende collaborare non può invocare ragioni culturali e condizioni di disagio: se ne deve andare.
Eppure in Italia c'è chi continua a predicare la resa, politica, culturale e perfino religiosa, di fronte ai prepotenti. Più alte si levano le grida del muezzin dal Centro culturale islamico di viale Jenner e più Milano sembra am¬mutolire, intimorita di fronte al fondamentalismo. Repubblica va a stanare il cardinale Dionigi Tettamanzi. L'arcivescovo della diocesi ambrosiana, immediata-mente dopo la celebrazione eu-caristica, confida al quotidiano il proprio «forte desiderio che non si procrastini ancora l'attesa della comunità islamica, che chiede le¬gittimamente un luogo per pre¬gare». Di fronte a chi auspica la proliferazione dei minareti in Italia, Maroni premette di essere «il ministro dell'Interno, non un costruttore di moschee» e che il suo è un ruolo istituzionale: «Siamo intervenuti sulla cosiddetta mo-schea di viale Jenner solo perché c'era un problema di ordine pubblico».
Come di consueto, la Curia milanese trova la propria sponda politica presso l'estrema sinistra. Giuliano Pisapia, candidato sindaco di Milano - passato dagli scout cattolici a Rifondazione comunista - giudica «importantissi¬me le parole del cardinale Tettamanzi sulla necessità di costruire una moschea a Milano e sul dovere di garantire la libertà di culto alle migliaia di cittadini che vivono e lavorano nella nostra città». Il trucco è il solito : far prevalere il rispetto dei diritti delle minoranze su quelli della maggioranza. Così Pisapia invoca «la libertà di reli-gione e di pensiero» e giudica «tri -ste e deprimente» la reazione del ministro Maroni.
Chi si rallegra maggiormente per le parole del cardinale è Abdelhamid Shaari, il responsabile della moschea da cui si alza il ri-chiamo notturno alla preghiera. Nelle sue parole c'è un'incontestabile richiamo alla politica «latitante da anni in qualsiasi proposta positiva in tutti i settori», ma anche un'accusa di «esasperare le problematiche senza risolver¬le, fomentando la paura e l'insicurezza, in modo poi da proporsi come paladini della sicurezza al solo scopo di raccogliere voti». Che siano i muezzin a parlare, tuttavia, lascia sconcertato il vice-sindaco Riccardo De Corata, per il quale «finché ci sono interlocutori inaffidabili un dialogo non può neanche cominciare». Nessun conflitto con l'arcivescovo: «Rispetto le idee del Cardinale Dionigi Tettamanzi, ognuno del resto ha le proprie, ma la moschea per noi non è una priorità», conclude De Corata, ma gli pare «surreale che parli di etica l'attua -le portavoce di viale Jenner Abdel Shaari, un signore che è stato pappa e ciccia fino a ieri con l'imam Abulmad, condannato in ben tre gradi di giudizio per asso -dazione a delinquere aggravata alla finalità del terrorismo. E che evidentemente non si è accorto che lavorava a fianco con un predicatore che faceva il lavaggio del cervello ad aspiranti kamikaze».



Moschea, polemica sul "sì" di Tettamanzi

La Lega: li ospiti nei suoi palazzi. Il centrosinistra: necessario un centro islamico
Il Messaggero 6 settembre 2010
MILANO - A Milano è ancora polemica sulla moschea (che non c'è) dopo l'appello del cardinale Dionigi Tettamanzi, che ave¬va detto «i musulmani hanno diritto a praticare la loro fede nel rispetto della legalità, ma a volte la politi¬ca rischia di strumentalizzare il tema aumentando il livello di scontro». La Lega resta su posizioni di net¬ta chiusura. «Sono il ministro dell'Interno, non un costruttore di moschee - ha detto Roberto Maroni - Siamo intervenuti a viale.) Jenner solo per un problema di ordine pubblico». Le parole di Tettamanzi hanno suscitato l'apprezzamento di Abdel Hamid Shaari. presidente del Centro di cultura islamica di Viale Jenner. «Il cardinale - ha detto - si conferma essere come l'unica voce morale di questa città, mentre la parte politica continua a seminare a piene mani la paura e l'intolleranza». Il sindaco Letizia Moratti non ha voluto entrare nel merito limitandosi ad osservare che «l'anno in corso è dedicalo alla cultura islamica a Milano: lavoriamo su questo». Caustico   il   leghista Matteo Salvini: «Se il cardinale ha già dimenticato l'occupazione del sagrato del Duomo, ospiti gli islamici nei suoi immensi palazzi». Stefano Boeri, candidato alle primarie per il centrosinistra: «In città serve un grande centro della cultura islamica». Infine Giuliano Pisapia, pure lui candidato sindaco, definisce «deprimente» la reazione di Maroni.



