Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

L’intollerabile silenzio che accompagna il genocidio nel Sinai

l'Unità, 11-01-2011
Italia-razzismo    Osservatorio
Don Mussie Zerai, direttore dell’agenzia Habeshia, quasi in completa solitudine, da oltre un mese, prova a tenere alta l’attenzione sulla vicenda delle 240 persone ostaggio di un gruppo di predoni nel deserto del Sinai.
Dopo la più recente e drammatica telefonata con uno dei prigionieri (ai quali viene consentito di comunicare con l’esterno al fine di raccogliere il denaro per il riscatto), ha scritto: «Nessuno sta facendo qualcosa per debellare questa piaga dei nostri giorni, non si vedono risultati a parte la liberazione di chi ha pagato il riscatto. Intollerabile l’inerzia dei governi della regione del Sinai e vergognoso il silenzio della comunità internazionale di fronte al dramma di centinaia e migliaia di profughi tenuti in catene dai predoni nel fazzoletto di terra più rovente del globo, non solo per ragioni climatiche, ma perché dovrebbe essere un territorio sotto il controllo dell’intera comunità internazionale. Ma quest’ultima sembra chiudere gli occhi sul dramma di profughi che vengono spogliati di tutto. Dove sono finiti i difensori della vita? Dove sono i paladini dei diritti umani? Dov’è l’Europa ‘culla della civiltà’? Gli ostaggi africani forse valgono meno di altri per i quali ci si mobilita? Nell’Europa che li respinge, si annunciano muri da costruire, ma nessuno si occupa della vita di questi disperati. Uno di loro, raggiunto al telefono sabato scorso, ha detto: «Ormai siamo rassegnati a morire qui, ma voi, che vivete nel mondo libero, a restare schiavi della vostra inerzia, del vostro silenzio, della vostra complicità passiva con questi criminali». Il nostro compito è uno: bisogna offrire a quegli infelici la possibilità di arrivare in posti sicuri, dove siano garantiti i diritti umani e civili dei rifugiati».
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