Il cardinale Tettamanzi e la moschea di Milano

il Giornale 6 settembre 2010
I musulmani hanno diritto a praticare la loro fede nel rispetto della legalità. Spesso però la politica rischia di strumentalizzale il tema della moschea e finisce per rimandare la soluzione del problema, aumentando il livello di scontro, mentre potrebbe diventare uno stimolo per migliorare il livello della convivenza civile»: così si è espresso, intervistato da Repubblica, l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi. E ha aggiunto: «Le istituzioni civili milanesi dovrebbero garantire a tutti la libertà religiosa e il diritto di culto». Parole nette, non si prestano a equivoci.
Una moschea a Milano, dunque? Perché no? I cattolici hanno il Duomo, gli ebrei la Sinagoga: e gli islamici? Il fatto è che le persone, quando emigrano, si portano dietro - dentro - anche le proprie convinzioni religiose. Il laico, prima ancora del credente, sa che impedirle è sbagliato. Ma - obietta il leghista di turno - i musulmani, nei loro Paesi d'origine, offrono le stesse garan¬zie? Sappiamo che, spesso, non avviene. Risponderemo allora con un fondamentalismo simmetrico?
Il problema della reciprocità è mal posto, a sollevarlo non è la religione (Tettamanzi ne è la dimostrazione), ma la politica - una certa politica. La quale trova comodo dimenticare che l'attuale globalizzazione, unipolare e iniqua, provoca migrazioni da Sud verso Nord e da Est verso Ovest, non vice¬versa (per ora). Ecco la semplicissima ragione per cui la questione della libertà di culto, come quella del confronto fra le religioni (e fra le diverse visioni del mondo), si innerva essenzialmente a «casa nostra». E il problema della moschea non è solo di Milano, ma anche di Roma, Vienna, Madrid, Parigi, Berlino ecc. Continuare a non risolverlo oggi significa solo renderlo più complicato domani. E non risolverlo evi¬denzia, al di là della iattanza, la paura del dialogo.
Sarebbe la prova che la forza - ideale e culturale - dell'Occidente si trasforma in debolezza. Come se una moschea in più comportasse una chiesa inmeno. Se la politica tornasse, dal tatticismo, al livello alto che le compete, capirebbe che la questione vera è co¬struire una globalizzazione democratica e condivisa, multipolare e multiculturale, imperniata sulla coesistenza delle tante diversità del mondo.
È come la biodiversità: più ne esiste, maggiore è la ricchezza della vita. E della Terra.
www.fondazionedirittigenetici.org



La «moschea subito» di Tettamanzi piace solo alla sinistra

Alberto Giannoni
il Giornale 6 settembre 2010
Milano Un fiume in piena. Un fiume di parole per dire che la mancanza di una moschea a Milano è «un problema grave, che bisogna risolvere urgentemente» e che la politica non può più rimandare. Non è una dichiarazione estempora¬nea quella dell'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, ma un ragionamento ben pon¬derato, che però arriva pro¬prio nel giorno in cui il mondo guarda con apprensione in di¬rezione di Teheran, la capita¬le iraniana da cui si attende¬va, con poche speranze, un ge¬sto di clemenza verso la prigio¬niera Sakineh, la donna con-dannata alla lapidazione dal regime teocratico per adulte-rio e complicità nell'omicidio del marito.
Un ragionamento accolto con grande cautela dalle istitu¬zioni, che poche settimane fa avevano dimostrato di non avere ostilità per la «questio¬ne musulmana», accogliendo con favore l'invito del governatore Roberto Formigoni a discutere del caso moschea. Ma la questione è controver-sa. L'appello del cardinale -raccolto da «La Repubblica» -è stato pronunciato infatti in piazza Duomo, a pochi metri da quel sagrato che appena un anno e mezzo fa fu invaso da migliaia di musulmani, i fe-deli dei centri islamici cittadi-ni che - alla fine di un lungo corteo che bruciò anche le bandiere di Usa e Israele - si fermarono a pregare proprio nella piazza che custodisce la storia del cattolicesimo am-brosiano. Solo pochi giorni prima, proprio nel tradiziona-le discorso alla città per San-t'Ambrogio, aveva fatto scal-pore un altro appello del cardi¬nale, quello per i luoghi di cul¬to «in tutti i quartieri». E anco¬ra, nel dicembre scorso, le bac¬chettate agli amministratori sui temi dell'accoglienza so¬no valse al pastore della più grande diocesi italiana l'attac¬co della Lega, che arrivò a chiedersi provocatoriamente se fossimo in presenza di un «cardinale o imam?». Anche ieri il Carroccio ha invitato
Tettamanzi a «ospitare gli islamici nei suoi immensi palazzi».
È una linea vera e propria, quella del Cardinale. E l'ultima sferzata, quella di ieri, è diventata il primo caso della campagna elettorale per  le Comunali. In effetti i candidati al¬le primarie del centrosinistra hanno fatto a gara a riprende¬re le parole dell'arcivescovo, nel tentativo di riportare la questione all'ordine del giorno, utilizzando il caso solleva¬to dalla Curia per ottenere quell'autorevolezza e quegli argomenti che ancora latitavano.
Al contrario il sindaco Leti-zia Moratti ha confermato di non considerare la moschea come una priorità, non prima di aver chiarito le condizioni di legalità e trasparenza in cui i centri islamici sono gestiti. Eppure la Moratti ha rivendicato: «Abbiamo avuto tante iniziative culturali e continueremo ad averne. Quest'anno è l'anno dedicato alla cultura islamica a Milano, con tante iniziative finalizzate a far conoscere e a far capire quali sono i valori della cultura islamica». «Sono un ministro, non un costruttore di moschee» ha risposto da parte sua il ministro dell'Interno Roberto Maroni: «Abbiamo già risolto il problema della "moschea" di viale Jenner - ha detto -prendendo atto della richiesta del cardinale di costruire una moschea a Milano».
La moschea di viale Jenner in effetti tutti i venerdì fino al luglio del 2008 ha invaso la strada e i marciapiedi con cen¬tinaia di fedeli, con comprensibili disagi per i residenti. Non è un mistero inoltre che in questi anni siano emersi spesso collegamenti fra progetti e iniziative terroristiche e la comunità musulmana cittadina, in particolare quella di viale Jenner. Prima è stato dimostrato che il kamikaze di piazzale Perrucchetti, il libico Mohammed Game che si è fatto esplodere nella caserma Santa Barbara meno di un anno fa, faceva parte dell'Istituto islamico da cui poi si è dovuto dimettere anche l'imam, Abu Imad, condannato per terrorismo in via definitiva dai tribunali italiani.


Manifesto leghista sulla razza
Furio Colombo
Nuova Società 6 settembre 2010
Chissà se interesserà ai colleghi deputati e senatori del Pd che hanno benevolmente facilitato la legge leghista sul "federalismo fiscale" sapere che il sindaco di Tradate (Varese) ha presentato il primo esplicito testo leghista sulla razza, e lo ha fatto con un atto legale rigorosamente razzista presentato alla Corte di Appello di Milano?
Attenzione ai fatti. Il sindaco di Tradate, Stefano Candiani, Lega Nord, non è peggiore degli altri. Infatti il passaggio del "pacchetto sicurezza" autorizza i sindaci a estrose iniziative che negano la Costituzione e lo Stato e danno la vera interpretazione al "federalismo fiscale" che ha come scopo esclusivo eliminare gli italiani del Sud, insegnare il dialetto, tormentare gli immigrati e cacciare i rom. Ma, e il futuro? Chi pensa al futuro della gente bianca che, come sapete, nel Nord leghista non è minacciata dalle vigorose infiltrazioni della 'ndrangheta ma dalla presenza di immigrati che lavorano tutti, producono tutti per l'economia italiana e le pensioni italiane; ma poi la brava gente bianca e leghista della Padania vuole che non abitino, vuole che non preghino, vuole che non facciano figli. E così il sindaco Candiani di Tradate ha emesso l'editto sui bambini. Prescrive, nella Repubblica italiana nata dalla Resistenza: "Il Comune elargirà 500 euro di premio per ogni bambino nato. Ma solo se entrambi i genitori del bambino sono italiani". Vuol dire: bianchi. L'editto eredita lo spirito del "pacchetto di leggi per la difesa della razza" del 1939.
Contro l'editto di Tradate sono intervenuti cittadini e gruppi per denunciare l'evento incredibile. E' intervenuto il Tribunale di Milano che ha dichiarato, in sentenza "Un evidente intento di discriminazione". Di solito, di fronte a rari atti di resistenza, i leghisti parlano di equivoco, cambiano discorso. Non adesso. Cito dal documento leghista di ricorso in appello: "Il fine perseguito non è nel modo più assoluto di garantire sostegno a un bisogno. Il fatto è che la popolazione europea mostra un forte tasso di calo demografico. E' del tutto ovvio che alla morte dei popoli si accompagna la morte delle rispettive culture. Il bonus attiene al futuro della cultura europea indissolubilmente legata ai popoli dell'Europa medesima". Il dottor Goebbels e il Ku Klux Klan non avrebbero potuto dire meglio. La sfida alla Costituzione, ma anche a tutte le leggi e ai trattati sottoscritti dall'Italia con il resto del mondo libero e civile, adesso è aperta. Sarebbe bene che lo sapessero e lo ricordassero i compagni, gli amici, gli astanti della Festa Pd di Torino che rimpiangono ancora la mancata partecipazione di Cota, Maroni e Calderloli.



L'«amico» Gheddafi riapre la caccia all'eritreo

l'Unità 6 settembre 2010
Ventuno giovani migranti rinchiusi nei lager libici. Due sono invalidi Dimenticati i 205 arrestati a luglio. Qualcuno ha ritentato la fuga in Italia
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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riflettori si sono spenti. Gli indignati dell'ultima ora sono tor¬nati in letargo. Ma in Libia le retate sono riprese. I lager a riempirsi. Ai «dimenticati di Brak» si aggiungono i deportati di Kuifia. Storie agghiaccianti. Che chiamano in causa, ancora una volta, le responsabilità di un Governo, quello italiano, che dopo aver cele-brato gli show romani del Colonnel-lo, continua a ignorare gli appelli di-sperati che giungono dalla Libia. Dell'odissea degli oltre 200 eritrei segregati per giorni e giorni nel lager di Brak, nel deserto libico, l'Uni¬tà ne ha dato conto a più riprese, grazie, soprattutto, al contributo di un sacerdote indomito: don Mussie Zerai, eritreo, responsabile dell'ong Habesha, un'associazione che si oc-cupa di accoglienza dei migranti africani. Don Zerai ci aggiorna sulla vicenda dei 205 «liberati» da Brak: «Alcuni di loro - rivela a l'Unità -hanno cercato di raggiungere l'Ita-lia. Ma non ce l'hanno fatta». Altri continuano a chiedere di avere un incontro con qualche funzionario dell'Ambasciata italiana a Tripoli, in modo da poter illustrare la loro storia e veder riconosciuto il diritto all'asilo. Ma anche questa richiesta è caduta nel vuoto.
Per il Governo italiano la «pratica è chiusa», Definitivamente. Con affari miliardari in fase di definizio-ne, guai a innervosire l'«amico Muammar» tirando fuori il dossier sui diritti umani. Meglio chiudere gli occhi. E occuparsi d'altro. E poco importa che le retate sono riprese.
Che è ripresa la caccia all'eritreo. A Tripoli, a Bengasi...Quella racconta-ta da Mussie Zerai, sulla base di con¬tatti diretti con alcune delle vitti¬me, è la storia di sedici ragazzi e cin¬que ragazze di nazionalità eritrea, tutti profughi, prelevati dalle autori¬tà libiche dalle loro abitazioni nella città di Bengasi: «Li sono andati a cercare - sottolinea Zerai - andava¬no a colpo sicuro...». È la sera del 3 settembre. L'incubo ha inizio. E nel¬le testimonianze raccolte dal fonda¬tore di Habesha, si «arricchisce» di particolari agghiaccianti. «I ragazzi - racconta don Zerai - mi hanno det¬to di essere stati messi assieme a persone che hanno commesso reati quali omicidi, stupri, spaccio di droga...Trattati alla stregua di crimina¬li comuni». Questo avviene nel cen¬tro di detenzione di Algedya, men¬tre le cinque ragazze sono state con¬dotte nel carcere di Kuifia, nei pres¬si di Bengasi. «La situazione più gra¬ve - prosegue il suo racconto Mussie Zerai - riguarda due ragazzi: uno che ha una gamba amputata e ha bisogno di cure continue. Invoca as¬sistenza, che gli viene negata».
L'altra emergenza riguarda un ragazzo con problemi mentali. «Da quanto mi hanno riferito - dice il sacerdote eritreo - questo ragazzo continua a sbattere la testa contro il muro. È in una condizione di tota¬le confusione. Avrebbe bisogno di cure specifiche, andrebbe tolto da quella cella...». Così non è. Quel ra¬gazzo con disturbi mentali e l'altro con una gamba amputata, e gli al¬tri quattordici loro compagni di sventura, per le autorità libiche so-no «migranti illegali» e dunque da trattare alla stregua di criminali.
Non basta. Ad allarmarli ulterior-mente è stata una visita indesidera-ta: quella di un rappresentante dell'Ambasciata eritrea a Tripoli, il quale ha comunicato loro che pre-sto, molto presto, a causa della mancanza di un passaporto valido saranno deportati nel Paese d'origi-ne. Quel Paese da dove erano fuggi-ti. «Al che i ragazzi hanno chiama-to per chiedere aiuto», spiega Mussie Zerai. «Ho parlato con gli espo¬nenti di diverse organizzazioni umanitarie e con Laura Boldrini (portavoce in Italia dell'Unhcr, ndr)- afferma il sacerdote -. A tutti loro ho chiesto di attivarsi non solo per impedire la ventilata deporta¬zione di queste persone, ma anche perché si arrivi a una soluzione glo¬bale». Una speranza che si scontra con la colpevole inerzia della diplo¬mazia italiana. E del suo responsa¬bile: Franco Frattini. «Tutto questo accade in conseguenza dell'Accor-do Italia-Libia, secondo il quale il leader Gheddafi si impegna a fer-mare nel suo Paese i profughi richiedenti asilo, impedendo loro di beneficiare della Convenzione di Ginevra e di godere dunque dei propri diritti fondamentali», sottolineano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione per i diritti umani EveryOne. «Chiediamo pertanto - aggiungono - al Governo italiano, in particolare al ministro Frattini, di atti¬varsi al più presto per scongiurare un'imminente deportazione che potrebbe mettere in serio pe¬ricolo di vita i profughi...».
«La soluzione per noi insiste il responsabile di Habesha - conti¬nua a rimanere quella di avviare un programma di reinsediamen¬to. Per tutti i rifugiati e i richieden¬ti asilo che sono in Libia, l'unica soluzione vera è di essere reinse¬diati in un Paese che garantisce i loro diritti. E quello che continua-no a chiedere: vogliamo essere ac¬colti in un Paese democratico che rispetta i nostri diritti di richie-denti asilo e di rifugiati». Tra que-sti Paesi c'è l'Italia. Un Paese il cui ministro dell'Interno non perde occasione per esaltare i successi (leggi respingimenti forzati) otte-nuti con l'Accordo di Bengasi. Un Paese che ha assistito tra l'incredulo, l'indignato e il compiaciuto ai recenti show del Colonnello «convertitore». Un Paese che nel nome degli affari miliardari con Tripoli è venuto meno al rispetto di Convenzioni ratificate e ai più elementari principi di umanità.
Il forziere del Rais. È questo che fa gola. Secondo alcuni, ricor¬da il corrispondente di El Pais a Roma, Miguel Mora - Gheddafi di¬spone di una liquidità di circa 65 miliardi di dollari, e punta a nuo¬ve partecipazioni in Eni, Impregilo, Finmeccanica, Terna e Genera¬li. Oltre ad essere, con il 7% del pacchetto azionario, il primo azio¬nista di Unicredit, il più grande gruppo bancario italiano, che a sua volta controlla Telecom, Rcs e Assicurazioni generali.?



Immigrazione, asse italo-francese

Maroni oggi a Parigi: applicare con rigore la direttiva per i comunitari fuorilegge
il Messaggero 6 settembre 2010
di NINO CIRILLO
- Solo la conferenza stampa del ministro dell'Interno Maroni. previ¬sta per oggi all'ora di pranzo a Parigi. potrà dirci come e quanto   Italia   e Francia in queste ore siano vicine in materia di lotta al-l'immigrazione clandestina.      se davvero Roma e Parigi sono pron¬te a far fronte comune a Bruxelles. proprio in questi giorni di proteste e di polemi¬che per gli smantellamenti dei campi rom voluti da Sarkozy. Ma.intanto i segnali ci sono già tutti. Altrimenti Maroni non avrebbe deciso di ripetere proprio ieri da Cemobbic un concetto già espresso più volte in questi ultimi mesi,ma stavolta affinato, rafforzato, calibrato su misura per
l'appuntamento, un semina-rio ministeriale organizzato dal governo francese. Maroni ha detto che l'Italia, d'ora in poi, «applicherà con rigore la direttiva europea del 2004» e che quindi si prepara a espellere «tutti quei cittadini comuni¬tari che non la rispettano». No, non è la scoperta dell'ac¬qua calda, e si rivela fatica vana anche ipotizzare un rife¬rimento ai rom, perché pro¬prio Maroni precisa: «Nulla a che fare con i rom. Abbiamo dei cittadini che in base alla direttiva europea non posso-no risiedere stabilmente in un paese...».
Siamo insomma davanti a delle regole di sei anni fa ma evidentemente applicate fino¬ra senza troppa convinzione, dinanzi a delle norme che ognuno tira un po' dalla pro¬pria parte, come le coperte troppo corte. Di fatto questa direttiva prevede che un citta¬dino comunitario per risiede¬re in un altro paese della Uè debba «avere un reddito mini¬mo, disporre di una dimora adeguata e non essere a carico del sistema sociale del paese
ospitante». «Molti rom -ebbe a dire Maroni dieci giorni fa al meeting di Rimini, ma oggi i toni sembrano diversi- non rispettano nessuno di questi requisiti».
E' evidente, comunque, che questa strategia italiana, così concentrata sull'accerta¬mento delle responsabilità in¬dividuali, non ha nulla a che vedere con i piani di espulsio¬ni massicce annunciati da Sarkozy, con gli smantella-menti dei campi rom a comin¬ciare da quello di Choisy le Roi alla periferia di Parigi. Eppure le basi per un asse italo-francese ci sono tutte, an¬che a giudicare dalle parole pronunciate ieri di Eric Besson, ministro francese per l'Immigrazione: «Con l'Italia potremo lavorare insieme sul¬la lotta contro l'immigrazione irregolare. Ma questo non si-gnifica focalizzarci su una comunità in particolare». Anche Parigi, insomma, deve aver capito che serve a poco tenere l'acceleratore pigiato sulla que¬stione dei rom.
E' interessante, a questo punto, immaginare le prossi-me mosse. Parigi, attraverso Besson, annuncia che presen¬terà alcuni emendamenti a questa direttiva europea, per renderla più severa, «aggiun¬gendo reati come il furto e l'accattonaggio aggressivo» al¬l'elenco delle condizioni suffi¬cienti per essere espulsi. Maroni, invece, si muove¬rà su un altro piano: «Io chie¬derò che vengano dati gli stru¬menti per applicare la diretti¬va europea». Già, gli strumen¬ti, che alla fine è un po' la questione cruciale, la ragione per la quale in questi sei anni, con questa direttiva, si è fatta così poca strada. Ha avuto modo di spiegarlo bene, nean¬che un paio di settimane fa a Bruxelles, il sottosegretario al¬l'Interno Alfredo Mantovano. 11 cittadino comunitario che non possiede i requisiti previ¬sti per risiedere in un altro paese, spiegò Mantovano, ri¬schia «un allontanamento che poggia però su un'intimazio¬ne da mettere in pratica su base volontaria», un'intima¬zione che rischia di essere solo «virtuale». «Già due anni fa -aggiungeva il sottosegretario avevamo chiesto alla Ue una modifica che rendesse effetti¬vo l'allontanamento, ma in sede europea fu bloccata. Ora la riproporremo, sperando di poter contare anche sull'ap¬poggio della Francia». Ecco, le parole di Maroni sono così spiegate, e anche il senso della sua missione in terra francese.


Sanità etnica più federalista

Regioni in ordine sparso sull'assistenza agli immigrati regolari e non
il Sole 24 ore 6 settembre 2010
Francesca Maffini
Regioni in ordine sparso sull'assistenza sanitaria agli im¬migrati. È variegata, infatti, la cartina delle politiche adottate che emerge dallo studio «Mi¬grazione e salute» (promosso e finanziato dal ministero della Salute e coordinato dall'Istitu¬to superiore di sanità). Nello specifico, il focus sulle azioni lo¬cali è stato seguito dall'Osserva¬torio per l'assistenza sanitaria agli stranieri della Caritas ro-mana. Sette i parametri monito¬rati: le linee guida dell'offerta sanitaria, la presenza o meno di osservatori, gli interventi di prevenzione rivolti esclusivamente agli immigrati, la forma¬zione degli operatori, l'uso di strumenti di mediazione cultu¬rale, l'assistenza a comunitari e irregolari. Parametri riassun¬ti in un indice che mette a con-fronto quanto finora realizza-to. Ebbene, la Puglia è l'unica regione con un eccellente im-patto delle politiche sanitarie sugli immigrati. La Calabria, al contrario, rimane in coda, non avendo ancora avviato un'azione organica nella nor-mativa. Nel mezzo si colloca-no le altre regioni. Come la Sardegna che ha una buona normativa ma forti carenze nell'applicazione. O il Veneto che spicca per gli strumenti di analisi dei bisogni.
«Abbiamo analizzato gli atti formali, ovvero leggi, direttive, circolari emanati negli ultimi 15
anni -spiega Salvatore Ceraci, responsabile dell'area sanita¬ria della Caritas di Roma -. Il ri¬sultato della ricerca fa riferi¬mento alla capacità di formaliz¬zare la politica locale in atti normativi. Non è detto che tutto ciò che è scritto venga applica¬to. È anche vero che è molto più difficile avere azioni efficaci con un vuoto normativo».
La Puglia prevale proprio nell'impegno legislativo. «La regione - spiega Geraci - ha sa¬puto individuare le scelte stra¬tegiche migliori per la popola¬zione immigrata, regolare e non». Oltre ad aver istituito l'Osservatorio regionale sull'immigrazione e il diritto di asilo, ha specificato le condizio¬ni di diritto all'assistenza per tutti: immigrati regolarmente soggiornanti e familiari a cari¬co iscritti al Servizio sanitario regionale (Ssr), regolari che possono scegliere tra il Ssr o una polizza sanitaria valida sul territorio nazionale, stra¬nieri detenuti iscritti o meno al Ssr, cittadini temporanea¬mente presenti non in regola con il permesso di soggiorno, comunitari privi dei requisiti per l'iscrizione al Ssr. «Un buon lavoro lo stanno facendo molte regioni, dal Lazio alla Toscana, dal Piemonte alla Li¬guria», sottolinea Geraci. Quest'ultima assicura ai mino¬ri stranieri in affidamento tem¬poraneo per le vacanze tera¬peutiche l'iscrizione al Ssr per la durata del loro permesso di soggiorno (schede a lato).
La tematica "salute e immi¬grazione" è sospesa tra la legi¬slazione esclusiva dello stato (in tema di immigrazione) e quella concorrente delle regio¬ni (in tema di attuazione della tutela della salute). E questo nel tempo ha creato contrasti.
Il testo unico sull'immigra-zione prevede che tutti gli stra¬nieri legalmente presenti in Ita¬lia siano iscritti al Ssn, anche nel periodo di rinnovo del per¬messo di soggiorno e che i clan¬destini ricevano le cure essen¬ziali attraverso l'utilizzo di un codice regionale Stp (straniero temporaneamente presente). Ma sono le regioni che devono individuare le modalità oppor¬tune per garantire l'accesso al¬le prestazioni. E può accadere che iniziative legislative locali in favore degli immigrati venga¬no bloccate o messe in discussione dal governo centrale.
Così è successo proprio alla legge sull'immigrazione pugliese, la n. 32/2009, impugnata dal consiglio dei ministri davanti alla Corte costituzionale per essere andata oltre la competenza regionale, anche per la presenza di disposizioni a favo¬re degli irregolari. Stessa sorte era toccata alle disposizioni in materia di Marche, Emilia Ro¬magna e Toscana. Per quest'ul¬tima regione è di recente arrivato il via libera della Consulta, che con la sentenza 269 del 7 luglio 2010, ne ha "promosso" la legge 29/2009, in particolare nel punto in cui «provvede ad assicurare anche agli stranieri irregolari le fondamentali pre¬stazioni sanitarie ed assisten¬ziali atte a garantire il diritto all'assistenza sanitaria».
Nella stessa data di cinque anni fa la Corte costituzionale respingeva, con identiche motivazioni, il ricorso del governo sulla legittimità della legge 5/2004 dell'Emilia Romagna. Nessuna pronuncia, invece, sulla normativa delle Marche: è stata la stessa regione, con una legge successiva, la 28/2009 ad abrogare le disposizioni della legge 13/2009 censu¬rate dal governo che il 14 febbraio scorso ha così rinunciato all'impugnazione.


Immigrazione, in 24 ore 15 migranti arrivati a Pantelleria

Hanno detto di essere tunisini. Trasferiti a Trapani
05 settembre, 20:31
(ANSA) - PANTELLERIA (TRAPANI), 5 SET - Quindici migranti che hanno affermato di essere tunisini sono stati bloccati nelle ultime 24 ore sulle coste dell'isola di Pantelleria.
Stamane a Punta Sciacazza sono stati fermati, dai carabinieri, sette extracomunitari tutti uomini e in buone condizioni di salute. Sono arrivati su un gommone. Stasera partiranno per Trapani. Ieri sera invece altri otto migranti sono stati scoperti dalla guardia costiera nella frazione di Karuscia. Hanno dichiarato di essere partiti due giorni prima dal porto di Kelibia, in Tunisia.(ANSA).



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